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Autore: Nephilim13    23/05/2014    2 recensioni
Dal secondo capitolo:
Rise, poi mi prese il mento e mi costrinse ad aprire la bocca per ingoiare una strana roba blu riposta in un contenitore che teneva in mano. Sputacchiai quel liquido, ma a giudicare dalla sua faccia, non sarebbe servito a niente. Un dolore alle tempie mi colpì. Sembrava che qualcuno o qualcosa mi stesse facendo il cervello in mille pezzettini, per poi ricomporli, ma nell'ordine sbagliato.
Mio fratello si avvicinò e mi sussurrò:
-Adesso sei finalmente mia, Clarissa Morgenstern.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con un pizzico di forza di volontà, aprii gli occhi. 
Intorno a me era tutto buio, non una luce illuminava il posto in cui mi trovavo. 
Mi misi a sedere lentamente, cosa che mi provocò delle fitte di dolore al petto.
Ricordavo tutto, ogni singolo instante, ogni singola azione che avevo compiuto; i ricordi mi travolsero come un uragano in piena forza: la discoteca, i piani di Jonathan, la visita all'Istituto, gli allenamenti con mio fratello, il fuoco che era divampato dentro di me quando Jace mi aveva trafitto con quella spada, le notti passate con Jonathan... 
Mi salì la nausea, e non so grazie a quale miracolo riuscii a non vomitare. Mi strinsi le ginocchia al petto e vi affondai dentro la testa, facendo respiri profondi per cercare di calmarmi. Sentii il rumore di una porta che si apriva, poi la stanza s'illuminò di una tonalità di luce familiare e unica. 
Riconobbi il posto, c'ero già stata una volta: era la casa dei Penhallow, dei parenti dei Lightwood, ad Idris.
Sulla porta c'era Jace, stregaluce alla mano. Un lungo graffio gli attraversava l'inizio del collo, reso quasi rosa dalla luce emanata dalla pietra che stringeva nel palmo. Non si muoveva dalla porta e aveva gli occhi bassi, e non ne capivo il motivo.
-Quanto tempo ho dormito? - chiesi con voce roca per spezzare il silenzio di piombo calato tra noi. 
-Circa due giorni. - rispose flebilmente.
Annuii, chiedendomi cosa diavolo gli prendesse. 
-Sei arrabbiato? 
Lui non rispose. Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi, ma li sbattei velocemente per non piangere. 
Fu del tutto inutile. 
Jace corse ad abbracciarmi, mettendosi seduto accanto a me.
-Clary, sono qui. - sussurrò tra i miei capelli. 
-Lui è... ? - gli chiesi tra i singhiozzi, il viso affondato nel suo petto, rifiutandomi di pronunciare il suo nome, qualunque esso fosse. 
-Morto, si. E' finita. - mi rassicurò con una voce di quelle che si usano per far tranquillizzare i bambini spaventati, e cullandomi proprio come se lo fossi. E lo ero.
-Jace... io... - Le lacrime mi offuscavano la vista, perciò chiusi gli occhi. 
-Shh. - fece lui, stringendomi più forte. -E' tutto finito, per sempre...
Scossi forte la testa: non era finito, non nella mia mente. Nel mio cervello il nastro si riavvolgeva continuamente, mostrandomi e rimostrandomi le immagini di quella me, di ciò che lei aveva detto e fatto. 
-Tra poco bruceranno il corpo, al Lago. Possiamo restare qui, mentre...
-No. - annunciai risoluta. Alzai la testa e mi asciugai goffamente le lacrime, che ancora continuavano a scendermi lungo le guance senza sosta. -Voglio andarci. 
Le labbra di Jace si ridussero a una linea sottile, ma annuì e chinò il capo.
-Perdonami, Clary. - Il suo sguardo si era improvvisamente rabbuiato. Osservava il lenzuolo del letto e lo stringeva tra la mano convulsamente, come se avesse appena deciso di doverlo distruggere.  Non feci in tempo a proferire parola che lui continuò: -Non sono stato in grado di proteggerti da lui e dalle sue minacce, ti ho lasciato alla sua mercè come se fossi un piccolo oggetto insignificante...
Provai ad interrupperlo, ma non ce ne fu verso. 
-... cosa che non sei. Oh Raziel, certo che non lo sei! Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, Clary Fray, o Fairchild, come diavolo vuoi, e io ti ho lasciata andare così, come acqua tra le dita. E' una cosa di cui non mi perdonerò mai, e nemmeno tu devi farlo, non ti biasimerò. 
Mille coltellate al cuore non equivalevano al dolore che mi provocarono quelle parole. 
In quel momento capii: Jace non era arrabbiato con me, ma lo era con se stesso, il che era anche peggio.
Presi il  suo viso tra le mani, scavando a fondo nella sua anima attraverso quegli occhi dorati che mi avevano rapita sin da subito. Lì trovai il sollievo. Trovai la paura. La gioia. Il senso di colpa. La vulnerabilità.
-Jace Herondale, tu non mi hai lasciata andare. Sono stata io a decidere di lasciare te e tutti gli altri...
-E io te l'ho permesso! Avrei dovuto fermarti! - ribattè, scostando le mie mani dalla sua faccia, ma io non gli permisi di lasciarle, incrociando le sue dita con le mie.
-Tu non ne sapevi niente, non potevi saperlo.
-Avrei dovuto.
-Ascoltami bene. - stavo piangendo di nuovo. -Non è grazie a te se sono qui, ora, in questa stanza della casa dei Penhallow, con te? Non è grazie a te che Jon... Sebastian è uscito fuori di scena?
Le mie labbra si posarono sulle sue nel più casto dei baci.
-Non è grazie a te, se ora possiamo darci un bacio senza temere che sia l'ultimo?
Jace sollevò una mano e la portò alla mia guancia; seguì con l'indice la curva delle labbra, poi passò allo zigomo, poi alle tempie. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quella sensazione che, mi resi conto in quel momento, nel subconscio mi era mancata tantissimo. 
-Ti amo. - lo sentii pronunciare quelle parole con una tale emozione nella voce che a parole non riuscirei a descrivere.
-Anche io ti amo. - gli risposi riaprendo gli occhi.  Lo baciai di nuovo, poi poggiai la testa nell'incavo della sua spalla e mi abbandonai al suo profumo; lui mi circondò la vita con le braccia, facendo attenzione a non farmi male, e appoggiò la sua testa sulla mia. Quando avevo ormai smesso di piangere, la porta della stanza si spalancò di nuovo e un ragazzo occhialuto fece il suo ingresso.
-Simon. - bisbigliai, mentre Jace mi lasciava andare. Simon rimase impalato, proprio come aveva fatto Jace, di fronte al letto, mentre io, lentamente, mi mettevo in piedi. Ci fissammo per qualche secondo, immobili e muti, come se fossimo due statue. Poi, in perfetta sincronia, ci gettammo l'uno nelle braccia dell'altra.
Simon era algido al tocco, e quell'abbraccio mi stava provocando dolore nel punto dove la spada mi aveva trafitto, ma non mi importava. L'unica cosa che davvero mi interessava in quel momento era che mi trovavo lì, sana e salva, nella stessa stanza con il mio migliore amico e il mio ragazzo, senza il peso sulle spalle di una guerra in corso, di un attacco improvviso, di una perdita imminente.
Non ho idea di quanto tempo passammo così io e Simon, avvinghiati e senza dire una parola. Mi aspettavo che Jace tossicchiasse, o comunque facesse qualcosa per attirare la nostra attenzione, ma non lo fece.
Poi fu il turno di Luke e Jocelyn, di Isabelle, di Alec e Magnus.
A un certo punto, mentre tutti erano impegnati ad ascoltare la mia storia (di cui evitai di raccontare i momenti più intimi passati con Sebastian), Luke scoccò un'occhiata all'orologio che teneva al polso e annunciò in tono cupo: -E' quasi ora.
Jace mi guardò, stringendomi la mano. -Sei sicura di volerci andare?
-Si.
Come per conferma, mi misi in piedi piano, visto che ogni minimo movimento mi provocava un fuoco d'artificio al petto. Alec e Magnus erano seduti a pochi millimetri l'uno dall'altro e si lanciavano occhiatine ogni volta che ne avevano l'occasione. Simon e Isabelle si tenevano la mano, così come Jocelyn e Luke, quando non erano affaccendati con me. Mamma mi aiutò ad alzarmi; uscimmo fuori dalla stanza con Jace che mi sorreggeva.

Nonostante la sponda del Lago Lyn fosse gremita di Cacciatori e Nascosti, c'era un silenzio sepolcrale.
Adocchiai un gruppetto di fate, un clan di vampiri, un branco di licantropi...  Il branco di Luke. Riconobbi alcuni dei componenti, tra cui Maia, in compagnia di Jordan. Questo alzò una mano in segno di saluto rivolto a Simon, che ricambiò.
-Voglio andare avanti. - bisbigliai a Jace. Mi aiutò a scavalcare la marea di gente radunata intorno al corpo senza vita di mio fratello. Bastò un minuto all'incirca perchè la folla capisse chi fossi, dopodichè tutti iniziarono a fissarmi, chi con compassione, chi con rabbia, chi con indifferenza.
La scena la conoscevo già: l'avevo già vissuta una volta con Valentine, ma ne rimasi comunque leggermente scombussolata.  Jonathan aveva le caviglie e il tronco legati ad una pira con delle corde a una pira altissima, la testa bionda che gli ricadeva sul petto, pieno di rune rosse sbiadite. A fianco alla pira c'era il nuovo Console, il padre di Alec, Robert Lightwood. Quando mi vide, mi rivolse un leggero cenno col capo. 
-Oggi – iniziò dopo essersi schiarito la voce -Con il bruciare del corpo di Jonathan Christopher Morgenstern, possiamo dichiarare la guerra finita.
Silenzio. Nessun esulto. Nessun sorriso. Niente di niente.
-Abbiamo subito tutti molte perdite. - Robert storse la bocca, e vidi Maryse dietro di lui fare lo stesso. Avevano entrambi perso un figlio, come biasimarli. -Perdite dolorose, persone care che ci sono state strappate via troppo presto. 
E improvvisamente il fuoco divampò intorno al corpo di Jonathan. 
-Noi sopravvissuti ricorderemo questa guerra come una delle più cruente mai affrontate, e trasmetteremo questo ricordo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli, perchè una cosa del genere non si ripeta mai più. 
Le fiamme lambirono il petto.
-Ricostruiremo la nostra città e le nostre vite e, anche se sarà difficile, ricominceremo da capo, un pezzo per volta.
Ricominciare, che parola. 
Farlo era possibile, ma non avremmo mai potuto tornare ad essere quelli di una volta. Le persone morte lasciano un vuoto incolmabile in quella parte del cuore che avevano conquistato, e queste battaglie lasciano segni indelebili nella memoria, impressi con il sangue.
Il corpo di Jonathan era ormai interamente ricoperto dal fuoco.
-E' finita ora, e non ricomincerà mai più.
Nel mio cuore c'era tutto un tumulto di sentimenti, e tutti volevano prevalere su tutti. Da una parte c'erano la gioia, il sollievo... dall'altra parte, però, non riuscivo a non provare compassione. Ci avevo riflettuto a lungo, su di lui. Credo che Jonathan sia stato semplicemente un ragazzo privato d'amore, e che, nei suoi modi contorti e perversi, lui cercasse di ottenere solo questo, solo un pò d'amore da qualcuno.
Per Valentine lui era il demone, lui era quello sbagliato. Ed era stata tutta colpa sua, perchè aveva fatto in modo che suo figlio avesse nelle vene il sangue di Lilith, rendondolo così l'essere malvagio e crudele che era.
Quando di lui non rimase altro che cenere, la folla sciamò, e l'unico rumore che si udiva era quello dei passi delle persone sulla ghiaia. Le mie gambe cominciarono a muoversi da sole: mi avvicinai.
-A volte non scegliamo noi di essere quelli che siamo, - dissi alla cenere sparsa per terra intorno alla pira - nemmeno tu, purtroppo. Chissà, magari, in un'altra vita, potresti avere una seconda possibilità.
Mi chinai fino a riuscire a toccare il suolo. Affondai il palmo della mano nell'erba e raccolsi una manciata di polvere, le ultime rimanenze del leggero venticello che tirava quel giorno. Strinsi la mano a pugno per evitare che la brezza portasse con sè anche quelle.
-Ave atque vale, Jonathan Christopher Morgenstern. 
Poi affidai al vento anche l'ultima parte del corpo di mio fratello.


Angolo autrice.
Ebbene sì, la storia è conclusa. Ho lavorato molto su questo capitolo, quasi una settimana, e onestamente ne sono soddisfatta. 
Voglio ringraziare davvero con tutto il cuore tutte quelle persone che hanno seguito questa storia fino alla fine, non so davvero come fare a dirvi grazie. 
Mi scuso per tutti i ritardi che ho avuto ad aggiornare, e spero di avervi ripagato con questo.
Non ho più niente da dire, se non che sto aspettando martedì (Oddiomenoquattrogiorniaiuto) per Cohf.
Chi come me lo leggerà in inglese?
Bacioni e alla prossima storia, Cacciatori e Nascosti. <3
VI LOVVO! *sparge cuoricini*
N13

 
   
 
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