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Autore: Cathy Earnshaw    25/05/2014    2 recensioni
"Era una calda serata estiva, di quelle che restano incollate addosso con il loro profumo di fiori e di rosmarino, con il frinire delle cicale, con le risate degli amici. Tutta la popolazione della piccola cittadina di Pothien si era riunita nella piazzetta principale. La musica colorava con le note eteree dell’arpa le serate del Nord della Terra dei Tuoni, e i cantori narravano le loro storie affascinanti a chiunque le volesse ascoltare."
Non è un'introduzione, lo so..ma credetemi se vi dico che è ancora tutto troppo vago anche per me per poter scrivere un'introduzione coerente ;) Vi piaciono i racconti con maghi, elfi, duelli e lunghi viaggi in terre desolate? Benvenuti nella Terra dei Tuoni, amici!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Con lentezza estenuante, i due maghi e il nano attraversarono il campo di battaglia fino al limite orientale. Sophia era scomparsa nel nulla, e Liam poteva solo augurarsi che ne fosse uscita indenne. Se le fosse successo qualcosa, Horlon avrebbe voluto la sua testa, su questo non c’erano dubbi.
Tenendo a distanza gli orchi a colpi di spada e di martello, emersero in una sorta di zona franca che si estendeva per un miglio fino all’accampamento alleato.
«Andate» disse il nano. «Ti copro le spalle, Alec.»
«Grazie, amico!»
Alec mollò una pacca sulla spalla al nano e lanciò un’occhiataccia a Liam.
«Andiamo, ragazzino. E non fare scherzi, qui non sei ospite, e ti ricordo che in duello ti ho già battuto» sibilò.
Liam ringhiò e si impose di non cedere alla provocazione. Era giunto fino a quel punto, non poteva buttare tutto all’aria per una cosuccia come l’orgoglio.
Attraversarono l’accampamento quasi deserto installato ai piedi delle mura. I pochi abitanti – per lo più donne e feriti – si nascondevano al loro passaggio. Liam si domandò che razza di reputazione si fosse guadagnato Alec tra gli alleati di Torat.
«Di qua» disse Alec precedendolo al di fuori della piccola città di tende.
«È tanto che vi assediano?» domandò Liam.
Alec lo ignorò e si avvicinò al portone d’ingresso della città. La grata stridette sollevandosi per lasciarli passare, e si richiuse con un tonfo alle loro spalle.
La città di Torat non era affatto come Liam l’aveva immaginata. Era completamente diversa dalle grandi città che sorgevano sul Lago di Nebbia. Immensa ma logica, squadrata, calcolata. Nonostante i palazzi alti e le strade strette, conservava un opprimente aspetto ordinato. Fredda, ecco cos’era.
Liam sbatté le palpebre. Alec stava risalendo la via piastrellata che si allungava all’infinito davanti a loro. Si volse e latrò:
«Ti muovi o devo tirarti per i capelli?»
Il mago sbuffò ma si affrettò ad obbedire. Era tutta colpa di Jonna, e quella vipera, presto o tardi, l’avrebbe pagata.
 
Aqua non era disposta a cedere. Se davvero c’era qualcosa che non andava nella loro magia, lei avrebbe scoperto cosa, a costo di restarci secca nel tentativo. Non ci stava ad accettare che fosse cambiato qualcosa, dai tempi di Storr ai suoi, nell’Elemento, e di certo non poteva essere cambiato chi lo governava. E poi lei aveva visto l’ultimo Re, l’aveva sentito…ed era esattamente uguale a lei. Molto più vivo di tante persone vive. Molto più limpido di tante persone sedicenti tali. Così tanto più reale da obnubilare la realtà vera e soffocarla nella nebbia di un tempo passato che, razionalmente lo sapeva, non esisteva più, e mai più sarebbe esistito.
Per questo, aveva lasciato che Stan e Hailie si adoperassero, una volta di più, nella ricerca di informazioni, mentre lei si era rinchiusa nella stanza da bagno con l’intenzione di ricreare il contatto con quello spettro di ricordo, ma ogni tentativo era stato vano. E non era difficile immaginare il motivo del fallimento: da sola non poteva entrare nel flusso di energia, non era capace di concentrarsi. Il suo potere di per sé non era sufficiente.
Ancora una volta la ragazza immerse le dita nell’acqua fredda e chiuse gli occhi.
«Aqua, stai bene?»
La maga balzò in piedi, irritata per l’interruzione.
«Sto bene!» sbottò. «Che c’è?»
Hailie esitò.
«Stan dice di dirti che non sei di alcun aiuto chiusa lì dentro, e che i draghi sono nervosi. Vorrebbe un tuo parere.»
Aqua digrignò i denti.
«Come faccio a sapere perché i draghi sono nervosi, scusa?!»
Hailie non rispose e Aqua sbuffò. Poteva ignorarla, certo, ma quanto ci avrebbe messo Konstantin ad abbattere quella porta che la divideva dal mondo?
«Arrivo» capitolò. «Dov’è Stan?»
«Nel salone. Aqua…» Hailie la trattenne afferrandola per un polso.
«Ti senti bene?!» sibilò, liberandosi.
«Sono preoccupata per Stan. Si comporta in modo strano, non è più lui da quando siamo arrivati qui.»
Aqua deglutì.
«Ho notato.»
«Perché si comporta così? Tu lo conosci bene, perché lo fa?»
«È impossibile capire che cosa gli passi per la testa, Hay. Credo che l’idea di doversi trovare, presto, a fronteggiare Alec non gli dia tregua. Il legame che c’è tra loro, io non riesco nemmeno ad immaginarlo. E poi c’è Amina, che se ne sta lì nel mezzo, ignara o quasi di quanto Stan abbia bisogno del suo sostegno. Per non parlare di quel caprone di Ruben, che ci ha mollati qui a tempo indeterminato…»
Hailie annuì.
«Credi che dovremmo parlargli?» domandò.
«E dirgli che cosa? Che ostinandosi ad obbedire agli ordini folli del Maestro che ritiene un amico ci farà ammazzare? Oppure che l’idea di venire a Cyanor era già di per sé un suicidio di massa? Che la paura gli sta bruciando il cervello? Oppure che se non scopriamo il trucco che ha usato Storr per incantare questa stanze, i vostri interventi di manutenzione dureranno poco?» scosse il capo. «Mi dispiace, ma io passo. Litigare con lui è l’ultima cosa che desidero.»
La porta si aprì con un cigolio e Konstantin entrò nella stanza. Aveva l’aria stanca. Le due maghe si guardarono allarmate, ma lui non diede segno di aver udito la loro conversazione.
«C’è mancato poco, davvero poco, che lo scoprissero, ma il merlo che ho mandato in perlustrazione è tornato, e le notizie non sono buone.»
Hailie gemette.
«Può davvero andare peggio di così?»
«Può. Liam e Jonna sono a Torat.»
Hailie proruppe in una serie di esclamazioni disarticolate alle quali Aqua non prestò attenzione.
«Prigionieri?» farfugliò.
Konstantin scosse il capo.
«Non lo so ancora. Ma lo scoprirò. Però voi dovete tenere quei draghi sottocontrollo. Qualcosa non va, sono nervosi…»
Aqua rabbrividì e si affrettò a seguire Konstantin ed Hailie nel salone principale.
 
Liam si era lasciato condurre nei sotterranei di un vero e proprio castello, dove era stato scaricato in una stanzetta sorvegliata da due guardie. Non aveva sollevato obiezioni, naturalmente, ma l’idea di venir parcheggiato nell’attesa che Micael dell’Acqua si degnasse di riceverlo lo urtava enormemente. Alec si era pure portato via la sua spada, il suo arco e la sua bisaccia.
“Cose di vitale importanza quando sei un mago” si disse.
Ma la verità era che completamente solo, in quel sotterraneo spoglio, senza armi né uno straccio di alleato, poteri o non poteri, aveva una paura fottuta. Paura che Micael decidesse di liberarsi di lui, che Jonna lo strangolasse con le sue mani, paura di non vivere abbastanza da vedere il mare. Inoltre, ad ogni minuto che passava, aumentava l’indolenzimento a braccia e gambe per i colpi inferti e parati, le piccole ferite bruciavano, i lividi pulsavano dolorosamente. Aveva gli abiti inzuppati di sangue di orco, i capelli ingarbugliati, e puzzava in modo orribile.
Micael non si fece attendere troppo.
Quando i suoi passi echeggiarono lungo il corridoio, Liam percepì la sua aura magica e riacquistò la lucidità.
La porta si aprì, e sulla soglia apparve il mago che aveva radunato attorno a sé le frange più feroci del Consiglio di Effort. Liam non lo vedeva da cinque anni ed era cambiato molto da allora. I capelli allora scuri erano diventati grigi, la pancia abbondante era scomparsa. Sembrava invecchiato del doppio di quanto avrebbe ragionevolmente dovuto. Micael gli dedicò un sorriso freddo prima di richiudersi la porta alle spalle.
«Non so davvero come interpretare la tua presenza qui, Liam dell’Acqua…» disse sedendosi di fronte a lui. «Alec mi dice che hai attraversato tutta la lunghezza del campo di battaglia per raggiungere la città, ma dice anche che non devo fidarmi delle buone intenzioni che dichiari.»
Liam sorrise con una sicurezza che non sentiva minimamente.
«Non mi aspettato niente di diverso, da lui» commentò. «Ma la sua visione della vita e del mondo mi interessa poco, Micael. Mi interessa di più quello che pensi tu.»
Il mago scoppiò a ridere.
«Quello che penso io? Ah, io non sono un filosofo, Liam, al contrario, sono una persona anche troppo pragmatica. Per questo mi rendo conto di trovarmi di fronte ad un grosso problema:» sospirò «da un lato, mi si offre l’inatteso aiuto di un mago potente, aiuto non disprezzabile vista la situazione pietosa del mio esercito; dall’altro, non posso non convenire con Alec che la tua presenza qui sia un po’ troppo sospetta per non suscitare la mia diffidenza. Quindi che fare?»
Si alzò e prese a camminare avanti e indietro nella stanza angusta. Un vecchio leone in gabbia, ecco che cosa sembrava.
«Coraggio, Liam, convincimi della tua buona fede.»
«Convincerti? Non sono mica un venditore ambulante, io!» sbottò Liam.
«Il ché è un vero peccato, perché un mio ordine potrebbe bastare per decretare la tua morte.»
Liam sbuffò. Sapeva che si sarebbe arrivati a quel punto. Fanculo, Ruben.
«Ne sono consapevole» rispose, cercando di conservare un minimo di autocontrollo. «Tuttavia, non riesco ad immaginare che altro potrei aggiungere alle mie azioni a sostegno della mia buona fede, come dici tu. Ho mollato tutto per attraversare il macello che hai qua fuori, e tutto solo per unirmi a te. Ho lasciato mio fratello, i miei amici…ho seguito Jonna fino a qui. Non c’è davvero niente che io possa aggiungere.»
“Non strafare”, ripeteva la vocina nella sua testa. E una volta nella vita, Liam aveva intenzione di darle retta.
«Jonna» mormorò Micael. «Così avresti fatto tutto questo solo per lei? Non merita tanto.»
Liam si rabbuiò. Una lama di panico gli trafisse lo stomaco mentre, per la prima volta, si domandava se Ruben non avesse puntato sul cavallo sbagliato. Tutto il suo piano, tutte le sue speranze di uscirne sulle proprie gambe, si reggevano sul presupposto che Jonna del Fuoco fosse benvista a Torat, ma se così non fosse stato? Se Jonna non era in una buona posizione, allora lui era morto. Matematico.
«Curioso che tu non abbia nulla da obiettare.»
Si riscosse. Micael lo fissava, sospettoso, gli occhi ridotti a due fessure color del ghiaccio.
«Come posso obiettare? In realtà non so nulla di lei…non so nemmeno se Jonna sia il suo vero nome…»
Micael scoppiò in una fragorosa risata che accapponò la pelle al prigioniero.
La porta si aprì con un cigolio e Liam sobbalzò. Jonna fissava ora lui, ora Micael con l’aria di chi ha appena visto la morte in faccia, e Liam si domandò da quanto tempo fosse lì.
«Capiti al momento giusto, Jo» disse Micael con un sorriso freddo.
La ragazza non ricambiò minimamente e senza battere ciglio sibilò:
«Che cosa ci fa lui qui?!»
Micael scostò una sedia e le fece cenno di sedersi, ma Jonna lo ignorò. Il mago rise.
«Vedi, Liam, che cosa si rischia a mandare le proprie figlie a studiare lontano da casa? Trovano un protettore ricco che le tratta come principesse, e quando tornano si aspettano di ricevere lo stesso trattamento.»
Liam sentì il sangue affluirgli al viso, per poi defluire di colpo, dandogli un capogiro.
«Jonna è tua figlia?!» balbettò.
«La vita sa essere crudele…»
«Padre!» incalzò Jonna.
«Stai calma, Jo. Liam è qui per te. Patetico, vero?»
Jonna trapassò Liam con il suo sguardo di ghiaccio. Che effettivamente, il mago doveva capirlo subito, era identico a quello di suo padre.
«Perché?»
Liam deglutì.
«Io…io sono venuto meno alla mia promessa. Ho temuto che ti succedesse qualcosa, così ho parlato con Ruben. Abbiamo scoperto la tua fuga e Ruben ha dato i numeri. Dice di volere la tua testa e io…» la voce gli morì in gola.
Un effetto studiato e perfezionato in anni di pratica, che riusciva a rendere perfettamente naturale. E, come tutte le altre, anche Jonna trattenne visibilmente il respiro. Ma non cedette come da programma: il suo sguardo rimase freddo e immobile.
Il silenzio si protrasse, pesante come un’immensa massa d’acqua, fino a che Micael non lo interruppe.
«Ora basta, stiamo perdendo troppo tempo. Il punto, ora, è decidere se uccidere Liam o fidarci di lui. E considerata la situazione di merda in cui versiamo, credo che convenga la seconda.»
«Padre, io non credo che sia una buona idea fidarsi di lui!» esclamò Jonna.
Micael si avvicinò a Liam e lo scrutò con quei suoi occhi inespressivi per un lungo momento. A disagio, il prigioniero dovette concentrarsi sui dolori sparsi per il corpo per impedirsi di distogliere lo sguardo, perché il sangue freddo non era abbastanza. Ne aveva abusato, di quel sangue freddo, nelle ultime settimane, e le scorte erano diventate esigue. Infine fu Micael a cedere, e si volse verso sua figlia.
«Parla» disse soltanto.
La ragazza prese un respiro profondo.
«È troppo pericoloso credere alla sua parola quando Ruben ha con sé il suo unico fratello! Non puoi dimenticare che gli stregoni hanno fatto leva proprio su quel fratello per ricattarlo…è il suo punto debole, e in questo momento è nelle mani di Ruben.»
Micael ascoltò attentamente, poi tornò a rivolgersi a Liam.
«È un’argomentazione ragionevole. Tu che hai da dire in merito?»
Liam si trattenne a stento dall’esprimere il suo sincero parere su quella situazione. Aveva del ridicolo che quel mago ambizioso mettesse in dubbio il saggio consiglio di una figlia che tanto aveva rischiato per lui pur di guadagnarci un alleato potente. Potere, questa era la chiave di tutto?
«Jonna ha ragione» disse, stringendosi nelle spalle. «Ho lasciato Irthen a Natìm, ma l’ho lasciato in buone mani. Non mi sono arruolato perché messo con le spalle al muro, e non ho disertato per lo stesso motivo. La verità è che il mio punto debole, oltre a Irthen, sono le donne, caro Micael, e purtroppo tua figlia è una bella donna» sospirò. «Mi rendo conto che non avete altro che la mia parola a testimonianza delle mie buone intenzioni, ma non ho altro da offrirvi. Cosa ci guadagnerei ad inventare credenziali che scoprireste poi essere false? Tanto vale essere onesti, seppur poco convincenti…»
Jonna aprì la bocca per ribattere, ma Micael alzò una mano e lei si bloccò. Qualcuno bussò alla porta.
«Sì?» disse il mago.
Alec del Fuoco entrò nella stanza con la bisaccia di Liam in mano.
«Niente di insolito, Mik» disse. «Cibo, acqua, qualche erba medicinale, arco e spada. Niente di ché.»
«Cosa ti aspettavi di trovare?» sbottò Liam.
Alec gli lanciò un’occhiata di sufficienza.
«Non sei un problema mio.»
Micael scoppiò a ridere.
«Ben detto, Al, non è un problema nostro! In fondo, il ragazzo è qui per Jo, giusto? Quindi che sia lei ad occuparsene.»
«Prego?!» farfugliò Jonna.
«Liam è sotto la tua responsabilità. Da questo momento.»
«Ma…»
«Niente “ma”, signorina! Fai in modo che il tuo ospite abbia una stanza decente e ciò che gli serve. Tienilo d’occhio. Domattina lo voglio sul campo.»
Micael se ne andò, preceduto da Alec, sbattendo la porta. Jonna si volse lentamente verso Liam, gli occhi ridotti a due fessure. Il mago deglutì. Tutto sommato avrebbe potuto andargli peggio, ma avrebbe senza ombra di dubbio potuto andargli molto, molto meglio.
 
«È tempo perso» sbottò Aqua con la fronte appoggiata al vetro sporco.
Hailie le lanciò un’occhiata partecipe.
«Può darsi. Ma, ehi, che altro abbiamo da fare? Tanto vale tenere gli occhi puntanti su quegli splendori di luce…guarda: quando i raggi del sole le colpiscono, le loro squame brillano come diamanti…»
Aqua trattenne un sorriso.
«È vero» disse. «Sono davvero belli. Ma non ne vorrei uno come animaletto da compagnia!»
Hailie scoppiò a ridere.
«Definire un drago “animale” è quasi blasfemo, Aqua» ghignò Konstantin.
Il mago stava sfogliando un vecchio volume dalle pagine di pelle ruvida e dagli angoli consumati.
«Come dovrei chiamarlo?»
«I draghi sono creature ancestrali, come gli unicorni. Definiresti mai un unicorno “animale”?»
Aqua ed Hailie si guardarono e annuirono.
Konstantin scosse il capo sforzandosi di reprimere un sorriso. Poi sospirò.
«Nemmeno qui.»
Chiuse il libro e lo posò sulla pila di volumi che si era accumulata sul tavolo.
«C’è solo un modo per scoprirlo, Stan, te l’ho detto.»
«Ricreare il contatto con Storr? Che sciocchezza! Storr è morto, Aqua, non ti darà alcuna risposta.»
«Sarà anche morto, ma la sua magia è ancora viva, e tiene in piedi questa catapecchia. Quanto credi che impiegherà il tuo incantesimo ad indebolirsi? Quale che sia la ragione de malfunzionamento dei nostri poteri, dobbiamo sapere se è qualcosa che dipende da noi e che possiamo rimediare, oppure no.»
Konstantin spostò lo sguardo su Hailie.
«Sono d’accordo con lei, Stan» disse quella.
Il mago chinò il capo.
«Se le cose stanno così, non mi resta che cedere.»
Si lasciò cadere sul pavimento e tese le mani. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata incerta e si sedettero a loro volta.
Aqua chiuse gli occhi: il pavimento freddo le gelava le ossa anche attraverso i vestiti, e la mano di Konstantin era anche più fredda.
Una luce azzurra la obbligò ad aprire gli occhi, investendola dello scintillio della magia dell’Aria. Forse, aveva sempre sottovalutato Hailie. Forse, sotto quella massa caotica di riccioli c’era davvero un cervello. Per una frazione di secondo la mano di Konstantin si strinse sulla sua, per poi rilassarsi in un turbinio di raggi smeraldini. Come sarebbe stato il fascio di Fuoco? Rosso, senza dubbio. Ma sarebbe stato più vermiglio o più scarlatto? Magari dipendeva dal mago. Magari, se ci fosse stata Mina al posto di Stan, il fascio della Terra sarebbe stato più chiaro, più soffice. Di che colore era la luce dell’Acqua? Rivelando la luce che era in lei, avrebbe forse dovuto esporre il proprio essere più intimo alle persone le mani delle quali giacevano rilassate sulle sue? Era certa di volerlo fare? E se non ne fosse stata capace? Che cosa avrebbero detto di lei? “Liam ci sarebbe riuscito”, le sembrava già di sentire le loro voci.
“Sono ingiusta, loro non hanno mai fatto simili paragoni. È tutto qui, in questa stupida testa che non vuole darmi retta” si disse. “E se non la smetto di pensare farò davvero la figura della stupida!”.
Socchiuse gli occhi, perché il suo sguardo potesse percepire solo i colori cangianti.
“Che meraviglia” pensò, immaginando di seguire i tortuosi sentieri di quei fasci splendenti.
E avvitandosi su se stessa, con il fiato sempre più corto, si ritrovò improvvisamente prigioniera. Ma non desiderava liberarsi di quel bozzolo caldo che la avvolgeva, era lì che doveva stare, dove Aqua non esisteva, inglobata nel flusso di energia.
Spalancò gli occhi: il bozzolo c’era, era tangibile, ed era costituito di luce argentata.
«Wow» sussurrò.
Accanto a lei, Konstantin ed Hailie erano scomparsi, sostituiti da ombre scure. Così come d’ombra era fatta la figura che le stava davanti, il quarto elemento, il Fuoco. Non aveva bisogno di volgere lo sguardo a sé stessa per sapere che cosa avrebbe visto: in un lontano passato, in quello stesso punto era stato seduto Re Storr. Improvvisamente percepì una presenza esterna che premeva sul suo bozzolo. Doveva essere quella l’anomalia di cui parlavano i suoi compagni. Era come un’immensa presenza estranea che permeava tutto l’ambiente circostante. Aqua si guardò attorno, cercando di individuare la provenienza di quell’energia. In un angolo, addossata alla parete, c’era una persona. La figura era nebulosa, ma meno scura delle altre. Aqua poteva distinguere il naso sottile e la fronte larga, nascosta da un ciuffo sfuggito alla coda disordinata. Portava un pugnale in vita. Non c’erano luci attorno, eppure Aqua era certa che l’immenso potere provenisse da quella persona. C’era qualcosa di infantile nei lineamenti di quello che a giudicare dall’abbigliamento e dalla larghezza delle spalle doveva essere un uomo. Quale uomo poteva essere tanto potente da intervenire su tutti e quattro gli elementi? Un Dio, forse?
“O uno stregone” realizzò improvvisamente, con un tuffo al cuore.
Il bozzolo di luce si avvolse più strettamente attorno a lei, trascinandola in una sorta di oblio fatto di immagini confuse.
L’ondeggiare più rapido delle luci le faceva girare la testa. Le figure che le stavano accanto si muovevano convulsamente come in preda ad un delirio. Lo stregone si avvicinò e alzò le mani. Le luci si condensarono in una bolla luminosa che avvolse Aqua e gli altri tre maghi, prima di esplodere, colpendo le pareti della stanza e lasciandole per un momento lucide ed iridescenti.
Aqua osservò quello spettacolo di riflessi fino al loro scomparire, fino a quando la figura di Storr non lasciò il suo posto a sedere, attirando l’attenzione della ragazza.
Il Re scuoteva lo stregone, il cui corpo giaceva inerte sul pavimento freddo. Gli altri maghi assistevano alla scena come paralizzati, mentre dagli occhi obliqui di Storr sgorgavano lacrime che andavano a colpire il viso sfocato dello stregone privo di vita.
Aqua si riebbe quando la mano gentile di Konstantin la scosse. Scoprì di avere le guance bagnate.
«Che cosa hai visto?» domandò il mago.
La sua voce era rassicurante, notò Aqua, profonda come una fossa oceanica, placida come il mare calmo del Golfo di Madian. Ringraziò mentalmente gli Dei di averle messo accanto una persona come lui e prese un respiro profondo.
«C’era anche una quinta persona, e credo fosse uno stregone. Fu lui a perfezionare l’incantesimo. Ma c’è stato un incidente…non so se lui l’avesse previsto o meno, ma la magia congiunta, sua e dei maghi, l’ha centrato in pieno. Credo sia morto.»
Hailie si coprì la bocca con le mani.
«Uno stregone che aiutava Storr?» mormorò Stan.
«Sai chi era?» domandò Aqua.
Il mago annuì.
«Doveva essere Nastomer.»
Aqua trattenne il respiro. Tutti conoscevano la storia della Cascata del Potere e di come Nastomer l’avesse trovata e vi si fosse immerso. I suoi poteri, poi, gli avevano permesso di combattere accanto a Storr, a Horlon e a Kirik, l’allora nutrito esercito del draghi, contribuendo alla vittoria e alla redazione del trattato stipulato in seguito. Ma che cosa ne fosse stato di lui dopo la guerra…beh, quello era materia degli storici.
«Nastomer rimase qui a Cyanor, accanto al Re suo amico» spiegò Konstantin. «Fino a quando non scomparve improvvisamente dalle cronache, più o meno in concomitanza con la creazione di queste stanze» gli occhi del mago si allargarono. «Non ho mai immaginato che avesse avuto parte nella creazione del sistema di difesa del palazzo. C’è una possibilità che i suoi resti siano ancora qui! Ma ci pensate? Aqua, questa è una scoperta grandiosa, un pezzo di storia!» esclamò.
«Perdona se freno il tuo entusiasmo» intervenne Hailie «ma credo che abbiamo un problema…»
Aqua seguì lo sguardo terrorizzato della maga: il drago nero, quello più piccolo, li scrutava con un immenso occhio azzurro dalla pupilla verticale attraverso la finestra chiusa.
«Può vederci?» domandò Aqua, sentendo distintamente il sangue gelarsi nelle vene.
«Se ci vedesse, avrebbe già dato l’allarme. La nostra interferenza nei flussi di energia l’ha attirato qui» disse Konstantin. «Se saremo fortunati, penserà che sia collassato qualche nucleo magico sopravvissuto al tempo. Quando le acque si calmeranno, lascerà perdere. Ma c’è una cosa di tutta questa storia che mi preoccupa: se Nastomer poteva stare qui…Caleb, tanto per dirne uno a caso, riuscirebbe ad entrare?»
 
«Tu sei la persona più stupida che io abbia mai incontrato, Liam!»
Jonna batté la mano aperta sul tavolo. Al contatto con la sua pelle, il legno prese a sfrigolare, e quando la ragazza tolse la mano, ne rimase la sagoma annerita.
«Guarda che hai fatto! Hai rovinato un bel tavolo da interrogatorio!» ironizzò Liam.
«Smettila subito!» sbottò la maga. «Non capisci che è una cosa seria?»
Jonna si avvicinò e accostò il viso al suo. Liam ne percepì tutto il calore, come se si fosse avvicinato troppo ad una fiamma.
«Ti rendi conto di quanto hai rischiato venendo qui?!»
Liam ghignò.
«Interessante reazione…per la prima volta, la regina delle nevi si è scaldata.»
Jonna arrossì e si allontanò.
«Io sono il Fuoco, stupido mago narcisista.»
«Narcisista senza dubbio, ma stupido non abbastanza da essermi già dimenticato di come hai cercato di convincere tuo padre ad ammazzarmi!»
Liam si alzò e le si avvicinò.
«Non è gentile da parte tua, dal momento che sono qui per te…»
«Pensi davvero che ci abbia creduto?! Mi offendi» sibilò Jonna.
Liam si strinse nelle spalle.
«Come dici tu. Ma dovrai sotterrare l’ascia di guerra, tesoro, perché ormai sono arruolato. Sarà il tempo, eventualmente, a farti cambiare idea…» aprì la porta. «Allora? La mia stanza?»
Jonna lo allontanò con una spinta e richiuse la porta.
«No, Liam, aspetta un attimo. Tu non hai davvero capito nulla! Venendo qui hai fatto solo il loro gioco…il gioco di tutti loro!»
«Ma di cosa stai parlando?»
«Di mio padre, e anche di Ruben. Si servono delle persone che stanno loro intorno come di oggetti e quando i loro giocattolini si rompono, non fanno altro che gettarli via e sostituirli con un giocattolo nuovo. Perché credi che Ruben ti abbia spedito qui? Lo so che ti ha mandato lui, è inutile che tu faccia quella faccia, io lo conosco bene, ormai… Tu gli sei diventato scomodo!»
Liam rimase paralizzato, incapace di reagire davanti ad una rivelazione tanto sconvolgente quanto ovvia. La regina delle nevi aveva ragione, Ruben si era mostrato troppo entusiasta di liquidarlo, questo gli era parso immediatamente evidente. Come aveva fatto a cascarci? Non che l’averlo capito subito avrebbe potuto giovare molto alla sua situazione…
«Cazzo» mormorò.
«Buongiorno» sbottò la ragazza.
Liam si passò le mani tra i capelli.
«In realtà, questo non cambierebbe niente. A Natìm c’è la mia famiglia, e se anche il prezzo da pagare per la loro salvezza fosse stato questo viaggetto indesiderato, avrei preparato la valigia. Ma per mia fortuna sono qui di mia iniziativa, perciò niente rimpianti» concluse con un sorriso.
Sperò che non risultasse eccessivamente finto.
Jonna scosse il capo e l’aria tornò a farsi elettrica.
«Non puoi essere così stupido.»
«Tuo padre è anche più stupido di me, dal momento che mi ha creduto sulla parola.»
«Non mi sembra di aver mai sostenuto il contrario!»
Liam sbuffò.
«Senti, Jonna, starei volentieri qui a bearmi della tua splendente bellezza fino alla fine della guerra, ma purtroppo, a quanto pare, domattina mi toccherà combattere. Perciò saresti così gentile da mostrarmi dove posso darmi una lavata e schiacciare un pisolino prima della mia prematura morte? Se proprio ci tieni, e se sarò ancora al mondo, potremo proseguire la nostra piacevole conversazione domani sera…»
Jonna abbassò lo sguardo e Liam trattenne un sorriso. Evidentemente, il modo di metterla a tacere esisteva.
 
Sotto un certo punto di vista, Irthen si riteneva fortunato. Chloé sembrava aver rinunciato ad importunarlo e, anche se la sassata di congedo gli aveva procurato un bel livido, non poteva non esserne grato. Ma questa piccola consolazione non era abbastanza. Dopo aver allontanato Chloé, aveva avuto una visione estremamente chiara della sua situazione: era solo in mezzo ad una banda di sconosciuti. Persino Yu l’aveva scaricato, e in nome di quale principio, poi?
“Tradire la mia fiducia, oppure quella di Ruben. Non si può stare con un piede in due scarpe”. Ma importava davvero qualcosa a qualcuno della sua fiducia? Era solo il fratello sfigato di un disertore con il vizio delle donne, che importanza aveva il suo destino? Ad Abby, pure, non importava niente. O forse no. Doveva riconoscere che Abby era stata onesta, a suo modo. Gli aveva detto di essere una persona da evitare, di diffidare e di non provarci con lei. Lui aveva fatto l’esatto opposto e la colpa era solo sua, non poteva imputare a lei il proprio comportamento irresponsabile. E poi aveva aiutato Liam perché riuscisse a svegliarlo, e gli aveva mandato il suo anello!
Doveva andare da lei. Doveva farlo, prima che fosse troppo tardi.
“No che non devi, razza di idiota! Non ti sembra di aver già fatto abbastanza danni?”, di disse.
No, doveva lasciare Natìm prima di impazzire, soffocato dalle bugie e dalla solitudine.
“Non sei solo, c’è Amina, qui! Lei è tua amica”.
No, Amina aveva già troppi problemi a gestire sé stessa per poter pensare anche a lui.
“C’è Yu”.
Yu? Lei l’aveva scaricato senza riguardi.
“L’ha fatto perché ti vuole bene”.
O perché era di peso.
“Yu non è quel tipo di persona, lo sai, tu vedi oltre la maschera”.
Irthen si sedette sul pontile del porto vecchio di Natìm e alzò gli occhi al cielo. Grosse nuvole scure iniziavano ad oscurare il sole, si preannunciava un temporale.
«Che cosa devo fare?» gemette.
L’aveva promesso. Aveva promesso a Liam che non avrebbe fatto cazzate. Abby sarebbe stata una cazzata?
“Assolutamente sì”, pensò, sentendosi mancare l’aria.
Aveva bisogno di un’ancora.
 
Irthen fece irruzione nelle cucine, guardandosi intorno come un animale il trappola. Una donna anziana tesseva davanti al camino, una bambina impastava il pane. La donna non alzò nemmeno gli occhi, ma domandò:
«Hai bisogno, tesoro?»
Irthen deglutì a vuoto.
«Yu» annaspò.
Sempre senza guardarlo, la donna sorrise.
«In cantina. Prendi quella porta, poi la botola nell’angolo a destra.»
Irthen si affrettò a seguire le indicazioni. La botola si affacciava su di una scala stretta e tremendamente buia, ma dal fondo giungeva il bagliore delle torce. Scese cautamente gli scalini consumati e giunse in una stanza fredda, piena di botti e giare.
«Yu?» balbettò. «Sei qui?»
Da dietro una botte emerse la testa della ragazza.
«Che ci fai qui, Ir?» domandò.
Teneva in mano un foglio su cui appuntava dei numeri con il carboncino. Irthen si avvicinò, le tolse l’elenco dalle mani e lo posò sulla botte.
«Ma che ti prende?!» sbottò, irritata.
«Impediscimi di andarmene» mormorò Irthen.
Yu sgranò gli occhi.
«Sei ubriaco?»
Il ragazzo scosse il capo. Sentiva l’angoscia premergli sulla bocca dello stomaco. Nella luce tremolante del fuoco, Yu sembrava una figura evanescente, sul punto di sparire da un momento all’altro.
«Ir?» insistette.
Irthen deglutì di nuovo a vuoto.
«Tienimi qui, Yu, ti prego. Impediscimelo…» farfugliò.
Yu gli prese il viso tra le mani.
«Non so di cosa stai parlando, ma cerca di calmarti. Sediamoci» disse trascinandolo verso un angolo della stanza.
Lo fece sedere sotto ad una torcia e si sedette davanti a lui.
«Ora fai un bel respiro profondo e aiutami a capire. È per via di Liam?»
Irthen annuì.
«Tu mi hai detto di tenere i miei punti deboli al sicuro, ma il mio principale punto debole se n’è andato incontro a morte certa, lasciandomi qui con un'unica richiesta: “bada a te stesso, anche se io non dovessi tornare”. E non c’è niente, qui, che io senta davvero mio, Yu, niente! Sono come un cane smarrito che non trova più la via di casa! Non c’è nessuno che possa avere bisogno di me, che mi stimoli a farlo, a prendermi cura di me stesso. Mina, Clo, tutti hanno qualcuno su cui contare. Eravamo solo io e lui, una minuscola famiglia che comunque funzionava…e ora sono solo. E non c’è nulla, ora, che io desideri di più che uscire là fuori per cercare Abby, ma lei si farebbe trovare, maledizione, lo so! E allora io sarei perduto, e sarei venuto meno all’unica promessa che mio fratello mi ha imposto prima di andarsene…Yu, non me ne frega niente se sei una spia di Ruben, se stai con me per necessità, opportunismo, o perché ti è stato ordinato, purché tu riesca ad impedirmi di lasciare Natìm!»
La ragazza aveva gli occhi tanto sgranati da sembrare un rospo.
«M-ma, Ir…come…» balbettò.
«Non ha importanza, legami se vuoi…» gemette. «Mi resti solo tu.»
Yu lo abbracciò stretto, e Irthen si sentì rincuorato dal suo peso premuto addosso. L’avrebbe fatto anche contro la sua volontà, se necessario. Avrebbe fatto di lei la sua ancora.
 
Yu posò sul tavolino di cristallo il vassoio con la teiera fumante, le tazze, la giara di miele e la brocca di latte, e si affrettò a cacciare fuori la ragazza che aveva portato i pasticcini. Non era nello stile di Ruben accogliere gli ospiti in un modo simile, ma anche la giovane cameriera poteva rendersi conto della gravità della situazione.
Nel tardo pomeriggio, dopo essere riuscita a convincere Irthen a mangiare e a farsi un bagno con la promessa che la cosa l’avrebbe fatto sentire meglio, Ruben l’aveva mandata a chiamare con urgenza. Il Governatore Glenndois di Bosco Lossar era giunto a Natìm con buona parte del suo esercito – un’ottantina di elfi e altrettanti cavalli – ed era stato raggiunto poche ore dopo da Re Horlon in persona, accompagnato da un piccolo contingente delle guardie di Lumia.
Il loro arrivo aveva creato scompiglio in città. Da tempi immemori la gente non vedeva elfo, ad eccezione di Rowena e di Oliandro, e la loro comparsa improvvisa era stata percepita come un segnale d’allarme: la guerra stava per scoppiare. Probabilmente era proprio così, pensò Yu.
I due elfi non avevano voluto saperne del Consiglio e avevano imposto a Ruben un colloquio privato, loro tre soli. Yu costituiva l’unica eccezione, e non sapeva decidere se sentirsi onorata o terrorizzata. E mentre si ritirava nel suo angolino, Glenndois le lanciò l’ennesima occhiataccia.  
«Non possiamo andare avanti così per tutta la notte, Glenn» disse il Re addentando un dolcetto.
«Non andrò in guerra per un motivo tanto indecoroso!» sbottò il Governatore incrociando le braccia.
Yu sospirò silenziosamente.
“Eccoci di nuovo daccapo”, si disse, frustrata.
I due elfi avevano voluto spiegazioni, ogni minimo dettaglio possibile sulla fuga di Jonna e di Liam, e Ruben non aveva potuto tacere loro la verità. Ci aveva provato, oh sì!, ma non era possibile mentire spudoratamente a due elfi millenari senza venire indegnamente scoperti. Avevano discusso della presenza di tre maghi nel cuore di una città di ruderi occupata dal nemico e del progetto di Ben di spostare le truppe a Cyanor per tenere il conflitto lontano dal bacino del Lago di Nebbia ed evitare di finire nella morsa di un assedio, come Torat.
Glenndois non era d’accordo. Non desiderava lasciare il Bosco, almeno fino a quando non ci fosse stata più alcuna alternativa percorribile.
Horlon, invece, sembrava interessato, ma era reticente a lasciare Lumia sguarnita. Bosco Lossar era protetto dagli unicorni, aveva detto, ma la sua capitale sarebbe stata completamente indifesa sotto agli eventuali attacchi degli stregoni. Perciò proponeva di inviare la metà del suo esercito, e di lasciare la restante parte nel Reame Eterno.
A quel punto, era stato Ruben a dichiararsi contrario: anche lui aveva tre fronti da difendere, e non aveva uomini sufficienti per continuare a farlo e, insieme, attaccare Cyanor.
L’unica alternativa praticabile, allora, si era deciso, era quella di lasciare i contingenti delle città alleate del Nord in difesa delle linee, e spostarsi nella piana di Thann con i soli maghi e qualche squadra di supporto, proveniente dalle città del Sud come Phia, Fell e Pall. Ma questa sarebbe stata una strategia sufficientemente suicida già con l’appoggio degli elfi di Horlon e quelli di Glenndois. Se il Governatore si tirava indietro non si poteva fare.
Di questo si discuteva ormai da ore e Yu cominciava a pensare che non si sarebbe più raggiunto un punto d’incontro.
«Non ci si può fidare degli umani, è ciò che ho sempre sostenuto» disse Glenndois picchiando il pugno chiuso sul tavolino.
Il servizio da tè tintinnò.
«Sei ingiusto» disse Ruben. «Liam ha superato la vostra stupida prova con l’acqua incantata, merita più rispetto.»
«Mi hai frainteso, Ruben dell’Aria, il problema non è Liam, ma sei tu.»
Yu trattenne il respiro.
«Tu hai mandato un elemento che poteva essere determinante per l’esito del conflitto verso una morte molto probabile, e l’hai fatto per scopi personali» proseguì l’elfo.
“Lo sanno”, pensò Yu, “sanno che Ben voleva liberarsi di lui!”.
Ruben non rispondeva. Si limitava a guardare l’elfo diritto negli occhi neri senza battere ciglio. Stava studiando una strategia.
Horlon tossicchiò e si sporse per prendere un altro pasticcino.
«Glenn ha ragione. Tuttavia, la cosa ha un risvolto positivo: se Micael dovesse decidere di servirsi dello smisurato potere di Lukas dell’Aria, allora uno dei nostri sarà lì per impedirlo.»
Glenndois scosse di nuovo il capo.
«Non è un’argomentazione sufficiente.»
Ruben bevve un lungo sorso e posò la tazza.
«Signori miei, avete letto i rapporti. Gli orchi non danno segno di calare, a differenza dei miei uomini, e ho già perso una maga. L’aiuto che le città alleate mi sta dando è grande, ma non abbastanza da permettermi di mantenere tre fronti di guerra. Se le cose non cambieranno, presto questa città cadrà, e così Effort e la mia coalizione. Gli orchi invaderanno Natìm, Riva, e poi i principali centri del Sud. Torat, a quanto si dice, si sta difendendo da un esercito che è già giunto a ridosso delle mura cittadine. Quanto credete che impiegheranno Caleb e Djalmat a dirigersi verso Lumia?»
Glenndois non batteva ciglio, ma Horlon si mordeva il labbro inferiore con ferocia. Nel silenzio che seguì le parole di Ruben, Yu fu certa che nulla sarebbe cambiato, che sarebbero rimasti lì a discutere tanto a lungo da diventare statue di pietra. Ma improvvisamente Horlon si alzò.
«Smettila di fare il bambino, Glenn! Ruben è uno stronzo opportunista, ma ha ragione! Se attacchiamo Cyanor, sono certo che i draghi richiameranno parte dei contingenti dislocati sui vari fronti e la situazione si alleggerirà. E poi…lo so che è un piano suicida, questo, ma quanto tempo guadagneremmo aspettando? L’ultima volta, i draghi non potevano vantare l’alleanza di tre stregoni, lo sai bene, e noi avevamo Nastomer dalla nostra! Le cose non sono come allora, perché non riesci a mettertelo in quella zucca vuota che ti ritrovi?»
Yu si rese conto di sorridere solo quando incrociò lo sguardo di disapprovazione di Ruben. Ma che ci poteva fare? Quell’elfo dai capelli neri e dagli occhi blu era pieno di sorprese!
Glenndois chinò il capo, una cascata di capelli d’oro gli coprì il viso.
«È questo il volere del mio Re?» mormorò.
«No» disse Horlon posandogli una mano sulla spalla. «No, questo è l’infantile desiderio di tuo fratello. Desidero combattere accanto a te, come ho sempre fatto. Quella che si prospetta potrebbe essere l’ultima battaglia, non privarmi di questa sicurezza…»
Glenndois sorrise, e Yu era pronta a giurare che avesse gli occhi lucidi.



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Non credo che partorire possa essere peggio di scrivere un capitolo come questo............
   
 
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