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Autore: Cygnus_X1    01/06/2014    4 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 7

La battaglia di Thora



 

D



opo due mesi di solitudine, l’accampamento dell’Esercito Libero vicino a Thora fu un pugno in faccia.
La confusione degli ordini gridati, delle armi che si scontravano, dei fabbri che affilavano lame e riparavano armature colpirono Myrindar con tutta la loro violenza, mentre lei e Jahrien si facevano accompagnare da una sentinella fino dal comandante.
Passarono tra le tende impolverate dei soldati, tra i rintocchi sgraziati dei martelli dei carpentieri che riparavano le macchine d’assedio, tra il clangore di armi e armature luccicanti che echeggiava ovunque. Vedeva lampi rosso e oro delle divise dell’Esercito Libero, lampi argentei di metallo tra la polvere della pianura, scorci di torri e mura della città assediata.
Quel caos le rimbombava nella testa e la distraeva, i suoi occhi inseguivano i movimenti rapidi e sicuri delle persone intorno a lei. Guardò Jahrien. Sembrava a suo agio, per niente disorientato. Sì, in fondo doveva aver calcato così tanti campi di battaglia da esserci ormai abituato.
Il ragazzo incrociò il suo sguardo spaesato e sorrise, scuotendo la testa. Myrindar si sentì fuori luogo.
Il padiglione di Alshain era soltanto una tenda, in tutto e per tutto uguale alle altre, se non fosse stato per lo stendardo rosso e dorato appeso fuori. Si sentivano voci provenire dall’interno.
La sentinella che li aveva accompagnati fin lì fece cenno ai due ragazzi di aspettare ed entrò. Seguirono brevi frasi che i due non sentirono, poi il soldato uscì e disse loro di entrare. Myrindar seguì Jahrien all’interno.
Alshain era seduto su uno sgabello accanto a un tavolino ingombro di rapporti, documenti e mappe. Il comandante sollevò lo sguardo sui due nuovi arrivati e congedò i tre ufficiali già presenti nella tenda, che uscirono guardando la ragazza con curiosità e velato disprezzo. Myrindar abbassò gli occhi, a disagio.
Sapeva che le donne combattenti erano molto rare, nei Regni dell’Ovest. Aveva sentito leggende su guerriere micidiali provenienti dall’Est, ma sapeva che quasi sicuramente erano solo, appunto, leggende. Senza contare il fatto che lei dimostrava quindici anni scarsi.
«Apprezzo che tu abbia finalmente scelto di combattere, Myrindar» cominciò Alshain, guardandola con sufficienza.
«La mia opinione non è cambiata, comandante. Non userò il mio potere in una guerra» rispose lei, sollevando la testa. «Combatterò con una spada e un pugnale. Sarò pari a tutti gli uomini su quel campo di battaglia. Anche se sono nemici che vogliono uccidermi, non userò il potere del Kratheda.»
Alshain strinse gli occhi di ghiaccio in uno sguardo affilato e minaccioso.
«Bene. Non sprecherò altro tempo con te. È la tua vita, in fondo. A me basta che tu non faccia uccidere guerrieri più abili di te per questo tuo capriccio.»
Si rivolse a Jahrien, senza degnarla più di un’occhiata.
«Sarete sotto il comando del capitano Eghrel. Lui vi darà tutte le istruzioni per stanotte. Potete andare.»
E con questo considerò chiuso il discorso e tornò a studiare le sue mappe.
 
***
 
Il capitano in questione era un uomo sui trentacinque anni dalla pelle ambrata e i lineamenti spigolosi tipici di Amikar, che li accolse con uno sguardo stupito ma senza fare commenti, il che lo rese immediatamente simpatico a Myrindar. Assegnò loro una tenda dove dormire e li aggiornò sulla situazione.
Erano accampati sotto Thora da più di una settimana. In quel tempo avevano attaccato tre volte la città, e ogni battaglia era durata sempre di più: erano certi che Thora sarebbe presto capitolata.
L’attacco era previsto per la notte stessa, a mezzanotte: ecco il perché del viavai frenetico dell’accampamento. Il piano prevedeva tre squadre: una avrebbe attaccato le mura da est con le macchine d’assedio, tentando di superarle con le torrette, una avrebbe cercato di sfondare il portone principale mentre la terza, la squadra più piccola, sfruttando il favore del buio e la distrazione offerta dalle altre due, avrebbe dovuto oltrepassare le mura da ovest, entrare nella cittadella e imprigionare il governatore, nel frattempo che un piccolo contingente diviso da quell’ultima squadra correva ad aprire le porte in caso non fossero ancora state abbattute.
Myrindar e Jahrien facevano parte della terza squadra. E lei era l’unica ragazza dell’intero esercito.
La ragazza passò tutto il tempo che la separava dalla sua prima battaglia senza fermarsi nemmeno un secondo. Si allenò fino quasi a stancarsi. Affilò la spada e i due pugnali. Lucidò i coltelli da lancio. Legò i capelli, che in quei due mesi le erano in parte ricresciuti, in uno chignon. Passò una fascia nera tutto intorno alla testa, coprendo tutto il viso a parte gli occhi color foschia, che sembravano ancora più grandi in mezzo a tutto quel nero. Indossò i suoi abiti, anche quelli neri, il corsetto di pelle, i pantaloni, la cintura con le armi, gli stivali morbidi e i guanti lunghi fino a sopra il gomito. Infine indossò il mantello nero, tirò su il cappuccio sul volto e si presentò al capitano appena dopo il calar del sole.
Aveva cercato di distrarsi, concentrandosi sull’imminente combattimento.
Invano. Appena vide Jahrien ridere insieme al capitano e ad altri due soldati, vestito di nero come tutti, con gli occhi brillanti e la risata contagiosa, il suo cuore perse un battito. La ragazza chiuse gli occhi, cercando di cacciare a forza l’immagine del ragazzo dalla mente. Solo quando fu nuovamente, per finta, serena, si unì agli altri della sua squadra.
E si comportò come se nulla fosse quando in realtà si sentiva morire.
 
***
 
Cominciò con una campana. Cupa, ritmica, implacabile. Squarciava il nero silenzio della notte buia come la lama argentea di una spada. Incalzava con il suo suono opprimente, rubava i respiri, svegliava da sogni e incubi nel buio. Tuono di morte e guerra, preludio di sventura.
Poi, il colpo, violentissimo, spietato, alle grandi porte di Thora, che rimbombò su tutte le pareti, attraverso la terra, raggiunse gli ultimi angoli della città, grido di dolore e rabbia.
La campana continuava a suonare.
Armature argentee destate dal cupo allarme, radunate in fretta e furia di fronte alla porta violata, mentre un altro, minaccioso colpo ne scuoteva i battenti.
Iniziarono le grida. Fiamme di torce per le strade buie, paura e ordini gridati, mentre una pioggia di frecce si abbatteva dalle mura ai nemici di sotto. Qualcuno cadde privo di vita sulla terra battuta della pianura.
Un altro colpo.
E la campana continuava a suonare.
Altre grida si sommarono alle precedenti quando le sentinelle di Thora notarono approssimarsi alle mura torri d’assedio e scale a pioli. La notte si incendiò dell’oro dei fuochi dei difensori, mentre il fumo si spandeva ovunque, e il suo odore pungente si mischiava a quello rossastro e rugginoso del sangue.
Aria di guerra.
Un’aria che Myrindar conosceva fin troppo bene. Era il ricordo di un tramonto dorato in una città bianca e sporca, mentre l’aria si riempiva di fumo e l’oro del sole diventava quello del fuoco, e due occhi neri la raccoglievano dal buio dove era sempre vissuta. Era anche il ricordo di una corsa infinita e disperata, accompagnata solo dal proprio respiro e dalle proprie lacrime che continuavano a scendere.
Si chiese cosa provassero in quel momento le persone che fuggivano per le strade, intrappolate in quella che pensavano sarebbe stata la loro salvezza.
Improvvisamente non si sentì più in grado di combattere.
Ma era troppo tardi. Eghrel diede il segnale.
La sessantina scarsa di soldati vestiti di nero si infilò nel tunnel che gli assedianti avevano scavato in quei sei giorni per collegare l’accampamento ai sotterranei della città. Myrindar li seguì nel cunicolo.
Erano in pochi, certo, ma era il loro ruolo che lo imponeva. Dovevano muoversi il più velocemente e silenziosamente possibile, una volta in città.
Il sotterraneo continuava a restringersi. Myrindar era minuta e non aveva problemi con gli spazi stretti, anche perché nella sua infanzia tra i vicoli di Antya aveva spesso usato l’enorme rete di cunicoli che si stendeva sotto la città.
Infatti dieci minuti dopo si fermarono per abbattere la parete di mattoni già smossi dei sotterranei dove sarebbero usciti.
Una volta fuori dal cunicolo si divisero: quindici soldati avrebbero camuffato alla meglio l’apertura nel muro e poi sarebbero andati a manomettere la porta principale per permettere il passaggio dell’intero esercito. Myrindar e Jahrien, invece, seguirono Eghrel e i restanti verso la casa del governatore.
La notte li aiutava. Il cielo coperto impediva alla luna quasi piena di illuminare la terra e permettere alle guardie di scorgerli. L’unica luce che riusciva ad oltrepassare il velo di nuvole era un vago e debole bagliore spettrale.
Erano vicini alle mura della cittadella. Erano alte tre metri e non particolarmente sorvegliate, dato che tutti erano concentrati sulla porta principale. Thora non aveva mai subito un assedio. E questo si notava in tutti quegli errori che davano vantaggio all’Esercito Libero.
Cinque dei soldati estrassero delle balestre. Erano caricate con dei ganci legati a corde leggere. I soldati spararono, agganciando i rampini all’orlo delle mura, lasciando pendere le corde. Poi si arrampicarono in fretta, seguiti dagli altri.
Una volta tra le strade della cittadella, si divisero per raggiungere la villa del governatore da tre vie diverse, in modo che se anche un gruppo fosse stato intercettato, gli altri potevano proseguire.
La ragazza seguì il suo gruppo, girando intorno alla casa per entrare dal retro.
La battaglia sembrava non essere ancora arrivata nelle case di nobili e ricchi mercanti della cittadella. La campana era lontana, e le grida si sentivano appena, attutite. A Myrindar salì una rabbia sempre più feroce mentre percorreva le vie silenziose. Fuori dalla bambagia di quelle mura c’erano persone che morivano anche per difendere loro. E loro dormivano come se nulla fosse.
I suoi pensieri furono interrotti bruscamente da uno stridore di metallo. D’istinto sguainò spada e pugnale.
Qualcuno gridò.
Li avevano visti.
Erano in sei, guardie con lo stemma di una casata sull’armatura. I soldati dell’Esercito Libero estrassero le spade, e in pochi secondi la strada era scarlatta e il cammino era libero.
La ragazza evitò di guardare i cadaveri abbandonati sulle pietre non più candide della strada. Rinfoderò le armi, ancora inutilizzate. Non c’era stato bisogno che lei combattesse, per fortuna.
Ripresero la corsa, con più fretta, ora. La villa del governatore era a poca distanza, ma dopo la schermaglia avevano più possibilità che qualcuno desse l’allarme.
Dopo qualche secondo sentì un grido dietro di loro e capì che avevano trovato le guardie morte.
Accelerarono.
Ma la strada era bloccata.
Erano comparsi venti soldati con lo stemma imperiale, guidati da un uomo in armatura nera.
Indossavano l’armatura completa, e il viso era interamente celato dall’elmo, il che era davvero strano considerando che gli imperiali di solito usavano cotte di maglia che lasciavano in parte scoperte le braccia e elmi aperti.
Questo poteva significare solo una cosa.
Erano lì per lei.
I soldati vestiti di nero sguainarono le armi, pronti a combattere. Il comandante degli avversari fece un cenno.
E gli imperiali attaccarono.
Si scatenò la battaglia. I guerrieri dell’Esercito Libero erano in inferiorità numerica, ma sembravano in grado di tenere testa ai combattenti in armatura. Myrindar ne stava affrontando due contemporaneamente, sopperiva all’inesperienza grazie all’agilità e alla velocità, che agli avversari mancava a causa della pesante armatura.
Schivò un fendente, si avvicinò, ne schivò un secondo da parte dell’altro guerriero e riuscì a colpire forte il primo sulla tempia protetta dall’elmo con il pomolo del pugnale. L’imperiale barcollò più in là e fu trafitto tra le due piastre dell’armatura da un soldato dell’Esercito Libero. La ragazza ebbe presto ragione del secondo, e riuscì a fermarsi qualche attimo a riprendere fiato. Non aveva la forza di cercare Jahrien tra i soldati. Cos’avrebbe fatto se l’avesse visto a terra morto? Decise di guardare altrove.
Mentre si concedeva qualche respiro profondo, i suoi occhi incrociarono lo sguardo celato del comandante in armatura nera.
Per una frazione di secondo la ragazza avvertì i suoi occhi addosso a lei. Sentì una strana sensazione pervaderla, strisciare dagli occhi nascosti di quel guerriero fin dentro il suo animo, terrorizzarla. Sentì la maledizione crescere dentro di lei, come quando uccideva qualcuno con il suo potere, ma stavolta molto di più e senza motivo. Il respiro le si mozzò in gola, mentre il cuore batteva forsennato e le energie crollavano.
Poi, una frazione di secondo dopo, tutto svanì com’era venuto. Il guerriero si voltò e trafisse il soldato contro cui stava combattendo. Poi con tutta calma rinfoderò lo spadone dietro la schiena e sparì in una strada buia.
Non poteva permettergli di scappare. Myrindar si guardò rapidamente intorno, e notò che nessuno l’aveva visto. La battaglia stava volgendo a favore dei soldati dell’Esercito Libero, così la ragazza, cercando di non farsi notare, inseguì il guerriero in armatura nera nel buio.
 
***
 
Rischiò di perderlo due volte. Era maledettamente silenzioso, anche se indossava l’armatura completa. Myrindar gli stette dietro, furtiva, attenta a non farsi scorgere. In realtà dentro di sé sapeva che era inutile. Era certa che lui fosse perfettamente consapevole della sua presenza.
In realtà non sapeva chiaramente perché l’avesse seguito. Però c’era qualcosa che la spingeva, e Myrindar aveva imparato da tempo a fidarsi del suo istinto. Forse quella era l’unica nota positiva del marchio del Demone: le dava una capacità particolare di percepire la magia, e un istinto particolarmente affinato, una specie di sesto senso quasi infallibile. Era una delle cose che aveva imparato in quei due mesi come apprendista Cavaliere Errante. Non era riuscita a sviluppare poteri magici veri e propri, che invece era normale nei Cavalieri Erranti, come Jahrien.
Scosse la testa. Non doveva pensare a Jahrien proprio in quel momento. Doveva concentrarsi sul guerriero nero. Solo su di lui.
Lo seguì, sempre a debita distanza, dentro una delle torri di guardia ai lati della porta della cittadella, lasciata sguarnita per dare manforte all’esercito che combatteva nella città bassa. Salì dietro di lui le strette scale a chiocciola, fin sull’ultimo piano.
Il tetto non c’era. Tra i merli quadrati sulla torre Myrindar poteva scorgere i fuochi e le grida della battaglia ancora in corso. L’aria fredda della notte la avvolgeva, le scorreva accanto sollevandole gli orli del mantello. Avanzò cauta, spada in una mano e pugnale nell’altra.
Ma il guerriero non sembrava intenzionato a tenderle agguati. Le dava le spalle, stava dritto sul bordo accanto al parapetto merlato, a guardare i combattimenti dall’alto.
«Buonasera, Myrindar» esordì.
 E lei capì che le sue impressioni erano vere. L’aveva portata lì apposta.
«Chi sei?» sussurrò la ragazza. Non sapeva cosa aspettarsi da lui.
Il guerriero rise. Nonostante l’elmo, la ragazza colse dalla voce un dettaglio in più: doveva essere molto giovane, probabilmente non aveva più di diciotto o vent’anni. Ora che lo vedeva da vicino, notò che aveva la corporatura ancora esile tipica dei ragazzi.
«Sei sicura di volerlo sapere, Myrindar? Potrebbe non piacerti.»
«Non m’importa. Dillo e basta.»
Non voleva parlare del Kratheda, che l’aveva spinta a cercare quel ragazzo, ma lui di sicuro lo sapeva. Sembrava sapere tutto.
«Che cosa vuoi da me? Perché sei venuto a cercarmi?»
«Ah, Myrindar cara» iniziò lui, grondando sarcasmo dalla voce.
«La vedi la battaglia? State perdendo. Non c’è niente da fare, ormai. Dovete solo scegliere se ritirarvi o morire.»
Lei cominciava ad odiarlo, chiunque fosse. Chi si credeva di essere?
«Sai, Uthrag nutre grandi speranze per te. Per questo io sono qui. Oltre che per sterminarvi, ovviamente.»
«Sterminarci, come no? In fondo siamo su una torre a guardare la battaglia da lontano, come potresti non sterminarci?»
Questo era il suo turno di essere sarcastica. Davvero, quel ragazzo era pazzo. Pazzo e megalomane, binomio pericoloso.
«Non parlare di cose che non conosci, Myrindar»
La minaccia che vibrava metallica nella sua voce la inquietò, anche se cercò di non darlo a vedere. Cominciò a pensare che forse sapeva quello che stava dicendo.
«Come ti ho detto, a Uthrag stai simpatica. Anche se finora sei stata con Yndira, vuole darti una seconda possibilità. Oggi tu assisterai al mio trionfo da una posizione privilegiata. Poi ti lascerò del tempo per pensare. La prossima volta che ci incontreremo, dovrai decidere se combattere con me o contro di me.»
Detto questo, le fece cenno di avvicinarsi.
«E ora, vieni a vedere, Myrindar. Ricordati di tutto questo.»
La ragazza obbedì, terrorizzata. Non capiva, ma il Kratheda stava gridando dentro di lei e lei sapeva che stava per accadere qualcosa di brutto. Lo sentiva incombere nell’aria opprimente.
Il ragazzo tese entrambe le mani oltre il parapetto. Myrindar sentì l’energia crepitare nell’aria, come se un fulmine stesse per abbattersi su di loro. Le mani del guerriero cominciarono a brillare appena, di una luce bianca-violetta che continuava ad aumentare di intensità.
La ragazza non voleva più guardare. Voleva andarsene, ma qualcosa glielo impediva.
Fu costretta ad osservare il fallimento dell’Esercito Libero.
Dovette guardare la magia continuare ad accumularsi in una luce accecante, per poi scaricarsi in un fulmine violetto sul campo di battaglia.
Assisté impotente alla morte dei suoi alleati.
Improvvisamente, silenzio. La ragazza era ancora impietrita, si allontanò dal parapetto inorridita, mentre il ragazzo si voltava a guardarla ridendo.
«Ricordati di questa notte. Ricordati di me, Layrath. Ricordati della tua scelta.»
«Chi... chi diamine sei, tu?» disse lei, turbata.
Lui si bloccò. Portò le mani alla testa e cominciò a togliere l’elmo.
La ragazza non era più sicura di volerlo sapere.
Il ragazzo scoprì il suo viso.
Myrindar spalancò gli occhi.
Layrath era giovane, pallido alla debole luce della luna e della battaglia ormai finita. La fissava sogghignando, in un sorrisetto cattivo che alterava i suoi lineamenti sottili e delicati, quasi femminili. I suoi occhi erano pieni di scherno, e i suoi capelli scompigliati erano corti, ma se non fosse stato per quei dettagli, e per il fatto che lui era un ragazzo, avrebbero potuto essere scambiati per la stessa persona.
La ragazza lo fissò inorridita, terrorizzata e sconvolta.
I suoi occhi colsero un dettaglio mentre scorrevano su quel viso che assomigliava terribilmente al proprio.
Al centro della fronte, seminascosto dai capelli.
Nero più della notte.
Un marchio.
Fece per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma un oggetto pesante calò sulla sua testa.
Perse i sensi.
   
 
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