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Autore: DirceMichelaRivetti    28/05/2014    3 recensioni
Isaia non vuole uccidere Gabriel, ma non può neppure correre il rischio che la profezia si realizzi. Deve trovare un'altra strada...dovrà, però, scendere a patti proprio con Serventi.
Gabriel, intanto, prosegue la sua vita con Claudia e a Capo del Direttorio. Una gran noia la burocrazia della Congregazione, finché a smuovere la routine interviene l'eccentrica sorella di Isaia, che cerca il fratello.
Caso strano, Stefano riceverà l'incarico di fare una verifica proprio su di lei.
Presto tutti quanti i personaggi dovranno riunirsi per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutte le divergenze.
Gabriel non sarà affatto felice di rivedere Isaia, che afflitto dal dolore deve costantemente ricordarsi di Dio, per potersi concentrare sulla sua missione.
Serventi non si fiderà delle proposte.
Il resto .... ve lo lascio leggere. Ho accennato qui ad alcuni dei punti di maggior rilievo di questa storia, ma non ci sarà solo questo.
Il tutto sarà condito da speculazioni esoteriche-filosofiche-teologiche. Probabilmente anche un po' di romanticismo, ma non sarà il tema centrale.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Antinori, Nuovo personaggio, Padre Isaia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gabriel e Claudia avevano accettato di non perdere d’occhio Lucrezia, poiché era stata la ragazzina stessa a chiederlo. Le voci continuavano a parlarle a chiederle cose che lei non si attentava neppure a ripetere, ma la tormentavano e lei aveva paura di cedere, non sapeva a chi rivolgersi e gli unici a cui sentiva di poter chiedere aiuto erano proprio l’exgesuita e la psicologa.

Claudia aveva portato con sé alcuni specifici giochi da fare con la ragazzina, nella speranza di riuscire a farsi confidare qualcosa durante la fase di gioco.

“Come prima cosa, le proporremo di giocare a pictionary.” spiegò Claudia, mentre Lucrezia era in bagno.

“D’accordo, però io non sono molto bravo a disegnare … e poi non siamo pochi?” chiese Gabriel.

“No, l’importante è che sia lei a disegnare. È come un test delle macchie di rorscharc, però al contrario. Ho selezionato le tesserine con le parole da disegnare: a seconda di come rappresenterà determinate cose e concetti, potrò capire che disturbi ha.”

“Va bene! Sei geniale!” disse l’uomo, prima di baciarla.

La ragazzina tornò nel salotto dove l’aspettavano Claudia e Gabriel, i suoi genitori erano usciti per non disturbare durante quella sorta di esame od osservazione.

La psicologa notò subito che Lucrezia aveva gli occhi un po’ gonfi ed arrossati, da ciò dedusse che avesse pianto, tuttavia non le chiese come mai, per evitare di darle l’impressione di essere invadente. La donna sorrise e le chiese: “Ti va di fare un gioco?”

“Sì, certo.” rispose la ragazzina, ma si percepiva che il suo entusiasmo era un po’ forzato.

“Cosa ti va di fare? Guarda, qui c’è pictionary! Ti piace?”

Lucrezia annuì e si avvicinò al tavolo.

“Solo che siamo pochi, non possiamo fare le squadre …” Claudia finse di accorgersene solo in quel momento “Dai, disegni tu e noi indoviniamo, va bene?”

La ragazzina prese la matita e sollevò la prima tessera per vedere quale parola dovesse raffigurare.

Per un buon quarto d’ora procedé tranquillamente, poi iniziò ad avere qualche tremore di tanto in tanto. Nel frattempo, Gabriel ricevette la telefonata di Stefano in cui gli chiedeva se la ragazza fosse stata mestruata, quando aveva sentito per la prima volta le voci.

Dopo, Lucrezia iniziò ad essere pian, piano sempre più nervosa; il tratto del disegno si fece più incerto, a volte la mano si spostava bruscamente, facendo segnacci che non c’entravano nulla con la figura. Ogni tanto faceva degli scatti con la testa o sussultava e pareva borbottare qualcosa a denti stretti, ma poi fingeva che fosse tutto a posto.

Sia Gabriel che Claudia avevano capito che stava sentendo le voci ma sperava di nasconderlo. L’uomo si avvicinò alla ragazzina, le mise una mano sulle spalle e le chiese se tutto fosse a posto.

“Sì … sì …” annuì lei, senza guardarlo.

“Sicura? Sembri un po’ nervosa, sei stanca? Vuoi cambiare gioco?”

“No …” scosse il capo lei “… Scusate, devo andare un attimo in bagno …”

Lucrezia salì al piano di sopra.

“Allora, che idea ti sei fatta?” chiese Gabriel, appena rimase solo con la psicologa.

“Non lo so, è difficile.” scorse rapidamente i disegni riesaminandoli “È senza dubbio stressata e sono sicura riceva molte pressioni. Non riesco però a capire che tipo di pressioni siano, da parte di chi! Per quello che ho scoperto in questi giorni, i suoi genitori sono davvero comprensivi e non sono né troppo severi, né pretendono troppo da lei. Fa una vita tranquilla, pratica sport, ma senza ambizioni e non frequenta strane compagnie. È vero che non va d’accordo con alcuni compagni di classe, ma finora non risulta sia stata vittima di bullismo, né ha avuto pressioni sociali.”

“Quindi stai dicendo che è agitata, nervosa etc, ma non c’è una effettiva causa?”

“Una causa c’è, solo che non l’ho ancora individuata.”

“Se le voci avessero una reale esistenza, all’infuori della sua testa?”

“Gabriel, è ridicolo!”

“Claudia, ti è quasi accaduta la stessa cosa, quando abbiamo indagato sulla villetta infestata! Io ho visto davvero dei fantasmi là dentro e tu e la donna che ci si era appena trasferita avete subito l’influsso della pianista. Mi hai aggredito! Tu sei una persona pacifica, non ti ho mai vista sollevare un dito contro qualcuno, in quel momento, invece … devi ammettere che c’era qualcosa che ti ha spinta ad agire in quel modo!”

“Gabriel, te l’ho già detto, io pensavo davvero tutto ciò che ti ho detto in quel momento!”

“Lo so, questo lo so, ma ciò non giustifica il fatto che tu abbia tentato di uccidermi. La rabbia e il dolore erano tuoi, ma c’è stato qualcosa che li ha esasperati e ti ha indotta ad agire così violentemente.”

Claudia abbassò gli occhi per qualche momento: effettivamente doveva riconoscere il fatto che quella volta, in quella casa, c’era stato qualcosa di veramente strano.

Tornò, però, subito alla carica: “Anche ammettendo che quelle voci siano, chessò, entità strane, fantasmi o altro, che cosa avresti intenzione di fare? Quella volta tu sei riuscito a mitigare il mio dolore, a confortarmi, qui che cosa credi che bisognerebbe fare? In ogni caso bisogna capire qual è la radice della sua sofferenza! È sempre questo l’importante: capire il suo turbamento. Dopo le proporrò un altro gioco, in cui si deve creare una fiaba, sono certa che emergeranno elementi rilevanti.”

“Va bene, aspettiamo.”

Rimasero tra di loro ancora una decina di minuti e avevano iniziato a preoccuparsi.

“Perché ci mette così tanto?” domandò Gabriel “Non è normale …”

“Era piuttosto nervosa prima, può essere che abbia bisogno di calmarsi un poco.”

“Non mi piace, però. Prima chiede il nostro aiuto e poi si comporta così …”

“È confusa e spaventata: è normale che agisca in questo modo.”

“Non lo so, non mi convince … e poi proprio perché è confusa, spaventata e turbata, dovremmo starle vicino, non credi?”

Claudia ragionò qualche momento, poi annuì e disse: “Hai ragione: è giusto non risultare invasivi, ma un piccolo incoraggiamento le farebbe decisamente bene. In effetti non mi aspettavo fosse così chiusa: l’altro giorno era più loquace, turbata, ma comunque più gioviale, questa sera, invece … Vado a controllare come sta, magari riesco a parlarle.”

La donna salì le scale per raggiungere il secondo piano; si guardò un attimo attorno per capire dove fosse il bagno. Tutte le porte che davano sul corridoio erano chiuse. Claudia sentiva un singhiozzare, ma non capiva da dove venisse con esattezza, per cui chiamò: “Lucrezia! … Lucrezia!”

Nulla, anzi il singhiozzare si interruppe.

Gabriel si era avvicinato alle scale e, dal piano di sotto, domandò: “Ci sono problemi?!”

“No, tranquillo …” rispose la psicologa, poi chiamò di nuovo: “Lucrezia!”

Finalmente una risposta: “Vattene via!”

La voce era disperata e spaventata allo stesso tempo. Non sembrava irritata, bensì era come se volesse avvertire la donna di un pericolo e allontanarla da esso.

Claudia aveva capito dove si era rinchiusa la ragazzina, per cui si avvicinò, bussò e chiese: “Lucrezia, che succede?”

“Ti ho detto di andartene!” l’ammonì di nuovo lei, piangente.

“D’accordo, ti lascio subito tranquilla. Dimmi prima, però, se stai bene.”

“Sì, sì, sto bene!” protestò sbrigativamente Lucrezia.

“Sicura?”

Sììììììììììì!” si spazientì la ragazzina “Adesso vattene.”

“Va bene, va bene! Se hai bisogno, noi siamo di sotto, ricordalo: siamo qui per te.”

Claudia si voltò e stava per scendere le scale, quando sentì di nuovo la voce di Lucrezia: “No! No!” gridava in un misto di emozioni.

“Lucrezia!” si allarmò la psicologa, ma non fu sentita.

“No! Non lo farò! Lasciatemi! … Via, via … smettetela!” era un pianto di sperato “Non lo farò!”

Nel misto di pianto e proteste, si iniziarono a sentire urla di dolore e una nuova parola s’aggiunse alle altre: basta!

Claudia si precipitò alla porta, afferrò la maniglia e l’abbassò, ma era chiusa a chiave. Tentò comunque di aprirla e, nel mentre, gridava: “Gabriel! Gabriel! Vieni! Sta accadendo qualcosa!”

L’uomo si precipitò di sopra. Intanto Lucrezia continuava a strillare: Via! No! Basta! e altro ancora, in maniera inconsulta.

“Claudia, che succede?!” domandò l’uomo con preoccupazione, raggiungendo la donna.

“Non lo so! Si è chiusa là dentro … Mi ha detto di andarmene e poi … Non ne sono sicura, ma credo che abbia iniziato a sentire di nuovo le voci, è come se ci stesse litigando …”

“Lucrezia! Lucrezia!” la chiamò anche Gabriel.

Inutile, la ragazzina non lo considerò: continuava ad urlare rivolta verso le voci.

Gabriel decise di sfondare la porta e gli bastarono due spallate. Nel bagno videro Lucrezia che agitava le mani come a scacciare esseri invisibili ed era presa dalle convulsioni.

Claudia mosse qualche passo in avanti per raggiungere la ragazzina che, accorgendosene, le gridò: “No! Ferma! Vattene, vattene! Devi andare via!”

“Calmati, Lucrezia.” le disse Gabriel “Claudia è qui per aiutarti, come me; perché la cacci?”

La ragazza piangendo, balbettò: “È per lei! È per salvarla …”

“Salvarla da cosa?”

“Da me!”

“Cosa stai dicendo?” intervenne la psicologa.

“Loro! Le voci.” spiegò Lucrezia, sentendosi impotente “Loro vogliono te.” fu attraversata da una convulsione più forte delle altre e lanciò un grido straziante, poi disse: “Vattene subito! Non posso resistere ancora tanto … dovrò obbedire … scappa!”

Claudia parve non turbarsi, fece ancora un passo, dicendo: “No. Io non me ne andrò, finché non ti sarai calmata, poi, se ancora non mi vorrai qui, ti saluerò.”

“Aspetta.” Gabriel si mise tra lei e la ragazzina, guardò quest’ultima e le chiese: “Perché le voci vogliono Claudia?”

“Non lo so.” Lucrezia scosse la testa, piangendo “Ma deve andarsene!” ansimò “Vogliono lei, vogliono il bambino …”

“Perché?” insisté Gabriel.

“NON LO SO!!!” urlò Lucrezia.

L’uomo si voltò verso la psicologa e le disse: “Claudia, è meglio se esci …”

“No.” lo interruppe lei “Non lascio soli né te, né lei: guardala, ha bisogno d’aiuto!”

Gabriel si accostò all’amata e le sussurrò: “Per favore, vai fuori per qualche minuto, almeno finché non si sarà calmata. Ha già aggredito, ti prego, non corriamo pericoli.”

“Tu, qui, da solo, ne correrai.”

“Sarà solo per pochi minuti … Facciamo così: esci e telefona a Stefano, dovrebbe essere ancora in giro. In tre, qua, potremo stare più tranquilli, ma adesso vai.”

Claudia, più per compiacere Gabriel che per propria convinzione, uscì, intenzionata a rientrare il prima possibile. Fuori dal cancello, si accese una sigaretta, ma dopo un paio di tiri si ricordò di essere incinta e che non andava bene fumare, per cui la gettò a terra e si disse che avrebbe fatto meglio a togliere le sigarette dalla borsetta, in modo da evitare di fumare, quand’era sovrappensiero. Si chiese se Gabriel fosse serio quando le aveva detto di chiamare Stefano, ad ogni modo le parve una buona idea e, quindi, prese il telefono e chiamò.

“Pronto.” rispose il ragazzo.

“Ciao Stefano, sono Claudia, sei già rientrato a casa?”

“No, ma mi stavo avviando; perché?”

“Potresti raggiungerci qui da Lucrezia, per favore?”

“Va bene … come mai? Ci sono complicazioni?”

“All’incirca. Lucrezia sta avendo una crisi e non vuole ch’io stia in casa. Pensiamo che sia meglio avere un’altra persona che dia una mano a Gabriel, non mi piace l’idea di lasciarlo solo.”

“Va bene, arrivo subito. Per fortuna, sono in zona.”

Nel frattempo, Gabriel era ancora intento nel cercare di far calmare Lucrezia, che stava ormai delirando e le convulsioni erano diventate veri e propri attacchi epilettici.

Gabriel fece ciò che gli era stato insegnato per affrontare crisi epilettiche, per cui sdraiò la ragazza, le tenne sollevati i piedi e controllò che non si facesse male da sola durante gli spasmi e che il corpo non si irrigidisse eccessivamente.

Dopo alcuni minuti, le convulsioni iniziarono a scemare, fino a cessare. Lucrezia riprese conoscenza, si mise a sedere, si guardò attorno smarrita e cominciò a piangere, ovviamente molto lentamente, poiché era ancora stordita. Gabriel le carezzò la testa per confortarla e le disse: “Tranquilla, è passato.”

“No.” replicò seccamente la ragazza, pur faticando a parlare e facendolo molto lentamente “Quella era la loro punizione perché ho avvertito Claudia. Loro torneranno presto.”

Lucrezia era priva di energie per quell’attacco ed era in una condizione di torpore, per cui si addormentò nell’arco di pochi minuti. Gabriel la sollevò e la trasportò in camera, coricandola su un lato. Sperando dormisse per qualche ora, scese a cercare Claudia.

“Allora? Come sta?” chiese la psicologa, appena vide l’amato.

“Ora dorme. Ha avuto una crisi epilettica e ha dato la colpa alle voci, ha detto che era una punizione.”

“Beh, direi che a questo punto si può dare per certo che senta effettivamente delle voci e che non siano una scusa per nascondere delle pressioni sociali. Bisogna capire che tipo di patologia sia. La presenza di attacchi epilettici restringe un poco il campo, ma non abbastanza.”

“Non lo so, secondo me queste voci non sono frutto della sua immaginazione, ma esistono davvero.”

Claudia stava per replicare, ma finalmente sopraggiunse Stefano.

“Ciao, scusatemi, ho fatto il più preso possibile.” salutò, trafelato “Avete già risolto?”

“Per il momento dorme.” spiegò Gabriel “Ma appena si sveglierà, potrebbe avere altre crisi. Io e Claudia stavo discutendo sulla natura delle voci che sente. Piuttosto, perché mi hai chiesto se Lucrezia fosse mestruata?”

“Quelle voci sono larve che hanno bisogno di sangue per ottenere una parvenza di esistenza.”

La psicologa lo guardò piuttosto scettica, come a chiedere maggiori spiegazioni per quell’assurda affermazione. Gabriel, invece, parve molto interessato. Stefano, allora, riassunse quel che aveva scoperto, parlando con Giuditta.

“È perfetto!” esclamò l’ex gesuita, che era convinto di quella tesi “Fantasmi che avvicinano persone in condizioni psichiche difficili.”

“Molto pittoresco, sì.” ribatté Claudia “Ma è una teoria che non ha nessun fondamento scientifico! Come possiamo verificarla? E poi quale sarebbe la soluzione? Lavoro terapeutico con Lucrezia, finché non spezza il legame che ha con queste voci?”

“Un modo per verificare se si tratta davvero di questo c’è, credo.” disse Stefano “Solo che ci serve del sangue … parecchio.”

“E dove lo troviamo?” domandò Claudia “Non possiamo certo scannare qualcuno.”

“Un macellaio.” intervenne Gabriel “I macellai hanno sempre del sangue di maiale.” guardò l’orologio: era l’una “Credo che il macello comunale apra tra un paio d’ore. Potremo andarci e prendere un po’ di sangue.”

La donna storse il naso, poi scosse la testa e si rassegnò: “Va bene, magari servirà a farvi capire l’assurdità di quest’ipotesi.”

Dopo un’ora e mezzo circa, Stefano riprese l’auto e si avviò verso il macello comunale. Tornò alla casa di Lucrezia attorno alle quattro del mattino, portandosi dietro alcuni litri di sangue. Entrò nell’abitazione e fu informato che la ragazzina ancora dormiva. Gabriel fu del parere, però, di agire subito, per cui portarono una bacinella nella stanza della ragazza e vi versarono dentro le sacche di sangue. Claudia rimase sugli stipiti ad osservare con scetticismo, mentre i due uomini si accomodarono su delle sedie e aspettarono.

Per i primi cinque minuti non parve accadere nulla e la psicologa stava già cantando vittoria, ma poi la superficie del sangue raccolto iniziò a vibrare, piccole onde che andavano man mano ad incresparsi sempre di più. Cominciarono, poi, ad emergere delle bolle e pian, piano la bacinella aveva preso a ribollire completamente. Il livello del sangue iniziò a calare e nell’aria andavano a comporsi strane figure di fumo o vapore, era difficile da dire.

Claudia era impietrita e le vennero i brividi, ricordandosi dell’uomo nero.

Gabriel, per un momento, rimpianse che non ci fosse Isaia, pronto a sfoderare il crocefisso ed ad esorcizzare.

Stefano in prima istanza, avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale, ma la paura durò non più di un paio di secondi. Immediatamente il giovane si sentì tranquillo e non capiva proprio perché. uno strano luccichio si fece largo nei suoi occhi

Quando il sangue nella bacinella fu scomparso del tutto, il vapore aveva assunto l’aspetto di quattro figure umane, delle quali si potevano distinguere i contorni e le cavità nere al posto degli occhi.

Grazie …. riecheggiò nelle teste dei tre umani.

Come possiamo ripagarvi? Chiedete …

Gabriel e Claudia si fissavano, basiti, non sapendo di preciso cosa fare, come comunicare con quegli esseri, come capire se fossero buoni o malvagi.

Stefano, invece, osservava le creature. I suoi occhi, in quel momento, non erano verdi bensì azzurri, di un celeste brillante. Il giovane si alzò in piedi e avanzò verso quegli esseri.

“Stefano, che fai?” chiese Gabriel, non capendo che intenzioni avesse il suo discepolo.

Il ragazzo non rispose, in realtà non lo sapeva neppure lui con esattezza: sentiva come un’energia dentro di lui che lo guidava.

“Chi siete?” domandò il seminarista.

Giuseppe de’ Forti

Leon Tegghiaio

Serafina Vallisneri

Camilla Este.

“No. Un nome non è essere. Chi siete?”

Sono un fabbro.

Sono un ragioniere.

Sono sarta.

Sono nobildonna.

“No. Un mestiere non è essere. Chi siete?”

Dopo qualche momento di silenzio, si sentì:

Sono orgoglioso e tenace.

Sono timido e preciso.

Sono allegra e curiosa.

Sono distinta e colta.

“No. Gli attributi non sono essere. Chi siete?”

Gli esseri di vapore si guardarono smarriti tra loro, non sapevano più che cosa rispondere ed era come se fossero presi dal panico.

Stefano continuò: “Voi non siete. Avete lasciato il vostro essere da tanto tempo, ormai. Siete maschere senza attore, siete burattini senza la mano ad animarli. Voi non siete!”

A quelle parole, d’improvviso, le figure svanirono nel nulla in un istante.

Il ragazzo sbatté le palpebre e i suoi occhi tornarono verdi.

Gabriel, incredulo, gli si avvicinò e gli chiese: “Cos’è successo? Cos’hai fatto?”

“Non so; io … io ho parlato, ho seguito l’istinto … Giuditta mi ha detto di dire ciò che mi sentivo …”

“Dai, adesso mi rispiegherai con precisione tutto.” replicò gentilmente l’uomo “Andiamo al piano di sotto per non svegliare Lucrezia. Più tardi vedremo se è effettivamente tutto passato.”

   
 
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