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Autore: lupacchiotta blu    03/06/2014    1 recensioni
Valentina è una ragazza come ce ne sono tante: i suoi genitori la amano, ha un cane fedelissimo, un migliore amico-fratello, è determinata, intelligente,pratica uno sport che ama... ma che cosa succederebbe se il suo mondo cambiasse, se venisse invaso dagli zombie? E se la sua famiglia non volesse seguirla? Cosa farebbe lei? Scapperebbe impaurita o farebbe l'eroina della situazione? Questo è un mistero, ma ha dalla sua parte un'arma formidabile: è un po' paranoica, e non si può prenderla alla sprovvista.
Genere: Avventura, Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 marzo 2014, notte fonda
 

Arriviamo a casa nostra ed entriamo. Il militare e Lucio li leghiamo in salotto, così possiamo tenerli d’occhio, ma noi ci spostiamo in cucina dove non possono sentire i nostri discorsi.
< Che si fa? > chiede Mosè.
< Adesso procediamo con l’altra parte del piano: catturiamo il sindaco e poi portiamo tutti e tre in piazza. Dovranno confessare davanti a tutti > risponde Giuseppe.
< Andiamo adesso dal sindaco? > chiedo io < Di sicuro non si aspetta una nostra visita, sarà facile imprigionarlo >.
< Sì, ma qualcuno deve restare a controllare i prigionieri >.
< Buona idea, Francesca > si esprime Davide < io vorrei andare a catturare il sindaco >.
Giuseppe ci divide in due gruppi: io, Francesca e Mosè faremo da guardie; lui e Davide andranno a casa del primo cittadino.
Prima che partano, Francesca benda le sue ferite come meglio può. La ferita sul polpaccio non è tanto profonda, ma ha perso parecchio sangue.
Dalla premura che Francesca ha nei confronti di Giuseppe, è chiaro a tutti che tra loro c’è del tenero. Questo mi è ancora più chiaro quando i nostri due compagni escono di casa e lei si fa subito più triste.
Mosè è quello messo peggio di tutti: è ricoperto di graffi in faccia, il naso è rotto e ha una ferita molto profonda sul braccio.
< Come mai sei messo così male? > gli domando < i miei compagni non sono stati picchiati quanto te >.
Mentre cerco altre bende e disinfettanti, mi racconta la sua storia:
< Hanno bussato alla porta sul retro. Io mi sono insospettito: perché qualcuno avrebbe dovuto voler entrare da lì? Perché non dal davanti? Armato di un bastone, sono andato ad aprire. Sono entrati come delle furie e mi hanno inseguito per tutta la casa. Quando mi hanno preso, mi hanno ridotto così più per ripicca che per vera necessità, perché mi avevano già legato come un salame >.
Tossicchiò. Aveva un maglione pesante, ma non la giacca: quelle ore al freddo lo avevano indebolito ancor di più, tanto che per un buon tratto di strada si era fatto aiutare da Davide.
< Ti fa tanto male? >.
< Un po’, ma ho passato di peggio! > rispose.
Sì, come no. Era pallido come un lenzuolo e tossiva, ma si sa come sono gli uomini, vogliono sempre fare i “machi”.
Prima disinfetto e incerotto i graffi sul viso e il naso rotto, poi mi concentro sul braccio. È messo maluccio.
I bordi sono irregolari, in alcuni punti è più profonda; il sangue rappreso la ricopre e la rende ancor più brutta.
La lavo per bene con acqua calda e disinfetto, ma per le mie capacità è troppo grave.
< Appena questa faccenda è finita, ti portiamo dal dottore. Intanto andrà bene così >.
< Grazie > risponde tossicchiando.
Vorrei dargli del tè caldo, ma non ne abbiamo più. Penso che potrei offrirgli qualcosina da sgranocchiare, ma non abbiamo più nemmeno quello.
Tutta colpa di quei bastardi.
Mi giro verso il salotto: uno ancora dorme, l’altro è vigile e attento, ma dopo tutte le botte che ha preso non tenterà di fuggire.
Anche Francesca li sta osservando, appoggiata allo stipite della porta. Ha la fronte corrugata, le braccia conserte e i denti stretti.
Non ci vuole un genio a capire cosa pensa, anche lei è incazzata nera, soprattutto per come hanno trattato Giuseppe, suppongo.
Vorrei chiederle dei particolari sul rapimento, ma prima che apra bocca, Asso mi si avvicina mogio mogio.
Cazzo, preoccupata com’ero per gli altri mi sono quasi dimenticata di lui!
< Asso, vieni >.
Lui mi annusa la mano e io non gli nego qualche carezza. Povera bestia, l’hanno trattato come un sacco da boxe.
A vederlo così, mi monta una rabbia tale che potrei abbattere un toro. Non so se sto facendo bene, ma uso gli stessi medicamenti anche per lui. Spero vadano bene sia per gli uomini che per i cani.
Per fortuna, come tutti i cani-lupo, è forte e resistente. È messo male ma ce la farà.
Mi accorgo però che è dimagrito un sacco e posso sentirgli le costole sotto il pelo.
Questa fame è tutta colpa di quei sacchi di merda!
Animata da un’intensa rabbia mi avvicino con passo svelto al militare, fissandolo con due occhi di fuoco.
Gli tolgo il bavaglio con poca delicatezza e gli chiedo:
< Come ti chiami?!Come mai siete sulla montagna?! Che cosa siete venuti a fare?! >.
Il soldato sussulta e deglutisce.
< Allora, sei sordo?! >.
L’uomo, ricordatosi delle botte già prese, preferisce parlare:
< Pietro. Abbiamo solo fatto da scorta a Lucio, noi militari non c’entriamo niente! >.
< Bugiardo! > esclama Francesca avvicinandosi < Siete o non siete stai voi a rubare il cibo?! Siete o non siete stati voi a rapirci e picchiarci?! Eh?! >.
Non l’ho mai vista così arrabbiata, quasi quasi mi fa paura.
< Noi non- >.
< Bugiardo! > urla lei, prendendolo per il bavero della giacca < Siete complici di quella merda, dovete pagare tutti quanti! >.
Sì, fa decisamente paura vedere una donnina così minuta scuotere così forte un uomo.
Gli tira un pugno e lo imbavaglia di nuovo.
Torniamo in cucina da Mosè, discutendo a bassa voce di quale potrebbe essere stato il loro piano.
Stiamo parlando da qualche minuto, quando Mosè comincia a tremare.
< Hey, stai bene? > chiede ansiosa Francesca.
< S-sì, ho s-solo u-u-un po’ di f-fred-do. N-non è che po-po-potreste accendere il ca-camino? >.
Mentre la mia compagna lo sposta su una poltrona in salotto, io accendo il caminetto con un po’ di legna che trovo accanto al camino. È l’ultima legna asciutta che ci resta, speriamo basti per la notte.
In pochi minuti una fiamma guizzante si alza dai ciocchi di legna, riscaldando l’ambiente. Copriamo il nostro amico con delle coperte pesanti e spostiamo i prigionieri in cucina, legandoli ancora più saldamente al bancone in legno e granito.
Il soldato oppone un po’ di resistenza ma gli piazzo un pugno allo stomaco e si zittisce.
< La merda non può restare al caldo, sennò puzza di più >. E così chiudo la porta della cucina, lasciandoli al freddo e al buio.
 
Mi viene un dubbio, così tocco la fronte di Mosè. Dire che è calda è un eufemismo: è veramente bollente.
< Francesca, è peggiorato. Adesso ha la febbre >.
< Sono preoccupata, forse dovremmo chiamare il dottore >.
< A quest’ora della notte? Sono si e no le due. E poi chi resta qui con i due prigionieri? V sono legati, ma non si sa mai… >.
< Ma lui sta molto male >.
Sospiro, Francesca ha ragione. Pensavo che avremmo potuto aspettare l’arrivo del mattino, invece dobbiamo agire adesso. In più, Mosè non è più tanto giovane, potrebbero venir fuori delle complicanze.
< Pensi di potercela fare per qualche minuto? Tempo di andare a chiamarlo e tornare, farò presto >.
< Sei sicura di voler andare tu? >.
< Sì, tu resta con lui >.
Esco e vado a casa di Marco, il medico. Mi rendo conto solo ora di aver lasciato a Francesca il compito più duro.
Busso con forza, Marco mi apre e lo convinco a seguirmi fino a casa.
Una volta tornati, sono felice di constatare che va tutto bene: nessuno è scappato e Mosè è ancora cosciente.
Il medico lo visita, dà i punti al suo braccio e risistema tutte le fasciature che ho messo io.
< Non te la sei cavata male con le medicazioni > mi dice < le avevi fatte abbastanza bene >.
< Con tutte le volte che mi sono medicata da sola, qualcosa avrò pur imparato! > dico sorridendo.
< Ahah! Sì, hai fatto pratica. Comunque, tornando a te > dice rivolgendosi a Mosè < ti ho dato qualcosa per la febbre, dovrebbe calare un po’. Attento a non sforzare con il braccio destro, sennò i punti potrebbero rompersi >.
< Ok > lo rassicura flebilmente Mosè.
< Per curiosità, com’è che ti sei ridotto così? Perché Valentina non mi ha spiegato tanto bene… >.
I due compagni della ragazza la guardarono: era il caso di rivelare tutto a Marco? Tanto lo avrebbero detto comunque il giorno stesso.
No, meglio di no. Non si sa mai.
< Ecco > inizio a raccontare < Mosè era uscito perché aveva sentito un rumore strano. È scivolato e nella caduta si è tirato addosso un mucchio di robaccia che aveva impostato al muro di casa >.
< Già, coff coff! È andata così >.
< Poi è venuto da noi, per non disturbarti, sai com’è fatto. Purtroppo è messo così male che abbiamo dovuto chiamarti lo stesso >.
Il dottore annuisce e sembra soddisfatto delle nostre risposte.
< Io sono qui apposta per curare i malati. Chiamatemi ogni volta che ce n’è bisogno >.
< Certamente, lo faremo > dice Francesca < Ora però è meglio se torni a dormire, ti vedo molto stanco. Ci scusiamo ancora per il disturbo >.
Così lo accompagna alla porta e lo saluta.
< Credo che abbiamo fatto bene a non dirgli dei prigionieri. Non si sa mai che i piani vadano storti >.
< Già >.
Ci sediamo sul divano per fare compagnia a Mosè, ma lei continua a girarsi verso la cucina.
< Che ne dici se svegliamo Lucio? > chiede con una strana luce che le brilla negli occhi.
So cosa le frulla in testa, anche io sono curiosa di avere delle risposte.
< Sì, ma non essere troppo delicata >.


Angolo dell'autrice:
Eccomi perfettamente in orario!
Qualcosa si sta per muovere in questa faccenda, ma visto che sono cattiva, dovrete aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo! XD

Lupacchiotta blu
  
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