Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    04/06/2014    2 recensioni
Tratto dal Capitolo 1
In tutta Celestis non c’era vascello più splendente del Megonia.
Era nato inizialmente come vascello militare, ma a seguito dell’approvazione delle nuove limitazioni sugli armamenti orbitali l’aeronautica amalteca aveva deciso di riconvertirlo ad uso civile, facendone la nave da crociera più lussuosa ed innovativa che si fosse mai vista.
Essendo nata come nave da guerra non raggiungeva le dimensioni delle altre sue sorelle battenti bandiera di Caldesia, di Eyban o di Alepto, ma ciò nonostante era considerata la più bella astronave che Celestis avesse mai prodotto.
La sua forma lunga e affusolata, simile ad un veliero vero e proprio, la rendeva agile e veloce, oltre che esteticamente più bella della maggior parte delle altre navi civili; di vetrate panoramiche ne aveva solo una, una scintillante cupola che emergeva elegantemente dalla fusoliera color panna, proprio sopra il grande salone centrale.
A poppa, enormi e suggestivi barbigli emergevano dalla chiglia, protendendosi oltre il bordo poppiero da cui sbucavano le turbine a propulsione, rassomigliando alle ali di un angelo.
Nelle pubblicità delle agenzie di viaggio, il Megonia era decantato come un angolo di paradiso; ora, invece, era divenuto l’anticamera dell'Inferno
Genere: Fantasy, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

7

 

 

Dall’ombra, camminando lentamente e a sguardo basso, arrivarono tre uomini, di cui due in abiti civili ed uno con una uniforme da inserviente, forse un cameriere.

Erano tutti e tre armati, ma tenevano le loro armi come veri e propri dilettanti; solo l’inserviente, giovane e dai capelli scuri, sembrava avere una qualche familiarità con il volture che aveva tra le mani.

Georg e Klaus gli si fecero incontro.

«Capitano Klopfer, forze speciali d’intervento.»

«Raoul Montero» disse l’inserviente. «Aiuto cameriere. Lieta di vederla, Capitano. Siete una gioia per gli occhi.»

«Sei un soldato?»

«Quasi, signore. Tre anni nella Guardia Nazionale di Ebridan.»

«Spari un po’ troppo alla leggera per essere uno che dovrebbe avere dimestichezza con le armi» protestò Klaus. «Ecco cosa succede a mettere un fucile nelle mani di un soldato a chiamata.»

«Mi dispiace. Credevamo che foste alcuni di quei maledetti mostri. Da queste parti ne sono arrivati di continuo per giorni.»

«Per quale motivo?»

«Ci sono dei sopravvissuti qui vicino, nelle cambuse. Quei bastardi probabilmente ne sentono l’odore. Poi le porte si sono bloccate, la corrente è andata via del tutto, e non sono più arrivati.»

«È colpa nostra» rispose Georg quasi mortificato. «Riattivando la corrente abbiamo anche aperto le porte.»

«Non si preoccupi. Anzi, ci avete fatto un grosso favore. Quaggiù forse eravamo al sicuro, ma eravamo anche prigionieri. Almeno ora possiamo muoverci di nuovo.»

«Che cosa ci fate qui?»

«Quando è tornata la luce, abbiamo pensato che poteva essere qualcuno venuto da fuori per cercarci, e che era meglio farci trovare. Noi tre eravamo gli unici ad avere dimestichezza con le armi, e io conosco la nave, così ci siamo offerti di venirvi incontro».

I due interessati a quel punto si presentarono.

«Philippe Reynar. Cacciatore a tempo perso. Per servirvi.»

«Lou Wong, signore. Sono vice-Comandante dei vigili del fuoco a Holsted.»

«Io a te ti conosco.» disse Klaus all’indirizzo di Philippe

«Me lo dicono in tanti.» sorrise l’interessato

«Quanti superstiti ci sono in quelle cambuse?» interruppe Georg

«In tutto, quattrocentotrentanove» rispose Raoul «Duecentoquattro uomini, centosettantanove donne e cinquantasei tra bambini e ragazzi.

Tutti quelli che siamo riusciti a mettere insieme e a portare qui prima che le porte si bloccassero.»

«Ci sono feriti?»

«Contusioni, distorsioni e altre cose del genere. Quelli che erano stati assaliti da quelle creature non ci siamo fidati a portarli con noi. La maggior parte di coloro che vengono morsi alla fine muore, e chi muore poi spesso ritorna come uno di loro.»

«Avete corso un bel rischio avventurandovi qua fuori. Per fortuna questa zona non è stata ancora raggiunta dagli EDA. E con un po’ di fortuna, non lo sarà mai».

Georg si mise allora in contatto con Ulrich.

«Drassimovic, puoi isolare la zona delle cambuse?»

«Non completamente, ma posso creare una serie di strozzature e di occlusioni bloccando alcune porte.»

«Bene, fallo.»

«Seguiteci» disse Raoul «Vi portiamo al rifugio».

 

I tre superstiti condussero allora Georg e Klaus attraverso il corridoio, volutamente ricoperto di casse, fusti e ogni altro genere di ostacolo per rendere la vita difficile a qualunque assalitore, al termine del quale vi era un ampio portone.

«Solo un istante» disse Raoul rimuovendo uno ad uno dei chiavistelli artigianali che impedivano l’attivazione del congegno di apertura automatica. «Prima che la corrente andasse via del tutto bloccando le porte, abbiamo pensato di rinforzarla. Non è il massimo della praticità, ma dovrebbe funzionare».

In effetti servì la forza di tutti e tre per riuscire a togliere quei cardini così pesanti, e appena la porta, liberata dai fermi, si aprì con uno scatto, tanto che Raoul dovette afferrarla per evitare che il contraccolpo fosse tale da far saltare il meccanismo, lo sguardo dei due soldati si aprì su di una sala molto ampia, con un’alta volta, una forma quasi perfettamente circolare e un diametro di almeno una quindicina di metri.

Sicuramente un crocevia, a giudicare dalle molte altre porte poste ad uguale distanza l’una dall’altra, tutte sprangate; le uniche aperte erano quelle che conducevano alla cambusa vera e ai servizi igienici, che a giudicare dall’odore dovevano aver lavorato a pieno regime negli ultimi giorni. A questo si aggiungeva anche l’olezzo di fumo, di cui la stanza era peraltro satura, prodotto dai bivacchi e dalle torce di fortuna per riscaldare e fare un po’ di luce.

Qua e là si innalzavano mucchi casse contenenti generi alimentari di vario genere, soprattutto scatolette, ed era stato organizzato in un angolo un centro di distribuzione; inoltre, più di uno era armato, anche se si trattava perlopiù di armi di piccolo calibro non particolarmente pericolose.

Nel vedere arrivare Georg e Klaus, col gagliardetto della MAB  ben visibile sulle tute, gli occhi di molti superstiti si accesero di meraviglia.

«Beh…» disse Raoul quasi sconsolato. «Benvenuti».

La gente si alzò, formando un semicerchio attorno ai due agenti.

«Sono il Capitano Georg Klopfer. Forze speciali di intervento. Siamo qui per aiutarvi».

Un uomo sulla quarantina, pizzetto e baffi ben curati, si fece avanti con fare piuttosto arrogante.

«Finalmente, era ora. Aspettavate un invito in carta bollata?»

«Lei non cominci come al solito, signor Song.» lo ammonì Raoul

«Richard Song!?» disse Klaus stupito. «Il giocatore professionista?»

«In carne ed ossa, ragazzino.»

«Ho seguito la sua partita contro Draxler Yale su internet. Una finale fenomenale.»

«Sì, sì, commovente. Gli autografi a dopo. Ora per favore vi dispiacerebbe farci uscire da questa nave maledetta?».

Georg però parlò come se non lo avesse sentito, e la cosa non fece visibilmente piacere al diretto interessato.

«Ci sono ufficiali tra di voi?»

«No, signore» rispose sempre Raoul. «Di ufficiali c’era solo il Comandante in Seconda Shawn. Si è avventurato nel cuore della nave tempo fa per cercare altri superstiti e provare a rimettere in moto la nave, ma non è più tornato.»

«Abbiamo bisogno di sapere con esattezza cos’è successo. Qualcuno sa come abbiano fatto quegli EDA ad arrivare a bordo del Megonia?»

«Tutto quello che sappiamo è che sono comparsi all’improvviso in vari punti della nave. Centinaia, forse anche di più. È successo proprio durante la Nascita di Venere. Io e alcuni altri ci siamo fatti strada fino a qui, e lungo il tragitto abbiamo raccolto quanti più sopravvissuti possibili. Poi, dopo qualche ora, le porte stagne d’emergenza si sono chiuse e siamo rimasti intrappolati.»

«Avete idea del perché si siano chiuse?»

«Probabilmente è stato fatto da qualcuno. A quanto ne so, le porte possono essere chiuse solo dal ponte di comando o dal nucleo di memoria.»

«Le armi come ve le siete procurate?»

«C’è un piccolo arsenale nei ponti inferiori. Una contromisura per difendersi dai pirati. La sicurezza ha tentato di contrastare gli EDA appena sono comparsi, ma sono stati travolti. Abbiamo trovato queste armi in giro per la nave.»

«Pensate sia possibile raggiungere l’armeria?»

«Ne dubito. Chi veniva da laggiù ha detto che quei ponti erano infestati.»

«Capisco».

Georg si guardò attorno, raccogliendo gli sguardi supplichevoli, confusi o spaventati dei sopravvissuti, quindi, chiamato a sé tutto il carisma di cui disponeva, parlò ad alta voce.

«Allora, signori. Statemi a sentire.

È evidente che la situazione a bordo del Megonia è assai più grave di quanto noi stessi avessimo preventivato.

Ci aspettavamo che aveste bisogno del nostro intervento, ma è chiaro che questa nave deve essere assolutamente evacuata il prima possibile».

In molti sorrisero, pensando già all’imminente fine di quell’incubo, ma le successive parole tramutarono i sorrisi in moti di sgomento.

«Tuttavia, non sarà per niente facile. Noi siamo solo in otto, ed è altamente probabile che il numero degli ostili superi abbondantemente il migliaio di unità. Inoltre, questo è un tipo di emergenza EDA assolutamente fuori dal comune, come non ne sono mai state affrontate.

Ragion per cui, prima di fare qualunque cosa, sarà necessario mettersi in contatto con la superficie, e ricevere da loro le dovute disposizioni, oltre ai rinforzi necessari per contenere la minaccia costituita dagli EDA e garantirci una evacuazione sicura.»

«Come sarebbe a dire!?» esclamò Ashley Tunderscott. «State dicendo che non ci porterete in salvo?»

«Purtroppo, al momento io e la mia squadra non abbiamo i mezzi per poter garantire la vostra incolumità.

Quelle creature sono estremamente pericolose, e il loro alto numero costituisce una ulteriore minaccia.»

«Tutte balle!» sbottò Song. «Le scialuppe di salvataggio sono solo due ponti più in alto. Non ci vorrebbe niente per raggiungerle.»

«Forse lei si dimentica che qui dentro siamo più di quattrocento» rispose gentilmente ma fermo il signor Gullit. «Crede sul serio che riusciremmo ad arrivare tutti quanti sani e salvi alle scialuppe? Gli EDA sono attratti dal calore e dall’odore del sangue. Ci sarebbero addosso prima ancora di poter superare un ponte, figuriamoci due.»

«Stiamo cercando di metterci in contatto con la superficie» disse ancora Georg per tranquillizzare la gente. «Quando ci saremo riusciti, comunicheremo la situazione e richiederemo rinforzi.

Si tratta di pazientare solo qualche altra ora. Qui dentro è sicuro, e ci sono provviste a sufficienza. Ora barricheremo di nuovo la porta, quindi ci chiuderemo dentro ed aspetteremo gli aiuti».

La maggior parte dei presenti rispose con pessimismo ed evidente delusione alle rassicurazioni del Capitano, e ognuno tornò a pensare ai fatti propri mentre l’aria si caricava di un’atmosfera poco piacevole, faticosamente contenuta da chi cercava di vedere positivo e contagiare gli altri con il proprio ottimismo.

«Ulrich, a che punto sei con quel collegamento?»

«Ci sono quasi, Capitano. Ancora un lucchetto, e potrò lanciare il satellite.»

«D’accordo. A tutta la squadra, cambio di programma. Portate tutti i superstiti che trovate nella zona cambuse nel Ponte K».

Tutti risposero affermativamente, tranne Mayu che rimase in silenzio.

«Marufuji, mi ricevi? Marufuji, rispondimi.»

«Che succede, Capitano?»

«Mayu non mi risponde. Spero non le sia accaduto nulla».

Klaus allora prese da parte il Capitano, guardandolo quasi con severità.

«Non gli ha detto della questione relativa all’attrazione gravitazionale di Neos.»

«Hai intenzione di far scoppiare una rivolta? I nervi sono già tesi. Più a lungo riusciamo a tenere calma questa massa di civili terrorizzati, meglio sarà. Un uomo sopraffatto dalla paura è capace di tutto, dovresti saperlo.»

«Il fatto è che il tempo non è dalla nostra. Anche ammesso che mandino una spedizione di soccorso…»

«Non fasciarti la testa prima di essertela rotta, ragazzo. Chi comanda non deve mai lasciarsi andare al pessimismo.

Se il Comandante esita, lo faranno anche i suoi uomini.

Ricorda. Il Comandante deve sapere sempre cosa fare».

In quella il Capitano si avvide della presenza di una donna accanto a lui, piuttosto giovane ed attraente, ma segnata come gli altri da giorni di orrore e privazioni.

«Vi prego, dovete aiutarmi» disse con le mani giunte e lo sguardo supplichevole. «Ho perso mia figlia e mio marito durante la fuga.

Mio marito porta un anello con un rubino, mia figlia invece ha i capelli biondi e indossa un vestito verde.

Dovete trovarli, vi supplico. Loro sono tutta la mia vita».

Klaus e Georg si guardarono tra di loro, annuendo.

«Sua figlia per caso si chiama Hilda?» domandò Klaus.

Alla donna si illuminarono gli occhi.

«L’avete trovata?»

«Può stare tranquilla, è sana e salva» la rassicurò il Capitano. «È con uno dei nostri agenti.»

«Sia ringraziato il cielo».

 

Era stata una gran bella fatica, ma finalmente Ulrich era riuscito a violare il sistema di controllo dei satelliti “tascabili”, o almeno dell’ultimo ancora operativo.

«Niente di che» mentì a sé stesso. «Ma il difficile arriva adesso».

La mappa stellare comparve sul monitor principale, e sulla fusoliera del Megonia, all’altezza della base della torre di comando, si aprì una piccola botola, dalla quale, con una vampata di fuoco e di plasma, schizzò fuori una sfera metallica poco più grande di un’autovettura.

I piccoli razzi direzionali montati nel guscio che proteggeva il satellite ne permettevano un rudimentale controllo, ma non era per niente facile riuscire a farlo muovere in mezzo ad una tale quantità di detriti spaziali, tanto che persino Ulrich dopo poco prese a sudare.

«Così» continuava a ripetere, la lingua tra i denti e le tempie rigate dal sudore, maneggiando il joystick di controllo. «Piano. Piano. Sei bravissima, bella» e intanto teneva d’occhio le scansioni del radiofaro che mostravano la potenza del segnale, ancora assente.

Un piccolo asteroide per poco non polverizzò la sfera, che Ulrich riuscì fortunatamente a far virare all’ultimo secondo, un altro detrito colpì la superficie senza però incrinarla, ma a parte questi piccoli inconvenienti il volo proseguì senza problemi.

La sfera volò dritta dinnanzi a sé, allontanandosi sempre di più dal Megonia, e in pochi minuti uscì dalla zona oscura; ma del segnale, neanche l’ombra.

Poi, da un momento all’altro, l’indicatore si accese come una città al tramonto.

«Beccato!».

La sfera, giunta a centoventimila chilometri dal Megona, si fermò, aprendosi come un fiore e rivelando il cuore pulsante del satellite, di cui la protezione esterna altro non era che l’antenna vera e propria, che si completò congiungendo ad ombrello i cinque petali.

Ulrich aprì la comunicazione, impostando la traiettoria del segnale verso la stazione orbitale.

«Qui Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Ares, mi ricevete?».

Nessuno rispose. Ma il giovane non si diede per vinto.

«Qui Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Squadra Speciale d’Intervento. Ares, mi ricevete?».

 

Il Direttore Shane stava pranzando da solo nel suo studio, un pasto veloce prima di rimettersi al lavoro, quando giunse la notizia che qualcuno si stava mettendo in contatto con la stazione da coordinate riconducibili alla posizione attuale del Megonia.

Mollata l’insalata, corse in sala comunicazioni.

«Avete intercettato la comunicazione?»

«Ci stiamo provando» disse uno degli operatori. «Il segnale è molto disturbato per colpa delle radiazioni».

Dopo poco, sul proiettore virtuale al centro della stanza, cominciò ad intravedersi qualcosa, e a sentire delle parole gracchianti e distorte.

«Qui … Drassimovic. Otto … cinque-due. Squadra …. vento. Ares, mi ricevete?»

«Ecco, ci siamo! Provo a pulirla!».

Un'altra correzione dell’antenna, e finalmente il volto del soldato scelto Drassimovic comparve all’interno del monitor, e la sua voce risuonò molto più nitida.

«Qui Ulrich Drassimovic. Otto-uno-quattro-cinque-due. Squadra Speciale d’Intervento. Ares, mi ricevete?»

«Vi riceviamo, otto-uno-quattro-cinque-due» disse il Direttore. «Faccia rapporto, signor Drassimovic. Come procede la missione?»

«Molto male, signore. Abbiamo un nove-nove-zero in pieno svolgimento a bordo del Megonia».

Gli occhi del Direttore si spalancarono, i suoi arti tremarono, e le sue mani si strinsero con forza attorno all’asta metallica del parapetto.

«Ne siete sicuri?»

«Abbiamo già preso contatto con alcuni ostili, signore. Riteniamo ve ne possano essere diverse centinaia.»

«Oh, mio Dio.»

«Il Capitano Klopfer e il resto della squadra hanno trovato dei superstiti, ma al momento ci è impossibile riuscire ad organizzare in sicurezza la loro estrazione.

Il rapporto numerico è soverchiante, e la nostra capacità di combattimento limitata.

Necessitiamo urgentemente di rinforzi».

In quella, così come era arrivata, l’immagine incominciò a scomparire.

«Che diavolo succede?» sbraitò il Direttore

«Le radiazioni stanno aumentando di nuovo!» rispose l’operatore. «Stiamo perdendo il segnale!»

«Direttore… bisogno… aiuto… resistere…»

«Cercate di tenere duro. Mi metto subito in contatto con la superficie. Invieremo i soccorsi».

In pochi secondi il segnale sparì del tutto, ma per allora Shane si era già avventato sul più vicino telefono.

«Sono il Direttore Shane. Chiamatemi subito il Direttore Generale e il capo dell’Unità di Crisi. Massima priorità».

Dal canto suo Ulrich, rimasto di nuovo solo, tentò più volte di ristabilire la connessione, seguitando anche a parlare nella speranza che almeno la sua voce riuscisse a passare.

«Direttore, la prego di inviare subito dei rinforzi. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. Non so per quanto riusciremo a resistere.

Direttore, mi sente? Stazione Ares, riuscite a ricevermi?» ma fu tutto inutile.

Il livello di radiazioni aveva raggiunto ormai livelli proibitivi, e oltretutto il segnale emesso dal Megonia arrivava già molto debole al satellite a causa delle interferenze prodotte dalla Zona Oscura.

Il giovane non era del tutto sicuro che avessero recepito il messaggio, quindi bisognava ad ogni costo trovare il modo di ristabilire la comunicazione.

Di sicuro, sperare di ricontattare la Ares era impossibile, tanto più che entro poco tempo la stazione sarebbe scomparsa oltre la linea dell’orizzonte, diventando irraggiungibile.

Ulrich ci pensò a lungo, indeciso sul da farsi, fino a che non arrivò alla conclusione che c’era un solo modo per sperare di rimettersi in contatto con l’esterno.

Ma tutto ciò che era riuscito a fare fino a quel momento era niente in confronto a quello che lo aspettava, poiché, non avendo i codici di accesso, si trattava di violare il sistema di sicurezza informatico più impenetrabile di tutta Celestis.

Una bella prova, persino per lui.

«L’avevo detto che sarebbe stata una lunga giornata» disse mettendosi al lavoro.

 

Quel giorno, l’intero Stato Maggiore della MAB, con alla testa il Direttore Generale Dylan Geithner, aveva in programma una visita all’Aurora, la nuova nave ammiraglia dell’aeronautica dell’agenzia, un piccolo gioiello di tecnologia e innovazione scientifica equipaggiata con le più moderne tecnologie, sia civili che militari.

La sua costruzione aveva richiesto tre anni di lavoro, e ora che anche gli ultimi test erano stati completati molto presto avrebbe iniziato la sua missione di pattugliamento e contrasto alla pirateria lungo i confini del sistema solare.

Quella visita serviva proprio a consegnare solennemente alla nave la bandiera di rappresentanza, e per il tardo pomeriggio era già previsto un volo inaugurale alla presenza dello Stato Maggiore.

Tutto attorno, la città di Kyrador continuava imperterrita nel suo processo di crescita, diventando ogni giorno sempre più splendente e maestosa: la MAB aveva deciso ormai da quasi un secolo di farne la propria città, visti anche gli ottimi rapporti che legavano l’Agenzia alla Repubblica di Caldesia, e nello spazio di pochi decenni quella piccola baia nel sud di Erthea si era trasformata nel centro del mondo.

Nel centro, scintillanti grattacieli spuntavano come funghi, alcuni già ultimati ed altri in costruzione, come la impotente e maestosa Union Tower, il futuro quartier Generale della MAB, tanto voluta dal Direttore Geithner e il cui completamento era ormai prossimo.

La visita alla nave era in pieno svolgimento quando arrivò dalla Stazione Ares la notizia che il Direttore Shane voleva parlare urgentemente con il Direttore Geithner, e questi, d’accordo con i suoi colleghi, decise di far svolgere l’incontro proprio nella sala conferenze dell’Aurora.

Tutti si aspettavano la comunicazione dell’avvenuto raggiungimento del Megonia e della messa in salvo dei passeggeri, così le notizie che lo Stato Maggiore ricevette dal Direttore Shane quando fu aperta la comunicazione lasciarono tutti quanti impietriti.

Quintus Nolan in particolare appariva piuttosto sconvolto, mentre il Direttore Shane enunciava a lui e al resto dei presenti quella che ad ogni parola sembrava tramutarsi sempre di più in una situazione da incubo.

«E questo è tutto quello che sappiamo?» domandò Geithner, a sua volta preoccupato

«Purtroppo la comunicazione si è interrotta a causa delle interferenze, signor Direttore. Comunque ritengo che la stima del Soldato Drassimovic sia attendibile.»

«Come diavolo è potuto succedere?» mormorò uno. «Migliaia di EDA tutti in una volta.»

«E abbiamo mandato laggiù dei ragazzi.» disse sospirando il Direttore Generale

«Non deve sentirsi in colpa, signore. È stata una decisione presa nell’ambito di questo consiglio. Lei non ha nulla da rimproverarsi.»

«Inoltre» puntualizzò Nolan, «Si tratta senza ombra di dubbio di una situazione al limite, oltre che assolutamente imprevedibile. Nessuno di noi poteva immaginare neanche lontanamente cosa sarebbe successo.»

«Ma sono io che ho autorizzato la missione. È mia la responsabilità di quello che potrebbe accadere a quegli allievi.

Li abbiamo mandati nello spazio perché siano la forza di sicurezza del domani, non per farli sbranare da un’ora di EDA su una nave infestata» quindi, il Direttore trasse un lungo respiro. «Dobbiamo aiutarli. Organizziamo subito una spedizione di soccorso».

I membri del consiglio si guardarono tra di loro, perplessi e incupiti, quando all’improvviso il suono di un allarme fece saltare tutti sulle sedie.

«E ora che succede?»

Il Direttore Nolan contattò il ponte di comando per avere spiegazioni.

«Signore» disse facendosi bianco. «Qualcuno sta cercando di entrare nei nostri sistemi informatici!»

«Che cosa!?» sbraitò un collega «Ci mancava anche questa! Bloccatelo!».

L’assalto però fu troppo rapido, e in pochi attimi una parte considerevole di firewall venne aggirata o sommariamente abbattuta dal misterioso hacker; chiunque fosse, doveva essere davvero in gamba.

Ad una potenziale tragedia già in atto rischiava di aggiungersene un’altra, ma ringraziando al cielo, così come era cominciato, l’attacco cessò prima di andare a colpire sistemi molto delicati e pericolosi, e dopo poco dal centro di coordinamento orbitale giunse la notizia che chi aveva violato i sistemi informatici stava usando il controllo così acquisito per riposizionare tutti i satelliti dell’Agenzia orbitanti attorno al pianeta.

Un pensiero illuminò la mente di Shane, e la comparsa sul monitor di una figura famigliare accanto alla sua confermò i suoi sospetti.

«Chiedo scusa per il metodo poco ortodosso» si affrettò a dire Ulrich. «Non avevo molto tempo per fare le cose con delicatezza.»

«Violare i sistemi informatici MAB và ben oltre la definizione di metodo poco ortodosso, chiunque tu sia.» lo ammonì Nolan

«È il soldato scelto Ulrich Drassimovic» lo presentò, quasi con baldanza, il Direttore Shane. «In collegamento diretto dal Megonia».

Seguì un moto di stupore, accompagnato da cenni di soddisfazione; se un ragazzo così giovane era stato in grado di hackerare il più protetto sistema informatico di Celestis, allora dopotutto i fiumi di soldi spesi nel Progetto Ares non erano stati sprecati.

«Faccia rapporto, Agente Drassimovic.» ordinò il Direttore Generale

«Sissignore. Al momento tutti i membri della squadra sono vivi, e abbiamo localizzato circa quattrocento superstiti. Si trovano nei livelli inferiori, assieme a due dei miei compagni tra i quali il Capitano Klopfer.»

«Potete organizzare un’estrazione.»

«Negativo, signore. Il numero di ostili è troppo alto per le nostre forze. Sarebbe molto difficile scortare tutti alle scialuppe, e anche se riuscissimo a farcela ciò passerebbe senza dubbio per un considerevole numero di vittime.

Per questo motivo, necessitiamo di rinforzi immediati, e in grande numero».

Di nuovo, il pessimismo riempì la stanza.

«Il fatto è, soldato Drassimovic» disse Nolan «Che al momento non abbiamo navi operative. Anche se ne mettessimo una in stato di massima allerta, ci vorrebbero ore per radunare gli uomini e farla decollare.»

«Con il dovuto rispetto, signore, il tempo è un lusso che non abbiamo. Attualmente il Megonia è fortemente debilitato, e più della metà dei sistemi operativi sono offline o fuori uso. Di questo passo, stando alle previsioni, ci restano poco meno di dodici ore prima che l’attrazione di Neos faccia precipitare la nave, senza contare i molti detriti spaziali che gravitano qui intorno, e che potrebbero colpirci in qualunque momento.»

«Usiamo l’Aurora».

Gli sguardi di tutti puntarono il Direttore Generale, che ricambiò ostentando un’espressione austera ed irremovibile.

Nolan si sentì gelare il sangue.

«Signore, l’Aurora non è ancora del tutto operativa. E poi, è la nostra nave ammiraglia. Non credo che sia il caso di…»

«Non abbiamo costruito questa nave per farla sfilare in parata, Direttore Nolan.»

«Ma non abbiamo personale, Signore.» cercò di protestare un altro

«Saremo noi il personale. Tutti qui hanno già avuto esperienze in vari settori dell’aeronautica e della navigazione spaziale. Sfruttando le competenze di ciascuno di noi, ne salta fuori personale più che sufficiente per pilotare qualunque nave spaziale, inclusa questa.

A questo punto, servono solamente i soldati necessari ad eliminare gli EDA e riprendere il controllo del Megonia.

Direttore Shane?»

«Signore?»

«Noi metteremo insieme tutti gli uomini possibili, ma ci serviranno anche alcuni dei suoi cadetti. Faccia in modo di scegliere i migliori, possibilmente che abbiano già esperienza in questo genere di operazioni.»

«Sissignore.»

«Aspetti Direttore, c’è un altro problema.» intervenne ancora un altro membro

«E quale sarebbe?»

«Il fatto è che le piastre protettive dell’Aurora non sono ancora state completamente testate. Possono resistere indubbiamente ad un eventuale scontro con i pirati, ma i test per verificarne la resistenza agli urti con corpi celesti pericolosi devono ancora essere ultimati.

Come ha detto l’Agente Drassimovic, si tratta di una zona molto pericolosa, e se un detrito spaziale ci colpisse rischieremmo di trovarci in pericolo tanto quanto il Megonia».

Il Direttore spalancò un momento la bocca, per poi volgere lo sguardo crucciato sul tavolo di legno immergendosi in un meditativo silenzio.

Anche se voleva a tutti i costi salvare quei poveri sventurati, non poteva rischiare di trasformare una missione di soccorso in una seconda emergenza: anche quelli, dopotutto, erano i compiti difficili e ingloriosi di un Comandante.

«Mi dispiace chiederle un impegno così gravoso, Agente Drassimovic, ma avremo bisogno ancora del vostro aiuto per potervi salvare.»

«Parlate pure, Signore.»

«Abbiamo bisogno che conduciate il Megonia fuori dalla Zona Oscura e dal campo di detriti. Lì dove vi trovate sarebbe troppo pericoloso e difficile riuscire a raggiungervi.»

«Faremo il possibile, signore. Cercheremo di far ripartire la nave».

In quella, la trasmissione si indebolì un’altra volta.

«Il segnale… svanendo. Cercherò… ristabilire… possibile.»

«Un’ultima cosa, Agente» intervenne Nolan prima che la trasmissione sparisse del tutto. «A bordo della nave si trovano alcune delle personalità politiche e militari più importanti del globo. Semmai dovessero verificarsi dei fatti imprevisti, non c’è bisogno che le ricordi che l’estrazione di questi individui ha la priorità su ogni altra cosa, inclusa la sorte degli altri passeggeri.

Mi sono spiegato?»

«Sissignore».

A tempo di record, nel giro di pochi minuti, l’Aurora accese i motori, e quando tutti i soldati disponibili in città furono caricati a bordo il Direttore Generale, seduto per l’occasione alla poltrona del Comandante, diede ordine di mollare gli ormeggi.

L’Aurora era stata pensata come una nave da guerra; ora invece, come la sua illustre antenata omonima, aveva come sua prima missione il restituire ad una nuova vita innumerevoli persone.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera