Gabriel
e Claudia avevano accettato di non perdere d’occhio Lucrezia, poiché era stata
la ragazzina stessa a chiederlo. Le voci continuavano a parlarle a chiederle
cose che lei non si attentava neppure a ripetere, ma la tormentavano e lei
aveva paura di cedere, non sapeva a chi rivolgersi e gli unici a cui sentiva di
poter chiedere aiuto erano proprio l’exgesuita e la
psicologa.
Claudia
aveva portato con sé alcuni specifici giochi da fare con la ragazzina, nella speranza
di riuscire a farsi confidare qualcosa durante la fase di gioco.
“Come
prima cosa, le proporremo di giocare a pictionary.”
spiegò Claudia, mentre Lucrezia era in bagno.
“D’accordo,
però io non sono molto bravo a disegnare … e poi non siamo pochi?” chiese
Gabriel.
“No,
l’importante è che sia lei a disegnare. È come un test delle macchie di rorscharc, però al contrario. Ho selezionato le tesserine
con le parole da disegnare: a seconda di come rappresenterà determinate cose e
concetti, potrò capire che disturbi ha.”
“Va
bene! Sei geniale!” disse l’uomo, prima di baciarla.
La
ragazzina tornò nel salotto dove l’aspettavano Claudia e Gabriel, i suoi
genitori erano usciti per non disturbare durante quella sorta di esame od
osservazione.
La
psicologa notò subito che Lucrezia aveva gli occhi un po’ gonfi ed arrossati,
da ciò dedusse che avesse pianto, tuttavia non le chiese come mai, per evitare
di darle l’impressione di essere invadente. La donna sorrise e le chiese: “Ti
va di fare un gioco?”
“Sì,
certo.” rispose la ragazzina, ma si percepiva che il suo entusiasmo era un po’
forzato.
“Cosa
ti va di fare? Guarda, qui c’è pictionary! Ti piace?”
Lucrezia
annuì e si avvicinò al tavolo.
“Solo
che siamo pochi, non possiamo fare le squadre …” Claudia finse di accorgersene
solo in quel momento “Dai, disegni tu e noi indoviniamo, va bene?”
La
ragazzina prese la matita e sollevò la prima tessera per vedere quale parola
dovesse raffigurare.
Per
un buon quarto d’ora procedé tranquillamente, poi iniziò ad avere qualche tremore
di tanto in tanto. Nel frattempo, Gabriel ricevette la telefonata di Stefano in
cui gli chiedeva se la ragazza fosse stata mestruata, quando aveva sentito per
la prima volta le voci.
Dopo,
Lucrezia iniziò ad essere pian, piano sempre più nervosa; il tratto del disegno
si fece più incerto, a volte la mano si spostava bruscamente, facendo segnacci
che non c’entravano nulla con la figura. Ogni tanto faceva degli scatti con la
testa o sussultava e pareva borbottare qualcosa a denti stretti, ma poi fingeva
che fosse tutto a posto.
Sia
Gabriel che Claudia avevano capito che stava sentendo le voci ma sperava di
nasconderlo. L’uomo si avvicinò alla ragazzina, le mise una mano sulle spalle e
le chiese se tutto fosse a posto.
“Sì
… sì …” annuì lei, senza guardarlo.
“Sicura?
Sembri un po’ nervosa, sei stanca? Vuoi cambiare gioco?”
“No
…” scosse il capo lei “… Scusate, devo andare un attimo in bagno …”
Lucrezia
salì al piano di sopra.
“Allora,
che idea ti sei fatta?” chiese Gabriel, appena rimase solo con la psicologa.
“Non
lo so, è difficile.” scorse rapidamente i disegni riesaminandoli “È senza
dubbio stressata e sono sicura riceva molte pressioni. Non riesco però a capire
che tipo di pressioni siano, da parte di chi! Per quello che ho scoperto in
questi giorni, i suoi genitori sono davvero comprensivi e non sono né troppo
severi, né pretendono troppo da lei. Fa una vita tranquilla, pratica sport, ma
senza ambizioni e non frequenta strane compagnie. È vero che non va d’accordo
con alcuni compagni di classe, ma finora non risulta sia stata vittima di
bullismo, né ha avuto pressioni sociali.”
“Quindi
stai dicendo che è agitata, nervosa etc, ma non c’è
una effettiva causa?”
“Una
causa c’è, solo che non l’ho ancora individuata.”
“Se
le voci avessero una reale esistenza, all’infuori della sua testa?”
“Gabriel,
è ridicolo!”
“Claudia,
ti è quasi accaduta la stessa cosa, quando abbiamo indagato sulla villetta
infestata! Io ho visto davvero dei fantasmi là dentro e tu e la donna che ci si
era appena trasferita avete subito l’influsso della pianista. Mi hai aggredito!
Tu sei una persona pacifica, non ti ho mai vista sollevare un dito contro
qualcuno, in quel momento, invece … devi ammettere che c’era qualcosa che ti ha
spinta ad agire in quel modo!”
“Gabriel,
te l’ho già detto, io pensavo davvero tutto ciò che ti ho detto in quel
momento!”
“Lo
so, questo lo so, ma ciò non giustifica il fatto che tu abbia tentato di
uccidermi. La rabbia e il dolore erano tuoi, ma c’è stato qualcosa che li ha
esasperati e ti ha indotta ad agire così violentemente.”
Claudia
abbassò gli occhi per qualche momento: effettivamente doveva riconoscere il
fatto che quella volta, in quella casa, c’era stato qualcosa di veramente
strano.
Tornò,
però, subito alla carica: “Anche ammettendo che quelle voci siano, chessò, entità strane, fantasmi o altro, che cosa avresti
intenzione di fare? Quella volta tu sei riuscito a mitigare il mio dolore, a
confortarmi, qui che cosa credi che bisognerebbe fare? In ogni caso bisogna
capire qual è la radice della sua sofferenza! È sempre questo l’importante:
capire il suo turbamento. Dopo le proporrò un altro gioco, in cui si deve
creare una fiaba, sono certa che emergeranno elementi rilevanti.”
“Va
bene, aspettiamo.”
Rimasero
tra di loro ancora una decina di minuti e avevano iniziato a preoccuparsi.
“Perché
ci mette così tanto?” domandò Gabriel “Non è normale …”
“Era
piuttosto nervosa prima, può essere che abbia bisogno di calmarsi un poco.”
“Non
mi piace, però. Prima chiede il nostro aiuto e poi si comporta così …”
“È
confusa e spaventata: è normale che agisca in questo modo.”
“Non
lo so, non mi convince … e poi proprio perché è confusa, spaventata e turbata,
dovremmo starle vicino, non credi?”
Claudia
ragionò qualche momento, poi annuì e disse: “Hai ragione: è giusto non
risultare invasivi, ma un piccolo incoraggiamento le farebbe decisamente bene.
In effetti non mi aspettavo fosse così chiusa: l’altro giorno era più loquace,
turbata, ma comunque più gioviale, questa sera, invece … Vado a controllare
come sta, magari riesco a parlarle.”
La
donna salì le scale per raggiungere il secondo piano; si guardò un attimo
attorno per capire dove fosse il bagno. Tutte le porte che davano sul corridoio
erano chiuse. Claudia sentiva un singhiozzare, ma non capiva da dove venisse
con esattezza, per cui chiamò: “Lucrezia! … Lucrezia!”
Nulla,
anzi il singhiozzare si interruppe.
Gabriel
si era avvicinato alle scale e, dal piano di sotto, domandò: “Ci sono
problemi?!”
“No,
tranquillo …” rispose la psicologa, poi chiamò di nuovo: “Lucrezia!”
Finalmente
una risposta: “Vattene via!”
La
voce era disperata e spaventata allo stesso tempo. Non sembrava irritata, bensì
era come se volesse avvertire la donna di un pericolo e allontanarla da esso.
Claudia
aveva capito dove si era rinchiusa la ragazzina, per cui si avvicinò, bussò e
chiese: “Lucrezia, che succede?”
“Ti
ho detto di andartene!” l’ammonì di nuovo lei, piangente.
“D’accordo,
ti lascio subito tranquilla. Dimmi prima, però, se stai bene.”
“Sì,
sì, sto bene!” protestò sbrigativamente Lucrezia.
“Sicura?”
“Sììììììììììì!” si spazientì la ragazzina “Adesso vattene.”
“Va
bene, va bene! Se hai bisogno, noi siamo di sotto, ricordalo: siamo qui per
te.”
Claudia
si voltò e stava per scendere le scale, quando sentì di nuovo la voce di
Lucrezia: “No! No!” gridava in un misto di emozioni.
“Lucrezia!”
si allarmò la psicologa, ma non fu sentita.
“No!
Non lo farò! Lasciatemi! … Via, via … smettetela!” era un pianto di sperato
“Non lo farò!”
Nel
misto di pianto e proteste, si iniziarono a sentire urla di dolore e una nuova
parola s’aggiunse alle altre: basta!
Claudia
si precipitò alla porta, afferrò la maniglia e l’abbassò, ma era chiusa a
chiave. Tentò comunque di aprirla e, nel mentre, gridava: “Gabriel! Gabriel!
Vieni! Sta accadendo qualcosa!”
L’uomo
si precipitò di sopra. Intanto Lucrezia continuava a strillare: Via! No!
Basta! e altro ancora, in maniera inconsulta.
“Claudia,
che succede?!” domandò l’uomo con preoccupazione, raggiungendo la donna.
“Non
lo so! Si è chiusa là dentro … Mi ha detto di andarmene e poi … Non ne sono
sicura, ma credo che abbia iniziato a sentire di nuovo le voci, è come se ci
stesse litigando …”
“Lucrezia!
Lucrezia!” la chiamò anche Gabriel.
Inutile,
la ragazzina non lo considerò: continuava ad urlare rivolta verso le voci.
Gabriel
decise di sfondare la porta e gli bastarono due spallate. Nel bagno videro
Lucrezia che agitava le mani come a scacciare esseri invisibili ed era presa
dalle convulsioni.
Claudia
mosse qualche passo in avanti per raggiungere la ragazzina che, accorgendosene,
le gridò: “No! Ferma! Vattene, vattene! Devi andare via!”
“Calmati,
Lucrezia.” le disse Gabriel “Claudia è qui per aiutarti, come me; perché la
cacci?”
La
ragazza piangendo, balbettò: “È per lei! È per salvarla …”
“Salvarla
da cosa?”
“Da
me!”
“Cosa
stai dicendo?” intervenne la psicologa.
“Loro!
Le voci.” spiegò Lucrezia, sentendosi impotente “Loro vogliono te.” fu attraversata
da una convulsione più forte delle altre e lanciò un grido straziante, poi
disse: “Vattene subito! Non posso resistere ancora tanto … dovrò obbedire …
scappa!”
Claudia
parve non turbarsi, fece ancora un passo, dicendo: “No. Io non me ne andrò,
finché non ti sarai calmata, poi, se ancora non mi vorrai qui, ti saluerò.”
“Aspetta.”
Gabriel si mise tra lei e la ragazzina, guardò quest’ultima e le chiese:
“Perché le voci vogliono Claudia?”
“Non
lo so.” Lucrezia scosse la testa, piangendo “Ma deve andarsene!” ansimò
“Vogliono lei, vogliono il bambino …”
“Perché?”
insisté Gabriel.
“NON
LO SO!!!” urlò Lucrezia.
L’uomo
si voltò verso la psicologa e le disse: “Claudia, è meglio se esci …”
“No.”
lo interruppe lei “Non lascio soli né te, né lei: guardala, ha bisogno
d’aiuto!”
Gabriel
si accostò all’amata e le sussurrò: “Per favore, vai fuori per qualche minuto,
almeno finché non si sarà calmata. Ha già aggredito, ti prego, non corriamo
pericoli.”
“Tu,
qui, da solo, ne correrai.”
“Sarà
solo per pochi minuti … Facciamo così: esci e telefona a Stefano, dovrebbe
essere ancora in giro. In tre, qua, potremo stare più tranquilli, ma adesso
vai.”
Claudia,
più per compiacere Gabriel che per propria convinzione, uscì, intenzionata a
rientrare il prima possibile. Fuori dal cancello, si accese una sigaretta, ma
dopo un paio di tiri si ricordò di essere incinta e che non andava bene fumare,
per cui la gettò a terra e si disse che avrebbe fatto meglio a togliere le sigarette
dalla borsetta, in modo da evitare di fumare, quand’era sovrappensiero. Si chiese
se Gabriel fosse serio quando le aveva detto di chiamare Stefano, ad ogni modo
le parve una buona idea e, quindi, prese il telefono e chiamò.
“Pronto.”
rispose il ragazzo.
“Ciao
Stefano, sono Claudia, sei già rientrato a casa?”
“No,
ma mi stavo avviando; perché?”
“Potresti
raggiungerci qui da Lucrezia, per favore?”
“Va
bene … come mai? Ci sono complicazioni?”
“All’incirca.
Lucrezia sta avendo una crisi e non vuole ch’io stia in casa. Pensiamo che sia
meglio avere un’altra persona che dia una mano a Gabriel, non mi piace l’idea
di lasciarlo solo.”
“Va
bene, arrivo subito. Per fortuna, sono in zona.”
Nel
frattempo, Gabriel era ancora intento nel cercare di far calmare Lucrezia, che
stava ormai delirando e le convulsioni erano diventate veri e propri attacchi
epilettici.
Gabriel
fece ciò che gli era stato insegnato per affrontare crisi epilettiche, per cui
sdraiò la ragazza, le tenne sollevati i piedi e controllò che non si facesse
male da sola durante gli spasmi e che il corpo non si irrigidisse
eccessivamente.
Dopo
alcuni minuti, le convulsioni iniziarono a scemare, fino a cessare. Lucrezia riprese
conoscenza, si mise a sedere, si guardò attorno smarrita e cominciò a piangere,
ovviamente molto lentamente, poiché era ancora stordita. Gabriel le carezzò la
testa per confortarla e le disse: “Tranquilla, è passato.”
“No.”
replicò seccamente la ragazza, pur faticando a parlare e facendolo molto
lentamente “Quella era la loro punizione perché ho avvertito Claudia. Loro torneranno
presto.”
Lucrezia
era priva di energie per quell’attacco ed era in una condizione di torpore, per
cui si addormentò nell’arco di pochi minuti. Gabriel la sollevò e la trasportò
in camera, coricandola su un lato. Sperando dormisse per qualche ora, scese a
cercare Claudia.
“Allora?
Come sta?” chiese la psicologa, appena vide l’amato.
“Ora
dorme. Ha avuto una crisi epilettica e ha dato la colpa alle voci, ha detto che
era una punizione.”
“Beh,
direi che a questo punto si può dare per certo che senta effettivamente delle
voci e che non siano una scusa per nascondere delle pressioni sociali. Bisogna capire
che tipo di patologia sia. La presenza di attacchi epilettici restringe un poco
il campo, ma non abbastanza.”
“Non
lo so, secondo me queste voci non sono frutto della sua immaginazione, ma
esistono davvero.”
Claudia
stava per replicare, ma finalmente sopraggiunse Stefano.
“Ciao,
scusatemi, ho fatto il più preso possibile.” salutò, trafelato “Avete già
risolto?”
“Per
il momento dorme.” spiegò Gabriel “Ma appena si sveglierà, potrebbe avere altre
crisi. Io e Claudia stavo discutendo sulla natura delle voci che sente. Piuttosto,
perché mi hai chiesto se Lucrezia fosse mestruata?”
“Quelle
voci sono larve che hanno bisogno di sangue per ottenere una parvenza di
esistenza.”
La
psicologa lo guardò piuttosto scettica, come a chiedere maggiori spiegazioni
per quell’assurda affermazione. Gabriel, invece, parve molto interessato. Stefano,
allora, riassunse quel che aveva scoperto, parlando con Giuditta.
“È
perfetto!” esclamò l’ex gesuita, che era convinto di quella tesi “Fantasmi che
avvicinano persone in condizioni psichiche difficili.”
“Molto
pittoresco, sì.” ribatté Claudia “Ma è una teoria che non ha nessun fondamento
scientifico! Come possiamo verificarla? E poi quale sarebbe la soluzione? Lavoro
terapeutico con Lucrezia, finché non spezza il legame che ha con queste voci?”
“Un
modo per verificare se si tratta davvero di questo c’è, credo.” disse Stefano “Solo
che ci serve del sangue … parecchio.”
“E
dove lo troviamo?” domandò Claudia “Non possiamo certo scannare qualcuno.”
“Un
macellaio.” intervenne Gabriel “I macellai hanno sempre del sangue di maiale.” guardò
l’orologio: era l’una “Credo che il macello comunale apra tra un paio d’ore. Potremo
andarci e prendere un po’ di sangue.”
La
donna storse il naso, poi scosse la testa e si rassegnò: “Va bene, magari
servirà a farvi capire l’assurdità di quest’ipotesi.”
Dopo
un’ora e mezzo circa, Stefano riprese l’auto e si avviò verso il macello
comunale. Tornò alla casa di Lucrezia attorno alle quattro del mattino,
portandosi dietro alcuni litri di sangue. Entrò nell’abitazione e fu informato
che la ragazzina ancora dormiva. Gabriel fu del parere, però, di agire subito,
per cui portarono una bacinella nella stanza della ragazza e vi versarono dentro
le sacche di sangue. Claudia rimase sugli stipiti ad osservare con scetticismo,
mentre i due uomini si accomodarono su delle sedie e aspettarono.
Per
i primi cinque minuti non parve accadere nulla e la psicologa stava già
cantando vittoria, ma poi la superficie del sangue raccolto iniziò a vibrare,
piccole onde che andavano man mano ad incresparsi sempre di più. Cominciarono,
poi, ad emergere delle bolle e pian, piano la bacinella aveva preso a ribollire
completamente. Il livello del sangue iniziò a calare e nell’aria andavano a
comporsi strane figure di fumo o vapore, era difficile da dire.
Claudia
era impietrita e le vennero i brividi, ricordandosi dell’uomo nero.
Gabriel,
per un momento, rimpianse che non ci fosse Isaia, pronto a sfoderare il
crocefisso ed ad esorcizzare.
Stefano
in prima istanza, avvertì un brivido attraversargli la spina dorsale, ma la
paura durò non più di un paio di secondi. Immediatamente il giovane si sentì
tranquillo e non capiva proprio perché. uno strano luccichio si fece largo nei
suoi occhi
Quando
il sangue nella bacinella fu scomparso del tutto, il vapore aveva assunto l’aspetto
di quattro figure umane, delle quali si potevano distinguere i contorni e le
cavità nere al posto degli occhi.
Grazie
….
riecheggiò nelle teste dei tre umani.
Come
possiamo ripagarvi? Chiedete …
Gabriel
e Claudia si fissavano, basiti, non sapendo di preciso cosa fare, come
comunicare con quegli esseri, come capire se fossero buoni o malvagi.
Stefano,
invece, osservava le creature. I suoi occhi, in quel momento, non erano verdi
bensì azzurri, di un celeste brillante. Il giovane si alzò in piedi e avanzò
verso quegli esseri.
“Stefano,
che fai?” chiese Gabriel, non capendo che intenzioni avesse il suo discepolo.
Il
ragazzo non rispose, in realtà non lo sapeva neppure lui con esattezza: sentiva
come un’energia dentro di lui che lo guidava.
“Chi
siete?” domandò il seminarista.
Giuseppe
de’ Forti
Leon
Tegghiaio
Serafina Vallisneri
Camilla
Este.
“No.
Un nome non è essere. Chi siete?”
Sono
un fabbro.
Sono
un ragioniere.
Sono
sarta.
Sono
nobildonna.
“No.
Un mestiere non è essere. Chi siete?”
Dopo
qualche momento di silenzio, si sentì:
Sono
orgoglioso e tenace.
Sono
timido e preciso.
Sono
allegra e curiosa.
Sono
distinta e colta.
“No.
Gli attributi non sono essere. Chi siete?”
Gli
esseri di vapore si guardarono smarriti tra loro, non sapevano più che cosa
rispondere ed era come se fossero presi dal panico.
Stefano
continuò: “Voi non siete. Avete lasciato il vostro essere da tanto tempo,
ormai. Siete maschere senza attore, siete burattini senza la mano ad animarli. Voi
non siete!”
A
quelle parole, d’improvviso, le figure svanirono nel nulla in un istante.
Il
ragazzo sbatté le palpebre e i suoi occhi tornarono verdi.
Gabriel,
incredulo, gli si avvicinò e gli chiese: “Cos’è successo? Cos’hai fatto?”
“Non
so; io … io ho parlato, ho seguito l’istinto … Giuditta mi ha detto di dire ciò
che mi sentivo …”
“Dai,
adesso mi rispiegherai con precisione tutto.” replicò gentilmente l’uomo “Andiamo
al piano di sotto per non svegliare Lucrezia. Più tardi vedremo se è
effettivamente tutto passato.”