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Autore: Vitani    30/07/2008    3 recensioni
Questa è una storia d'amore, di odio, di una carriera musicale ed artistica, di una maturazione, di come gli incontri detti "del destino" possono cambiare la vita. È la storia di due ragazzi in particolare: Mana, un chitarrista, e Gackt, un cantante. Entrambi passionali, entrambi sognatori.
"Simile ad una fiaba è questa storia, dove una dama e un cavalier rincorrono l’amore con solerzia, pronti in nome di esso a dare tutto. Si leggeranno lacrime, amore, risate e fremiti di gelosia, d’angoscia e di paura. Saranno tormentosi i nostri canti, piene di gioia le risate, e se malinconia occuperà il cuore, ci basterà cantare una canzone."
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Gackt, Mana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Mad Tea Party -

- Mad Tea Party -


ATTO SECONDO, SCENA SECONDA
-
I Cinque Petali della Rosa

Giunti che furono davanti alle porte dell’ancora chiusa e modesta sala prove che avevano affittato, Manabu Satou guardò Gackt Camui. Pareva insospettabilmente tranquillo, strano per uno che aveva passato una notte intera a gorgheggiare tenendolo inesorabilmente sveglio e scazzato a battergli il tempo e a correggerlo le – non troppo numerose, lo ammetteva – volte in cui sbagliava attacco o tono.

D’altra parte Mana non voleva minimamente che Satoru imitasse quel Tetsu di cui s’era tanto gioiosamente liberato. E che senso avrebbe avuto silurare quell’incapace altrimenti?

Tamburellò per terra con un piedino candido attrezzato di scarpotta nera coi lacci. Gli altri non erano ancora arrivati. E dire che s’era tanto raccomandato di essere puntuali! Tamburellò ancora, spostando il peso sull’altra gamba.

Camui pareva non avere un problema al mondo, osservava l’esterno della sala prove come se non avesse mai visto un muro e ogni tanto posava gli occhietti nocciola e luminosi su un cielo percorso da qualche nube grigiognola che s’andava espandendo promettendo pioggia per le ore successive.

E lui, lui era nervoso?

No, non c’era manco motivo di porsela una domanda del genere.

Mana era preparato a raddrizzare qualsiasi, sottolineava qualsiasi evenienza anche solo vagamente storta.

Solo una non aveva messo in conto.

Camui lo guardò finalmente, con un leggiadro sorriso che avrebbe fatto impallidire pure Buddha e…

« Sei nervoso? »

Ecco, in quel momento spezzò col piede un ramo e la sola risposta che s’udì fu il crack che fece.

« Assolutamente no », aggiunse poi.

Per fortuna sua e del mondo intero, Gackt parve aver capito l’antifona e non gli chiese più niente ammutolendo di botto. Ebbe quasi paura di averlo offeso. Quasi.

Ancora una volta si chiese dov’erano quegli altri tre scemi che mancavano all’appello. Se si lavorava si lavorava, e bisognava essere puntuali, ma niente, loro proprio sembravano non volerlo capire quel dettaglio insignificante che poi tanto inessenziale per lui non era.

Poi vide Camui sbracciarsi da lontano a salutare qualcuno, e gli venne in mente che le uniche persone che conosceva erano quelle che lui gli aveva presentato. Si girò, e in effetti stavano arrivando gli altri tre… no, quattro scemi.

« Sacchaaaaaaan! »

Inarcò un sopracciglio largamente lavorato di pinzetta. Certamente Takeshi sapeva sempre come farsi riconoscere anche a qualche chilometro di distanza. Però mancava alquanto di classe.

Anche il malcapitato Satoru pareva essere del suo stesso avviso, perché come vide o meglio sentì il tornado umano Taka-chan pararsi sulla sua strada fece un dietro front fenomenale e si diede a correre in mezzo alla via, inseguito di gran carriera dalla massa di capelli cespugliosi corredata di sorriso.

« Ma dai! Non ci vediamo da tanto! Non sei contento di rivedermi? »

« No! Appiccicoso come sei, meno ti vedo e meglio sto! »

Mana osservò con una certa perplessità il povero Takeshi fermarsi di botto nell’udire quelle parole un pelo avvilenti. Lo osservò con altrettanta esitazione voltarsi verso di lui con gli occhi larghi e guardarlo. Takeshi lo guardava. Come un cane speranzoso che fissa il padrone.

E capì che avrebbe fatto meglio ad alzare i tacchi pure lui.

« Mana-chaaaaaaaan! »

S’irrigidì all’istante.

« Che vuoi. »

Non era una richiesta, era una minaccia. Cosparsa di abbondantissima inquietudine e di qualche brivido gelido lungo la schiena.

« Satoru è cattivooo! »

Quel ragazzo aveva il quoziente intellettivo di un’insalata riccia.

Ciò non tolse che quando se lo vide schizzare nella sua direzione col passo marziale di uno struzzo in piena savana gli venne in mente che era meglio filare.

E filò.

Si buttò a correre dietro alla schiena di Camui zompettando ogni dieci passi per vedere dove cavolo stava quella cimice umana di un ragazzo e tirando spinte in avanti per far smuovere Gackt a cui le risate stavano facendo perdere la verve.

Girarono, lui girò.

Rigirarono e lui girò.

Scivolarono a zigzag fra Yu-ki e Kami e quello poveracci li travolse.

Non fece neppure in tempo a compatirli, perché andò a schiantarsi di piatto contro l’ampia schiena del suo nuovo vocalist e nemmeno se ne rese conto.

Ma perché s’era fermato, quell’idiota? Se lo chiese mentre si massaggiava il naso.

E furono inutili gli improperi che aveva in mezzo alla bocca, perché vennero soffocati dal calorosissimo abbraccio dell’insalata riccia, che gli balzò alle spalle braccandolo come un cacciatore e se lo spupazzò un po’ contro ogni suo più infimo desiderio.

Poi rimase fermo così, con le braccia avvolte a strozzo attorno al suo collo.

« Mi lasci? »

« No. »

Strano ma vero la sua fortuna fu Camui, che stava parlando con un tizio che s’era affacciato dalla porta chiusa della sala prove.

« Avevamo prenotato una stanza », stava dicendo Gackt « A nome Satou. »

E il tizio li fece entrare.

E fu solo una delle tante meschine ed improponibili figure di merda che avrebbero collezionato nel corso degli anni.

« Si può sapere chi l’ha portato qui? »

Additò Taka-chan, che aveva tirato fuori dallo zaino una birra e se la stava sbevazzando senza problemi alla facciaccia sua.

Tutti, alias Kami, Yu-ki e Közi, alzarono lenti lenti le spalle come a dire che non ne sapevano niente. A lui non importò. Si sistemò tranquillo a braccia conserte, osservandoli con una faccia beata che per loro significava un’unica parola: guai.

Stavano già iniziando a sudare freddo, quando la fonte delle loro sventure – alias Takeshi – si fece stoicamente avanti per salvare loro il culo.

« E dai Mana-chan, non essere arrabbiato. Ho saputo da Közi che facevate le prove e ho deciso io di unirmi al gruppo di mia spontanea volontà. Voglio assistere al debutto di Sacchan! »

C’era un che di inestricabilmente genuino nell’essere spudoratamente fetente di quel ragazzo, e Manabu non riuscì a ribattergli niente di convincente. Alla fine, era quasi contento di vederlo.

Per cui si limitò a un sospiro e a una minaccia.

« D’accordo, se proprio ci tieni puoi restare qui a guardare. Ma bada bene di non fare casino o ti faccio fuori a calci. »

« Non sono così stupido da essere colpito da un tuo calcio. »

Ah, era pure velenoso il tipo.

« Mi stai sfidando? »

« Non oserei mai, Mana-sama. »

Sbuffò un poco. Non era il caso di stare ancora a discutere con l’insalata riccia, non avevano abbastanza tempo da perdere per godersela.

« Facciamo così, tu ora ti siedi lì buono in un angolo e stai zitto e tranquillo, afferrato il concetto? »

Takeshi annuì e si raggomitolò zitto e chiotto in un angolo fra una cassa e un tamburo. Una buona posizione per finire sordi.

Decise di ignorarlo, tanto la cosa interessante era che non facesse troppo casino – il che forse da uno come Taka era aspettarsi un po’ troppo.

Lì vicino c’erano Közi e Kami che ancora erano piegati in due dalle risate per via della scenetta di poco prima, la quale sarebbe probabilmente parsa comica anche a lui se solo non ci fosse stato dentro in prima persona… Yu-ki invece stava più prosaicamente accordando il basso, e Manabu lo adorò per quella dimostrazione di maturità che visto il generale andazzo aveva dell’incredibile.

« Bene, ragazzi. Vogliamo cominciare? »

Quello lo disse dopo aver metodicamente sistemato gli amplificatori e le chitarre, tirato fuori un buon numero di plettri di scorta ed essersi asciugato il sudore delle mani sui pantaloni.

Perché – e quella era cosa da ricordare sempre – Mana non era nervoso. Mana non era mai nervoso, dal suo viso non sarebbe trasparsa una ruga di nervosismo manco a pagarla però in compenso gli stavano sudando copiosamente le mani.

Era la loro prima prova con la loro formazione. Doveva andare bene, tassativamente.

« Satoru, ti dispiace se prima facciamo una prova noi con la musica? »

L’aveva chiamato per nome.

« No, fate pure. »

Senza più fiatare si misero tutti ai loro posti, con Gackt che diligentemente li osservava come uno scolaretto attento. Probabilmente voleva vedere fino in fondo il guaio umano in cui era andato a cacciarsi.

Attese che Kami battesse il tempo.

Lui lo fece, come al solito con il solito sorrisetto gioioso a ravvivargli la mascella pronunciata.

Attese, attese, attese. Gli sembrò di non poterne più di fare quello.

Mosse nervosamente le dita corte e tozze sulla tastiera – perché per quella canzone all’inizio gli toccava suonare quella – e prese un grosso e profondo respiro.

Attaccò.

Ci mise davvero il cuore in quelle prime note, ce lo mise tutto ma proprio tutto.

Solo che poi il suo orecchio raffinato captò qualcosa che proprio non avrebbe dovuto sentire ma neanche di sfuggita.

Captò un errore nell’attacco di Közi.

« Che stai combinando? »

Quel poveraccio di un altro ragazzo non fece in tempo nemmeno a guardarlo stranito.

« Che vuol dire “che sto combinando”? »

« Hai attaccato troppo presto! »

« Davvero? Io non me ne sono accorto! »

« Mi stai dando del sordo, Koji? »

E ancora una volta fu il loro angelo custode Ukyo Kamimura a rivelarsi una manna dal cielo.

« Dai ragazzi, non litigate. È da tanto che non proviamo assieme, certi errori possono capitare no? »

Nessuno dei due gli rispose, si scambiarono soltanto una lunga occhiata a metà tra l’umanamente scazzato e il genuinamente perplesso. Poi, evidentemente, dovettero risolvere che il batterista aveva ragione e difatti si rimisero al lavoro sui propri strumenti senza controbattere.

Ciò non tolse che prima di riuscire a suonare una canzone in maniera decente dovettero ricominciarla da capo almeno cinque volte. Erano messi davvero tanto male? Dannazione, avendo continuato ad esercitarsi per conto suo, Manabu non se ne era reso minimamente conto. Andando avanti così, ricominciare sarebbe stata più dura del previsto. Dovevano mettersi sotto, non c’era altro da fare.

« Dalla prossima settimana, si viene qui a provare almeno tre giorni su sette! »

« Tre giorni? »

Mana si guardò attorno, scuotendo appena le lunghe chiome nere con una leggera punta di stizza e asciugandosi col dorso della mano la fronte appena un po' sudata. Era stato, incredibile ma vero, il bassista Yu-ki a lasciarsi sfuggire quell’affermazione a mezzo sconvolta. Avrebbe giurato che sarebbe stato Közi a metterci bocca, tanto per cambiare. Oh, comunque il suo commento non avrebbe tardato a farsi vivo.

« Ti ricordo, caro capo, che noi poveracci dobbiamo anche lavorare. »

Eccolo lì infatti. E a pensarci bene non aveva tutti i torti, lui pure a forza di fare il nullafacente avrebbe finito per prosciugare tutto il denaro che aveva da parte.

« Devo ricordarvi, ragazzi, che io ho scommesso tutto sulla nostra band? Sono il nostro produttore, non ve lo dimenticate, e non accetterei mai un’eventuale perdita. Saremo i migliori in futuro, mi avete sentito? La miglior band di tutto il Giappone! »

Tanto più che avevano trovato anche il loro pezzo da novanta… guardò Satoru Okabe con la coda dell’occhio. Se ne stava seduto vicino a Takeshi, entrambi stranamente senza aprir bocca.

« Camui. »

Lo chiamò, e quello gli lanciò uno sguardo interrogativo con quei grandi occhi color nocciola che aveva.

« Tocca a te. Te la ricordi Seraph, voglio sperare. »

Il cantante non accennava a muoversi, e toccò a Takeshi svegliarlo con una pacca sulla spalla degna di un cinghiale.

« Avanti Sacchan! Voglio vedere di cosa sei capace! »

Sacchan” allora sorrise e si tirò su, rispondendo nel contempo a Manabu.

« Sì, l’ho imparata. Però per scrupolo ho portato i fogli con me… non ti voglio far perdere tempo. »

« Bravo ragazzo. »

Già, era proprio bravo. Glielo dimostrò non appena s’attaccò all’asta del microfono e cominciò a cantare. Da parte sua, non poté far altro che confermare il giudizio che s’era già fatto da tempo. Era in gamba, con buone capacità vocali che senz’altro sarebbero andate solo migliorando col passare degli anni. E in più anche in quanto a presenza scenica prometteva bene. Già, decisamente un buon investimento, restava solo da vedere che frutti avrebbe dato una volta sistemato su un palco vero e proprio, Takeshi gliene aveva parlato bene, poiché l’aveva visto un paio di volte esibirsi col suo gruppo a Kyoto. E lui era ben certo che i Malice Mizer a questo altro gruppo non avessero proprio niente da invidiare.

Uno dopo l’altro provarono tutti i brani del repertorio di Tetsu, e lui fu ben felice di notare che quel ragazzo in così poco tempo era riuscito ad interiorizzarli tutti quanti. Certo c’erano ancora delle imprecisioni e parecchio lavoro da fare, ma poco importava. L’avrebbe fatto lavorare come uno schiavo in modo che fosse stato pronto a ricominciare con le serate entro l’autunno. E avrebbe anche trovato il tempo per comporre nuovi brani. Ce l’avrebbe fatta di sicuro, senza problemi. Anzi, ce l’avrebbero fatta tutti e cinque assieme.

Uscirono tutti e sei sfiniti dalla sala prove che era ormai sera.

« Stiamo fuori a mangiare? Che ne dite? » propose Yu-ki.

Acconsentirono tutti, tanto non avevano di meglio da fare per quel giorno. C’era solo il solito, piccolo problemino

« Io ho voglia di okonomiyaki. »

« Io di pesce. »

« Io di pizza. »

« Carne. »

« Ramen. »

Ah, ma perché sempre in quel modo doveva finire? Tutte le sante volte che si ritrovavano tutti assieme non sapevano dove andarsene a mangiare e finivano per starsene in cerchio in mezzo alla strada a guardarsi interrogativamente come cani attorno a un osso.

« Tu che dici, Satoru? »

Era stato Kami a interpellarlo, perché quel ragazzo aveva pensato bene di tenersi fuori dalla disputa. Meglio non mettersi contro i Malice Mizer quando avevano fame, in effetti…

« A me va bene tutto. »

« E dai, che ti costa scegliere? Ci sarà pure qualcosa che ti va, no? »

« Fermi tutti! »

Ullallà, Taka-chan aveva deciso di mettersi in moto a quanto pareva, e aveva stroncato ogni discussione sul nascere.

« Ora si va a cercare il primo locale che troviamo e mangiamo lì, ok? »

Ebbene sì, dovette ammettere che quando ci si metteva l’insalata riccia aveva mordente. Si ravviò le folte ciocche di capelli corvini legandole con un elasticone blu che aveva portato con sé e si mise a camminare di buon passo dietro al suo amico, invitando gli altri a seguirlo con un cenno del capo.

« Andiamo, su. Non è proprio ora di metterci a litigare per certe idiozie. »

Perché sì, era proprio un’idiozia. Ma quell’idiozia era stata solo un modo per scaricare la tensione di prima, alle prove, ed era stata per buona parte colpa sua e lo sapeva.

Ma che ci poteva fare se aveva un carattere troppo intransigente? Di certo non gli interessava cambiarlo.

Si immisero nella via principale, e camminando camminando raggiunsero proprio un ristorantino italiano – con sua grande gioia, ma riuscì a contenerla dietro l’impassibilità di una faccia da schiaffi da manuale.

« Stasera pizza », disse.

Eh sì, avevano proprio mangiato la pizza. Il problema era che non s’erano fermati certo lì!

Dopo essere usciti dal ristorante s’erano fermati in un locale apparentemente di intima conoscenza di Yu-ki e s’erano messi a bere sakè fino a non poterne più. Il tempo non avrebbe saputo proprio quantificarlo, ma se n’erano andati dal locale a notte fonda. Quello se lo ricordava, e lui era uno degli conciati meglio. Strano ma vero, anche Kami e Takeshi s’erano dati una regolata – forse prevedendo di dover trascinare a casa gli altri tre poi…

In quel momento lui, Takeshi e Gackt Camui stavano faticosamente salendo le scale del palazzo dove abitava, diretti al suo appartamento.

La questione era solo una… il succitato Gackt Camui non si reggeva in piedi, e Mana e Takeshi erano altrettanto sulla buona strada nel rotolare giù dalla rampa. Sbandando uno da una parte e uno dall’altra riuscivano a tenersi dritti in qualche modo, ma tirare su quel bisonte muscoloso di un Camui non era cosa esattamente facile, non tanto per Taka quanto per Mana, che di muscoli aveva in generale sempre un tantino difettato, anche se la forza non gli mancava.

Avrebbe dovuto metterlo a dieta. Sì , finché fosse rimasto a casa sua, avrebbe sottostato ai suoi ordini!

Riuscirono, ansanti e barcollanti, a raggiungere la porta di casa. Lui ci mise un po’ ad infilare la chiave nella serratura, e la prima cosa che fece quando arrivarono fu schiantare se stesso sul divano e Camui sul pavimento.

Quello stava praticamente dormendo, figurarsi!

« Ce l’hai un anti-sbronza? »

Takeshi glielo stava domandando con tutta la scioglievolezza che la sua voce petulante riusciva a tenere in condizioni non normali.

« Ho mal di testaaa… e la panciaaa… »

Ah, domandò a tutti gli dèi del cielo che facessero tacere l’insalata riccia molto a lungo, perché pure lui quanto a mal di testa non scherzava. Fortuna che di analgesici ne aveva a tonnellate, perché poteva pure non sembrare ma era uno che se c’era da darsi alle pazze gioie alcoliche non rifiutava mai.

Sospirò e andò in cucina a prendere la medicina per Taka-chan e un tè caldo per sé – non stava ancora così male da dover ricorrere ai farmaci – e quando tornò vide che lo stronzetto s’era appollaiato sul divano al posto suo.

« Alzati! »

« No. »

« Alzatiii! »

Lo fece alzare di forza, tirandolo su seduto dopo avergli agguantato con una mano il capoccione riccio, e si sedette accanto a lui.

« Tieni. »

Gli porse la medicina e un bicchier d’acqua per mandarla giù.

Quello obbedì senza fiatare, ed entrambi fissarono come ipnotizzati Satoru Okabe che ronfava beato e tranquillo sul pavimento sotto di loro, e che si sarebbe svegliato il giorno dopo ridotto a uno straccio.

« Meglio che dormi qui anche tu stanotte, Takeshi. Puoi apparecchiarti qui in salotto se vuoi, ma prima dammi una mano a trascinare questo energumeno in camera. »

Takeshi fece tanto d’occhi, evidentemente non era abituato a essere chiamato per nome dal Despota Supremo Mana-chan.

« Come mai tutta questa gentilezza? »

« Non fare complimenti, tanto lo so che sei un genio dell’adattamento. »

Aveva eluso la sua domanda, e quello doveva essersene anche accorto, perché gli sorrise molto stupidamente.

Fortunatamente non gli chiese altro, evitandogli un fastidiosissimo terzo grado, e lo aiutò senza storie a tirare quell’altro sul suo futon in camera.

Una volta lì, Mana lo rispedì in salotto e lo lasciò a dormire sul suo amato divano candido.

Lui dal canto suo guardò Gackt Camui, e neppure si svestì.

Tanto, quella notte non avrebbe dormito affatto.

- continua -

N.d.A. Un lieve ritardo nell’aggiornamento, dovuto agli esami e a ragioni di forza maggiore… leggi un temporale che mi ha messo fuori uso il modem… spero di poterlo mettere online a breve, e spero anche che vi piaccia. Io intanto, più scrivo e più mi domando dove vogliono arrivare questi ragazzi. Boh… tanto vale andare avanti e far parlare loro, credo! Buona lettura a tutti!

Vitani

   
 
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