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Autore: IamNotPrinceHamlet    20/05/2014    1 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Fantastico” borbotto a denti stretti appena viene annunciato in tv il video successivo. Non che Sinehead O’Connor non mi piaccia, anzi, ma non sono esattamente dell’umore giusto per quella canzone. Anzi, al contrario, sono dell’umore perfetto ed è proprio questo il problema. Da sempre amo crogiolarmi nelle canzoni dolorose quando sto male e lasciarmi andare alla musica ignorante quando sono felice, ma visto che non ne stavo traendo alcun giovamento ho provato ad accendere la tv e mettere su Mtv e devo dire che i movimenti ipnotici di MC Hammer e delle sue ballerine erano riusciti a farmi muovere il piedino e a distogliermi, almeno per alcuni minuti, dai pensieri cupi. Tuttavia, trattandosi della classifica dei pezzi più forti dell’anno, Nothing compares to you non poteva mancare. E io sono fottuta, di nuovo. Sprofondo ancora di più sotto il piumone, senza riuscire a staccare le mani dal telecomando, ma limitandomi a spostare lo sguardo verso una delle ampie finestre della mia vecchia stanza. Questa sì che è neve, altro che quella spolverata di zucchero a velo che ha mandato in tilt Seattle! Riformulo questo pensiero per l’ennesima volta, dopodiché per l’ennesima volta torno a fissare lo schermo, sbuffando. Non ho fatto molto altro da quando sono arrivata, non ho neanche disfatto la valigia, che è ancora lì, abbandonata nell’angolo di fianco alla scrivania, esattamente dove l’ho lanciata appena ho messo piede in camera. Nel tentativo di interrompere il circolo vizioso in cui mi sono imbarcata, decido di dare una svolta sensazionale al mio pomeriggio indirizzando il mio sguardo al soffitto, da dove mi saluta la cara e vecchia macchia di vernice in eccesso, che nella mia testa ho sempre visto come il profilo di un cavallo imbizzarrito, ma che forse dalla forma assomiglia più a un tacchino in fuga.

“Ciao Frou, come te la passi?” saluto il mio amico d’infanzia e provo a fantasticare su una sua ipotetica risposta, visto che non risponde più da solo, come faceva sempre quando ero bambina, da bravo amichetto immaginario. Sicuramente mi direbbe che stava benone, prima di rivedere la mia faccia da funerale. Frou di certo mi ha vista depressa più di una volta e non solo per problemi comunemente definibili come infantili, ma mai per un tradimento (va beh, uno…) e non me la sento di coinvolgerlo nei miei problemi di pseudo-adulta-non-ancora-donna-ma-neanche-bambina.

“Ho le mie cose” rispondo mentendo a una domanda che né Frou né nessun altro in questa stanza ha mai posto, sapendo che l’amico immaginario era solito galoppare via alla velocità della luce ogni qual volta ci fossero di mezzo le scomode amiche mensili, arrivate così presto a farmi capire che essere una femmina non sarebbe stato per un cazzo facile. Mi madre diede una festa in loro onore, una festa a cui ovviamente Frou-Frou il Cavallino non venne invitato.

“Angie?” mia madre mi chiama bussando. O forse aveva bussato anche prima, ma i nitriti di Frou ne avevano coperto il rumore.

“Sì”

“Posso entrare?” domanda restando dietro la porta.

“Certo, entra pure, la porta è aperta” rispondo alzando gli occhi al cielo.

Il senso distorto di privacy di mia madre: si fa mille problemi prima di disturbarmi ed entrare in punta di piedi in camera mia, ma poi non si fa scrupoli ad entrare a passo d’elefante nella mia vita privata con domande e allusioni imbarazzanti.

“Che c’è? Non stai bene?” mi chiede vedendomi sotto le coperte.

“No, tutto ok, sono solo un po’ stanca, sai, per il viaggio…”

“Ma se sei venuta in aereo? L’altra volta hai fatto mille ore di pullman ed eri fresca come una rosa!” osserva mia madre, prima che il suo sguardo scettico si sposti sulla valigia ancora chiusa e intatta.

“Ieri sera sono, ehm, sono uscita e ho dormito poco, tutto qui” rispondo tornando a guardare la tv per sfuggire all’occhio inquisitore di mia madre.

“Stone non sapeva che dovevi partire? Poteva riaccompagnarti a casa un po’ prima, no?” ribatte lei e anche se non la sto guardando in faccia posso solo immaginare il suo sorrisino compiaciuto.

“Non sono uscita con Stone”

“Aaaah ecco…”

Ah ecco cosa?” le chiedo ben sapendo che tanto, qualsiasi cosa faccia, non posso evitare di cacciarmi in questa conversazione con lei.

“Si spiega perché sei di cattivo umore”

“Non sono di cattivo umore!”

“Invece sì, e non hai neanche disfatto la valigia”

“Ti ho detto che sono stanca, non ti va bene come spiegazione? Non è abbastanza succulenta? Effettivamente è un po’ banalotta, dammi cinque minuti e mi invento qualche intrigo interessante da proporti” replico camminando sul filo sottile che corre tra sarcasmo e coda di paglia.

“No, non ce n’è bisogno. Comunque hai visite” annuncia mia madre chiudendo subito l’argomento, chiaro segno che stavolta sono caduta rovinosamente nella paglia: mi ha sgamata e ha capito che non è il caso di insistere.

“Oddio, mamma, non sono in vena di visite, voglio dormire un po’!” mi lagno affondando la faccia nel cuscino, pensando che prima di affrontare il parentado e le loro domande con un’adeguata corazza avrei bisogno di almeno 6 mesi di sonno. Nonché una discreta quantità di alcol.

“Ok.” risponde lei facendo spallucce e uscendo dalla mia camera.

Troppo facile, penso, qui c’è qualcosa sotto.

“Mi spiace, Dina, ha detto che è stanca e non-” commenta lei ad alta voce dal corridoio e sentendo quel nome non posso fare altro che scattare in piedi su letto, per poi saltare giù e raggiungere con qualche balzo la porta, andandoci quasi a sbattere contro.

“SOCIA!” urlo uscendo dalla mia stanza e buttando letteralmente le braccia al collo di colei che da anni posso tranquillamente definire la mia migliore amica. E che mi è mancata un sacco.

“Ma brava, prima ti chiudi nei tuoi appartamenti e ti fai negare e adesso mi abbracci? Non funziona, sai?” incrocia le braccia e fa l’offesa, mentre io le saltello attorno come un cane in festa.

“Non lo sapevo che eri tu, idiota!” le spiego, mentre cerco mia madre, che nel frattempo dev’essersi allontanata furtivamente, per lasciarci da sole.

Lei e il suo strano senso della privacy!

“Certo, adesso hai i tuoi amici musicisti di Seattle, chi siamo noi sfigati dell’Idaho in confronto?” continua con le sue osservazioni sarcastiche mentre la spingo in camera mia e chiudo la porta a chiave alle nostre spalle.

“Perché tu, invece? All’Università di Los Angeles non hai conosciuto gente figa immagino” replico mentre si siede sulla mia poltrona, che ormai è sua di diritto da anni.

“Mmm sì, un paio… Ma mai figa quanto te e gli altri due stronzi”

“Aaaaw, mi fai commuovere! A proposito dei due stronzi, che fine hanno fatto? Sean mi ha scritto che non sapeva se sarebbe tornato per Natale…”

“Infatti non torna, sai, così ha la scusa per evitare i suoi…” mi spiega e io non posso che annuire conoscendo i rapporti tesi tra Sean e la sua famiglia, che l’hanno portato ad andare a studiare nell’università più lontana tra quelle che avevano selezionato la sua candidatura.

“Poteva tornare per noi! A casa Pacifico c’è sempre posto per un ospite in più, dovrebbe saperlo”

“Sì, ma lui è in Florida, lontano dai suoi genitori, sta in costume tutto l’anno e studia la cosa che gli piace di più al mondo. Credo che non lo rivedremo tanto presto, a meno che non alziamo il culo e prendiamo un aereo per andare a trovarlo”

“Tu devi stare solo zitta perché sei in California, io sono l’unica sfigata che è finita nel pisciatoio dello stato di Washington!”

“Ahahah piove così tanto?” mi chiede estraendo il suo pacchetto di sigarette dalla tasca. Tuttavia quella che ne tira fuori è tutto fuorché una sigaretta standard.

“Tu non capisci, a Seattle piove sempre, anche quando non piove” provo a spiegarle mentre procedo ad aprire leggermente una delle finestre.

“Che cazzo significa?!” mi chiede perplessa mentre passa la fiamma dell’accendino sotto la punta della canna.

“Per capirlo devi viverlo, vieni a trovarmi!”

“Eh magari dopo i primi esami, vedo come sono messa”

“E l’altro stronzo? Come sta il nostro Richie? Non lo sento da una vita” chiedo lasciandomi cadere sul letto.

“Non lo sai?? Il nostro piccolo Richie si è fidanzato! Roba seria” Dina mi dà la notizia dopo aver fatto un lungo tiro.

“Che?!”

“Sai che ha voluto prendersi questo anno sabbatico e di tutta risposta il padre l’ha mandato a lavorare nella sua ditta di costruzioni, no?” inizia a raccontare e io annuisco “Beh, lì ha conosciuto la figlia di uno dei soci e bam, colpo di fulmine! Il Natale lo trascorrono tutti insieme dai genitori di lei”

“Stai scherzando?” le chiedo perplessa, allungando la mano per invitarla a offrirmi un tiro.

“Giuro! Quindi oggi non lo vedi, magari nei prossimi giorni si fa vivo con la sua dolce metà” Dina si alza e viene a sedersi sul bordo del letto, porgendomi la canna.

“Richard fidanzato in casa, chi l’avrebbe mai detto” commento incredula, scuotendo la testa.

“Già, proprio Richard, il soggetto più antisociale che io abbia mai conosciuto. Vuol dire che c’è speranza per tutti!”

“E già”

“Beh, già dopo aver saputo di te la mia fiducia nell’umanità aveva subito una spinta notevole, ma Rich ti batte, devo ammetterlo” Dina mi sgomita e ridacchia facendo sobbalzare i suoi corti riccioli, mentre io raggelo di colpo.

“Mi batte di sicuro” aggiungo appoggiando la testa al cuscino e allungandomi per prendere il posacenere dal comodino e sistemarmelo sulla gamba.

“Uh! A proposito, ho visto il video del tuo bello qualche sera fa! Effettivamente è un bel ragazzo, niente da dire. E con la chitarra non è niente male…”

“Dina…”

“E poi con quei bei capelli biondi al vento… chissà che groviglio di chiome quando trombate! Ehm, scusa, non sono cazzi miei lo so”

“Ma no, è che-”

“Comunque non sono la persona più indicata per dirlo, ma lo trovo sexy, sì, e poi ce lo vedo con te, davvero”

“L’ho lasciato ieri”

“Eh?” il suo sorrisone le si scioglie in faccia e lascia il posto a un’espressione basita.

“Mi cornificava alla grande” spiego facendo un mega-sunto della situazione e ripassandole la canna.

“CHE COSA?!”

“E sì”

“Che bastardo! Ma chi cazzo si crede di essere? Beh, comunque si vedeva già dal video che era un coglione, con tutte quelle pose da presunto figo e la camicia aperta… e poi suona di merda!”

“Ma se un secondo fa hai detto-”

“L’ho detto per farti contenta”

“Tu non dici mai niente per farmi contenta” osservo sarcastica, sorridendo internamente per la sua prontezza nel difendermi a spada tratta sempre e comunque.

“L’ho detto tanto per dire qualcosa, va bene? E poi io sono lesbica, che cazzo vuoi che ne capisca di uomini?” ribatte recuperando il suo accendino dalla tasca per riaccendere.

“Che significa? Io sono etero, ma so dare un giudizio oggettivo su una donna”

“Sicura di essere etero?”

“Ahahah per la duecentesima volta, sì!”

“Io lo dico per te, dopo tutte queste esperienze disastrose forse sarebbe il caso di provare qualcosa di diverso, che dici?”

“Sono irrimediabilmente etero, mi dispiace”

“Ma come fai a dirlo se non ti fai una passeggiata da quest’altra parte? Anch’io ero stata con un ragazzo prima”

“Tu non eri stata con un ragazzo per provare, eri stata con un ragazzo per sentirti uguale alle altre, nel tentativo di omologarti a un sistema che promuove scelte sentimentali e sessuali canoniche e condanna ogni tipo di diversità” sentenzio riprendendomi la canna.

“Fino ai 13 anni ero convinta che nessun ragazzo mi piacesse perché nessuno che conoscevo somigliava a Vince Neil. Poi ho capito”

“Ah già, Vince Neil, avevo rimosso! Allora esiste una minaccia tangibile alla tua omosessualità, sicura di essere gay?”

“E tu sei sicura di essere canonica?” mi chiede alzando un sopracciglio.

“Ahahahah sicurissima!”

“Ma guarda che io non lo dico mica per me, io non ci proverei mai con te, sei come una sorella, cazzo!” esclama con aria schifata.

“Lo so, e anche per me sei una sorella” le dico sinceramente.

Io e lei siamo state vicine di casa e compagne di scuola fin dall’infanzia, siamo praticamente cresciute insieme, i miei genitori e la mamma di Dina sono amici, trascorriamo tutte le feste insieme ed io e la mia famiglia siamo stati i primi con cui ha fatto coming out, ben prima di sua madre.

“E poi sei troppo una rompicoglioni, non resisterei un giorno insieme a te” aggiunge con un ghigno malefico, distruggendo il momento magico tra sorelle.

“Oh grazie”

“Scommetto che il tuo concetto di preliminari consiste nel piegare ordinatamente i vestiti dopo averli tolti” continua ridacchiando e io non posso fare altro che lanciarle un cuscino su quella faccia da culo che si ritrova.

“Beccati questa!”

“Ehi, è Natale! Dov’è finito il siamo tutti più buoni?”

“Per quanto mi riguarda, da nessuna parte perché non c’è mai stato”

“Comunque se dovessi cambiare idea, al college ho conosciuto un sacco di ragazze che-”

“Dina…”

“Ce n’è una che sarebbe perfetta per te! E’ pazza di Stephen King, ti dico solo questo”

“Pensavo che con la maggior età avessi finito di costruire relazioni immaginarie tra me e ragazze prese a caso”

“E io pensavo che con la maggior età avessi finito di costruire relazioni sbagliate con teste di cazzo, evidentemente mi sbagliavo” conclude lei e mi prende in pieno. Colpita e affondata.

“Già…”

“Dai, con tutti i nuovi amici che hai, dovevi metterti proprio col più stronzo?” mi chiede facendo il faccino triste e rubandomi dalle dita quello che è quasi un mozzicone.

“Come se dipendesse solo da me, ti ricordo che per fare una coppia ci vogliono due persone e che queste due persone devono condividere lo stesso tipo di interesse reciproco”

“Stai cercando di dirmi che non piaci a nessuno?”

“Beh, in poche parole, sì”

“Tsk stronzate”

“Che ne sai?”

“Lo so e basta. E se è davvero così, beh, vuol dire che lì l’eroina scorre direttamente nell’acquedotto cittadino e sono tutti talmente fuori di testa da non accorgersi che sei una gran donna e allora che se ne vadano affanculo!”

“Mi sa che è ora di mettere qualcosa sotto i denti” affermo dopo un lungo silenzio tra noi due, non appena mi accorgo di aver cominciato a masticare aria.

“Di già? Guarda che era solo erba, ti stai rammollendo in quel di Seattle? E io che pensavo tornassi da rocker fattona” mi prende in giro, mentre fa sparire ciò che rimane della nostra fumata in un fazzoletto di carta. Sappiamo entrambe benissimo che ai miei non frega niente e non rimarrebbero certo scandalizzati, ma è il nostro piccolo rituale. Se ci lasciamo togliere anche quel po’ di proibito, che cazzo ci rimane?

“E invece torno da cornuta affamata” affermo alzandomi ed andando ad aprire di più la finestra.

“Ma non pensarci più, che si fotta assieme alla sua band del cazzo!”

“No dai, la band no, loro sono bravi” ribatto difendendo gente che probabilmente sapeva benissimo che Jerry mi stava prendendo per il culo, ma non mi ha detto niente. Specialmente per Layne, visto che con gli altri non ho questo gran rapporto, ci sono rimasta molto male.

“Va beh…”

“E anche lui… anche Jerry è bravo…” aggiungo mentre usciamo dalla stanza, beccandomi un’occhiataccia da parte di Dina “E’ una merda, ma è bravo”

“Ecco, così va già meglio!” commenta sorridendo e dandomi una pacca sulle spalle “E ora andiamo ad affogare quest’altro Natale con le calorie”

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“Che cazzo gli hai detto?” chiedo facendo una specie di agguato a Matt, mentre esce dal bagno.

“Cristo, Meg! Mi hai spaventato a morte!” urla lui appoggiandosi alla porta.

“Vi ho visti prima, stavate parlando… di me?” lo incalzo ripensando alla scena a cui ho assistito pochi minuti prima, appena entrata a casa Gossard: Matt e Mike che parlavano in un angolo del salotto e quest’ultimo che dava la mano al batterista prima di allontanarsi.

“Beh… sì” ammette lui grattandosi la testa.

“E…”

“E non gli ho detto niente, stai tranquilla” risponde e io tiro un sospiro di sollievo.

“Ma cosa ti ha chiesto?”

“Cosa vuoi che mi abbia chiesto? Se tra noi c’è qualcosa, se ieri siamo stati insieme, ovvio” ribatte spazientito.

“E tu hai negato”

“Certo che ho negato! Gli ho detto che eri ubriaca e ti ho riaccompagnata a casa, e stop. Lui insisteva dicendo che tu mi stai sempre dietro e io l’ho rassicurato dicendogli che siamo solo amici, che era una sua impressione, cose così…”

“Ma ci ha creduto?”

“Cazzo, Meg, non lo so! Forse se non ci avesse creduto non sarei ancora vivo, non credi? Magari l’ho convinto, ma non del tutto… Che situazione di merda!” sbotta lui mollando un pugno alla porta.

“Ok, ok, stai calmo. Scusa, è solo che volevo sapere”

“Abbiamo fatto una cazzata, Meg, una cazzata grossa come una casa” dice lui sottovoce, guardandosi attorno, nel timore che possa arrivare qualcuno da un momento all’altro.

“Abbiamo fatto più cazzate in realtà, contando anche stamattina…” aggiungo avvicinandomi a lui, dopo aver controllato anch’io se la via è libera, e provando a cingergli la vita.

“Dico sul serio” replica lui, indietreggiando.

“Oh… in quel senso”

“Senti, tu sei fantastica, davvero, ma-”

“Odio i discorsi che iniziano con tu sei fantastica, finiscono sempre di merda”

“… Mike è un mio amico, un mio grande amico, non posso fargli questo”

“Appunto”

“Purtroppo quel che è fatto è fatto e non posso tornare indietro, ma posso almeno evitare di ricommettere lo stesso errore” continua incamminandosi lentamente lungo il corridoio per tornare dagli altri.

“Oh beh, scusa se ti ho fatto commettere questo grave errore, sono una stronza tentatrice! Come ho osato infangare la tua anima pura?” ironizzo seguendolo.

“Meg…”

“No, tranquillo, ho capito”

“E’ stata colpa di entrambi, non abbiamo riflettuto”

“Ok”

“Magari più avanti, quando le cose tra te e Mike saranno più chiare e definitive e-”

“Di certo sono chiare e definitive tra me e te adesso”

“Meg, io-”

“Vaffanculo, Matt” gli indirizzo un bel dito medio, mentre faccio ritorno in salone dagli altri, compresi Mike e la sua amabile ragazza, che dividono uno dei divani con Chris e Susan.

Quando sento una mano sulla mia spalla sto quasi per voltarmi con un gancio destro pronto a colpire quello stronzo di Cameron in faccia, ma quando vedo il faccino radioso di Violet e il suo vestitino rosso luccicante mi blocco appena in tempo. Putroppo.

“Ciao Meg!” mi saluta con il suo solito entusiasmo immotivato.

“Ehi Violet”

“Come va? Sei qui da sola?” domanda e io istintivamente mi guardo attorno per constatare l’effettiva presenza del mucchio di gente che ha occupato la mansarda di Gossard per la notte di Natale. Da sola? Che cazzo avrà voluto dire?

“Beh, no, sono qui con gli altri…”

“E non c’è la tua amica? Come si chiama?” aggiunge puntandosi un dito sul mento e guardando in alto.

“Angie” rispondo prima che i circuiti del suo cervello vadano in sovraccarico.

“Angie, giusto!”

“No, è dai suoi, in Idaho”

“Oh che peccato! Volevo conoscerla!” commenta lei con un’espressione falsa come una Gioconda con i dreadlock.

“Beh, se continuerai a uscire con noi la conoscerai presto, lei è sempre dei nostri” rispondo velocemente, sperando che la conversazione si concluda con altrettanta rapidità.

“Lo so, Eddie ne parla spesso… anzi, a dire il vero parla sempre di lei, eheheh” dice con una risatina isterica e finalmente capisco tutto: questa stronzetta è gelosa di Angela e della sua amicizia con il bel cantante. E chi sono io per non approfittarne?

“Sì, immagino, sono molto legati quei due, quasi inseparabili!” confermo con un sorriso smagliante, mentre vedo il suo vacillare chiaramente.

“Capisco… ma lei, insomma, ha il ragazzo?” chiede allungando una mano verso Ben, che ci ha appena passato delle birre.

“Mmm no, ma che c’entra?” le chiedo figendo di non capire “Aaaaaah! Ma perché tu credi che…? Ohohoh ma no, non c’è niente tra loro!”

“No? Beh, sai, poteva sembrare che-”

“Sono solo amici. Almeno, che io sappia!” aggiungo facendo tintinnare la mia bottiglia contro la sua, che resta immobile “Angie è un tipo molto riservato, non mi racconta mai molto di sé”

“Ma tu che ne pensi?”

“Mmm non so, onestamente non credo”

“Ah ecco”

“Però hanno un certo feeling, è innegabile”

“Sì?”

“Scusa, Stone mi chiama. A dopo!” uso l’immaginaria chiamata di Gossard per allontanarmi, rido sotto i baffi e non mi serve avere gli occhi di dietro per sapere che sta digrignando i denti e inviandomi una raffica di bestemmie mentali.

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Il telefono squilla proprio mentre ci stiamo mettendo a tavola e non posso fare a meno di rivolgermi al signore lassù, in maniera educata però, visto che è il compleanno di suo figlio, e chiedergli senza imprecare chi cavolo è che rompe le scatole proprio adesso ritardando l’inizio della tanto agognata cena con i nostri amici e la mia famiglia quasi al completo. Mia figlia Angela si lascia scappare una risata, sapendo benissimo che non avevo intenzione di alzare il culo da questa sedia almeno per le prossime tre ore e di certo non prima di essere sazio e satollo. Ma sono il più vicino al telefono, quindi mi tocca. Per un attimo rimpiango di non essere un padre padrone maschilista. Solo per un attimo, eh. E’ colpa della fame.

“Pronto?” chiedo con tono poco natalizio.

“Ehm, buona sera, è casa Pacifico? Scusi per l’ora, spero di non disturbare…” la voce di uno stronzetto che fa di tutto per sembrare educato esce dalla cornetta.

“Nessun disturbo… ma chi è?”

“Sono un amico di Angie, di Seattle”

“Ah! Vieni Angela, è un tuo amico…” faccio segno a mia figlia di venire a prendersi il telefono, ma la vedo sbiancare e non muoversi di un millimetro “Oppure vuoi parlarci a tavola e renderci tutti partecipi della tua vita privata?” aggiungo per spronarla.

“Ma chi è?” mi chiede lei abbozzando un sorriso, ma con occhi terrorizzati.

Che cazzo ha fatto a mia figlia questo… non sarà mica?

“Adesso te la passo, ma dimmi figliolo, come ti chiami?” chiedo allo stronzetto.

“Gossard, Stone Gossard” risponde e non posso che illuminarmi.

“STONE! Il famoso Stone! Finalmente riesco a parlarti” esclamo, poco prima che mia figlia scatti in piedi, facendo quasi cadere la sedia, e mi corra incontro per prendere il telefono. Ma io sono più alto di lei e corro più veloce.

“Ehm, famoso?” chiede perplesso il malcapitato.

“Certo! Angela parla sempre di te!” spiego mentre mi lancio a razzo verso il mio studio, inseguito da mia figlia e dalle risate degli altri provenienti dal soggiorno.

“Ah sì? Beh, spero parli di me in positivo eheh”

Lo spero anch’io, se no ti uccido, testolina di cazzo.

“Perché? Avrebbe anche cose negative da riferirmi?” chiedo mentre cerco di chiudere la porta dello studio a chiave, ostacolato da Angie e dalle sue spinte dall’esterno. Potere dell’adrenalina, quando una teenager è in pericolo è capace di tutto.

“Oh no, certo che no!”

“Ah quindi ti ritieni un uomo perfetto?” gli domando riuscendo finalmente a chiudermi dentro, ignorando i colpi assordanti di Angie sulla porta.

“Ehm… no…” risponde con l’aria di uno che in realtà voleva dire 'Sì, cazzo, e sono pure meglio di te'.

“Va beh, comunque so che tu e Angie siete molto amici” cerco di concentrarmi e di ignorare il suo tono di voce irritante. E’ la prima volta in assoluto che riesco a parlare con un ragazzo di mia figlia, non posso sprecare questa occasione.

“E’ una cara amica, per tutti, certo. E infatti ci manca già e volevamo salutarla… ma non c’è?”

“Sì sì, arriva subito, è in cucina con sua madre, è impegnata in… roba natalizia, sai com’è” rispondo allontanandomi dalla porta e dalle proteste di mia figlia.

“Ah sì, sappiamo che Angela è una gran cuoca!” esclama l’irritante stronzetto.

Quindi mia figlia ti ha già cucinato qualche cenetta romantica o qualche dolce, eh?

“Non per vantarmi, ma ha preso da me”

“Capisco…”

“Quindi… siete amici, no?” chiedo conferma, mentre sento che Angie ha smesso di accanirsi contro la porta dello studio.

“Err… sì, gliel’ho già detto”

“E tu sei in una band, mi pare, o sbaglio?”

“Sì, suono la chitarra”

“Oh fantastico! Anch’io suonicchio, sai? Ho anche una discreta collezione”

“Interessante” commenta lui, anche se tra le righe mi sta dicendo che non gliene può fregare di meno.

“E dimmi… di lavoro invece cosa fai?” chiedo stupendomi della mia stessa stronzaggine e riuscendo a stento a trattenere una risata.

“Beh, signor Pacifico, io-”

“Chiamami Ray”

“Ok, Ray… vede, attualmente mi sto concentrando sul mio nuovo progetto musicale e-”

“Quindi sei disoccupato?”

“No, sono occupato nella realizzazione dell’album della mia nuova band e presto inizieremo anche un tour di una certa portata” replica Stone con una punta d’orgoglio.

“Sì, ma come vivi? Come ti mantieni?” passo alle maniere forti perché sento che Angela sta armeggiando con la serratura. Deve aver recuperato la chiave di riserva dello studio, o meglio, sua madre deve aver ceduto e avergliela consegnata per pietà.

“Beh…”

“Ce l’hai una laurea almeno?”

“Io veramente…”

“E la tua famiglia? Che fanno i tuoi? Siete devoti a una religione particolare? Scusa se ti faccio tutte queste domande, ma, sai, sono cose importanti da tenere in considerazione per un matrimonio” continuo nonostante mia figlia sia entrata come una furia nello studio e stia cercando in tutti i modi di strapparmi il cordless dalle mani.

“CHE?! MATRIMONIO?” lo stronzetto grida come un’aquila e sento chiaramente delle risate in sottofondo attraverso il telefono.

“Perché? Non la vuoi sposare?”

“Guardi, ci dev’essere un errore. Eheh Angela mi aveva detto di questa cosa, che pensava stessimo insieme, ma-”

“Ah allora stai dando della bugiarda a mia figlia!” esclamo fingendomi arrabbiato, mentre Angela cerca di placcarmi.

“Ma no, intendevo dire che lei deve aver frainteso, Ray”

“Allora stai dando del rincoglionito a me!” mi inviperisco ancora di più, ma Angie si è buttata direttamente sul mio punto debole: alla prima tirata decisa di baffi mollo la presa sul telefono.

“STONE, SCUSAMI, MIO PADRE E’ UN IMBECILLE!” urla lei alla cornetta, quasi sicuramente assordando il povero stronzetto, e continua a rassicurarlo mentre, paonazza in volto, si allontana verso la sua camera “… Ma no, ti stava prendendo per il culo, si diverte così… No, non ho preso da lui! …Ah-ah, simpatico, Gossard, davvero simpatico!”

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“Giuro che per un attimo me la sono fatta sotto davvero!” Stone sta parlando con Meg, mentre assieme mi accolgono sulla porta di casa Gossard.

“Uhm ciao ragazzi!” saluto porgendo la preziosa cassa di vino rosso che ho portato come regalo “E buon Natale”

“Buon Natale a te, amico!” il volto del chitarrista si illumina e in un nanosecondo si allontana con il prezioso bottino, mentre io sono ancora sulla porta.

“Cazzo, Stone, che razza di padrone di casa sei? Ciao Eddie, buon Natale” Meg mi bacia sulla guancia e mi invita ad entrare.

“Ehm di che stava parlando?”

“Ahah niente, ha avuto un incontro ravvicinato del tipo telefonico con il padre di Angela. Tu non lo conosci, è un bel tipino!”

“Oh, Angie ha chiamato?”

“L’abbiamo chiamata noi, cinque minuti fa”

“L’ho persa per un pelo allora, cazzo” commento sconfortato, avrei voluto almeno sentirla “Ma come sta?”

“Beh, ha parlato solo con Stone, quindi non ha detto niente in realtà…” Meg abbassa la voce e nel contempo mi indica il tavolo pieno di cibarie e bottiglie.

“A tal proposito, spero vivamente che Jerry non sia qui” aggiungo guardandomi attorno, anche se forse sotto sotto spero proprio di vedermelo comparire da una porta qualsiasi e di potergliene dire quattro, senza parole però, col solo uso dei cazzotti.

“No, non c’è. Se quello che dice Sean è vero, non è nemmeno più a Seattle” risponde lei indicandomi con un cenno Kinney, in un angolo poco lontano del soggiorno.

“Cioè?”

“Pare sia andato dalla sorella o dal fratello, non lo so. La situazione famigliare di quel ragazzo è bella incasinata”

Che novità, penso tra me e me. Mi sa che Stone e Angela sono davvero gli unici in tutta la città ad avere una famiglia sana, come mi aveva detto Angie qualche tempo fa. Già, quella sera, dopo la mia piazzata da stronzo al negozio, quando lei mi ha perdonato ad occhi chiusi e mi aveva anche fatto dei dolci… e tutti la prendevano in giro per la divisa natalizia del ristorante, mentre a me sembrava proprio carina… Cazzo, sembra una vita fa, invece è passato così poco tempo.

“E non solo quella” ribatto stappando una birra e procurandomi un piatto di carta da riempire di cibo.

“Beh meglio così comunque, una presenza spiacevole in meno a turbare la nostra quiete!” commenta lei alzando il suo bicchiere, pieno di non so bene cosa.

“Giusto”

“Peccato non poterle eliminare tutte” aggiunge sospirando e il mio sguardo non può che cadere su Mike e Melanie, intenti a tubare come piccioncini sul divano.

“Mi spiace, Meg, non deve essere facile” le dico un po’ imbarazzato.

“Già… comunque non stavo parlando solo di me” risponde facendomi dei segni che non riesco immediatamente a comprendere, finché non mi volto e mi trovo a due centimetri dal volto di Violet.

“Eddie! Sei arrivato!” esclama la bionda abbracciandomi.

“Grazie per avermelo detto, non me n’ero accorto” rispondo mentre le do qualche pacca sulle spalle in attesa che si stacchi da me, non sapendo bene dove mettere le mani.

“Spiritoso! Aspettami qui, non ti muovere” mi fa, prima di fuggire non so dove. E non è che stia morendo dalla voglia di saperlo, sinceramente.

“Vai scappa, ti copro io” mi dice Meg sgomitandomi e ridendo, ma non faccio nemmeno in tempo a pensare a una via di fuga che subito Violet ricompare all’ingresso del soggiorno, con un pacchetto in mano, e mi fa segno di raggiungerla.

“Troppo tardi” dico rassegnato e mi avvicino alla mia stalker.

“Per te” Violet, tutta sorrisi, mi porge il pacchetto, rosso, come il suo vestito.

“Cos’è?” le chiedo, come se me ne fregasse qualcosa.

“Cosa può essere secondo te? Un regalo, no?”

“Questo l’avevo capito, ma… io non ho fatto regali, cioè, non sapevo si facessero regali, ho portato il vino come regalo collettivo e-”

“Eddie, se faccio un regalo non è perché me ne aspetto un altro in cambio, è perché mi va di farlo, tutto qui” spiega lei, con un discorso che sembrerebbe quasi altruistico, se non fosse che lei qualcosa in cambio lo vuole eccome, solo che non si può impacchettare. Forse. Non ho mai provato e sinceramente non ci tengo.

“Oh beh, grazie, ma-”

“E poi vale anche come regalo di compleanno, quindi prendilo e basta” Violet mi mette in mano il pacchetto e non posso fare altro che scartarlo.

E’ un orologio. E’ bello, non c’è che dire, e ha anche l’aria di essere piuttosto costoso.

“Wow”

“Ti piace?” mi chiede quasi saltellando sul posto.

“Sì, bello… ma non posso accettarlo, costerà una cifra” commento poco convinto, rigirandomelo tra le mani.

“Nah, non molto! E poi non sono affari tuoi, ormai è tuo, prendilo e basta” Violet me lo strappa letteralmente dalle mani e me lo allaccia al polso.

“Beh, grazie”

“Ma ti piace? Ho notato che non ne avevi uno e ho pensato-” chiede lei di nuovo, forse a causa del mio scarso entusiasmo.

“No, infatti non ce l’avevo, hai… hai proprio azzeccato, grazie” cerco di ringraziarla in maniera più convincente, visto che dopotutto mi ha fatto un regalo e non voglio essere maleducato.

“Oh non c’è di che, figurati!” esclama appoggiando un braccio sulla mia spalla e avvicinandosi pericolosamente.

“Beh, ora vado a mostrare il regalo agli altri” invento la prima cazzata per togliermi d’impaccio e faccio per allontanarmi, ma lei mi blocca.

“Aspetta, non puoi andartene”

“Ah no?” chiedo perplesso.

“Eh no, non hai visto dove sei?” mi domanda con un sorriso furbetto che non mi piace per niente.

“Dove sono? In che senso?”

“Sei in un posto speciale” dice lei, mentre io continuo a non capire.

Questo finché non alza lo sguardo e seguendolo mi accorgo finalmente di essere finito in una trappola mortale: siamo sotto l’arco all’ingresso del soggiorno, sul quale è stato appeso del fottutissimo vischio. Ecco, ora vorrei capire quand’è che a Stone è venuta la malsana idea di piazzare del vischio di merda in casa sua. E perché! Ma chi cazzo voleva baciare? E poi ce lo vedo, in piedi su una sedia, intento a sistemare questi rametti del cazzo.

“Cos’è?” chiedo fingendo ignoranza.

“Non fare il finto tonto” replica lei, con un sorriso sornione che non promette niente di buono.

“Giusto, Eddie, non fare il finto tonto, lo sai cos’è!” Cornell arriva alle mie spalle e mi dà quella che voleva essere una piccola spintarella di scherno, ma che in realtà mi fa quasi volare addosso a Violet.

“E’ vischio?” azzardo timidamente.

“Esatto! E lo sai cosa bisogna fare a Natale sotto il vischio, no?” continua lui, chiaramente già ubriaco, attirando l’attenzione degli astanti.

“Ehm beh, ecco…”

“Certo che lo sai… allora?” Violet mi incalza e comincia a sporgersi pericolosamente verso di me.

“Ti tocca bello, mi dispiace!” esclama Chris, un attimo prima di prendermi la faccia con entrambe le mani e stamparmi un bacio in bocca, nell’ilarità generale.

Violet non sembra altrettanto divertita però.

“Ecco, ora la tradizione è rispettata! Vieni che ti offro da bere” dice lo spilungone staccandosi da me e assestandomi un paio di pacche sulle spalle prima di avanzare barcollando verso il tavolo imbandito. Direi che dopo l’alcol che ho respirato dal suo alito non avrei neanche bisogno di bere altro per ubriacarmi, ma pur di sfuggire alla biondina accetto di buon grado.

***

Non berrò mai più. Sì, lo so, non ci crede nessuno. Me lo ripeto ogni volta, soprattutto al momento del risveglio post-sbronza, ma inevitabilmente finisco per ubriacarmi di nuovo. Me lo sto ripetendo anche ora, mentre sono solo con Violet nella sua macchina. Come cazzo ci sono finito? Beh, Stone mi ha offerto di dormire lì e io invece ho detto che preferivo andare a casa e che avrei preso un taxi, ma non ho fatto in tempo a concludere la frase che Violet mi aveva già preso per un braccio, salutando tutti velocissimamente e scaraventandomi letteralmente fuori dall’appartamento del chitarrista. Una certa sobrietà mi avrebbe permesso di opporre almeno una minima resistenza, invece l’ebbrezza mi ha portato a pensare che in fondo un passaggio gratis non mi avrebbe fatto male. Il viaggio tuttavia, scorre tranquillo e senza incidenti. Io semi-collasso sul sedile del passeggero, lei parla poco e niente mentre guida e canta sottovoce assieme alla cassetta dei R.E.M. che gira nella sua autoradio. La scelta musicale, assieme al fatto che non sti allungando le mani approfittandosi della mia incapacità di intendere, mi porta a rivalutarla, almeno in parte. Ma dura poco.

“Siamo arrivati” cinguetta lei, parcheggiando sotto casa mia.

“Oh di già? Ehm, grazie Violet, sei stata gentilissima” biascico sollevando la testa dal vetro e allungando la mano a vanvera sulla portiera alla ricerca della maniglia per aprirla.

“Figurati, non c’è di che! Ma… ora che fai, vai a casa tutto solo?” mi chiede addolcendo ancora di più la voce.

Merda.

“E già, Jeff non c’è. Chissà com’è andata a Denver?” cerco di cambiare argomento mentre cerco la maniglia. Finalmente la trovo, ma la portiera non si apre.

La stronza ha messo la sicura!

“Se vuoi, salgo un attimo a farti compagnia” continua lei voltandosi completamente verso di me e producendo un occhiolino che non lascia spazio a fraintendimenti.

“Nah, tranquilla! Tanto appena entro in casa tocco il letto e mi addormento, ho delle ore di sonno da recuperare, sai, tra compleanno, concerto e palle varie non ho dormito molto in questi giorni…” nonostante tutto continuo a giocarmi la carta del finto tonto, dopotutto da ubriaco dovrebbe risultare più credibile.

“Capisco… poi ieri sei rimasto con la tua amica, non ti avrà fatto dormire neanche lei, immagino…” aggiunge con un tono un po’ piccato.

“Beh sì, sai, aveva bisogno di parlare e sfogarsi un po’. E poi-”

“Anch’io ne avrei proprio bisogno sai?” mi interrompe improvvisando un faccino triste.

“Ah sì?”

“Sì… ti ho detto che ho rotto col mio ragazzo da poco, no?”

“Me l’hai detto? Ah già, è vero, me l’avevi detto…” confermo mentre ricordo la chiacchierata in questione. Era la sera in cui ho visto Jerry con quell’altra tipa, che sembrava Angie, ma non era lei.

“Beh, in genere faccio la dura e fingo che non mi importi, ma in realtà ci sto male…” aggiunge con espressione sempre più corrucciata, giocherellando nervosamente con uno dei suoi bracciali.

“Mi dispiace, posso capire…” cerco di mostrare un po’ di empatia, quando in realtà vorrei solo schizzare via il più lontano possibile da quella macchina e dalla donna che la guida.

“Esatto! Tu puoi capirmi, mi puoi aiutare… a stare meglio…” la voce da gatta non accenna a sparire e Violet si avvicina, allungando una mano sul poggiatesta del mio sedile.

“Beh magari anche parlarne con un’amica potrebbe esserti d’aiuto, non credi?” suggerisco sprofondando sempre più nel mio posto.

“Credo che ora come ora avrei più bisogno di una distrazione… e anche tu…” mi sta praticamente soffiando in faccia e nel giro di pochi istanti la sua bocca è sul mio collo.

“No, Violet, non mi pare il caso, dai…” cerco di tirarmi su e allontanare le sue labbra da me, ce la faccio, ma non riesco a fare altrettanto con le sue mani.

“A me invece sì”

“Violet, ti prego…” cerco di resistere, ma le inibizioni abbattute dall’alcol non mi permettono di respingere con la dovuta convinzione quelle cazzo di mani che si stanno servendo a loro piacimento.

“Dai, lasciati andare” mi sussurra nell’orecchio, per poi mordicchiarmi il lobo.

“No, dai, bast-” mi zittisce con un bacio, a cui inaspettatamente mi arrendo quasi subito, e mi tira a sé verso il suo sedile.

Sono solo un uomo debole e sbronzo, cazzo!

Il bacio non dura molto però, basta davvero poco a riportarmi alla realtà e farmi riprendere possesso, per un tempo breve ma sufficiente, delle mie facoltà mentali: mi basta aprire gli occhi per un secondo e individuare la Mini di Angie, parcheggiata poco lontano.

“No, Violet, scusami, ma non posso” mi stacco da lei e mi allontano con decisione, non prima di aver tolto la sicura dalla sua parte.

“Sì che puoi” protesta lei, ridacchiando.

“No!” esclamo aprendo la portiera e uscendo fuori cercando di stare in piedi.

“Eddie!” mi chiama a gran voce, prima dalla macchina e poi uscendo anche lei in strada, mentre io mi avvio verso il portone.

“Violet, non sei tu, sono io. Tu sei una ragazza molto carina, ma…”

“Ma?” mi chiede lei sbigottita allargando le braccia.

“Non può funzionare, scusa” le dico facendo per spingere la porta di vetro.

“Cosa non può funzionare? Mica ti ho chiesto di metterci assieme, voglio solo divertirmi un po’ con te…” ricomincia con il suo atteggiamento sensuale, provando ad abbracciarmi, ma ormai il semaforo è rosso, come il suo vestito.

“E’ questo il punto, io non voglio. Mi spiace, non… non ti offendere, ok? Ciao” sparisco nell’androne del palazzo, facendole addirittura ciao-ciao con la manina, mentre lei mi fissa con gli occhi fuori dalle orbite.

Evidentemente non le capita molto spesso di essere rifiutata.

Appena arrivo in casa, comincio a svestirmi barcollando fino al bagno e mi infilo sotto la doccia, non so se più per riprendermi dalla sbronza o per levarmi il profumo di quella ragazza di dosso. Beh, a questo punto l’avrà capita, no? Mi lascio cullare da questo pensiero di sollievo e dall’acqua calda finché questa non si esaurisce. Raggiungo il soggiorno in accappatoio e mi lascio cadere sulla poltrona, dove rimango per un tempo indefinito, al buio e in silenzio, cercando di ripercorrere mentalmente i fatti degli ultimi giorni. Non so quanto tempo passa prima di accorgermi del numero che lampeggia sul display della mia segreteria telefonica. Da qui non riesco esattamente a capire che numero è, dopotutto non sono certo tornato sobrio con una doccia! Mi alzo sbuffando e avvicinandomi all’apparecchio scopro che si tratta di un tre. Premo il pulsante dell’ascolto e sorrido quando sento la voce squillante di Jeff:

“Ehi, ciao Ed! Sopravvissuto al Natale in casa Gossard? Beh, io ho resistito per anni, quindi non vedo perché non dovresti farcela anche tu. Va beh, comunque volevo dirti che qua è tutto ok, i genitori di Laura non sono affatto male, sai? Diciamo che sulla musica non hanno mostrato particolare entusiasmo, ma il padre è un appassionato di arte e la prima sera ci siamo ritrovati a parlare per ore di Pollock! Poi ti racconterò, comunque avevi ragione, l’essere adulti non li rende necessariamente migliori di noi, però non è male trovare degli adulti con una bella testa ogni tanto, mi fa ben sperare per il futuro. Stammi bene Ed, ci vediamo presto. Laura ti saluta! Oh, e buon Natale!”

E bravo Jeff! Sono contento che tu abbia incontrato degli adulti con una bella testa, spero capiti anche a me un giorno. A proposito di adulti, il secondo messaggio è una doccia fredda, che mi getta in uno stato d’animo completamente diverso.

“Ciao Edward, ho provato a chiamarti ieri per farti gli auguri, ma non sono riuscita a trovarti, a differenza dei tuoi fratelli a quanto pare. Ho saputo da lorche va tutto bene a Seattle, ma spererei di sentirlo dire da te… Fatti sentire. Ti aspetto con Beth per un weekend appena puoi, o almeno per una cena. Buon compleanno e buon Natale”

Ecco, ci mancava mia madre. La sua voce ha un effetto ambivalente su di me, come sempre: da un lato mi scalda il cuore, dall’altra mi fa venire voglia di prendere la segreteria e il telefono e scaraventarli fuori dalla finestra senza neanche aprirla. Il fatto che abbia nominato Beth poi non fa che peggiorare le cose. A questo punto tremo all’idea di ascoltare l’ultimo messaggio. Aspetto, faccio un giro senza meta per la casa, un tour che termina in cucina e più esattamente nel frigo, dove afferro una birra. Passo di nuovo accanto alla segreteria e premo il pulsante senza quasi farlo apposta, allontanandomi subito dopo. Ma quello che sento ha il potere di ribaltare di nuovo le carte in tavola.

“Ehm ciao Ed! Come va? Scusa se ieri sono scappata senza salutare, però sono partita davvero presto e tu dormivi così pacificamente… Beh, pacificamente, russavi come un orso grizzly con la sinusite, però mi pareva di capire che stessi dormendo profondamente e visto il tuo pessimo rapporto col cuscino mi sembrava brutto svegliarti. Comunque, mio padre mi ha appena fatto fare una figura di merda colossale con Stone, ma sicuramente lo saprai già perché il bastardo ti avrà già riferito tutto, se stai ascoltando la segreteria domani mattina o stanotte. Se invece la stai ascoltando prima di andare a casa sua non ti dico niente per non rovinarti la sorpresa. Ad ogni modo penso che la storiella verrà ricordata negli anni a venire, un po’ come la mia caduta a pelle di leone su Cornell, quindi avrai modo di memorizzarla a dovere. 'Ma perché cazzo mi hai chiamato?' starai sicuramente pensando. Beh, non lo so nemmeno io, è che boh… ti volevo ringraziare per ieri, ma quando Stone mi ha telefonato tu non c’eri ancora e poi non avrei saputo nemmeno che dirti, a parte grazie, che però te l’ho già detto, ma in fondo che altro posso dire? Allora ho pensato a una maniera alternativa, nonché utile, di ringraziarti. Insomma, per dire che non ti sto lasciando un messaggio lungo e tedioso a caso, ma te lo sto lasciando lungo e tedioso per facilitarti il sonno. Insomma, un piccolo test per verificare se valgo qualcosa come amica, così nel caso non vada bene sei ancora in tempo per rescindere dal nostro contratto. Diritto di recesso, 7 giorni, come nelle televendite. Va beh, che ti racconto adesso? Aspetta, ti leggo il primo capitolo di un libro che mi hanno regalato… Sì insomma, diciamo che leggo finché la segreteria regge. Oddio, ti sto riempiendo tutta la segreteria! E se magari aspettavi messaggi importanti? Va beh, amen!

Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e

la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità;

il periodo della luce, e il periodo delle tenebre, la primavera della

speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi,

non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo

tutti diretti a quell’altra parte: a farla breve, gli anni erano così

simili ai nostri, che alcuni che li conoscevano profondamente

sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al

superlativo. Un re dalla grossa mandibola e una regina dall’aspetto

volgare sedevano sul trono d’Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e

una regina dal leggiadro volto sul trono di Francia. In entrambi i paesi

ai signori dalle riserve di Stato del pane e del pesce era chiaro più

del cristallo che tutto in generale andava nel miglior ordine possibile

e nel più duraturo assetto del mondo. Era l’anno di Nostro Signore

millesettecentosettantacinque. In quel periodo, felice al pari di

questo, erano concesse all’Inghilterra delle rivelazioni spiritiche. La

signora Southcott aveva raggiunto da poco prosperamente il suo

venticinquesimo anniversario, e-”

Il messaggio finisce così e io non ci voglio credere, perché vorrei sentire come continua, vorrei sapere della signora Southcott, vorrei sentire ancora la sua voce. Appoggio la birra, che non ho nemmeno aperto, accanto all’apparecchio, premo il pulsante per riascoltare il messaggio, dopodiché prendo la segreteria e provo a spostarla, ma il filo è corto. Allora acchiappo la poltrona e la trascino fino al mobiletto del telefono e mi ci accascio sopra, riascoltando quel messaggio all’infinito, finché non mi lascio vincere dal sonno.

  
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