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Autore: Emily Kingston    02/06/2014    10 recensioni
“Domani non lo ricorderò,” disse Ron, mentre Hermione si stava avviando verso le scale del dormitorio femminile. “Ma tu ricordalo,” continuò. “Ti prego. Ricordatelo.”
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Questa storia si è classificata sesta al contest "L'eternità era sui nostri occhi e sulle nostre labbra" indetto da ColeiCheDanzaConIlFuoco
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Di come Hermione ha imparato ad aspettare Ron
 

  Hermione aveva sempre amato girare per il castello di notte.
C’erano il silenzio e la flebile ombra dei deserti castelli francesi che aveva tante volte visto durante le sue vacanze, ma allo stesso tempo le pareti trasudavano magia, incanto.
Quando, l’anno precedente, aveva ricevuto la sua spilla di Prefetto, Hermione si era sentita più emozionata e onorata che mai, ma solo quando aveva iniziato le ronde notturne aveva capito i veri lati positivi di quel ruolo: non la soddisfazione, non la gratitudine verso il Preside, non la possibilità di dimostrare, ancora una volta, di essere all’altezza del suo compito. Il vero privilegio era poter vedere Hogwarts assopita, inerme in tutte le sue segrete bellezze.
Quella sera la ronda sarebbe dovuta toccare ai Tassorosso, ma Belinda Blossom era finita in Infermeria e la professoressa Sprite aveva chiesto alla professoressa McGranitt se Hermione potesse sostituirla, al fianco Ernie McMillan.
E così eccola lì, a passeggiare per i corridoi del castello con solo la sua bacchetta e un Lumos a farle compagnia.
Non le dispiaceva passeggiare da sola; era sicuramente meglio di quando faceva la ronda assieme a Ron e lui non faceva altro che lamentarsi, ripetere che voleva andare a dormire, chiedere tra quanto tempo avrebbero finito e lamentarsi. In effetti, però, da qualche mese a quella parte – più esattamente da quando lui e Lavanda Brown erano diventati una nuova, vomitevole versione del Kraken – quand’erano costretti a stare insieme per la ronda o si separavano o non si rivolgevano la parola. E sebbene Hermione avesse provato a convincersi che così era molto meglio e che la sua vita senza quel bambino di Ron fosse migliore, in cuor suo sapeva di starsi sbagliando, e anche di grosso.
Sospirò, illuminando il suo cammino con la luce emanata dalla bacchetta. Si trovava nei pressi delle cucine, senza neanche sapere come fosse arrivata lì; l’ultima volta che si era guardata intorno avrebbe giurato di aver visto la statua di Barnaba il Babbeo.
Abbassò lo sguardo sull’orologio che portava al polso – un regalo dei suoi genitori – e pensò che, magari, poteva tornarsene in sala comune per quella sera e lasciare che Ernie finisse il giro. In fondo, ormai erano già diverse ore che passeggiava in su e in giù per il castello, se ci fosse stato qualcosa da scoprire, sarebbe già successo. Avrebbe cercato Ernie e l’avrebbe avvertito che in giro non stava succedendo niente di strano e poi, dopo averlo salutato, se ne sarebbero tornati entrambi ai loro dormitori.
Sicura della sua decisione, Hermione fece dietrofront, iniziando già a pregustare la comodità del suo letto e la soddisfazione di un meritato risposo, quando, inaspettatamente, un fragore si propagò nell’aria, seguito da un’imprecazione.
Allarmata, Hermione si voltò di scatto, puntando la bacchetta verso la parete. Il rumore poteva provenire solamente da due luoghi: la sala comune dei Tassorosso o la cucina e, siccome il dormitorio si trovava vicino all’entrata del corridoio, rimaneva un’unica opzione.
La ragazza si avvicinò cautamente al quadro con la frutta e, come le avevano detto Ron e Harry, allungò una mano per solleticare l’immagine della pera. Non l’aveva mai fatto prima, entrare nelle cucine senza il permesso di un insegnante, ma il suo dovere di Prefetto ebbe la meglio e, quando la parete si aprì, Hermione entrò.
La cucina era buia, probabilmente gli elfi erano andati a dormire da un pezzo, e apparentemente deserta. Hermione avanzò all’interno della stanza con passi leggeri, cercando di non farsi sentire da chiunque stesse infrangendo le regole stando là dentro.
Un passo, due passi, tre passi.
Dopo il fragore era calato un silenzio spesso, impenetrabile, che le fece quasi pensare di essersi immaginata tutto e che la cucina fosse realmente vuota.
Fu quel pensiero a risvegliare l’attenzione di chi si rintanava là dentro, che agitò la bacchetta e pronunciò un incantesimo all’apparenza sconosciuto alle orecchie di Hermione. Forse era stata colpa dell’oscurità che le celava il volto dell’intruso, o forse era stata colpa dei suoi nervi molto deboli in quel periodo, fatto stava che, non riconoscendo l’incanto, Hermione puntò d’istinto la bacchetta nel vuoto pronunciando un ‘Expelliarmus’ a pieni polmoni e disarmando chiunque ci fosse là dentro.
Quando la luce sulla punta della sua bacchetta illuminò il volto di Ron Weasley, a Hermione cominciò a uscire fumo dalle orecchie.
“Ronald!” lo rimproverò, più contrariata che mai. “Mi hai fatto prendere un colpo! Cosa diamine ci fai qua sotto, si può sapere?! Siamo in piena notte!”
Ron la guardò un po’ inebetito, come se non avesse capito a pieno quello che l’amica gli aveva detto. Si limitò a piegare leggermente la testa di lato e a osservarla.
“Ronald, ti senti bene?”
“Sto benissimo,” rispose lui, annuendo ripetutamente. “C’è solo una pazza che mi ha fatto sparire la bacchetta e, se vuoi saperlo, mi piacerebbe averla indietro!”
Era una classica risposta da Ron, in un quasi classico tono da Ron, con un’espressione decisamente non da Ron. Il ragazzo, sbuffando, mosse qualche passo e fu in quel momento che Hermione notò i suoi evidenti problemi di equilibrio.
“Ronald,” iniziò, avvicinandosi un po’ a lui. “Tu hai bevuto?”
“Assolutamente no,” ribatté lui, cadendo quasi a terra a causa di una sedia.
“Come diamine avete fatto ad introdurre dell’alcool ad Hogwarts?” iniziò a sbraitare Hermione, seguendolo nella sua ricerca della bacchetta. “Di chi è stata l’idea? Chi vi ha procurato gli alcolici? Siete minorenni! Con chi eri? Dove eravate?”
Ron si girò di scatto, producendo uno strano verso gutturale.
“Mi stai facendo diventare matto quanto te, Hermione!” esclamò, esasperato. Poi le dette le spalle e continuò a setacciare il pavimento con lo sguardo. “Tante storie per qualche birra…” borbottò tra sé.
Hermione sbuffò, irritata dal non capire nulla di quello che era successo. Esasperata, sventolò la bacchetta in aria: “Accio bacchetta di Ronald,” disse, e questa volò immediatamente nelle sue mani.
Ron si voltò e il suo sguardo s’illuminò di gratitudine alla vista della propria bacchetta.
“Grazie!” esclamò, allungando le braccia per prenderla, ma Hermione l’allontanò dalla sua presa, tenendola per sé.
“Vieni, torniamo alla torre,” gli disse. “ Questa per il momento la tengo io.”
Poi gli dette le spalle e Ron, sbuffando, la seguì.
 
  Durante il tragitto non si rivolsero mai la parola, fatta eccezione per qualche fallimentare tentativo di Ron per riavere la propria bacchetta.
Il fatto era che Hermione odiava essere tagliata fuori dalla vita di Ron e non sapere cosa stesse combinando; odiava che quella fosse la prima volta dopo mesi in cui alzavano la voce uno verso l’altra; odiava che Lavanda Brown la guardasse con aria di sfida, come a ricordarle che lei era riuscita ad ottenere con il massimo sforzo di un battito di ciglia quello che lei aveva voluto per anni. E infine odiava Ron, perché non riusciva a odiarlo neanche quando lo odiava.
C’era una parte di lei che si chiedeva come mai non si fosse innamorata di Viktor due anni prima o come mai non si fosse presa una cotta stratosferica per un ragazzo carino e gentile come Neville o come Jeremy Dickinson di Corvonero. Insomma, come mai si fosse scelta proprio un ragazzo che, immancabilmente e in qualsiasi modo possibile, la facesse soffrire. Ginny le aveva detto che era una pazza e per un momento era stata tentata di parlarne con Harry, ma poi aveva temuto la sua reazione e quindi aveva tenuto la bocca chiusa.
“Sai Herm,” esordì Ron all’improvviso, mentre percorrevano il corridoio deserto. “Mi dispiace per quello che è successo tra noi.”
La ragazza cercò di non dargli ascolto, ripetendosi che era l’alcool a parlare e che Ron non le avrebbe mai chiesto scusa, dato che era così ottuso da non aver neanche capito come mai non si parlassero più.
“Io non la volevo baciare Lavanda,” continuò, ignorando il fatto che lei non lo stesse ascoltando. “Non l’avrei mai baciata. Solo che tu mi hai trattato per l’ennesima volta come se fossi un perdente, mentre lei mi ha trattato come se fossi qualcuno, come se contassi qualcosa ed ero troppo euforico per controllarmi.”
Hermione si arrestò all’improvviso, stringendo i pugni. Davvero l’io ubriaco di Ron credeva che per lei lui non contasse niente?
“Tu pensi veramente di non contare nulla per me, Ronald?” chiese, pentendosi subito dopo di averlo fatto. Il giorno seguente Ron non avrebbe ricordato una parola di quello che si erano detti e, molto probabilmente, neanche pensava le cose che stava dicendo.
“Io non sono abbastanza per te, Hermione,” rispose e Hermione poté giurare di aver sentito una nota rassegnata in quelle parole. “Fred me l’aveva detto che era da pazzi credere che io potessi avere qualche speranza con te, quindi ci ho rinunciato.”
Hermione riprese a camminare, decisa a non dare peso a nessuna delle cose che il ragazzo stava dicendo e classificandole come ‘sproloqui dovuti alla troppa allegria’.
“Lo vedi?!” esclamò, ormai perso in un monologo. “Sono talmente smidollato che neanche ho il coraggio di lottare per te. Come puoi volere un ragazzo che non è neanche disposto a lottare per te?”
Silenzio, solo i passi di Hermione sul pavimento e il tremolio impercettibile del Lumos che illuminava la punta della sua bacchetta.
“Io però ti amo, Hermione. Dannazione se ti amo!” a quella perole, volente o nolente, il cuore di Hermione perse un battito. E, forse perché voleva crederci o forse perché era vero, le tornò alla mente una cosa che le aveva detto la figlia degli amici di suo padre, Aubree: ‘Sai, quando uno parla da ubriaco non dice mai tutta la verità, ma non dice mai neanche tutta una bugia. L’alcool è il confessionale di chi ha troppa paura, solo che, ogni tanto, ingigantisce un po’ le cose.”
“E forse, anzi sicuramente, tu non ami me e non mi amerai mai. E lo capisco,” continuò Ron, preso da quella spinta di alcool coraggioso che gli circolava in corpo. “Ma io… Io credo di volerci provare ancora un po’. Tu sei una per cui vale la pena lottare e farsi male da morire, e anche se non ti avrò mai e dovrò accontentarmi di Lavanda, dei suoi capelli lisci e non ricci e dei suoi occhi azzurri e non marroni, allora mi accontenterò.”
Hermione si voltò a guardarlo, le parole di Aubree che le vorticavano in testa, confondendole le idee e annebbiandole il cervello. Il cervello di Hermione non si annebbiava mai se non in un unico caso: quando c’era di mezzo Ron. E lei lo odiava anche per questo: perché la sua razionalità veniva sempre, inesorabilmente schiacciata dai sentimenti quando si trattava di lui.
“Ron… tu non sai quello che stai dicendo,” ribatté lei, una leggera esitazione nella voce. “Domani non ti ricorderai nulla di tutto ciò e io-”
Ron sospirò, passandosi una mano tra i capelli scombinati. Quegli stessi capelli che Hermione aveva visto cambiare negli anni insieme a lui. Quei capelli che erano stati corti, lunghi e poi di nuovo corti, finché il ragazzo non aveva trovato la misura giusta: quella che faceva venire a Hermione la voglia di voltarsi a guardarlo ogni secondo.
“Non m’interessa, Hermione,” rispose, risoluto. In tanti anni che lo conosceva, Hermione non l’aveva mai visto sicuro e deciso come in quel momento e, stranamente, si rese conto che a lei Ron piaceva timido, impacciato e costantemente in cerca di quel coraggio che non sapeva di avere.
“Non me ne frega una pluffa se domani non mi ricorderò nulla perché ho bevuto pensando a te,” Hermione avrebbe voluto interromperlo per chiedergli cosa volesse dire con quelle parole, ma lui non le diede modo di farlo. “Non me ne frega perché oggi, ora, voglio prometterti che ci proverò. E sappi che non ti prometto il ‘ti amerò per sempre’, perché non funziona. Ci sono giorni in cui ti amo pazzamente, mentre altri non ti sopporto. E come se non ti sopporto! Il fatto è, Hermione, che io non ti posso promettere quello che potrebbe prometterti Krum, posso prometterti una cosa soltanto,” Hermione lo guardò, impaziente. Si sentiva una bambina, una sciocca a prestare ascolto a quelle parole, ma c’era una parte di lei che voleva crederci e che lo faceva. Ci credeva. “Io posso prometterti che ti amerò più che posso e spero che ti basterà.”
La ragazza rimase in silenzio, impietrita da quelle parole; quelle stesse parole che si era sempre voluta sentir dire da Ron e che adesso sembravano così surreali, fragili, improbabili. Ma di fronte al suo sguardo limpido e luminoso, Hermione non poté fare a meno di credergli.
“Uhhh,” sospirò lui, dopo diversi minuti di silenzio. “Meno male che Dean ha portato quelle birre dopo Natale!” esclamò e Hermione si voltò per evitare che la vedesse sorridere.
“Dai,” lo esortò. “Torniamo al dormitorio.”
Ron non obiettò e, dopo pochi minuti, furono di fronte al ritratto della Signora Grassa, che si aprì diligentemente quando Hermione pronunciò la parola d’ordine.
“Domani non lo ricorderò,” disse Ron, mentre Hermione si stava avviando verso le scale del dormitorio femminile. “Ma tu ricordalo,” continuò. “Ti prego. Ricordatelo.”
Hermione annuì e, dopo avergli dato brevemente la buonanotte, salì le scale velocemente, raggiungendo la sua stanza e, in pochi passi, il suo baldacchino.
Si gettò sul materasso senza preoccuparsi che il rumore potesse svegliare le sue compagne di stanza e, turbata dalla conversazione avuta con Ron, si mise a fissare il soffitto del suo letto.
Sicuramente, come lui stesso aveva detto e come lei gli aveva ripetuto – e si era ripetuta – più volte, il giorno seguente non ci sarebbe stata traccia nella sua memoria di quella conversazione. Sicuramente lui avrebbe continuato a farsi sbaciucchiare da Lavanda e a farsi perseguitare da lei.
Sicuramente non sarebbe andato a chiederle scusa e a dirle che intendeva tutto ciò che aveva detto quella sera.
Sicuramente Ron non avrebbe fatto molte cose, ma Hermione ne avrebbe fatta una.
Avrebbe tenuto fede alla sua promessa e avrebbe ricordato le parole di Ron, completamente vere o in parte false che fossero. Avrebbe creduto ad Aubree Jordan e alle sue teorie sull’alcool. Avrebbe creduto a quegli sguardi nascosti che Ron le lanciava in sala comune, quando Lavanda si appropriava di lui e insisteva per baciarlo. Avrebbe creduto che erano suoi i capelli che Ron voleva accarezzare, i suoi gli occhi che lui voleva guardare.
Avrebbe fatto la cosa più illogica che avesse mai fatto in vita sua e avrebbe aspettato. Avrebbe aspettato il momento in cui Ron avrebbe iniziato ad amarla più che poteva, semplicemente per fare altrettanto.

 


Emi's corner
Questa storia partecipa al contest 'L'eternità era sui nostri occhi e sulle nostre labbra' indetto da ColeiCheDanzaConIlFuoco e il mio pacchetto era 'Expelliarmus': cucine, nessun personaggio che entra nelle cucine deve sedersi/sdraiarsi a terra. 
L'ho scritta di getto sei ore prima che il contest scadesse, quindi è una cosa un po' azzardata e improvvisata; spero solo che non faccia così schifo. E spero, prima di tutto, che la storia piaccia alla giudicia e a qualcuno di voi e che riesca a trasmettervi qualcosa, anche se solo un pochino. 
Un bacio a tutti, 
Emily ^^ 


 
   
 
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