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Autore: EsterElle    20/05/2014    1 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
Gita al lago

 

Dima gocciolava acqua dappertutto, mentre attraversava i giardini del Tempio diretto alla residenza, a mezzogiorno, quasi due settimana dopo il suo arrivo.
Bagnato dalla testa ai piedi, la tunica blu stretta nella mano destra, aveva appena terminato una delle orribili sessioni con fratello Gahs.
 Non era ancora riuscito ad ottenere un buon risultato in quella prova, e non capiva il perché.
- Sono già stufo di stare qui!– pensò tra sé e sé, abbattuto.
Il lavoro era duro e lo svago promesso davvero, davvero, poco.
Senza le corse, i giochi, gli amici, le risate, tutto appariva grigio e triste agli occhi di Dima, costretto alle sue lezioni dalla mattina alla sera.
- Tranne per quelle dannatissime preghiere – imprecò mentalmente.
Camminò veloce lungo la passerella sul lago e altrettanto spedito attraversò il grande portone della Casa. Ormai riusciva ad orientarsi abbastanza bene, e non ebbe problemi a trovare un piccolo chiostro verde, con un pozzo nel centro, dove si rifugiava spesso dopo le lezioni di fratello Gahs.
- Chiamarle lezioni è anche troppo! Non fa altro che spingermi la testa sott’acqua per tutta la mattina!- era il pensiero ricorrente.
Si beò del sole sul viso, caldo, e poi si avvicinò al pozzo, scuotendo i capelli fradici con la tunica per poi strizzarla insieme ai pantaloni, come gli aveva insegnato la mamma, facendo gocciolare tutta l’acqua all’interno.
Stanco, sedette su un sedile di pietra, ben nascosto da un pesco in fiore.
A volte aveva fortuna, e i monaci non venivano a cercarlo fin laggiù per costringerlo a prendere parte alla preghiera; altre, lo scovavano in meno di dieci minuti e Dima era obbligato ad inginocchiarsi su un cuscino per un’ora e più.
Ormai aveva perso il conto dei rimproveri e delle punizioni che aveva ricevuto per aver disobbedito al Codice; in una settimana era stato redarguito più e più volte, aveva sperimentato qualche castigo e, un giorno, persino il completo digiuno.
- È stato quella volta che ho cercato di parlare con Elsa – rammentò.
Dima stava tornando dalle sue lezioni pomeridiane alla Torre, il quarto giorno a partire dal suo arrivo a Odundì,  e aveva la testa piena di lettere e parole, lo sguardo e la mente stanca per lo sforzo di imparare a leggere e scrivere a più di dieci anni. E poi, tutt’un tratto, mentre attraversava il boschetto che divideva la Torre dalla Casa, ecco che Elsa era apparsa davanti a lui, carica di libri, accompagnata da un monaco che Dima non aveva mai visto.
Era l’Elsa di sempre, con il vestitino blu, il collo sottile, e i capelli biondi completamente intrecciati in una coroncina sopra la testa.
Dima non aveva saputo trattenersi dal salutarla, e le aveva persino battuto un pugno sulla spalla, come faceva con Teppe. Il monaco lì con lei lo aveva incenerito con un solo sguardo e, posata una mano sulla spalla della bambina, l’aveva guidata lontano con decisione.
Il giorno dopo, a Dima non era stato permesso di toccare neanche una tazza di te.
- Che cosa orribile, la fame- rimuginò, sdraiandosi sul panchetto, mentre il sole asciugava la sua pelle e i suoi vestiti.
Sopra di lui, tutt’intorno al muro in pietra e legno della Casa, correva un porticato, adorno di rampicanti verdi. Dima sentì un rumore di passi, il battere di tacchi e suole di un paio di scarpe sul pavimento duro; immediatamente si irrigidì e cerco di nascondersi alla meglio tra le foglie e i fiori del pesco.
- Se mi beccano, è finita! Mi tocca un’altra volta pulire i bagni per punizione! - pensava, disperato.
Un tomo pesante, rilegato in cuoio, si abbatté sul cornicione del porticato, e due mani sottili ne sfogliarono le pagine gialle e consunte.
Non era il viso vecchio e arcigno di un monaco, quello che si affacciò sul chiostro, chino sulle vecchie carte, però.  Era il visino tenero di una bimba, bianco e rosa, un po’ pallido forse, incorniciato dalla bella coroncina di capelli intrecciata sulla testa.
- Elsa! -
Dima la osservò posare la guancia sul palmo della mano e vide che i suoi occhi correvano tra le parole con aria annoiata.
Come avrebbe voluto chiamarla! Come avrebbe voluto divertirsi per un’ora, un’ora soltanto! Ma i monaci erano stati molto chiari e Dima non voleva farli andare su tutte le furie per l’ennesima volta.
- In più, è proprio vero che io e Elsa non dovremmo essere amici. Sarebbe un bel guaio, poi, quando dovremmo batterci l’uno contro l’altra- pensò, cercando di essere giudizioso come desiderava fratello Agos.
Così rimase in silenzio, ben nascosto tra i rami del pesco e i cespugli verdi.
- Nemmeno lei deve essersi divertita molto in questi giorni, però – pensò ancora, dopo il terzo sbadiglio della bambina.
- È davvero brutto non poter essere amici e giocare insieme. Perché, Dira, non vuoi che ci facciamo compagnia, io ed Elsa? In fondo non facciamo nulla di male. Perché hai scelto entrambi, così che adesso ci troviamo in questa bruttissima situazione?- si arrovellava, sempre sullo stesso argomento, terrorizzato dal futuro e desideroso di non darlo a vedere. 
Elsa girò pagina, e accasciò la testa sul grande libro; il sole brillava sulla chioma bionda e alcune ciocche di capelli sfuggivano dall’acconciatura.
- Chissà se anche lei è costretta ad immergersi nel lago tutte le mattine. A Nenjaat mi ha detto che non ha un potere come il mio… magari lei segue delle lezioni diverse- .
Sempre più impaziente, Dima si agitava tra le foglie, combattuto tra il desiderio di non farsi scoprire e quello di attirare l’attenzione di Elsa. Ma la bambina restava intenta alla sua lettura, senza mai sollevare lo sguardo dalle pagine.
Un pensiero veloce attraversò la mente del ragazzo, e i suoi occhi si accesero di puro divertimento.
- Le farò uno scherzo! Nessuna regola me lo impedisce e lei non saprà mai che sono stato io!- ridacchiò tra se e se.
Attento, ora, a non fare nessun rumore, si accucciò a terra e raccolse nella mano alcuni piccoli sassi.
Con la mano vuota si aprì un varco tra le foglie, in direzione della bambina ancora affacciata al davanzale.
- Ora prendo bene la mira e le colpisco il naso- progettò ghignando, senza distogliere lo sguardo da Elsa, concentrata sul suo libro.
- Uno…-
Dima si concentrò meglio, strizzando un occhio.
-Due…-
Si accucciò sulle ginocchia e buttò fuori l’aria dai polmoni.
-Tre!-
“Non lo fare, Dima!” esclamò la bambina, all’improvviso.
Aveva alzato di scatto la testa e fissava il giardino, ora la panchina, ora un cespuglio verde.
Il sasso che Dima stava per lanciare finì a pochi metri da lui, per terra.
“Elsa?” azzardò, un  po’ sorpreso, un po’ irritato per il fallimento del suo piano.
“Zitto! Stai zitto e immobile!” ordinò lei, bisbigliando, senza posare lo sguardo in nessun punto.
-Non sa dove mi trovo!- intuì Dima, mentre tratteneva il fiato e cercava di mimetizzarsi con la vegetazione.
-Come ha fatto a capire che ero proprio io?-
Ma, mentre il bambino si scervellava su queste domande, dei leggeri passi di corsa iniziarono a risuonare lungo tutto il porticato. Tip, tap, tip, tap… faceva il cuoio sulla pietra. Un monaco in avvicinamento!
“Signorina Elaisa! Cosa succede qui? C’è qualcuno nel chiostro?” esclamò un uomo dal cranio completamente calvo, mentre avanzava verso la bambina.
“Va tutto bene fratello Lopa” disse Elsa, sicura.
“Mi è sembrato di sentirvi urlare”
“O, si, scusatemi se vi ho disturbato! È solo che, mentre leggevo il mio libro, proprio come voi mi avete ordinato, una formica è salita sul dorso della mia mano. Io odio le formiche, sapete?” raccontò Elsa, disinvolta nel mentire come mai Dima si sarebbe aspettato.
-Guarda che faccia disgustata, e com’è sicura di quello che dice!- pensava ammirato.
“Allora o urlato: -Non lo fare!- e ho scrollato forte la mano finché quell’odioso insetto non è caduto” continuò la bambina, col visino corrucciato.
“Suvvia, signorina, non dovreste essere così impressionabile! Tutto ciò che vive è oggetto dell’amore di Dira e quindi anche del nostro. Dovreste saperlo bene” la redarguì con fare severo il  monaco.
“Chiedo perdono, fratello Lopa. Mi impegnerò per  essere più buona con le nostre amiche formiche” mormorò Elsa, con aria contrita e i brillanti occhi grigi già umidi di lacrime.
“Bene, signorina, accetto di buon grado le vostre scuse. So bene che in fondo siete una brava ragazzina. Cercate di prestare maggiore attenzione alle vostre lezioni di teologia, però” ribatté fratello Lopa, intenerito da un pentimento apparentemente tanto sincero.
-Teologia? E che cos’è?- si domandava Dima, al sicuro nel chiostro, protetto dalla bugia di Elsa, mentre la bambina chinava la testa al saluto del monaco.
Così, senza aggiungere altro, fratello Lopa tornò a passo svelto alla sua occupazione precedente, mentre Elsa, con una mano sul cuore,strizzava gli occhi chiusi, ancora lacrimanti.
Trascorrere ad Imbris gran parte della sua infanzia aveva insegnato a Dima quanto può essere gravoso il peso dei debiti; il bambino aveva  presto sperimentato quanto fosse difficile accettare una gentilezza sapendo di non poterla ricambiare.
-Sono in debito con Elsa, mi ha salvato da fratello Lopa, anche se non ho idea di come abbia fatto. Devo assolutamente restituirle il favore- pensò, uscendo allo scoperto.
“Elsa!” bisbigliò.
La bambina, però, stava raccogliendo il suo libro in silenzio, e non alzò lo sguardo al richiamo dell’amico.
“Dai, Elsa, voglio solo ringraziarti!”
“Non posso parlare con te. È vietato” mormorò lei, senza guardarlo.
“Allora ascoltami e basta. Mi hai salvato la pelle, se non intortavi bene come hai fatto quel vecchio, mi toccava pulire un’altra volta l’intera sala mensa! Ti devo un favore!” disse allegro Dima.
“Non è vero. Io non posso avere nulla a che fare con te. Devo  vivere qui e fare finta che tu non esisti” ribatté lei, cupa.
Di scatto, voltò le spalle al chiostro e sparì dietro una pesante porta di legno.
-Accidenti! Ma perché quella bambina è così antipatica, certe volte? Cosa le costava disubbidire per un momento e rispondermi? Non la sopporto proprio!- pensava infastidito, mentre tornava a sedersi sul panchetto.
A Dima le regole erano sempre state strette; lui era fatto per gli imbrogli, i nascondigli, i rimproveri e le punizioni. Non ce la faceva proprio trasformarsi nel bravo allievo che tutti avrebbero voluto, mentre ad Elsa essere ubbidiente ed educata riusciva facile come respirare.
Peccato che tutto quello che lo circondava, la sua vita stessa, era diventata così seria e importante da non poter più essere presa alla leggera.
Pensò agli obblighi, ai doveri, alle preghiere, al silenzio, alle immersioni mattutine, alla noia, alla solitudine.
- Com’è brutto questo posto!- inveì mentalmente.
Stufo e innervosito, prese ad osservare il cielo sopra di lui, azzurro e terso, un prodigio sempre presente sopra la sua testa. O sotto i suoi piedi, che dir si voglia.
Il ritmico gocciolare dell’acqua dalla sua tunica al terreno umido lo cullò per qualche minuto, ipnotizzandolo come solo un’altra volta, in tutta la sua vita, era stato in grado di fare. Goccia dopo goccia, ticchettio dopo ticchettio, Dima non era più Dima, ma solo acqua. Meravigliosa, fresca, leggera acqua. Era uno e molti, era forte e docile. Acqua.
Quando aprì gli occhi, non rimase sorpreso alla vista del delicato fiore di pesco accanto a lui, del rosa più bello, completamente ricoperto di ghiaccio.
Si mise seduto e recise il bocciolo dalla parte ancora verde.
Lo osservò per qualche minuto, cercando di capire cosa si agitava dentro di lui. Finalmente ce l’aveva fatta, era riuscito a penetrare dentro se stesso tanto a fondo da trovarsi. Era riuscito a scoprirsi acqua. E aveva realizzato un nuovo prodigio, il terzo, da quando era stato scelto. Eppure, Dima non si sentiva felice, né soddisfatto, né orgoglioso.
Dima era triste.
- Oh, no, eri un così bel fiore fino a qualche secondo fa! Te ne stavi li tranquillo, con le tue api, i tuoi insetti, ti facevano compagnia persino quegli schifosissimi monaci! E adesso, invece? Guarda cosa ti ho fatto! Sei morto, fiore di pesco, non sei altro che un gelido, immobile, bellissimo pezzo di ghiaccio. È orribile! - pensava, desideroso di raggiungere il piccolo bocciolo tra le sue mani, rivolgendosi, nella sua testa di bimbo, a lui direttamente.
- Ero arrabbiato. Con i monaci, con Elsa, con un sacco di gente. Forse anche con Dira. Ed ho combinato un casino. Ti ho ucciso, fiorellino-.
Spaventato da se stesso, non poté far a meno di far correre il pensiero ad Imbris e a quello che i Consiglieri del Sud gli avevano raccontato sulla sua casa. Distrutta, come da una tempesta di neve implosa all’interno. I suoi familiari, quasi morti.
- Per colpa mia- realizzò, forse per la prima volta, forse finalmente consapevole di sé.
Era strano rendersi conto di essere pericoloso. Non era affatto un pensiero piacevole.
- Il mio potere può essere terribile. Può far del male. Può uccidere – realizzò, con stupore crescente.
“Non mi piace. Non voglio essere un mostro” bisbigliò al fiore di pesco ancora tra le sue mani, con gli occhi scuri carichi di lacrime.
Tirò su col naso e tastò la tasca dei suoi pantaloni. Con la punta delle dita, percepì tre bottoni; sapeva bene che erano quello d’argento del capitano Reeply, quello bianco di Bessie e uno blu, a tre buchi, un vecchio regalo di Teppe.
- Loro mi vogliono bene lo stesso, credo, anche se ora non sono più il Dima di prima. Non voglio che restino delusi da me. Io voglio diventare un grande Guardiano del Nord. Il più grande. Ma voglio anche essere buono, e gentile, e giuro che non userò mai i miei poteri per fare male. Lo giuro sulla mia intera collezione di bottoni. Su tutti i pezzi, pure quelli nascosti nella mia scatola sotto il letto- si disse, asciugandosi le lacrime dalle guancie.
Con movimenti delicati, adagiò il fiore di ghiaccio sull’erba folta del chiostro, proprio vicino ad una aiuola di tulipani rossi.
“Così sarai in buona compagnia” gli sussurrò, con un’ultima carezza.
Dima era bravo a scovare il lato bello di tutte le situazioni e portarlo alla luce. Non era rimasto indifferente a quei nuovi, inquietanti, pensieri, ma aveva trovato velocemente la soluzione giusta per lui in quel momento.
- Io sarò buono perché voglio essere buono. Anche se forse sarà difficile- ammise dentro di sé.
Desideroso di allontanare i pensieri più tristi, decise che era ora di avviarsi verso il pranzo, così che i monaci non si insospettissero troppo per quella lunga assenza.
- Caspita, se non mi muovo farò tardi!
Vivere con i monaci non era semplice, e Dima l’aveva sperimentato sulla propria pelle.
Il pranzo era sempre un evento serio, composto, piuttosto silenzioso. Per certi aspetti meglio rispetto alle furiose litigate intorno al tavolo che erano all’ordine del giorno a casa sua, per altri, una vera e propria tortura. A cui seguivano immediatamente lunghissime ore di lezione.
I pomeriggi di Dima erano consacrati, da due settimane a quella parte, agli esercizi di lettura e scrittura.
Analfabeta come la gran parte degli abitanti di Imbris, faticava non poco a sillabare una lettera insieme all’altra, a costringere un pensiero sulla carta. Puntualmente, dopo queste lezioni, gli veniva un gran mal di testa! Quel pomeriggio non andò diversamente e si ritrovò, più tardi di quel che aveva sperato, a percorrere in direzione della Casa il boschetto di sempreverdi che la divideva dalla Torre.
Trascinava i piedi tra la polvere e gli aghi caduti dagli alberi; Dima non vedeva l’ora di infilarsi sotto le coperte e perdersi in uno dei suoi sogni.
Già pregustava la calma solitudine della sua stanzetta, la pacchia di poter far divagare il cervello in anfratti tutti suoi, quando vide un monaco ancora giovane correre a perdifiato verso di lui.
Subito la colpa gli si dipinse in volto “Non ho fatto niente, lo giuro!” disse, alzando le mani sopra la testa.
Il monaco lo guardò stranito.
“Infatti, signore” disse, con il fiato corso per la corsa.
-Cavolo! Per poco rischiavo di farmi scoprire, di spiattellare il fatto che ho parlato di nuovo con Elsa, ho saltato la preghiera e tutto il resto! Che idiota!- si disse da solo, dipingendo un sorrisetto di circostanza sul viso.
“Devi dirmi qualcosa, fratello?” cercò di rimediare.
Il monaco appoggiò le mani sulle ginocchia e trasse un respiro profondo.
“Avete visite”
“Cosa?”
“Avete una visita, signore” ripeté l’uomo, raddrizzando un poco la schiena.
“E chi è?”
“Il Guardiano dell’Ovest”
Dima scavò nella sua memoria, cercando di dare un volto ad un nome tanto famoso. L’unica volta che aveva visto i Guardiani era stato a Nenjaat, quel terribile pomeriggio in cui lui ed Elsa, all’ombra di una tenda, erano venuti a conoscenza di ciò che gli attendeva una volta fuori dal Tempio.
- Ovest, ovest..- pensava.
-Esclusa la donna, si tratta o dell’uomo grosso e barbuto o di quello più giovane, quello che sembrava tanto triste-
“Cosa devo fare?” chiese al monaco.
Sperava che non si trattasse del guardiano più vecchio, quello con la barba grigio ferro e la voce tonante; lo metteva in soggezione come pochi, fino a quel momento, erano stati in grado di fare.
“Correte alla Casa; nella sala privata del Sommo Sacerdote”
Dima non se lo fece ripetere due volte e spiccò una corse in direzione del lago.
- Chissà cosa vuole da me. Cosa mi chiederà? I monaci gli avranno parlato del mio comportamento? Caspita, non voglio farmi rimproverare anche dal Guardiano- pensava, mentre correva a perdifiato alla luce rosea del tramonto.
Come un fulmine percorse la passerella di legno e altrettanto velocemente si precipitò nella Casa.
“Scusa, fratello!” urlò in direzione di un monaco che aveva malamente travolto.
Col fiato corto, si fermò davanti alla sala privata del Sommo Sacerdote. Bussò e attese, impaziente e agitato, incapace di tenere i piedi fermi e assumere l’atteggiamento composto e posato che avrebbero richiesto le circostanze.
“Avanti”
Dima entrò timidamente.
“Mi avete fatto cercare, signore?”
“Certamente Dimitar” disse l’uomo, alzandosi in piedi e strascicando l’orlo della lunga veste sul pavimento di legno.
“Petar, Guardiano dell’Ovest, chiede di vederti”
“Si, lo so. Ma lui dov’è?”
“Ha chiesto di incontrarti al lago di Odundì, nel Mondo di Sopra”
“Al lago?” chiese stupidamente Dima, sgranando gli occhi, brillanti di gioia.
-Evvai! Non vedo l’ora di uscire di qui per un po’-
“Avete capito bene” confermò il sommo Jeyco, strizzando gli occhi fino a renderli due sottili fessure.
Lo scrutava dalla testa ai piedi, con i suoi occhi di giaccio e la bocca storta, pensieroso.
- Visto da vicino, fa davvero paura- si ritrovò a pensare Dima, mentre aspettava che l’uomo parlasse nuovamente.
“Dimmi, ragazzo: cosa dovrei fare? Dovrei concederti il permesso di accedere in superficie?” chiese infine.
Il tono era tanto retorico che Dima non si azzardò a pronunciare una sola parola.
“In queste prime settimane ho sentito molte voci su di te, sul tuo comportamento così poco opportuno” continuò il monaco, percorrendo la sala a passi lenti e misurati.
Dima deglutì a vuoto. Mai in quei giorni, quando progettava e metteva in atto le sue marachelle, aveva pensato al Sommo Sacerdote, al suo giudizio, alla sua severità, a punizioni ben più gravi di quelle che aveva già sperimentato.
Desiderava ardentemente andare nel Mondo di Sopra.
-Ti prego, ti prego, ti prego!-
 “So che sei stato punito. So che sei stato duramente redarguito numerose volte; ebbene, lasciami il piacere di regalarti questo solo avvertimento” continuò avvicinandosi al ragazzo e prendendolo per le spalle.
“Non importa quante preghiere salti o quanto sei indisciplinato a lezione; a tutto questo possiamo porre rimedio. Ma sta lontano da Elaisa. Non lo ripeterò più Dima; se verrai trovato di nuova in sua compagnia, perderai ogni cosa. Non crederci degli sciocchi, non ti conviene; sei controllato, seguito, verremo sempre a sapere cosa fai e cosa non fai. Se dovessi disubbidire ancora a questa sola regola verrai rimandato a casa in disgrazia e sarai il disonore della tua Regione. Spero di essere stato abbastanza chiaro, questa volta”.
Dima annuì, serio.
-Che stupido che sono! Il Sommo Sacerdote ha ragione. Non possiamo diventare amici perché un giorno uno dei due ucciderà l’altro. Perché non mi entra in testa?-.
“Mi sento molto solo, però” azzardò, con un filo di voce.
Il monaco sorrise mestamente “È il destino di tutti i potenti, Dima. Prima accetterai questo fatto, prima riuscirai a diventare il grande Guardiano che desideri essere”.
 “Adesso vai, un monaco ti accompagnerà in superficie, dove incontrerai Petar. Cerca di non fare sfigurare tutti noi” disse infine, allontanandosi dal ragazzo per tornare ad un tavolo ingombro di fogli e carte geografiche.
Dima non aspetto altro congedo; in silenzio, uscì dalla sala e si diresse verso l’uscita.
Se aveva pensato di stare ad Odundì come era stato ad Imbris, erano bastate quelle poche settimane a fargli capire che non era possibile. Lì non era un bambino, era il futuro Guardiano del Nord; e, per quanto fosse duro, aveva  degli obblighi, dei doveri, da rispettare.
Pestò i piedi una volta sola, stizzito, ma poi compose il volto in un’espressione quasi tranquilla.
In silenzio seguì la sua Guida e, senza troppa fatica posare i piedi sullo strato di rada erbetta del Mondo di Sopra.
Dima prese un lungo respiro, godendo del profumo dei fiori di campo, dell’aria fresca della sera sul viso. Trattenne a stento la voglia di spiccare una corsa liberatoria, di gridare e saltare e sciogliere tutti i lacci che lo tenevano stretto nella sua posa seria, ben studiata.
Si avvicinarono alle sponde del lago e il suo accompagnatore lo lasciò solo quando videro camminare verso di loro un uomo.
Alto e snello, vestito in cuoio marrone dalla testa ai piedi, avanzava verso di lui Petar, Guardiano dell’Ovest;  non più un ragazzo ma non ancora vecchio, portava i capelli castani lunghi fino alle spalle, scompigliati dal vento, e restava nel suo sguardo quella profonda malinconia che Dima aveva percepito la prima volta che l’aveva visto.
-Menomale che non è quello barbuto- fu il suo primo pensiero.
Con un gesto della mano Petar allontanò gli uomini in divisa che lo seguivano da lontano.
“Buona sera, Dima. Non ti dispiace se restiamo senza guardie per un po’, vero?” gli chiese, accennando ad un sorriso.
“Per niente”
“Bene. Perché avevo in mente di fare qualcosa di divertente, insieme”
“Non sei qui per sgridarmi? O per parlarmi dei miei doveri? O della Regione del Nord?”
“Credo che di queste cose tu ne discuta a sufficienza con i monaci” ridacchiò l’uomo, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte.
“Perché ridi?”
“Perché mi ricordi moltissimo me quando ero ad Odundì, prima di diventare Guardiano. Mi annoiavo da morire!”
“No, non è vero, io non mi annoio”
“Tranquillo, Dima, a me puoi dirlo. I monaci sono le persone più fastidiose di tutta Cadmow!” gli strizzò l’occhio.
“Ecco, magari solo un pochino”
“Quando ero qui, ormai parecchi anni fa, avrei tanto voluto che uno dei Guardiani mi portasse a fare un giro in barca. Ma Arden aveva sempre qualche rivolta da sedare, Orwen era, ed è tutt’ora, troppo serio, Karel troppo vecchio. Così ho deciso che, se non ho potuto farlo allora, lo farò adesso”.
“Un giro in barca? Davvero? E posso venire anch’io?” Dima aveva già congiunto le mani, come in una preghiera.
“Assolutamente, Dima. È bello avere degli amici con cui condividere i divertimenti” approvò Petar, sorridendo di quel suo sorriso triste.
“Si, ma qui ad Odundì non ce ne sono molti” rifletté Dima, incupendosi un po’.
“Perché non hai cercato bene. Scommetti che te ne trovo due in un battibaleno?”
“È impossibile, non ci riuscirai mai”
“Mi stai sfidando? Guarda che sono pronto a scommettere qualsiasi cosa”
“Va bene, allora. Ma preparati a perdere”
“Che caratterino! Se vinco io, mi prometti che ti fiderai sempre di me, e che non mi considererai un vecchio Guardiano rimbambito?”.
“Va bene! Se vinco io, invece, tu mi assicuri un divertimento a settimana!”
“Affare fatto”
“Allora, dove sono questi amici?” chiese impaziente, divertito da quel nuovo gioco, di cui conosceva le regole fin dalla nascita.
“Uno è davanti ai tuoi occhi. Mi piacerebbe molto diventare tuo amico, Dima”
“Ma tu sei un Guardiano! Non vale!” esclamò il bambino, stupito.
“È vero, ma lo sei anche tu. Noi Guardiani siamo come una famiglia”
“È un po’ strano avere un Guardiano per amico. E poi, non hai affatto la mia età!”
“Si, ma mi piacerebbe molto divertirmi come sai fare tu”
“Mmm… va bene allora, ma solo se non mi farai la predica per ogni cosa che dico o faccio, come tutti gli adulti”
“Promesso”
“L’altro amico che mi hai promesso, invece, dov’è?”
“È proprio qui, insieme a noi” rispose l’uomo, con un sorriso divertito sulle labbra sottili. “Vieni pure” disse ancora, a voce più forte, come per farsi sentire da una terza persona.
Infatti da alcune sterpaglie alte, poco distanti dalla riva del lago, si alzò una figurina che Dima non aveva notato, prima.
Non servì molto tempo al bambino per riconoscere Elsa.
“No! Non è possibile, Petar! I monaci mi cacceranno se ci scoprono!” esclamò, agitato, memore della sua ultima conversazione con il Sommo Sacerdote.
“Non devi preoccuparti, Dima, siete con me. Chi oserebbe sfidare un Guardiano? Mi sono assicurato che nessuno dei presenti racconti questa nostra piccola gita a qualcuno del Tempio” cercò di tranquillizzarlo l’uomo, posandogli una mano pesante e ruvida sulla spalla.
“Ciao” mormorò Elsa, pallida e preoccupata, in direzione del bambino.
“Stai combinando un macello, lo sai Guardiano?”
“Di grossi errori ne ho commessi tanti, Dima, ma non questa volta” mormorò a voce bassa e dura Petar.
“Adesso che ne dite di salire sulla barca e dare inizio alla nostra gita?” esclamò, con un repentino, e forzato, cambio di umore.
Dima era combattuto; la voglia di fare un giro in barca era tanta, tantissima! Eppure, proprio non voleva che la presenza di Elsa gli causasse guai con il Sommo Sacerdote.
Petar si accorse dell’esitazione del bambino e, più dolcemente, gli parlò:
“Fidati di me, Dima. Ricordi? L’hai promesso”
“E se ci scoprono?” intervenne Elsa, tormentandosi le mani.
“Siete con me, non può accadervi nulla di male” ripeté quello, carezzando la testolina bionda della bambina.
Le guancie di Elsa si tinsero di rosso, ma annuì. Con decisione, alzò un poco la sua gonna e si sedette con grazia sul sedile rustico della barca.
Petar la seguì con un agile balzo, per poi tendere la mano a un Dima ancora piuttosto scettico.
“Dai, testone, muoviti a salire o partiremo senza di te!” gli disse, ridendo.
Dima tentennò ancora qualche secondo.
-Se non vado con loro, dovrò tornare di sotto. Uffa!-
“Chissenefrega dei monaci!” urlò infine, salendo a bordo.
Petar sorrise, soddisfatto. Al gesto della sua mano un forte vento si sollevò alle loro spalle e la barca venne spinta in avanti.
Afferrati i remi, i bambini presero a vogare con forza, mentre schizzi di acqua fredda finivano su tutti loro.
E risero, e scherzarono, e fecero finta di offendersi quando il Guardiano sollevò una tempesta d’acqua che li infradiciò dalla testa ai piedi.
Con un soffio e del vento tiepido creato all’occorrenza da Petar, si asciugarono in fretta. Giocarono a fare a gara, a chi remava meglio, a chi riusciva a stare in equilibrio più a lungo.
Era bello, tanto.
Ma il sole calava velocemente sull’orizzonte ed era quasi buio quando si ritrovarono tutti e tre al centro del lago.
“Allora, io mi sono alzato, è ho urlato talmente forte che la mamma è inciampata nella gonna, mandando a terra tutte le carote per la cena. Ho riso un sacco, fino a quando non me le ha date di santa ragione!” finì di raccontare Dima, tra mille gesti e smorfie.
Elsa rise piano, lasciando cadere mollemente una mano nell’acqua.
“Certo che ne combini un sacco tu” commentò Petar, appoggiato ad un remo.
“Abbastanza, si!” sorrise il bambino. “Ma anche Elsa, che sembra tanto una santarellina, non è così calma! Proprio oggi, ha detto una bugia megagalattica a fratello Lopa” aggiunse, dispettoso.
“Davvero piccola?”
“Ecco, si, non potevo mica lasciare che ti scoprisse, Dima!” si giustificò lei, imporporandosi.
“Nessuno lo direbbe, ma può essere davvero antipatica, certe volte. E furba!” la stuzzicò Dima.
Lei, in risposta, gli fece una linguaccia.
“Vedo, vedo” ridacchiò Petar, osservando i due bambini divertirsi insieme.
“Adesso che si fa?” chiese Dima, dopo un attimo di silenzio.
“Dobbiamo rientrare, vero?” aggiunse Elsa, rattristandosi.
“Credo proprio di si, bambini”
“Vorrei stare qui ancora, tutta la notte! Le lezioni sono così pesanti… teologia, astronomia, matematica, non ne posso già più!” si lamentò Elsa.
“Caspita, quante cose che studi! Con me si limitano a provare ad annegarmi e ad insegnarmi a scrivere!”
“Ti annegano? Non è possibile!”
“Invece è così. Dicono che devo diventare un tutt’uno con l’acqua”
“Ma non ha senso! Potresti anche farti male”
“Io non ho paura”
“Sarebbe bello frequentare insieme qualcosa” pensò lei.
“Si, almeno fratello Gahs non si accanirebbe solo su di me”
“Bambini, questo non sarà mai possibile. La vostra situazione è così complicata, così nuova, che i monaci, il Supremo e gli altri Guardiani non vi permetteranno mai di passare del tempo insieme” disse Petar, cercando di essere ragionevole.
“Perché un giorno dovremmo lottare e cercare di ucciderci l’un l’altra” completò Dima, senza peli sulla lingua.
Elsa sbiancò al suono di quelle parole, diventando più pallida del solito.
“Ma tu ce lo permetti. Perché?” chiese, acuta come sempre.
“Per me è diverso. Io non condivido l’opinione degli altri Guardiani e del Supremo”
“Cosa vuoi dire?”
“Un giorno Cadmow avrà bisogno di voi. Di tutti e due. Le cose stanno cambiando, gli equilibri sono stati alterati, e Dira ha permesso, ha voluto, tutto questo. È da sciocchi tentare di far tornare tutto come prima.
Perché essere tanto pazzi da mettersi contro il volere della Madre?” disse, serio, lasciando correre un fiume di parole inaspettato.
Aveva completamente catturato l’attenzione dei bambini che, per la prima volta, non si sentivano di troppo, sbagliati, un’escrescenza da eliminare.
“Entrambi dovreste sopravvivere, entrambi dovreste guidare la Regione del Nord. Voi dovete essere amici, dovete. È essenziale che non lasciate che altri vi dividano. Non state bene, insieme? Non vi divertite? Cadmow avrà presto bisogno di entrambi” ripeté con forza, afferrando le loro mani, sempre più coinvolto dalle sue stesse parole, sempre più agitato.
“Dovete farmi questa promessa, qui, ora” sembrava disperato, con gli occhi da folle, il Guardiano, mentre pronunciava queste parole.
“Voi siete la speranza di questa terra, l’occasione di ripulirla dal marcio che la ricopre, che è penetrato negli anfratti più inaspettati. Non dovete sottostare alle leggi degli uomini; lasciate che sia Dira a guidarvi. E Dira vi ha scelti insieme, in due, uniti. Voi dovete restare uniti, dovete essere amici. È fondamentale. Siate amici e vivrete entrambi. Io vi appoggerò” quasi scorsero delle lacrime negli occhi chiari dell’uomo, quasi era dolorosa la sua stretta spasmodica sulle loro mani.
“Fidatevi di me. Ho commesso molti errori in passato, ma ora sto cercando di rimediare. Di essere un uomo giusto, di lottare per il bene di Cadmow. Siete voi, la nostra speranza”.
“Ci stai chiedendo di disobbedire ai monaci? Al Supremo e agli altri Guardiani?” cercò di chiarire Dima, spiazzato dalle parole che aveva appena udito, tanto sovversive eppure pronunciate da un Guardiano .
“Si, ragazzo, proprio questo. È l’unico modo per salvare voi e l’intera nostra terra. Nulla può più tornare come prima, è inutile fingere” disse il Guardiano, leggermente più calmo, sforzandosi di dare un tono razionale alle sue parole.
“Ma è rischioso” mormorò Elsa.
“Voi avete dimostrato di essere coraggiosi. E poi, non vedete come è facile, come è bello, essere amici? Non è quello che vorreste anche voi?”
“Io non voglio fare del male ad Elsa, non voglio diventare cattivo. Ho giurato su tutta la mia collezione di bottoni che non avrei mai usato il mio potere per fare del male” disse Dima, risoluto.
“Per me hai ragione, Petar. È da stupidi comportarsi come vogliono i monaci; noi abbiamo Dira dalla nostra parte, e le è unica!” esclamò ancora.
“Allora sarà il nostro segreto, bambini. Non mettetevi mai l’uno contro l’altro, e fate in modo di non farvi mai scoprire. Insieme, farete grandi cose per questa terra” sorrise l’uomo, carezzando la testa di un’Elsa rossa per l’emozione.
“Siamo una squadra, adesso!” concluse lei, sorridendo.
Le mani strette, i cuori vicini, tutto sembrava possibile; Dira era con loro, e anche Petar, tanto divertente e simpatico.
Dima aveva trovato due amici speciali; quella giornata non poteva riservagli sorpresa migliore!
 
 
 
 

Note
Con enorme ritardo rispetto ai primi aggiornamenti, ecco qui questo capitolo, l’ultimo della prima parte. Nel prossimo faremo un bel salto rispetto a questa conclusione, cambieranno alcune cose.
Dima ed Elsa sono di fronte ad un bivio; gli sono stati dati due consigli, due avvertimenti totalmente diversi, e loro devono decidere quale seguire per davvero.
Spero di aver catturato la vostra attenzione, ma per qualsiasi parere, anche critico, aspetto le vostre recensioni!!
Grazie e a presto,
EsterElle
 

  
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