Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: Il Cavaliere Nero    29/05/2014    8 recensioni
Shinichi Kudo è famosissimo: il più giovane detective, un curriculm che vanta il maggior numero di casi- rapidamente!- risolti. Per la sua consapevole abilità, e talvolta saccente professionalità, parte della polizia lo applaude e lo stima; l’altra metà, per la stessa ragione, lo ostacola nascondendosi dietro una finta esaltazione di rigorismo, che è in realtà qualunquismo.

“Tu…sei, sei stato in centrale oggi?”
“Sì. Ma sai, non mi sono fermato lì con loro, non sono soliti parlare benissimo di me."
In quella dichiarazione di consapevolezza, in lui tornò a dominare il detective orgoglioso e sicuro di sé, distaccato e persino un po’ scontroso.
"Tu...sai che..."
"Mph, credi che io viva sulle nuvole? Dicono che io sia ancora più arrogante da quando sono amico suo. Un mese fa ero un eroe, ora improvvisamente uno sbruffone. Come si spiega quest'incoerenza? Io sono sempre io. Sono sempre stato un eroe, sarò sempre uno sbruffone. Purchè scelgano. Sono lo stesso di un mese fa, non c'è nulla di diverso in me."

Ran apprezza i suoi metodi, totalmente distanti da quelli di suo padre. Ma li apprezzerà anche quando ne verrà travolta?
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo Primo – Shinichi Kudo

«Troppo presto per me, o troppo tardi:
i sogni sognati troppo a lungo,
io ero impreparato a viverli.
»
Italo Calvino


 

Shinichi Kudo era lì, a pochi metri di distanza da lei.
Il cuore non si decideva a frenare i suoi battiti, mentre la giovane karateka fissava l’attenzione sul ragazzo, con una mano nella tasca dei jeans e l’altra a reggere con fermezza dei fogli di giornale che mostrava all’ispettore, e che Kogoro cercava di leggere con buffi stiramenti del collo.
Parlava senza esitazione: Ran cercò di focalizzare l’attenzione sulle sue labbra per comprendere qualche parola, ma l’emozione glielo impedì.
Non si rese conto di fissarlo per lunghi istanti, che poi divennero minuti. Non gli staccava gli occhi di dosso, come se guardarlo così tanto insistentemente potesse servirle a stargli un po’ più vicina, a rubargli un po’ di quel meraviglioso effluvio di vita che, di lui, amava.
Voleva carpire ogni minimo gesto, ogni singolo movimento del volto, del corpo, nell’illusione che gli appartenesse un po’ di più:  lo scorse passarsi una mano tra i capelli, spettinando ancora di più la frangia, e facendola ricadere sugli occhi. Da lontano non poteva vederli bene…le sarebbe così tanto piaciuto, scrutarlo da vicino! Le parve di scoprirlo ancora più alto di quanto la tv avesse mai mostrato; ed estremamente magro, oltre che elegante: indossava una camicia nera dentro ai pantaloni ed una giacca blu, e una meravigliosa cravatta rossa.
Shinichi tacque, e Megure prese la parola. I due investigatori lo ascoltavano attenti, suo padre aggrottava le sopracciglia mentre il ragazzo annuiva. Fu il turno di Mouri prendere la parola, e Kudo continuò a starsene lì, le braccia calate lungo i fianchi e il giornale che dondolava all’altezza del ginocchio.
D’un tratto, probabilmente sentendosi osservato, voltò il capo in direzione di Ran, puntando gli occhi sulle tribune; e lei avrebbe potuto reagire in mille modi…avrebbe voluto reagire in mille modi.
Ma vinse l’immediatezza; rapidamente si accucciò sotto lo spalto, nascondendosi alla sua vista.
-Ma che…?!- si rimproverò da sola, strizzando gli occhi.
Cercò di farsi coraggio, e convincersi che quell’occasione non le si sarebbe di certo ripresentata: conoscere Shinichi Kudo, vederlo da vicino, incontrarlo di persona, stringergli la mano!
-Signor Kudo, sono molto felice di conoscerla! Seguo le sue indagini…no, no, avrà avuto già mille fan a dirgli queste stesse parole! Vorrei differenziarmi un po’, lasciargli un segno…Kudo-san, piacere! Mi chiamo Ran, e da figlia di investigatore posso dirle che…ma cosa? No! Figlia di investigatore, sto presentando un curriculum? Kudo-san, piacere di conoscerla! Trovo ciò che fa molto bello. Non smetta, molte persone le devono molto. Ecco…sì, direi che così potrebbe andare bene. Mhm, forse…no…sì, così va bene!-
Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi un’ultima volta prima di riaprirli ad issarsi sulle ginocchia contemporaneamente.
Per l’ennesima volta, non credette a quel che le si mostrava davanti: Kudo non c’era più.
 
 
“Non posso crederci! Non dirai sul serio, spero!” Sonoko Suzuki rideva a crepapelle da più di mezz’ora. Vissuta quell’esperienza troppo forte da gestire da sola, Ran stava attraversando la fase della sublimazione: non riusciva a distrarsi, e parlarne la faceva stare bene. Le dava l’impressione di aver quasi toccato con mano la realtà che acclamava dai quotidiani e dalla luce dei riflettori. E Sonoko era l’unica pronta a starla a sentire quando parlava, per ore ed ore, di Shinichi Kudo.
“Ma come ti è venuto in mente di nasconderti? Sono secoli che ti piace, dovevi approfittarne! Avresti fatto meglio a raggiungere tuo padre e presentarti…”
“Ah, sì? E così, su due piedi, che gli avrei potuto dire mai?”
“Ciao, sono una tua fan, piacere di vederti!”
“Ma tutti gli dicono così! Io avrei voluto che si ricordasse di me…dirgli qualcosa per cui, un domani magari, ai suoi colleghi avrebbe potuto raccontare di aver conosciuto una ragazza che gli è rimasta impressa per…”
“Oh, non ricominciare con queste idiozie! Quando si parla di quel tizio non ragioni più! Conosce talmente tanta gente…ma cosa vuoi che possa rimanergli impresso nello spazio di cinque minuti? Avresti potuto pugnalare qualcuno e poi atterrarlo con una delle tue fantastiche mosse di karate! La donna che uccide qualcuno davanti a lui e poi gli sfugge. Ti avrebbe ricordata di sicuro!”
“Non scherzare, Sonoko! Mi dispiace davvero non aver fatto in tempo a dirgli nulla…”
Ed era vero. Ma in fin dei conti era arrivata all’idea che, forse, era stato meglio così: il suo mondo idillico non era crollato, e questo le bastava. Inoltre, lo aveva visto dal vivo, e così accertato la sua avvenenza; anche se distante, si era segnalato per il suo fascino e la sua prestanza. Come se avesse emanato un’aura, Ran l’aveva colta tutta e raccolta per sé, decidendo di conservarla per il resto della vita. O almeno, fin quando se ne sarebbe ricordata ed il ricordo non sarebbe gradualmente svanito.
Si era fatta sera, e nei suoi abitudinari acquisti al supermercato aperto ventiquattr’ore su ventiquattro aveva implorato per la compagnia della sua amica, ricca ereditiera del gruppo finanziario Suzuki.
Parlarono ancora un po’, e la biondina l’accompagnò fin sotto casa; le chiese maggiori informazioni e lei gliele fornì volentieri: di fatto, da quel che aveva capito dalle telefonata che per tutto il pomeriggio Kogoro aveva ricevuto, Kudo aveva passato un’informazione di qualche tipo all’ispettore, riguardo il caso della rapina. Ma il padre si era ben guardato dal commentare in qualunque maniera quell’evento inaspettato, e subito l’aveva spedita ad acquistare qualcosa per la cena, ancora prima che, rimasti soli una volta giunti a casa, gli chiedesse spiegazioni più precise.
Si salutarono, e le fu estorta la promessa di ottenere più notizie da suo padre.
“Va bene. D’accordo…ma sì, ho detto che va bene!” lo sentì parlare quando raggiunge la porta dell’agenzia investigativa al primo piano. Aspettò di sentirlo pronunciare: “Arrivederci, ispettore.” prima di prendere un bel respiro ed entrare nella stanza con la busta tra le mani.
“Vuoi del sushi per cena, papà?” si finse indifferente e spigliata. “Oppure preferisci sashimi?”
Il detective le rivolse un’occhiata seccata, agganciando la cornetta del telefono.
“Cosa vuoi sapere del tuo amichetto?” tagliò corto, facendola avvampare.
“C-come dici, papà?”
“Conosci le mie perplessità su suoi metodi, e sulle ombre che avvolgono alcune delle sue indagini. Ammetto che ci ha fornito delle notizie interessanti…ma bisogna capire da dove provengono. Non mi fido, quello non mi piace.” Insistette, fissando la figlia negli occhi con fare determinato.
“Quali informazioni?”
“Il caso della rapina sarebbe collegato all’assassinio di una donna, il cui cadavere è stato rivenuto ieri in un capannone abbandonato.”
“La ragazza uccisa da un colpo di pistola?” subito le balenò alla mente l’articolo del giorno prima “Sui giornali c’era scritto che il movente passionale fosse il più probabile.”
“Per quello no. Crede fosse complice  dei rapinatori. Questa mattina ha contattato l’ispettore Megure, che a sua volta ha voluto informare anche me. Quel ragazzino comunque sapeva che del caso della rapina mi occupo anche io, e quindi ci ha raggiunti per parlare personalmente con noi della faccenda. La polizia ora indaga per scoprire il suo nome…se il suo conto presenterà somme di denaro corrispondenti a quelle del furto…”
“Sulla base di cosa, Shin…Kudo- si corresse –pensa che quella ragazza fosse coinvolta?” poggiò la busta della spesa a terra, avvicinandosi pur tuttavia ancora un po’ titubante all’uomo.
“Il proiettile. Il proiettile che ha causato la sua morte è compatibile con la pistola impugnata dal rapinatore. Lo sappiamo perché in un momento d’agitazione ha sparato un colpo d’avvertimento contro una colonna della banca, e la scientifica è riuscita ad estrarla ed analizzarla. Una calibro ventotto.”
“Capisco…” fece per congedarsi, persa ogni speranza: Shinichi aveva telefonato a Megure per passargli il caso, Megure gli aveva detto che il loro consulente era Kogoro, così lui l’aveva raggiunto –ammirevole, l’impetuosità del suo temperamento! Aveva subito pensato Ran- per comunicarglielo de visu. Fine della storia, non l’avrebbe più rivisto.
Però, qualcosa la trattenne nella stanza: una sensazione.
Era come se…
“Tutto a posto, papà?”
L’uomo sollevò gli occhi dalla scrivania a quella che ancora soleva definire la sua bambina.
“Ti senti bene?”
“ Ikari Shima.”
“Chi è?” la ragazza iniziò a preoccuparsi. In realtà conosceva quel nome; ma sperava di sbagliarsi.
“Il capoquestore, Ran. Megure teme che potrebbe intromettersi nell’indagine, in qualche modo.”
“Perché dovrebbe?”
“Perché Kudo non piace ai piani alti.” Tagliò corto, con severità, come se rimproverasse lei dei metodi dell’investigatore più giovane.
“E il suo intervento potrebbe causarci dei guai.”
 
§§§
 
Si era svegliata ed aveva preparato la colazione in silenzio. Kogoro si era mostrato più docile della sera precedente, eppure non aveva toccato di nuovo l’argomento; e lei neppure.
Uscì di casa piuttosto presto, un’ora e mezza prima dell’inizio delle lezioni: l’atmosfera si era fatta irrespirabile, come se l’appartamento fosse ricoperto da una cappa che le toglieva il fiato. Stare lì dentro la metteva di cattivo umore, senza un motivo preciso.
Beh, in realtà il motivo preciso c’era eccome: perché suo padre insisteva a dare addosso a Shinichi?
Possibile non capisse cosa rappresentasse lui, per Ran? Un mondo fatto solo di bene e bellezza, dove chi merita di vincere vince e chi merita di perdere, perde.
Riferendosi a lui con termini tanto colmi di astio e sfiducia era come colpire con mano violenta tutti i sogni e le speranza della giovane che si affacciava allora alla Vita…Kogoro non offendeva Shinichi, feriva Ran.
La quale, tuttavia, non cambiava idea. Al contrario: sentire così parlar male di lui ne aumentava la stima!
Niente e nessuno gettava mai ombre sulla sua figura, per lei; nutriva del sincero affetto nei confronti di una persona che neppure conosceva. Non dal vivo, almeno.
-Anche dal vivo, ora…- si ritrovò a considerare mentalmente, sorridendo tra sé e sé mentre varcava il cancello della scuola superiore Teitan.
Le andava bene:  l’aveva visto, aveva quasi raggiunto il mondo cui tanto aspirava.
Aveva sperimentato personalmente la sua genuinità: era stato pronto ad aiutare suo padre appena ne aveva avuto modo, pur non conoscendolo. Era davvero un comportamento da biasimare, quello?
Il detective era uscito dalla faccenda come ancora più magnanimo di quanto lo pensasse in passato, il suo legame con lui rafforzato.
Finalmente aveva sublimato l’esperienza scioccante del giorno precedente: era felice, nonostante tutto.
Talmente felice e su di giri da non ricordare che quel giorno le lezioni erano sospese.
Fu tentata di non tornare a casa prima delle sei canoniche ore mattutine; poi però ripensò a suo padre, e alla preoccupazione che palesemente lo turbava. Decise allora di rientrare, ma passando per il parco di Beika anziché la via centrale, diretta dall’appartamento al complesso scolastico. Ci avrebbe impiegato un po’ più di tempo e così avrebbe anche ricreato un po’ lo spirito; le piaceva molto passeggiare lì, o anche solo trascorrerci del tempo: si sentiva perdere nella natura, divenendo il nulla e il tutto allo stesso momento.
Costeggiò il piccolo lago interno al parco, fruendo dei suoni degli uccelli, del frusciare del vento tra le foglie e alzando gli occhi al cielo per contemplare le nuvole che parevano assumere delle forme alla sua attenzione.
Esitò prima di salire i gradini che l’avrebbero riportata a casa; ma prima di girare il pomello della porta, decise che avrebbe chiesto a suo padre delle spiegazioni. Si era calmata, questo era certo; ma si trattava di una calma ponderata, ferma e sicura, non della calma propria della resa.
“Quali ombre intendevi, ieri sera? Parliamone chiaramente, per favore, a cosa alludi quando…”
Ma le parole le morirono in gola, quando aprendo di scatto la porta si era ritrovata faccia a faccia con la persona che più in quei giorni occupava i suoi pensieri.
Vestito di pantaloni chiari e un cappotto di stoffa, Kudo Shinichi si era voltato nella sua direzione per scoprire di chi fosse quell’irruzione improvvisa nello studio di Kogoro, pur mantenendo la posizione in piedi di fronte la scrivania dell’uomo.
Lo vide e non riuscì a trattenere un: “Ohhhh!” pronunciato ad occhi spalancati, mentre percepiva nitidamente le sue guance accaldarsi. Comprese di essere divenuta paonazza, se ne vergognò: arrossì ancora di più. Non notò neppure l’ispettore Megure al fianco di suo padre, finchè questi non prese la parola:
“Buonasera, Ran-kun.”
“Che ci fai qui a quest’ora?” l’accolse scorbutico Kogoro, rivolgendole uno sguardo accigliato. Lei esitò un po’ prima di replicare, badando bene di focalizzare per bene il viso dell’uomo ed ignorare completamente Shinichi, nel tentativo di vincere l’afonia che l’aveva catturata appena messo piede nella stanza.
“C’è stato uno sciopero, e…”
“Allora porta a tua madre i documenti per la causa. Li ha scordati qui quando ti ha riaccompagnata a casa l’altro giorno.”
Quegli occhi e quel tono di voce celavano un neanche troppo segreto ordine categorico: “Vattene.” In altre circostanze li avrebbe ignorati, il carattere combattivo dei Mouri e dei Kisaki fusi in un singolo cervello; ma allora vinse la timidezza e il timore che i suoi sogni non coincidessero con il reale e, annuendo sommessamente, si richiuse la porta alle spalle.
Nella sue mente un tumulto: che fare? Perdere la seconda possibilità che il destino le concedeva? Sarebbe stata così ardita? Oppure sarebbe stata così ardita da parlargli, addirittura?
Chiuse gli occhi ed inspirò l’aria fresca del mattino, concentrandosi. Decise di svuotare la mente da una preconcetto o giudizio a posteriori, e concentrarsi solamente sulle emozioni: non cosa fosse giusto, meglio, ammirevole, utile fare; cosa la morale raccomandasse; cosa il buon senso chiedesse; ma cosa, al pensiero della sua realizzazione, le faceva sbocciare nell’animo una vera sensazione di benessere…Fece la sua scelta.
Quindi si sedette sul marciapiede subito dietro l’angolo dell’agenzia investigativa, decisa ad aspettarlo.
C’era una macchina blu metallizzata parcheggiata lì nei dintorni, e non l’aveva mai vista: ipotizzò appartenesse a lui, e prese a immaginare come conducesse le indagini. Di tanto in tanto si voltava nella speranza di vederlo scendere i gradini dell’edificio.
Cosa stava dicendo a suo padre? Che avesse saputo del suo astio e fosse andato lì per scontrarlo?
Che avesse scoperto qualcos’altro ancora su quella rapina e su quella povera ragazza?
Oppure il questore era venuto a sapere della loro collaborazione e Kudo gli stava chiedendo fiducia.
Sospirò, sconsolata: Kogoro non nutriva alcuna simpatia per lui, che lei sapesse. Qualunque cosa fosse venuto a fare, avrebbe miseramente fallito…Certo, che sfortuna aveva avuto! Se non fosse passata dal parco lo avrebbe incontrato, magari sotto casa addirittura. E avrebbe potuto dirgli sinceramente cosa pensava…
Rivedeva nella sua mente il volto di Shinichi girarsi nella sua direzione, e rivisse ancora e ancora il momento in cui vigliaccamente si era nascosta sotto gli spalti. Avrebbe dovuto invece mostrarsi, scendere dai gradoni…Questa audacia non era del suo carattere. Ma almeno avrebbe potuto –avrebbe dovuto- sorridergli! Lui le avrebbe sicuramente risposto con un altro sorriso, e lei avrebbe conservato un meraviglioso ricordo del loro incontro. Cosa custodiva ora, invece? Un bel nulla. Un atto di vigliaccheria e niente più.
Mentre flebili gocce di pioggia iniziavano a condensarsi e rovinare contro il suolo, Ran spostò con disillusione gli occhi sulla vettura blu…le mancò il fiato: non c’era più!
Si alzò di scatto, ignorando l’acqua che per la seconda volta in tre giorni le bagnava corpo e vestiti per raggiungere quel posto oramai vuoto.
“Accidenti!” piagnucolò, comprimendo le unghie sui palmi delle mani con fare stizzito.
Cosa avrebbe custodito di quel giorno? Un  atto di vigliaccheria e un atto da stupida distratta!
-Non ci posso credere…- le balenò in mente, e qualche lacrima stava già per risalirle sino agli occhi quando una mano si poggiò sulla sua spalla.
“Papà, per favore…” il fiato le morì in gola.
Voltandosi, si ritrovò a specchiarsi in un oceano azzurro che, guizzando con curiosità da una parte all’altra del viso, brillava di viva intelligenza.
“Tuo padre è Mouri, non è vero? E’ ancora di sopra. Devi chiedergli qualcosa?” le disse con affabilità, togliendole la mano dalla spalla.
Lei cercò di dire qualcosa, ma dalle labbra uscì un balbettio quasi silenzioso.
“Ti ha chiesto di riportare a tua madre dei fogli, ma non mi pare tu li abbia presi!” motivò l’affermazione appena pronunciata, sorridendole.
Le sorrise. Automaticamente e senza rendersene conto, rispose al suo sorriso. Come se l’espressione di Shinichi avesse modellato di un’intenzionalità consequenziale anche la sua.
“Io…io sono Ran, piacere di conoscerla Kudo-san!” fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare, pentendosene l’istante dopo aver chiuso la bocca.
-Qualcosa che gli resti impresso!- si ammonì in un moto di auto commiserazione.
Lui rise: “Sì, lo so.” Le disse, mettendola ancora più a disagio. Poi repentinamente, aggiunse: “Scusami, io mi sono immediatamente preso la libertà di darti del tu. Vuoi che ti chiami Ran-san?”
Scosse il capo con fermezza: “No no, non si preoccupi! Il tu va benissimo!”
“E allora usalo anche tu! Non credo di essere tanto più grande di te, non cercare di farmi sentire uno snob démodé che si è dimenticato di essere un ragazzo.” Sorrise di nuovo e a ruota lei fece altrettanto.
Annuì, le guance ancora un po’ accaldate che però erano ben celate dalle gocce di pioggia che le avrebbero comunque arrossato in volte per la reazione tra colore del corpo e freddo dell’ambiente circostante.
“Sta arrivando un temporale.” La ammonì e lei temette che fosse una maniera gentile per congedarla:
“Ho ancora qualche minuto!” si affrettò a rispondere, muovendo un passo in avanti. L’istante dopo credette di apparirgli irruenta, quindi fece un passo indietro. Non seppe più come comportarsi e fissò gli occhi sulle sue scarpe.
“Bene, giusto il tempo perché io possa parlarti!” ammiccò.
“Mi volevo scusare per poco fa.” Proseguì: “Sono piombato a casa vostra senza avvisare, mi è parso evidente che tuo padre ti ha cacciata da casa perché c’eravamo l’ispettore Megure ed io. “
La disinvoltura con cui si riferiva al poliziotto la faceva ben sperare in un probabile futuro successo dell’indagine.
“E mi pare evidente che se sei tornata a casa anziché rimanertene in giro è perché avevi voglia di stare tranquilla. Perciò…scusami, Ran!”
Pronunciò quella frase con la stessa naturalezza che sarebbe potuta appartenere a una Sonoko in ritardo all’ennesimo appuntamento mentre cerca di farsi perdonare dalla sua amica. Quell’atteggiamento tanto spontaneo e amichevole –che per tutti quei mesi aveva sperato gli appartenesse ma anche temuto gli fosse estraneo- la mise a suo agio, o almeno la rese più tranquilla per rivolgergli qualche parola.
“Non si preoc---“ il suo sguardo finto seccato la spinse a correggersi: “Non preoccuparti. Mio padre mi spedisce sempre da qualche parte…anche quando in tv c’è qualcosa che gli piace!”
Shinichi le sorrise di nuovo, stordendola. In futuro di quel dialogo si sarebbe mille volte rimproverata la probabile faccia da ebete tenuta per tutto il tempo.
“Perciò non devi portare quei fogli a tua madre?” s’informò.
Fece spallucce: “Non ora!” rincarò la dose per evitare la congedasse. E riuscì perfettamente nel suo intento:
“Allora ripariamoci da qualche parte, inizia a piovere seriamente ed io non ho portato l’ombrello.” Rise di se stesso: “Non lo porto mai, lo dimentico sempre!”
Prima ancora che Ran  potesse replicare, le domandò: “Prendiamo insieme qualcosa al bar?”
 
 
Se lo ritrovava davanti a lei, con le braccia poggiate sul tavolo tanto piccolo che, se avesse allungato le dita le avrebbe sicuramente sfiorato le mani. Lo osservò quasi in trance versare un po’ di latte nella tazzina di caffè per macchiarlo, e poi rifiutare con un sorriso la bustina di zucchero che la cameriera gli porgeva.
Aveva scelto lui il tavolo, si trovavano in un angolo del locale, abbastanza isolato rispetto agli altri più grandi e decisamente invisibili alle vetrina che, loro dirimpetto, dava sulla strada affollata di passanti innervositi dal mal tempo.
Erano talmente vicini che quasi le sembrava di percepire le loro gambe sfiorarsi. Ad aggiungersi, anche lo scosciare della pioggia rapidamente divenuta temporale  a rendere l’atmosfera quasi romantica.
Due fidanzatini che, colti nel loro incontro segreto dal fortunale, si rifugiano in un locale lontano da casa per nascondersi agli occhi degli altri e parlare in intimità.
Arrossì per l’ennesima volta quel giorno, rimproverandosi mentalmente: -Ma che diamine sto pensando?-
“Zucchero?” le domandò, offrendole la bustina. Accettò di buon grado, porgendo la mano per prendere la bustina, ma fu lui a versarle il contenuto nel cappuccino.
Arrossì ancora.
“Per…” si fece coraggio, dopo un respiro profondo: “Per quello che vale, vorrei dirti che sei un grande investigatore. Forse alcuni non lo riconoscono…ma fai del bene a tante persone. E questo è molto bello.” Disse tutto d’un fiato, rischiando di svenire per il desiderio di fissarlo in volto mentre parlava; voleva studiarne la reazione.
Shinichi permise alle labbra di assumere la forma di un’espressione gentile, ma anche un po’  arrogante: Ran riconobbe in quell’espressione una di quelle esibite alle macchinette fotografiche dei giornalisti che le fermavano in una foto…foto che Ran custodiva attentamente nel suo cassetto.
Così da vicino era ancora più bello di quanto avesse mai potuto immaginare: non trovava parole per descriverlo.
Gli occhi sempre illuminati da una luce fiera e forte, pronti a guizzare da una parte all’altra con grande rapidità. Appena entrati nel bar lo aveva visto scrutare nei minimi particolari ogni angolo del circostante, come se in neanche dieci secondi avesse esaminato e scansionato il suo raggio d’azione. E ad ogni occhiata corrispondeva un pensiero, lo si capiva da come atteggiava le labbra: di tanto in tanto notava qualcosa- a lei però sfuggiva cosa fosse in concreto questo qualcosa- che gli faceva mutare espressione; ora assumeva aria di scherno, ora di ilarità, ora di divertimento, ora di preoccupazione o presentimento.
Parlava con lei, si dimostrava gentile: ma era certa avesse il cervello affollato di idee, in pieno movimento.
Mille parole gli popolavano la mente, una sola usciva dalla sua bocca.
“Ti ringrazio. Mi fa piacere.” Nonostante le parole fosse di una banalità sconvolgente, ebbe l’impressione che parlasse sinceramente; non erano frasi di circostanza.
“Perciò…mi conosci?”
“Chi non ti conosce?” gli sorrise, timidamente. “Sei famoso, lo sai?”
“Sono discusso, direi.”
Era chiaro lo sapesse. Ran stessa in molte occasioni aveva trascorso tempo a pensare e dolersi per le critiche che di volta in volta lo toccavano, immaginando come dovesse sentirsi e desiderando con tutto il cuore fargli sapere che non aveva importanza, che lui era un grande uomo comunque.
Ma sentirglielo dire le fece effetto; inoltre non riuscì a decifrare la natura dei mille pensieri che si nascondevano dietro quell’unica affermazione. L’espressione del viso fu ambigua, incomprensibile.
“Però sono anche famoso, sì. Molto famoso.” Si fece sfuggire quasi sottovoce, parlando tra sé e sé; un sorriso borioso che lottava per manifestarsi nonostante le sue reticenze di una modestia spesso ignorata.
Tornò a parlare con voce alta, ed espressione distesa:
“Suppongo che tu mi conosca per qualcosa che ritieni positivo, però.” Ammiccò, roteando la tazzina per afferrare l’impugnatura tra indice e pollice.
Annuì: “Sì, certo. Io…”
“Tuo padre è un investigatore, devi sentire parlare di indagini tutti i giorni, scommetto.” La interruppe, quasi con fretta di arrivare al dunque.
“E’ da lui che sai di me, no?”
“Più o meno…” si ritrovò a rispondere, sorseggiando la sua bevanda per prendere tempo.
“Ti parla anche delle indagini?”
“A volte.”
“ E di questa rapina ti ha parlato?”
“Più che parlato, se ne è lamentato. Non riesce a venirne a capo.”
“Neanche dopo l’informazione che gli ho dato?”
“Della donna ritrovata morta nel capannone?” poi si morse la lingua, esitando. Perché tutte quelle domande?
Ebbe un dubbio e cercò di proteggere suo padre:
“Lui…lui non me l’ha detto, della-della donna dico. Sono io che ho sentito…”
“Non ti preoccupare, non c’è alcun problema. Non vedo perché non avrebbe dovuto dirtelo, sei sua figlia dopotutto. E mi pare di aver capito che tua madre non viva con voi.”
“Infatti…no.” Per un attimo il pensiero volò ad Eri, ma Shinichi riprese la parola:
“Quindi…non ha nessuna idea? Non ha parlato con l’ispettore, magari?”
“Non mi pare. Cioè sì, ne hanno parlato ma prima che li informassi tu.”
“E cosa dicevano?”
“Che era sicuro solo il  numero dei rapinatori…sono due.”
“E basta?”
“Sì. Si lamentavano del fatto che non trovavano prove per arrivare all’identità di uno dei due, o indizi per almeno capire dove abbiano nascosto la refurtiva. Di più non so, perché arrivati a questo punto si innervosivano per lo stallo in cui si trovavano e iniziavano a battibeccare.”
“Capisco. E tuo padre non ha parlato con nessun altro?”
“Dell’indagine? Beh a parte me no, non mi sembra affatto. Ci sono alcuni agenti che stanno sempre al fianco dell’ispettore, Ruchichi e Mukumura*, ma quando parla con lui ascoltano anche loro quindi non ha bisogno di ripetersi.”
“ E con il questore non ha mai parlato?”
Ecco il punto, pensò Ran. Shinichi era preoccupato di poter essere escluso dall’indagine, come suo padre le aveva comunicato proprio la sera precedente.
Cercò di tranquillizzarlo:
“No, mai. A mio padre e all’ispettore il questore non piace più di tanto, in realtà…” ed era la verità.
“Non so perché, forse si tratta di antipatia a pelle.” Rise “Comunque so che quando possibile cercano di non comunicargli tutti i dettagli di un’indagine. Solo la risoluzione…a parte quando è necessario il suo permesso per qualche azione, però. In quel caso lo contattano!”
Shinichi la ascoltava con interesse: aveva gli occhi puntati su di lei e nemmeno il tuono che improvvisamente squarciò il cielo valse a distrarlo.
“Ne sei…sicura?” insistette.
“Certo!” asserì, ricambiando per quanto possibile il suo sguardo serio. Continuò a fissarla, prima di chiederle:
“In definitiva, possiamo dire che tuo padre ed il questore non sono affatto amici, perciò. Non si frequentano, non si vedono…lui non è mai venuto a casa vostra…”
“Mai. Gli unici ad aver messo piede da noi sono l’ispettore e gli agenti che ti ho già detto.”
La osservò ancora: quello sguardo fu tanto profondo da farla sentire nuda.
Per quel frangente gli occhi del detective persero l’allegria di chi si diverte a guardarsi intorno per mettere alla prova le sue abilità intellettive. Non esprimevano boria, ironia, sarcasmo: preoccupazione soltanto.
Un secondo dubbio assalì Ran, proprio quando Shinichi finalmente tornava ad essere sereno come le era parso all’inizio e, finalmente, sollevava la sua tazzina ancora piena.
“Molto bene.” Decretò, bevendo il caffè tutto d’un fiato.
Le passò un brivido per la schiena a vederlo bere in quel modo; era sciocca a pensare qualcosa del genere, ma quel gesto veemente le suggerì una natura impetuosa. Chissà se, con una ragazza…
Scacciò quei pensieri per dare voce ad uno più urgente:
“Mi hai chiesto di venire con te per sottopormi ad un interrogatorio, per caso?” il tono di voce era scherzoso, come l’espressione del volto. Ma Shinichi, da ottimo investigatore quale era, comprese subito che la ragazza parlava seriamente.
Poggiando la tazzina sul piattino curvò le labbra con fare spavaldo e divertito allo stesso tempo, mentre deglutiva.
La guardò negli occhi: “Sì.” Disse, semplicemente.
“C-come?”
“Non sai di…” lasciò la frase in sospeso, come se quella mezza allusione potesse farle venire in mente qualcosa. Ma così non fu.
“Di…?”
Sorrise di nuovo; ma stavolta fu un sorriso rivolto a se stesso, come a dirsi: “Come sei stato stupido, Shinichi Cosa mai sei andato a pensare?”
“Niente, niente.” Palesò soltanto questo: ancora un’espressione verbale per mille capovolgimenti mentali.
La ragazza ebbe l’impressione che Kudo avesse cambiato idea su qualcosa –ancora quel qualcosa non ben identificato!- tre volte almeno quella sera, quegli attimi di conversazioni con lei.
“Comunque…mi fa piacere. Mi fa piacere così, che non sia niente.” Le sorrise, di nuovo gentile come quando le aveva poggiato una mano sulla spalla. Ma stavolta le parve un sorriso diverso: più vero, più personale, non dovuto all’educazione e alla gentilezza ostentata di poco prima.
“Non lo finisci?” cambiò poi discorso, additando il suo cappuccino.
“Non credo mi vada più…” gli disse, un’espressione maliziosa dipinta sul volto, che voleva dirgli: “Cosa mi nascondi?”, e infatti Ran aggiunse subito:
“Mi hai portata qui per un interrogatorio, non per offrirmi da bere. Permettimi che il mio orgoglio femminile ne esca un po’ deluso, e soprattutto non affamato.”
Scherzava, era chiaro. Ma…
“Beh, oggi era spinto da una grande urgenza, alla quale non potevo sottrarmi.” Fu l’unica confidenza che le concesse, poggiando un gomito sul tavolo per avvicinarsi di più a lei.
“Ma ora quest’urgenza è risolta, non mi disturba più. Perciò immagino che potrei offrirti da bere per offrirti da bere. Senza nessun altro scopo. Di nessuna natura.” Precisò all’istante, conscio di cosa spesso implicasse l’affermazione Offriredabere quando rivolta ad una ragazza.
Sorpresa da quel rinnovato atteggiamento mordace, anziché gentile e premuroso, quasi fraterno tenuto sino ad allora, avvampò di colpo.
Ma lui non le diede tempo di replicare: “Ma non oggi. Vado un po’ di fretta, devo controllare alcune cose. Il lavoro mi chiama. “ sottolineò con il tono di voce, quel sorriso malizioso e sbruffone che non voleva cancellarsi di faccia.
“Perciò, se non ti dispiace…” si alzò in piedi “E’ ora di andare. Vieni, ti riaccompagno.”
 
 
 
 
Con una decisa spinta della testa rimandò tutti i capelli dietro le spalle, facendo spruzzare schizzi d’acqua persino sul vetro dello specchio di fronte a lei. Iniziò a pettinarli prima di asciugarli con il phon, il tepore del bagno dopo la doccia fatta a massaggiarle i sensi.
Pensava a Shinichi.
Nonostante i suoi timori, l’idea che in tutto quel tempo si era fatta di lui non era stata tradita. Certo, c’era qualcosa di quella conversazione che non aveva ben capito…ma le sensazioni provate le garantivano che era qualcosa di totalmente normale, proprio del suo mestiere. D’altronde, cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Che avendola vista per strada si sarebbe follemente innamorato di lei?
Se l’avesse invitata per corteggiarla e magari avviare frequentazioni di dubbio tipo le avrebbe fatto piacere sul momento, ma l’istante successivo non ne avrebbe ricavato altro che delusione: Shinichi Kudo, il grande detective che aveva sempre stimato, scoperto come un misero tombeur des femmes che si fa grande della sua fama, con la quale tenta anche di irretire le ragazze che incontra sui marciapiedi, per caso.
No, grazie.
L’aveva voluta per un interrogatorio, un interrogatorio sulla rapina, sull’indagine, su suo padre, l’ispettore. Dal modo in cui l’aveva scrutata e in cui le aveva parlato, dubitava che quelle domande fossero davvero frutto di una preoccupazione strettamente personale- il timore che se il capoquestore avesse scoperto il suo coinvolgimento lo avrebbe allontanato dal caso.
Sono discusso, direi. Però sono anche famoso, sì. Molto famoso.” Aveva detto con fierezza tipica di chi non teme gli altri, specie i piani alti. E se le parole non erano bastate, beh, il sorriso aveva fatto il resto.
Da quello aveva capito il suo orgoglio, la sua determinazione: e sebbene quel qualcosa continuasse a sfuggirle, era certa non fosse un qualcosa di brutto. Tutt’altro.
“Ran, sei ancora lì dentro? Quanto tempo ci metti? Guarda che anche io devo andare a dormire!” Oltre la porta chiusa del bagno Kogoro battè un paio di pugni contro la porta, riscuotendola dai pensieri.
“Ecco, ecco!” rispose, cercando il phon nel mobiletto accanto il lavabo. Mentre si spostava nella sua stanza per lasciare posto a suo padre, sorrise pensando alla figuraccia fatta poche ore prima.

“Mi dispiace ti sia bagnato per riaccompagnarmi.” Disse Ran con un lieve inchino di cortesia verso Shinichi, giunti entrambi i ragazzi di nuovo di fronte i gradini dell’agenzia investigativa.
“Mi sarei bagnato comunque, te l’ho detto…ho dimenticato l’ombrello. E poi sono pur sempre un investigatore. Una ragazza che, calato il sole, si aggira da sola per le strade mi suggerisce scenari poco gradevoli…Ho sempre a che fare con questo genere di cose.”
“Non sono cose carine da dire ad una ragazza.” Gli fece notare, rubandogli l’ennesimo sorriso. “
Comunque, mio padre dice sempre lo stesso.” Le parve una giustificazione, ma lui fece una smorfia buffa:
“Quanti anni ha tuo padre?”
“ Trentotto ”

“Bene. Quindi ragiono e parlo come un uomo di trentotto anni. Con tutto il dovuto rispetto per tuo padre, la cosa non mi piace troppo, sai?”
Risero entrambi.
“Comunque davvero, grazie. Con la macchina avresti fatto prima…”
“Non sono venuto in macchina. Non abito troppo distante da qui.” Sentire quelle parole le aveva provocato una capriola del cuore nel petto. Magari, se il destino fosse stato buono come spesso lo era stato in quei giorni, avrebbe potuto incontrarlo ancora…!

“Avevo visto parcheggiata qui sotto una macchina blu, e siccome non c’era mai stata prima avevo creduto fosse la tua.”
Un’espressione di divertita spavalderia gli si dipinse ancora sul volto. Kudo immediatamente collegò quell’affermazione alla prima vista che aveva avuto di lei, quel pomeriggio: gli occhi tristi a seguire una vettura che di gran carriera si allontanava, sotto la pioggia, un quarto d’ora dopo il suo ingresso nell’agenzia.
Era chiaro che lo stava aspettando, che voleva incontrarlo, che aveva temuto di non esserci riuscita e si fosse per questo motivo dispiaciuta. Ma pensò bene di non dirglielo, e sorrise soltanto.
“Prima che tu te ne vada…voglio dirti che mi ha fatto piacere conoscerti.” Aggiunse lei subito dopo, pensando –E che tu abbia conosciuto me…- confermando la sua deduzione.
“E che so difendermi da sola, non hai motivo di parlare come un uomo di trentotto anni. Anche al buio!”
Volevo sorprenderlo, lasciargli il ricordo d’una ragazza forte, dalla risposta pronta; ma fu lui a stupire lei:
“Lo so. Ti ho vista ieri, in palestra. Ero venuto per parlare con tuo padre e l’ispettore Megure, ma sono arrivato prima di loro e così ho deciso di aspettarli fuori per non creare tanto scompiglio. Per essere certo che non fossero arrivati a piedi mi sono affacciato, e ti ho vista combattere contro un gorilla di…quanti chili? Lo hai steso subito. Non sono bravo nelle arti marziali, ma so riconoscere un gran bel yokogeri* quando lo vedo. Non sapevo fossi la figlia di Mouri, ma mi sei rimasta impressa per la tua ottima tecnica. Oggi, quando sei entrata ti ho riconosciuta subito.”
 
 
Era stata contenta di sentirglielo dire. Non sapeva se l’avesse anche vista spiarlo e poi nascondersi e avesse taciuto per galanteria, anche se sperava semplicemente che non l’avesse notata.
Tuttavia, avrebbe ricordato per sempre quella frase: “Mi sei rimasta impressa.” Era quello che aveva sempre voluto, dopotutto…Certo, nel corso del tempo aveva sognato di lasciargli un bel ricordo di lei pronunciando qualche meravigliosa parola di incoraggiamento, o anche di stima, o addirittura di relativo a qualche inchiesta. Non era stato così…ma gli era rimasta impressa per qualcosa che amava fare, che era parte di lei: il karate. I suoi sogni, dopo quella rivelazione, erano mutati: ora chiudeva gli occhi e vedeva Shinichi che, rispondendo alla domanda di un suo collega, asseriva:
“Quando mi sono trovato davanti a quel tizio, mi sono ricordato di una ragazza che ho conosciuto un po’ di tempo fa. Aveva un’ottima tecnica di combattimento…il suo era un gran bel yokogeri! Pensando a lei, mi è venuto in mente di usare questa mossa per bloccare quel criminale. Quest’arresto è anche un po’ suo.”
 
 
 
 

§    §§     §                                         §    §§     §                                         §    §§                                             
 
 
 
 
Precisazioni:
 
Ruchichi e Mukumura: personaggi di mia invenzione, nel manga non esistono.
Yokogeri: calcio rotante.
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: Il Cavaliere Nero