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Autore: Leahia    26/05/2014    4 recensioni
Ok, sono matta, ma vi presento la mia prima opera a capitoli! E’ un Natale particolare di Elliot e Leo, con precisione l’ultimo Natale di Elliot. E niente, se vi va leggete!
“Elliot stava tranquillamente finendo di leggere un volume di Holy Knight, adagiato nella poltrona della fantastica biblioteca dei Nightray. Il camino scoppiettava felice, eliminando il freddo pungente altrimenti presente nella grande villa”
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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26 dicembre
 
 
La mattina era soleggiata e la neve nel cortile brillava come diamante. Vanessa camminava decisa per il corridoio della camera del fratello, per svegliarlo e rimproverarlo di essere ancora a letto quando era così tardi. Raggiunta la fatidica porta Vanessa la aprì, e vide una scena che mai si sarebbe aspettata: c’era Elliot addormentato, appoggiato al cuscino che era alzato contro il muro, e Leo, anch’egli addormentato, adagiato sul petto di Elliot, che lo stringeva teneramente per la vita. In mano Leo aveva quello che pareva un manoscritto, e parecchie pagine erano sparse sul terreno. In fondo al letto dormiva beato anche il gattino che avevano trovato tre giorni prima. Vanessa chiuse la porta. “Ok, sicuramente Elliot ha chiesto al suo servitore di riscaldarlo... sì, deve essere per forza così” si ripeteva. Non poteva accettare che al fratello interessassero i ragazzi. Non. Poteva. Insomma, lui era un Nightray, santo cielo... Scosse la testa e bussò forte.
-ELLIOT! Che ci fai a letto a quest’ora? Sveglia!
La ragazza sentì che lentamente i due si stavano svegliando. Un minuto dopo il fratello aprì la porta, vestito ma con gli abiti sgualciti.
-Vanessa? Che ci fai tu qui?- chiese stupito. La ragazza sbuffò irritata.
-Sono tornata prima, ti dispiace?- rispose. Elliot non ebbe tempo di ribattere che comparve Leo.
-Signorina Vanessa, bentornata.
Lei lo ignorò, come sempre e scese le scale, lasciando i ragazzi da soli. Leo sospirò.
-Uffa... non mi piace che ci sia altra gente...
-Che ci vuoi fare, è la mia famiglia- alzò le spalle rassegnato Elliot- Se mi vuoi bene devi accettarla.
-Ma se non la accetti nemmeno tu!
Elliot ammise la ragione dell’altro, e scesero in salotto, dove trovarono già anche il padre, che li salutò gentilmente. Mangiarono la loro colazione sentendosi particolarmente osservati, sensazione decisamente comprensibile, visto che Vanessa non li perdeva d’occhio nemmeno per un secondo. Appena finito di mangiare salirono per suonare il pianoforte nuovo di Leo, affermazione alla quale Vanessa lanciò uno sbuffo d’indignazione. I ragazzi la ignorarono e salirono fino a raggiungere la stanza del piano, e si sedettero di nuovo accanto per suonare qualcosa.
-Tu credi che Vanessa sospetti qualcosa?- chiese Leo teso, prima di iniziare a suonare.
-Non lo so...- rispose Elliot. Anche lui aveva avuto la stessa sensazione, ma non era possibile che li avesse visti e non avesse detto niente. Suonarono i loro pezzi migliori, e dopo un quarto d’ora ogni dubbio cattivo era scomparso, e c’erano solo loro due e le loro labbra a contatto. Nemmeno sapevano come erano finiti in quella situazione. C’era Leo seduto sulle ginocchia di Elliot, che lo cingeva all’altezza dei fianchi e lo baciava con passione. Si erano quasi dimenticati di non essere soli in casa. Ma ebbero modo di ricordarselo presto. La porta si aprì ed entrò Vanessa, che li guardò esterrefatta. A quel punto era inutile sperare. A suo fratello piacevano i ragazzi. E non i ragazzi in generale, ma Leo. Il suo servitore.
-ELLIOT?!- gridò, non sapendo che altro fare. Quanto ai due, la stavano guardando sentendosi crollare il mondo addosso.
-Vanessa...- mormorò Elliot.
 
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I passi di Leo risuonavano nei viottolini di ghiaia fredda sotto le sue scarpe. Si strinse nel cappotto e camminò ancora più velocemente, finché non raggiunse la meta. Una tomba, una tomba bianca di marmo con un nome dorato a lettere molto eleganti: “Elliot Nightray”. Leo guardò la tomba, e come sempre le lacrime fecero capolino dai suoi occhi. Si inginocchiò di fronte a tutto ciò che gli rimaneva di Elliot, del suo Elliot, di quello che aveva tradito ogni tradizione per stare con lui, perché si amavano più di quanto chiunque potesse capire. Si lasciò andare ad un pianto disperato, singhiozzando sulla tomba del ragazzo. Dopo un paio di minuti parve riacquistare il dono della parola.
-Ciao, Elliot- salutò roco- Sono venuto a trovarti qui per l’ultima volta. Oggi è il ventisei dicembre, il giorno in cui ci hanno scoperti tutti, ricordi? Come puoi non ricordartelo... è stato esattamente un anno fa, prima che...- la voce gli si strozzò in gola e Leo sciolse il nodo facendo scorrere altre lacrime calde lungo le guance- E vedi, sono tornato. Prima devi sapere un po’ di cose: il pianoforte che mi hai regalato lo hanno distrutto, e il mio racconto lo ha bruciato tuo padre pochi giorni dopo quella notte. Chesire sta bene, l’ho affidato ad Ada Vessalius, spero che mi perdonerai, e lei ha promesso che se ne prenderà cura. Sai, il gatto ti cercava, i primi tempi. Oh, e un’altra cosa- aggiunse, sorridendo tra le lacrime. Mise una mano nella giacca e tre fogli ingialliti caddero sulla tomba bianca. Ritraevano tutti una sola cosa: Leo. Leo che suonava, che leggeva, che guardava da un’altra parte, irritato, sorridente. E ce n’era uno che ritraeva a tutta pagina Leo addormentato, con un’espressione serena e dolce sul viso, i capelli disordinati sul cuscino e sulla coperta. I tratti erano morbidi, delicati, che sembravano quasi eterei, e il carboncino era riuscito persino a rendere l’idea del sole sulla pelle, i primi raggi, quelli che ingentiliscono ma non illuminano. In fondo al foglio c’era una firma in bellissima calligrafia: “Elliot Nightray”. Leo guardava i fogli, sorridendo.
-Questi li hai fatti tu. Li ho trovati nella rimessa del tuo letto. Disegni veramente in maniera divina, Elliot, non ho mai visto qualcuno più bravo di te. Sono bellissimo in quei ritratti.
Guardò i fogli ancora per qualche secondo, nel quale il gelo parve chiedersi la prossima mossa di Leo, muovendo con un vento secco e freddo i disegni. Poi il moro tirò fuori dalla giacca un’altra cosa, un coltello. Un coltello affilato, d’argento. Lo alzò all’altezza del petto e si lasciò andare di nuovo ai singhiozzi.
-Perdonami, scusa, ma devo farlo. Io non ce la faccio a svegliarmi tutte le mattine e pensare che tu non sei nel letto accanto al mio, e che non ci sarai più. Che non mi ritrarrai a mia insaputa, come certamente hai fatto. Se tu ci fossi me lo impediresti, ma ho sempre avuto la tendenza a non obbedire ai tuoi ordini, no? Quindi non importa se non ti piacerà. Voglio solo smettere di stare qui. Scusa se facevo cadere i vassoi quando ti servivo. Scusa se non ti ho mai ascoltato abbastanza. Scusa per la battute che non ti piacevano. Scusa per tutto. Ti amo.
Sempre piangendo Leo mise il coltello più vicino al cuore, la lama brillò per un secondo alla luce di metà mattina, poi affondò.
 
Ben arrivato.
 
 
 
 
 
 
 
Note della Povera Pazza
Saaalve… buonasera a tutti… Per iniziare, IMPLORO PERDONO IN GINOCCHIO VI CHIEDO SCUSA!!! Mi sono tormentata tutta la settimana perché ero indecisa se pubblicare o no questo capitolo, molto più corto degli altri e decisamente più brutto. Mi hanno costretta. Mi dispiace tantissimo! Oltretutto la prima parte oltre a essere inutile è anche davvero inguardabile, da quant’è brutta. Comunque adesso è finita, ovviamente, e spero quindi che mi perdonerete per questa specie di “sfogo”, nato dalle mie mani possedute. Per spiegare una svolta così netta nel mio stile (che poi in realtà e quello drammatico, e non romantico), dopo aver finito di scrivere la scoperta di Vanessa, sentivo che mancava qualcosa e le manine mie sante (vi ucciderò) hanno prodotto il meraviglioso finale con il quale ho quasi fatto piangere due persone. Ho pubblicato la storia con un giorno di anticipo perché domani sera devo studiare, ma questo è irrilevante. In ogni caso, bè, è finita, e credo che non mi farò più vedere per qualche tempo perché ho perso ogni traccia di ispirazione e quella di due mesi fa (dalla quale sono nate tutte le storie che ho pubblicato) non ha prodotto altro di decente. Per cui, in conclusione, scusatemi molto per quest’estro letterario di un mesetto e… a risentirci, forse. La Pazza se ne va.
  
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