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Dall’ombra, camminando
lentamente e a sguardo basso, arrivarono tre uomini, di cui due in abiti civili
ed uno con una uniforme da inserviente, forse un cameriere.
Erano
tutti e tre armati, ma tenevano le loro armi come veri e propri dilettanti;
solo l’inserviente, giovane e dai capelli scuri, sembrava avere una qualche
familiarità con il volture che aveva tra le mani.
Georg e
Klaus gli si fecero incontro.
«Capitano
Klopfer, forze speciali d’intervento.»
«Raoul
Montero» disse l’inserviente. «Aiuto cameriere. Lieta di vederla, Capitano.
Siete una gioia per gli occhi.»
«Sei un
soldato?»
«Quasi,
signore. Tre anni nella Guardia Nazionale di Ebridan.»
«Spari
un po’ troppo alla leggera per essere uno che dovrebbe avere dimestichezza con le
armi» protestò Klaus. «Ecco cosa succede a mettere un fucile nelle mani di un
soldato a chiamata.»
«Mi
dispiace. Credevamo che foste alcuni di quei maledetti mostri. Da queste parti
ne sono arrivati di continuo per giorni.»
«Per
quale motivo?»
«Ci sono
dei sopravvissuti qui vicino, nelle cambuse. Quei bastardi probabilmente ne
sentono l’odore. Poi le porte si sono bloccate, la corrente è andata via del
tutto, e non sono più arrivati.»
«È colpa
nostra» rispose Georg quasi mortificato. «Riattivando la corrente abbiamo anche
aperto le porte.»
«Non si
preoccupi. Anzi, ci avete fatto un grosso favore. Quaggiù forse eravamo al
sicuro, ma eravamo anche prigionieri. Almeno ora possiamo muoverci di nuovo.»
«Che
cosa ci fate qui?»
«Quando
è tornata la luce, abbiamo pensato che poteva essere qualcuno venuto da fuori
per cercarci, e che era meglio farci trovare. Noi tre eravamo gli unici ad
avere dimestichezza con le armi, e io conosco la nave, così ci siamo offerti di
venirvi incontro».
I due
interessati a quel punto si presentarono.
«Philippe
Reynar. Cacciatore a tempo perso. Per servirvi.»
«Lou
Wong, signore. Sono vice-Comandante dei vigili del fuoco a Holsted.»
«Io a te
ti conosco.» disse Klaus all’indirizzo di Philippe
«Me lo
dicono in tanti.» sorrise l’interessato
«Quanti
superstiti ci sono in quelle cambuse?» interruppe Georg
«In
tutto, quattrocentotrentanove» rispose Raoul «Duecentoquattro uomini,
centosettantanove donne e cinquantasei tra bambini e ragazzi.
Tutti
quelli che siamo riusciti a mettere insieme e a portare qui prima che le porte
si bloccassero.»
«Ci sono
feriti?»
«Contusioni,
distorsioni e altre cose del genere. Quelli che erano stati assaliti da quelle
creature non ci siamo fidati a portarli con noi. La maggior parte di coloro che
vengono morsi alla fine muore, e chi muore poi spesso ritorna come uno di loro.»
«Avete
corso un bel rischio avventurandovi qua fuori. Per fortuna questa zona non è
stata ancora raggiunta dagli EDA. E con un po’ di fortuna, non lo sarà mai».
Georg si
mise allora in contatto con Ulrich.
«Drassimovic,
puoi isolare la zona delle cambuse?»
«Non
completamente, ma posso creare una serie di strozzature e di occlusioni
bloccando alcune porte.»
«Bene,
fallo.»
«Seguiteci»
disse Raoul «Vi portiamo al rifugio».
I tre superstiti condussero
allora Georg e Klaus attraverso il corridoio, volutamente ricoperto di casse,
fusti e ogni altro genere di ostacolo per rendere la vita difficile a qualunque
assalitore, al termine del quale vi era un ampio portone.
«Solo un
istante» disse Raoul rimuovendo uno ad uno dei chiavistelli artigianali che
impedivano l’attivazione del congegno di apertura automatica. «Prima che la
corrente andasse via del tutto bloccando le porte, abbiamo pensato di
rinforzarla. Non è il massimo della praticità, ma dovrebbe funzionare».
In
effetti servì la forza di tutti e tre per riuscire a togliere quei cardini così
pesanti, e appena la porta, liberata dai fermi, si aprì con uno scatto, tanto
che Raoul dovette afferrarla per evitare che il contraccolpo fosse tale da far
saltare il meccanismo, lo sguardo dei due soldati si aprì su di una sala molto
ampia, con un’alta volta, una forma quasi perfettamente circolare e un diametro
di almeno una quindicina di metri.
Sicuramente
un crocevia, a giudicare dalle molte altre porte poste ad uguale distanza l’una
dall’altra, tutte sprangate; le uniche aperte erano quelle che conducevano alla
cambusa vera e ai servizi igienici, che a giudicare dall’odore dovevano aver
lavorato a pieno regime negli ultimi giorni. A questo si aggiungeva anche
l’olezzo di fumo, di cui la stanza era peraltro satura, prodotto dai bivacchi e
dalle torce di fortuna per riscaldare e fare un po’ di luce.
Qua e là
si innalzavano mucchi casse contenenti generi alimentari di vario genere,
soprattutto scatolette, ed era stato organizzato in un angolo un centro di
distribuzione; inoltre, più di uno era armato, anche se si trattava perlopiù di
armi di piccolo calibro non particolarmente pericolose.
Nel
vedere arrivare Georg e Klaus, col gagliardetto della MAB ben visibile sulle tute, gli occhi di molti
superstiti si accesero di meraviglia.
«Beh…»
disse Raoul quasi sconsolato. «Benvenuti».
La gente
si alzò, formando un semicerchio attorno ai due agenti.
«Sono il
Capitano Georg Klopfer. Forze speciali di intervento. Siamo qui per aiutarvi».
Un uomo
sulla quarantina, pizzetto e baffi ben curati, si fece avanti con fare
piuttosto arrogante.
«Finalmente,
era ora. Aspettavate un invito in carta bollata?»
«Lei non
cominci come al solito, signor Song.» lo ammonì Raoul
«Richard Song!?» disse Klaus stupito. «Il giocatore professionista?»
«In
carne ed ossa, ragazzino.»
«Ho
seguito la sua partita contro Draxler Yale su internet. Una finale fenomenale.»
«Sì, sì,
commovente. Gli autografi a dopo. Ora per favore vi dispiacerebbe farci uscire
da questa nave maledetta?».
Georg
però parlò come se non lo avesse sentito, e la cosa non fece visibilmente
piacere al diretto interessato.
«Ci sono
ufficiali tra di voi?»
«No,
signore» rispose sempre Raoul. «Di ufficiali c’era solo il Comandante in
Seconda Shawn. Si è avventurato nel cuore della nave tempo fa per cercare altri
superstiti e provare a rimettere in moto la nave, ma non è più tornato.»
«Abbiamo
bisogno di sapere con esattezza cos’è successo. Qualcuno sa come abbiano fatto
quegli EDA ad arrivare a bordo del Megonia?»
«Tutto
quello che sappiamo è che sono comparsi all’improvviso in vari punti della
nave. Centinaia, forse anche di più. È successo proprio durante la Nascita di
Venere. Io e alcuni altri ci siamo fatti strada fino a qui, e lungo il tragitto
abbiamo raccolto quanti più sopravvissuti possibili. Poi, dopo qualche ora, le
porte stagne d’emergenza si sono chiuse e siamo rimasti intrappolati.»
«Avete
idea del perché si siano chiuse?»
«Probabilmente
è stato fatto da qualcuno. A quanto ne so, le porte possono essere chiuse solo
dal ponte di comando o dal nucleo di memoria.»
«Le armi
come ve le siete procurate?»
«C’è un
piccolo arsenale nei ponti inferiori. Una contromisura per difendersi dai
pirati. La sicurezza ha tentato di contrastare gli EDA appena sono comparsi, ma
sono stati travolti. Abbiamo trovato queste armi in giro per la nave.»
«Pensate
sia possibile raggiungere l’armeria?»
«Ne
dubito. Chi veniva da laggiù ha detto che quei ponti erano infestati.»
«Capisco».
Georg si
guardò attorno, raccogliendo gli sguardi supplichevoli, confusi o spaventati
dei sopravvissuti, quindi, chiamato a sé tutto il carisma di cui disponeva,
parlò ad alta voce.
«Allora,
signori. Statemi a sentire.
È
evidente che la situazione a bordo del Megonia è assai più grave di quanto noi
stessi avessimo preventivato.
Ci
aspettavamo che aveste bisogno del nostro intervento, ma è chiaro che questa
nave deve essere assolutamente evacuata il prima possibile».
In molti
sorrisero, pensando già all’imminente fine di quell’incubo, ma le successive
parole tramutarono i sorrisi in moti di sgomento.
«Tuttavia,
non sarà per niente facile. Noi siamo solo in otto, ed è altamente probabile
che il numero degli ostili superi abbondantemente il migliaio di unità.
Inoltre, questo è un tipo di emergenza EDA assolutamente fuori dal comune, come
non ne sono mai state affrontate.
Ragion
per cui, prima di fare qualunque cosa, sarà necessario mettersi in contatto con
la superficie, e ricevere da loro le dovute disposizioni, oltre ai rinforzi
necessari per contenere la minaccia costituita dagli EDA e garantirci una
evacuazione sicura.»
«Come
sarebbe a dire!?» esclamò Ashley Tunderscott. «State dicendo che non ci
porterete in salvo?»
«Purtroppo,
al momento io e la mia squadra non abbiamo i mezzi per poter garantire la
vostra incolumità.
Quelle
creature sono estremamente pericolose, e il loro alto numero costituisce una
ulteriore minaccia.»
«Tutte
balle!» sbottò Song. «Le scialuppe di salvataggio sono solo due ponti più in
alto. Non ci vorrebbe niente per raggiungerle.»
«Forse
lei si dimentica che qui dentro siamo più di quattrocento» rispose gentilmente
ma fermo il signor Gullit. «Crede sul serio che riusciremmo ad arrivare tutti
quanti sani e salvi alle scialuppe? Gli EDA sono attratti dal calore e
dall’odore del sangue. Ci sarebbero addosso prima ancora di poter superare un
ponte, figuriamoci due.»
«Stiamo
cercando di metterci in contatto con la superficie» disse ancora Georg per
tranquillizzare la gente. «Quando ci saremo riusciti, comunicheremo la
situazione e richiederemo rinforzi.
Si
tratta di pazientare solo qualche altra ora. Qui dentro è sicuro, e ci sono
provviste a sufficienza. Ora barricheremo di nuovo la porta, quindi ci
chiuderemo dentro ed aspetteremo gli aiuti».
La
maggior parte dei presenti rispose con pessimismo ed evidente delusione alle
rassicurazioni del Capitano, e ognuno tornò a pensare ai fatti propri mentre
l’aria si caricava di un’atmosfera poco piacevole, faticosamente contenuta da
chi cercava di vedere positivo e contagiare gli altri con il proprio ottimismo.
«Ulrich,
a che punto sei con quel collegamento?»
«Ci sono
quasi, Capitano. Ancora un lucchetto, e potrò lanciare il satellite.»
«D’accordo.
A tutta la squadra, cambio di programma. Portate tutti i superstiti che trovate
nella zona cambuse nel Ponte K».
Tutti
risposero affermativamente, tranne Mayu che rimase in silenzio.
«Marufuji,
mi ricevi? Marufuji, rispondimi.»
«Che
succede, Capitano?»
«Mayu
non mi risponde. Spero non le sia accaduto nulla».
Klaus
allora prese da parte il Capitano, guardandolo quasi con severità.
«Non gli
ha detto della questione relativa all’attrazione gravitazionale di Neos.»
«Hai
intenzione di far scoppiare una rivolta? I nervi sono già tesi. Più a lungo
riusciamo a tenere calma questa massa di civili terrorizzati, meglio sarà. Un
uomo sopraffatto dalla paura è capace di tutto, dovresti saperlo.»
«Il
fatto è che il tempo non è dalla nostra. Anche ammesso che mandino una
spedizione di soccorso…»
«Non
fasciarti la testa prima di essertela rotta, ragazzo. Chi comanda non deve mai
lasciarsi andare al pessimismo.
Se il Comandante
esita, lo faranno anche i suoi uomini.
Ricorda.
Il Comandante deve sapere sempre cosa fare».
In
quella il Capitano si avvide della presenza di una donna accanto a lui,
piuttosto giovane ed attraente, ma segnata come gli altri da giorni di orrore e
privazioni.
«Vi
prego, dovete aiutarmi» disse con le mani giunte e lo sguardo supplichevole.
«Ho perso mia figlia e mio marito durante la fuga.
Mio
marito porta un anello con un rubino, mia figlia invece ha i capelli biondi e
indossa un vestito verde.
Dovete
trovarli, vi supplico. Loro sono tutta la mia vita».
Klaus e
Georg si guardarono tra di loro, annuendo.
«Sua
figlia per caso si chiama Hilda?» domandò Klaus.
Alla
donna si illuminarono gli occhi.
«L’avete
trovata?»
«Può
stare tranquilla, è sana e salva» la rassicurò il Capitano. «È con uno dei
nostri agenti.»
«Sia
ringraziato il cielo».
Era stata una gran bella
fatica, ma finalmente Ulrich era riuscito a violare il sistema di controllo dei
satelliti “tascabili”, o almeno dell’ultimo ancora operativo.
«Niente
di che» mentì a sé stesso. «Ma il difficile arriva adesso».
La mappa
stellare comparve sul monitor principale, e sulla fusoliera del Megonia,
all’altezza della base della torre di comando, si aprì una piccola botola,
dalla quale, con una vampata di fuoco e di plasma, schizzò fuori una sfera
metallica poco più grande di un’autovettura.
I
piccoli razzi direzionali montati nel guscio che proteggeva il satellite ne
permettevano un rudimentale controllo, ma non era per niente facile riuscire a
farlo muovere in mezzo ad una tale quantità di detriti spaziali, tanto che
persino Ulrich dopo poco prese a sudare.
«Così»
continuava a ripetere, la lingua tra i denti e le tempie rigate dal sudore,
maneggiando il joystick di controllo. «Piano. Piano. Sei bravissima, bella» e
intanto teneva d’occhio le scansioni del radiofaro che mostravano la potenza
del segnale, ancora assente.
Un piccolo
asteroide per poco non polverizzò la sfera, che Ulrich riuscì fortunatamente a
far virare all’ultimo secondo, un altro detrito colpì la superficie senza però
incrinarla, ma a parte questi piccoli inconvenienti il volo proseguì senza
problemi.
La sfera
volò dritta dinnanzi a sé, allontanandosi sempre di più dal Megonia, e in pochi
minuti uscì dalla zona oscura; ma del segnale, neanche l’ombra.
Poi, da
un momento all’altro, l’indicatore si accese come una città al tramonto.
«Beccato!».
La
sfera, giunta a centoventimila chilometri dal Megona, si fermò, aprendosi come
un fiore e rivelando il cuore pulsante del satellite, di cui la protezione
esterna altro non era che l’antenna vera e propria, che si completò
congiungendo ad ombrello i cinque petali.
Ulrich aprì
la comunicazione, impostando la traiettoria del segnale verso la stazione
orbitale.
«Qui
Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Ares, mi ricevete?».
Nessuno
rispose. Ma il giovane non si diede per vinto.
«Qui
Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Squadra Speciale d’Intervento.
Ares, mi ricevete?».
Il Direttore Shane stava
pranzando da solo nel suo studio, un pasto veloce prima di rimettersi al lavoro,
quando giunse la notizia che qualcuno si stava mettendo in contatto con la
stazione da coordinate riconducibili alla posizione attuale del Megonia.
Mollata
l’insalata, corse in sala comunicazioni.
«Avete
intercettato la comunicazione?»
«Ci
stiamo provando» disse uno degli operatori. «Il segnale è molto disturbato per
colpa delle radiazioni».
Dopo
poco, sul proiettore virtuale al centro della stanza, cominciò ad intravedersi
qualcosa, e a sentire delle parole gracchianti e distorte.
«Qui …
Drassimovic. Otto … cinque-due. Squadra …. vento. Ares, mi ricevete?»
«Ecco,
ci siamo! Provo a pulirla!».
Un'altra
correzione dell’antenna, e finalmente il volto del soldato scelto Drassimovic
comparve all’interno del monitor, e la sua voce risuonò molto più nitida.
«Qui
Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Squadra Speciale d’Intervento.
Ares, mi ricevete?»
«Vi
riceviamo, otto-uno-quattro-cinque-due» disse il Direttore. «Faccia rapporto,
signor Drassimovic. Come procede la missione?»
«Molto
male, signore. Abbiamo un nove-nove-zero in pieno svolgimento a bordo del
Megonia».
Gli
occhi del Direttore si spalancarono, i suoi arti tremarono, e le sue mani si
strinsero con forza attorno all’asta metallica del parapetto.
«Ne
siete sicuri?»
«Abbiamo
già preso contatto con alcuni ostili, signore. Riteniamo ve ne possano essere
diverse centinaia.»
«Oh, mio
Dio.»
«Il Capitano
Klopfer e il resto della squadra hanno trovato dei superstiti, ma al momento ci
è impossibile riuscire ad organizzare in sicurezza la loro estrazione.
Il
rapporto numerico è soverchiante, e la nostra capacità di combattimento limitata.
Necessitiamo
urgentemente di rinforzi».
In
quella, così come era arrivata, l’immagine incominciò a scomparire.
«Che
diavolo succede?» sbraitò il Direttore
«Le
radiazioni stanno aumentando di nuovo!» rispose l’operatore. «Stiamo perdendo
il segnale!»
«Direttore…
bisogno… aiuto… resistere…»
«Cercate
di tenere duro. Mi metto subito in contatto con la superficie. Invieremo i
soccorsi».
In pochi
secondi il segnale sparì del tutto, ma per allora Shane si era già avventato
sul più vicino telefono.
«Sono il
Direttore Shane. Chiamatemi subito il Direttore Generale e il capo dell’Unità
di Crisi. Massima priorità».
Dal
canto suo Ulrich, rimasto di nuovo solo, tentò più volte di ristabilire la
connessione, seguitando anche a parlare nella speranza che almeno la sua voce
riuscisse a passare.
«Direttore,
la prego di inviare subito dei rinforzi. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto
possibile. Non so per quanto riusciremo a resistere.
Direttore,
mi sente? Stazione Ares, riuscite a ricevermi?» ma fu tutto inutile.
Il
livello di radiazioni aveva raggiunto ormai livelli proibitivi, e oltretutto il
segnale emesso dal Megonia arrivava già molto debole al satellite a causa delle
interferenze prodotte dalla Zona Oscura.
Il
giovane non era del tutto sicuro che avessero recepito il messaggio, quindi
bisognava ad ogni costo trovare il modo di ristabilire la comunicazione.
Di
sicuro, sperare di ricontattare la Ares era impossibile, tanto più che entro
poco tempo la stazione sarebbe scomparsa oltre la linea dell’orizzonte, diventando
irraggiungibile.
Ulrich
ci pensò a lungo, indeciso sul da farsi, fino a che non arrivò alla conclusione
che c’era un solo modo per sperare di rimettersi in contatto con l’esterno.
Ma tutto
ciò che era riuscito a fare fino a quel momento era niente in confronto a
quello che lo aspettava, poiché, non avendo i codici di accesso, si trattava di
violare il sistema di sicurezza informatico più impenetrabile di tutta
Celestis.
Una
bella prova, persino per lui.
«L’avevo
detto che sarebbe stata una lunga giornata» disse mettendosi al lavoro.
Quel giorno, l’intero Stato
Maggiore della MAB, con alla testa il Direttore Generale Dylan Geithner, aveva
in programma una visita all’Aurora, la nuova nave ammiraglia dell’aeronautica
dell’agenzia, un piccolo gioiello di tecnologia e innovazione scientifica
equipaggiata con le più moderne tecnologie, sia civili che militari.
La sua
costruzione aveva richiesto tre anni di lavoro, e ora che anche gli ultimi test
erano stati completati molto presto avrebbe iniziato la sua missione di
pattugliamento e contrasto alla pirateria lungo i confini del sistema solare.
Quella
visita serviva proprio a consegnare solennemente alla nave la bandiera di
rappresentanza, e per il tardo pomeriggio era già previsto un volo inaugurale
alla presenza dello Stato Maggiore.
Tutto
attorno, la città di Kyrador continuava imperterrita nel suo processo di
crescita, diventando ogni giorno sempre più splendente e maestosa: la MAB aveva
deciso ormai da quasi un secolo di farne la propria città, visti anche gli
ottimi rapporti che legavano l’Agenzia alla Repubblica di Caldesia, e nello
spazio di pochi decenni quella piccola baia nel sud di Erthea si era
trasformata nel centro del mondo.
Nel
centro, scintillanti grattacieli spuntavano come funghi, alcuni già ultimati ed
altri in costruzione, come la impotente e maestosa Union Tower, il futuro
quartier Generale della MAB, tanto voluta dal Direttore Geithner e il cui
completamento era ormai prossimo.
La
visita alla nave era in pieno svolgimento quando arrivò dalla Stazione Ares la
notizia che il Direttore Shane voleva parlare urgentemente con il Direttore
Geithner, e questi, d’accordo con i suoi colleghi, decise di far svolgere
l’incontro proprio nella sala conferenze dell’Aurora.
Tutti si
aspettavano la comunicazione dell’avvenuto raggiungimento del Megonia e della
messa in salvo dei passeggeri, così le notizie che lo Stato Maggiore ricevette
dal Direttore Shane quando fu aperta la comunicazione lasciarono tutti quanti
impietriti.
Quintus
Nolan in particolare appariva piuttosto sconvolto, mentre il Direttore Shane
enunciava a lui e al resto dei presenti quella che ad ogni parola sembrava
tramutarsi sempre di più in una situazione da incubo.
«E
questo è tutto quello che sappiamo?» domandò Geithner, a sua volta preoccupato
«Purtroppo
la comunicazione si è interrotta a causa delle interferenze, signor Direttore. Comunque
ritengo che la stima del Soldato Drassimovic sia attendibile.»
«Come
diavolo è potuto succedere?» mormorò uno. «Migliaia di EDA tutti in una volta.»
«E
abbiamo mandato laggiù dei ragazzi.» disse sospirando il Direttore Generale
«Non
deve sentirsi in colpa, signore. È stata una decisione presa nell’ambito di
questo consiglio. Lei non ha nulla da rimproverarsi.»
«Inoltre»
puntualizzò Nolan, «Si tratta senza ombra di dubbio di una situazione al
limite, oltre che assolutamente imprevedibile. Nessuno di noi poteva immaginare
neanche lontanamente cosa sarebbe successo.»
«Ma sono
io che ho autorizzato la missione. È mia la responsabilità di quello che
potrebbe accadere a quegli allievi.
Li
abbiamo mandati nello spazio perché siano la forza di sicurezza del domani, non
per farli sbranare da un’ora di EDA su una nave infestata» quindi, il Direttore
trasse un lungo respiro. «Dobbiamo aiutarli. Organizziamo subito una spedizione
di soccorso».
I membri
del consiglio si guardarono tra di loro, perplessi e incupiti, quando
all’improvviso il suono di un allarme fece saltare tutti sulle sedie.
«E ora
che succede?»
Il Direttore
Nolan contattò il ponte di comando per avere spiegazioni.
«Signore»
disse facendosi bianco. «Qualcuno sta cercando di entrare nei nostri sistemi
informatici!»
«Che
cosa!?» sbraitò un collega «Ci mancava anche questa! Bloccatelo!».
L’assalto
però fu troppo rapido, e in pochi attimi una parte considerevole di firewall
venne aggirata o sommariamente abbattuta dal misterioso hacker; chiunque fosse,
doveva essere davvero in gamba.
Ad una
potenziale tragedia già in atto rischiava di aggiungersene un’altra, ma
ringraziando al cielo, così come era cominciato, l’attacco cessò prima di
andare a colpire sistemi molto delicati e pericolosi, e dopo poco dal centro di
coordinamento orbitale giunse la notizia che chi aveva violato i sistemi
informatici stava usando il controllo così acquisito per riposizionare tutti i
satelliti dell’Agenzia orbitanti attorno al pianeta.
Un
pensiero illuminò la mente di Shane, e la comparsa sul monitor di una figura
famigliare accanto alla sua confermò i suoi sospetti.
«Chiedo
scusa per il metodo poco ortodosso» si affrettò a dire Ulrich. «Non avevo molto
tempo per fare le cose con delicatezza.»
«Violare
i sistemi informatici MAB và ben oltre la definizione di metodo poco ortodosso,
chiunque tu sia.» lo ammonì Nolan
«È il
soldato scelto Ulrich Drassimovic» lo presentò, quasi con baldanza, il Direttore
Shane. «In collegamento diretto dal Megonia».
Seguì un
moto di stupore, accompagnato da cenni di soddisfazione; se un ragazzo così
giovane era stato in grado di hackerare il più protetto sistema informatico di
Celestis, allora dopotutto i fiumi di soldi spesi nel Progetto Ares non erano
stati sprecati.
«Faccia
rapporto, Agente Drassimovic.» ordinò il Direttore Generale
«Sissignore.
Al momento tutti i membri della squadra sono vivi, e abbiamo localizzato circa
quattrocento superstiti. Si trovano nei livelli inferiori, assieme a due dei
miei compagni tra i quali il Capitano Klopfer.»
«Potete
organizzare un’estrazione.»
«Negativo,
signore. Il numero di ostili è troppo alto per le nostre forze. Sarebbe molto
difficile scortare tutti alle scialuppe, e anche se riuscissimo a farcela ciò
passerebbe senza dubbio per un considerevole numero di vittime.
Per
questo motivo, necessitiamo di rinforzi immediati, e in grande numero».
Di
nuovo, il pessimismo riempì la stanza.
«Il
fatto è, soldato Drassimovic» disse Nolan «Che al momento non abbiamo navi
operative. Anche se ne mettessimo una in stato di massima allerta, ci
vorrebbero ore per radunare gli uomini e farla decollare.»
«Con il
dovuto rispetto, signore, il tempo è un lusso che non abbiamo. Attualmente il
Megonia è fortemente debilitato, e più della metà dei sistemi operativi sono
offline o fuori uso. Di questo passo, stando alle previsioni, ci restano poco
meno di dodici ore prima che l’attrazione di Neos faccia precipitare la nave,
senza contare i molti detriti spaziali che gravitano qui intorno, e che
potrebbero colpirci in qualunque momento.»
«Usiamo
l’Aurora».
Gli
sguardi di tutti puntarono il Direttore Generale, che ricambiò ostentando
un’espressione austera ed irremovibile.
Nolan si
sentì gelare il sangue.
«Signore,
l’Aurora non è ancora del tutto operativa. E poi, è la nostra nave ammiraglia.
Non credo che sia il caso di…»
«Non
abbiamo costruito questa nave per farla sfilare in parata, Direttore Nolan.»
«Ma non
abbiamo personale, Signore.» cercò di protestare un altro
«Saremo
noi il personale. Tutti qui hanno già avuto esperienze in vari settori
dell’aeronautica e della navigazione spaziale. Sfruttando le competenze di
ciascuno di noi, ne salta fuori personale più che sufficiente per pilotare
qualunque nave spaziale, inclusa questa.
A questo
punto, servono solamente i soldati necessari ad eliminare gli EDA e riprendere
il controllo del Megonia.
Direttore
Shane?»
«Signore?»
«Noi
metteremo insieme tutti gli uomini possibili, ma ci serviranno anche alcuni dei
suoi cadetti. Faccia in modo di scegliere i migliori, possibilmente che abbiano
già esperienza in questo genere di operazioni.»
«Sissignore.»
«Aspetti
Direttore, c’è un altro problema.» intervenne ancora un altro membro
«E quale
sarebbe?»
«Il
fatto è che le piastre protettive dell’Aurora non sono ancora state
completamente testate. Possono resistere indubbiamente ad un eventuale scontro
con i pirati, ma i test per verificarne la resistenza agli urti con corpi
celesti pericolosi devono ancora essere ultimati.
Come ha
detto l’Agente Drassimovic, si tratta di una zona molto pericolosa, e se un
detrito spaziale ci colpisse rischieremmo di trovarci in pericolo tanto quanto
il Megonia».
Il Direttore
spalancò un momento la bocca, per poi volgere lo sguardo crucciato sul tavolo
di legno immergendosi in un meditativo silenzio.
Anche se
voleva a tutti i costi salvare quei poveri sventurati, non poteva rischiare di
trasformare una missione di soccorso in una seconda emergenza: anche quelli,
dopotutto, erano i compiti difficili e ingloriosi di un Comandante.
«Mi
dispiace chiederle un impegno così gravoso, Agente Drassimovic, ma avremo
bisogno ancora del vostro aiuto per potervi salvare.»
«Parlate
pure, Signore.»
«Abbiamo
bisogno che conduciate il Megonia fuori dalla Zona Oscura e dal campo di
detriti. Lì dove vi trovate sarebbe troppo pericoloso e difficile riuscire a
raggiungervi.»
«Faremo
il possibile, signore. Cercheremo di far ripartire la nave».
In
quella, la trasmissione si indebolì un’altra volta.
«Il
segnale… svanendo. Cercherò… ristabilire… possibile.»
«Un’ultima
cosa, Agente» intervenne Nolan prima che la trasmissione sparisse del tutto. «A
bordo della nave si trovano alcune delle personalità politiche e militari più
importanti del globo. Semmai dovessero verificarsi dei fatti imprevisti, non
c’è bisogno che le ricordi che l’estrazione di questi individui ha la priorità
su ogni altra cosa, inclusa la sorte degli altri passeggeri.
Mi sono
spiegato?»
«Sissignore».
A tempo
di record, nel giro di pochi minuti, l’Aurora accese i motori, e quando tutti i
soldati disponibili in città furono caricati a bordo il Direttore Generale,
seduto per l’occasione alla poltrona del Comandante, diede ordine di mollare
gli ormeggi.
L’Aurora
era stata pensata come una nave da guerra; ora invece, come la sua illustre
antenata omonima, aveva come sua prima missione il restituire ad una nuova vita
innumerevoli persone.