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Autore: DirceMichelaRivetti    05/06/2014    4 recensioni
Isaia non vuole uccidere Gabriel, ma non può neppure correre il rischio che la profezia si realizzi. Deve trovare un'altra strada...dovrà, però, scendere a patti proprio con Serventi.
Gabriel, intanto, prosegue la sua vita con Claudia e a Capo del Direttorio. Una gran noia la burocrazia della Congregazione, finché a smuovere la routine interviene l'eccentrica sorella di Isaia, che cerca il fratello.
Caso strano, Stefano riceverà l'incarico di fare una verifica proprio su di lei.
Presto tutti quanti i personaggi dovranno riunirsi per vedere se è possibile trovare una soluzione pacifica a tutte le divergenze.
Gabriel non sarà affatto felice di rivedere Isaia, che afflitto dal dolore deve costantemente ricordarsi di Dio, per potersi concentrare sulla sua missione.
Serventi non si fiderà delle proposte.
Il resto .... ve lo lascio leggere. Ho accennato qui ad alcuni dei punti di maggior rilievo di questa storia, ma non ci sarà solo questo.
Il tutto sarà condito da speculazioni esoteriche-filosofiche-teologiche. Probabilmente anche un po' di romanticismo, ma non sarà il tema centrale.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabriel Antinori, Nuovo personaggio, Padre Isaia, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era tardo pomeriggio e il Sole iniziava a tramontare, nascondendosi dietro alle colline rocciose che sorgevano ad ovest del pianoro fuori dalla periferie di Gerusalemme. Era un alternarsi di piccoli appezzamenti di  terreno coltivati, tratti desertici e zone erbose per il pascolo. Un giovane pastore stava tenendo dietro alle proprie capre; dal momento che era ormai il momento di rientrare a casa, aveva iniziato a radunare il suo bestiame e, mentre si aggirava nei pressi del pascolo per assicurarsi che nessuna capra si fosse smarrita, ecco che vide qualcosa di straordinario: un montone completamente d’oro! Il vello, le corna, tutto quanto era aureo, tranne gli occhi. Lo sentì belare.

Il pastore era incredulo, ma colmo di felicità: quella bestia era la soluzione a tutti i suoi problemi; se l’avesse catturata, avrebbe potuto rivendere l’oro e fare una vita da nababbo.

Decise di avvicinarsi con circospezione, per non spaventare l’animale. Il montone, tuttavia, iniziò a muoversi, andando verso le colline rocciose. Il pastore, allora, accelerò, ma pure la bestia si mise a trottare. L’uomo non si arrese e si mise a correre e l’inseguimento durò diversi minuti, poi il montone iniziò a salire su un’altura e il pastore dovette rallentare per arrampicarsi. Ad un certo punto l’uomo vide l’animale entrare in un cunicolo piuttosto largo; certo che ormai il montone d’oro fosse suo, il pastore si affrettò a raggiungere la cavità e ad entrarci. Il tunnel era buio, ma presto l’uomo scorse una luce in fondo, non si spaventò e avanzò e giunse in una grotta illuminata da una luce priva di fonte. Al centro della caverna vide il montone d’oro e, accanto ad esso, vi era l’uomo con la bombetta.

Il pastore, sorpreso di trovare qualcuno lì dentro, domandò: “È tuo quell’animale?”

“Sì, ma posso vendertelo.”

L’uomo se ne sorprese e chiese: “Cosa vuoi?”

“Un occhio della testa, anzi, due.” ridacchiò.

“Non ne vale la pena! Se devo spendere più di quanto guadagnerò, vendendolo, non mi interessa.”

“Oh, ma non è il denaro che voglio. Vieni, avvicinati.”

Il pastore esitò qualche istante, poi raggiunse l’uomo con la bombetta e domandò: “Che cosa vuoi, allora?”

“Te l’ho detto: i tuoi occhi.”

“I miei occhi?” sbalordì il pastore.

“Sì.” rispose con estrema calma l’altro “Ma non resterai, cieco, anzi! Li sostituirò con questi!” mostrò un paio di occhi di vetro assolutamente perfetti “Ti permetteranno di avere una nuova visione delle cose: la mia. Che ne dici? È un prezzo che è disposto a pagare, per avere questo montone d’oro?”

Il pastore fu incerto, guardò gli occhi, guardò il montone e alla fine acconsentì: “Va bene, fai quel che vuoi.”

“Eccellente.” sorrise l’uomo con la bombetta “Inginocchiati e riversa la testa all’indietro, in modo da guardare verso l’alto.”

Il pastore obbedì e si mise come richiesto. L’altro uomo tirò fuori un sacchetto da una tasca interna della giacca dell’abito, sciolse il laccio che lo stringeva, vi immerse una mano e prese della sabbia che poi lanciò negli occhi del pastore che si mise ad urlare, disperato implorava di smetterla, provò a ripararsi con le mani, ma le sue braccia erano bloccate.

Sabbia, sabbia, manciate di sabbia finché i bulbi oculari del pastore non uscirono sanguinanti dalle orbite e caddero a terra.

L’uomo con la bombetta schiacciò col piede quegli occhi, poi prese quelli di vetro e li inserì nelle cavità vuote.

Il pastore sbatté le palpebre qualche volta, poi, guardando l’altro uomo, disse: “Padrone.”

L’uomo con la bombetta sorrise e i suoi occhialetti tondi e neri parvero celare il luccichio delle sue pupille; annuì e disse: “Sì, esatto, sono il tuo padrone, ora. Mi hai dato la tua volontà per una bestia.” indicò il montone che ora non era più d’oro “L’avidità o il potere fanno sempre sragionare i mortali.” scosse il capo “Aveva ragione Bonifacio, nel dire che mi sarei divertito. Con questo sono già a dieci, ma devo procurarmi più schiavi, se voglio attirare l’attenzione del Princeps.” guardò il pastore: “Suppongo tu abbia famiglia.”

“Sì, vivo coi miei genitori e i miei fratelli.”

“Molto bene, cenerò con voi: fammi strada.”

Il pastore fece un inchino col capo, poi si alzò in piedi e condusse l’uomo con la bombetta fuori dalla grotta e poi verso la propria casa.

 

Isaia era seduto nel proprio studiolo e stava facendo pratica di telecinesi: un altro dei potenziamenti del potere gesuitico che aveva scoperto negli ultimi tempi. Sentì bussare la porta, per cui rimise al proprio posto i libri che stava facendo volteggiare per aria e disse: “Avanti.”

Entrò Abdel Nassen, il templare che ormai stava diventando il suo luogotenente, che gli disse: “Gran Maestro, è successo di nuovo.”

“Cosa?!” si allarmò Isaia “Dove? Quando?”

“Nella piazza del mercato. Erano una cinquantina; senza alcun segnale di preavviso o intimidazione, hanno iniziato ad uccidere chiunque, senza distinzione, ebrei, palestinesi, turisti …”

“Perché non mi avete avvertito subito? Avrei voluto condurre io i nostri uomini alla difesa di quella povera gente.”

“Beh, un nostro drappello era già in zona e sono intervenuti senza aspettare un ordine. Come al solito, quegli assassini, si sono dispersi nel giro di breve, dopo dieci minuti che i nostri templari erano intervenuti, essi si erano già dati alla macchia.”

“Hanno agito anche questa volta in maniera rituale?” si preoccupò Isaia.

“Sì: prima hanno inciso un simbolo sul petto delle vittime e poi le hanno sgozzate. Ci sono, però, due informazioni rilevanti, questa volta.”

“Davvero?” si mostrò speranzoso Isaia.

“Sì: i nostri Templari sono riusciti ad esaminare un paio di cadaveri, prima che si dissolvessero nel nulla come al solito.”

Da oltre dieci giorni, infatti, a Gerusalemme si verificavano omicidi di quel genere: dei settari raggiungevano un luogo pubblico e iniziavano ad uccidere; era evidente, tuttavia, che si trattava di un rituale, infatti le vittime venivano sempre marchiate e poi uccise e dopo pochi minuti i loro corpi si dissolvevano nel nulla.

Isaia aveva subito capito che si trattava di una qualche setta satanica o che ci fosse un demone in giro, ma non aveva abbastanza indizi per capire quale entità fosse in gioco. I settari o posseduti erano talmente numerosi che i Templari rimasti a Gerusalemme non potevano fronteggiarli da soli, per fortuna, in più di un’occasione, erano stati aiutati da Franchi Giudici, che arrivavano sul luogo dello scontro, uccidevano e sparivano.

Abdel Nassen continuò: “Sono riusciti a ricopiare il simbolo che i settari incidono sui petti delle vittime; eccolo.”

Isaia prese il foglietto che gli era stato porto e gli bastò un’occhiata per capire: era un rettangolo coi lati prolungati terminanti con uncini, a parte la base maggiore inferiore che era delimitata da due cerchi; altri tre cerchi erano disegnati appena sotto la base maggiore superiore, sulla quale erano tracciate quattro ondine.

Paimon …” sussurrò Isaia, comprendendo quanto la situazione fosse grave.

“Che genere di demone è?” chiese Abdel che non era ferrato su quegli argomenti.

“Uno dei peggiori. Nella gerarchia infernale è un re (come Baal, ad esempio, che sicuramente hai già sentito nominare). È sottomesso solo a Satana. Insegna arti e scienze, dona onori ma, soprattutto, il controllo sugli uomini … quando non è egli stesso ad esercitarlo. Ora bisogna chiedersi se i settari siano suoi devoti che desiderano ingraziarselo e ottenere benefici da lui, oppure se è egli stesso a dominare queste persone.”

“Beh, ecco, c’è dell’altro.” disse Nassen.

“Cosa?”

“I nostri templari sono riusciti ad uccidere alcuni dei settari e hanno scoperto che …” era un po’ inorridito “Non avevano gli occhi.”

“Come?”

“Sì, cioè, i loro occhi non erano occhi veri, ma di vetro.” Abdel tirò fuori un sacchetto e lo rovesciò sulla scrivania del Magister Templi: diverse palline di vetro rotolarono su di essa.

Isaia ne prese una, constatò che erano occhi finti, si rabbuiò, pensò, poi disse: “Lasciami, per favore, devo studiare la faccenda per conto mio, sebbene mi paia evidente che stiamo avendo a che fare con Paimon in persona e non con dei suoi adoratori. Avvertimi se accade qualcosa e, la prossima volta, voglio prigionieri e non cadaveri.”

Rimasto solo, Isaia prese il proprio computer e si mise a cercare un testo che sapeva esistere in PDF.

Quando, poche ore più tardi, Isaia si trovò di nuovo in riunione con Abdel, gli spiegò: “Ho avuto la conferma di quel che sospettavo: quelli che uccidono non sono settari, bensì succubi di Paimon. Gli occhi di vetro mi han fatto venire in mente un vecchio racconto di Hoffman: L’Uomo della Sabbia. Riporta, in realtà, fatti realmente accaduti, solo in parte romanzati; comunque sia, una rapida ricerca mi ha confermato che Paimon esercita il suo dominio sugli uomini, solo dopo aver sostituito i loro occhi con quelli da lui fabbricati.”

“Perché proprio gli occhi?” domandò stupito Abdel.

“Da sempre si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, no? L’ipnosi, ad esempio, o il magnetismo di Mesmer, si praticano riuscendo, per così dire, a penetrare gli occhi. Gli occhi come presenza fisica della volontà, come muraglie che difendono la mente e l’anima di una persona. Paimon, non si limita a penetrare questa difesa e a controllare temporaneamente qualcuno, bensì sostituisce la volontà dell’individuo con la propria volontà e questo gli concede un controllo totale.”

“E perché uccide tutte quelle persone? Che cosa se ne fa?”

“Nutrimento per se e per le proprie legioni, suppongo; ne ha duecento.”

“Demoni legionari?”

“No, duecento legioni, per un totale di 600.000 demoni.”

“Speriamo non decida di schierarli tutti.” rabbrividì Abdel.

“Dobbiamo scoprire dove si trova e alla svelta. Non sappiamo neppure se stia possedendo il corpo di qualcuno, oppure se sia qui fisicamente. Nassen, per favore, allerta tutti gli esorcisti che abbiamo a disposizione, sarà arduo riuscire a scacciarlo.”

In quel momento qualcuno bussò alla porta.

“Avanti.” esortò Isaia.

Entrò un templare che con molto rispetto disse: “Gran Maestro, c’è un uomo che vuole vedervi. Non so chi sia, ma mi ha consegnato questo come biglietto da visita.”

Isaia prese il foglietto e trasalì nel vedere di nuovo il sigillo di Paimon: dunque il demone gli stava lanciando una sfida e quelle stragi erano state compiute per attirare la sua attenzione. Probabilmente, allora, era stato lui stesso a permettere che i Templari individuassero il suo marchio e si accorgessero degli occhi di vetro … e ora gli mandava un emissario, perché?

“Fallo entrare.” ordinò Isaia, gravemente, deciso ad andare fino in fondo alla faccenda.

Un paio di minuti dopo, fece capolino nella stanza un uomo apparentemente normale, un palestinese, ma i suoi occhi non erano normali, era evidente che fossero di vetro.

“Buona sera, Princeps.” salutò il sopraggiunto.

Isaia e Abdel si scambiarono uno sguardo perplesso, ma non dissero nulla.

“Tu sai chi mi manda, vero?” proseguì l’uomo.

Isaia fece un cenno affermativo col capo e sibilò: “Paimon.”

“Oh, conosci il suo nome!” il posseduto parve turbato “Complimenti, non se lo aspettava: credeva che lo avessi individuato semplicemente col suo epiteto tradizionale, Uomo della Sabbia. Sei davvero degno di essere il Princeps.”

“Perché mi chiami così?”

“Non lo sai?!” si meravigliò l’uomo “Meglio per noi. Ora, parlando di ciò per cui sono stato mandato: il mio signore vuole che tu mi segua e ti presenti al suo cospetto.”

“Mi sembra una richiesta stravagante.”

Isaia supponeva che il demone volesse ucciderlo; comunque quella situazione gli sembrava paradossale.

“Oh, no di certo: lui vuole farti diventare uno di noi.”

“Si aspetta ch’io mi presenti a lui, dopo che mi avete messo al corrente delle sue intenzioni?”

“Non ne dubita: se non mi seguirai, uccideremo ogni essere vivente di questa città.”

Isaia fremette: non poteva permettere una cosa del genere; d’altra parte, però, non poteva neppure andare subito: non conosceva le reali forze di Paimon, non sapeva quante legioni avesse con sé; voleva aspettare di preparare una squadra di esorcisti e dar loro delle istruzioni.

Disse: “D’accordo, domattina mi condurrai da lui.”

“No.” disse seccamente il posseduto “Tu vieni ora. Tra mezzora inizierà il massacro, se non sarai arrivato dal mio signore.”

Isaia si fece scuro in volto: andare sarebbe stata una sconfitta sicura, tuttavia non poteva permettere che si scatenassero altre stragi. Deglutì, si fece forza pensando al fatto che, come erano aumentati i suoi poteri gesuitici, così forse si erano potenziati anche i suoi esorcismi.

Si alzò in piedi e disse: “Va bene, fammi strada.”

Il posseduto sorrise malignamente. Abdel balzò in piedi e cercò di opporsi: “Gran Maestro, voi non potete! Se …”

Nassen, questo è quel che devo fare. Tu e gli altri, se volete aiutarmi, pregate.”

 

In un palazzotto poco distante, Serventi e l’uomo con la bombetta erano seduti su divanetti bassi messi a cerchio attorno a un piccolissimo specchio d’acqua artificiale, decorate con tessere di mosaico dai colori sgargianti.

“Allora?” domandò Bonifacio, sdraiato sul divano, con le mani incrociate dietro la nuca.

“Sta venendo qui, ovviamente.” gli rispose l’amico “So sempre su cosa fare leva per convincere gli uomini a venire da me: ricchezza, potere, piaceri, o anche senso del dovere, senso di colpa e ancora e ancora, sono le ossessioni degli umani. Ogni persona ha un prezzo, più o meno materiale, per il quale è disposta a vendersi a me.”

“Lo so bene, è per questo che mi sono rivolto a te, per liberarmi di Isaia. Il suo tradimento non è servito a far scatenare Gabriel. Già era fastidioso prima, ora che a capo dei templari può seriamente ostacolarmi, per cui voglio che sia reso inoffensivo.”

“Ti accontenterò, amico mio, stanne certo. Quando me l’hai proposto, ero alquanto scettico, ma il fatto che lui non sappia chi sia mi renderà più semplici le cose e io avrò in mio potere il Princeps … quale soddisfazione maggiore potrei avere?”

“Ero certo ne saresti stato contento. Come ha intenzione di agire, ora che sta venendo qua?”

“Sono prudente, lo sai bene, prima farò in modo che si stanchi e affatichi, fronteggiando un po’ dei miei succubi e una legione. Dopo mi sarà facile farlo cedere alla tentazione.”

“Se sopravvivrà …”

“Hai detto che è il Princeps, certo che sopravvivrà, altrimenti mica mi davo tanto da fare!” si irritò l’uomo con la bombetta.

“Certo che è lui, ma, per nostra fortuna, ne sa ancor meno del suo amico, l’Eletto. Il tempo sta per scadere, se vogliamo che le cose non si mettano male per noi, dobbiamo …”

“Lo so, lo so, Bonifacio, è inutile che lo ripeti ogni volta. Io penso a lui, tu pensi al suo amico, dopo non resta che trovare il terzo e siamo a posto.”

“Già, ma se anche dovesse sfuggirci, due su tre dovrebbe comunque assicurarci il sopravvento.”

“Meglio garantirceli tutti e tre, anche perché poi dovremo litigarci pure gli altri quattro.”

“Loro sono ancora imprigionati. Se i miei calcoli sono corretti, dovremo attendere ancora venticinque anni, prima che i quattro siano liberati e si assista alla loro venuta, per cui possiamo concentrarci tranquillamente sull’Eletto, il Princeps e la Guida.”

Shhhh. È arrivato, devo concentrarmi.”

 

Isaia, infatti, scortato dal posseduto, era arrivato davanti al portone del palazzotto in cui si trovavano Serventi e Paimon, sebbene si aspettasse solo quest’ultimo. Il templare guardò con dispiacere il posseduto: non c’era possibilità di salvarlo, era come già morto, l’unica cosa che lo teneva in vita era la volontà del demone; rotti gli occhi, il corpo sarebbe caduto a terra deceduto.

Prima di entrare, Isaia rapidamente, con le dita afferrò gli occhi di vetro e li strinse fino a mandarli in frantumi. Da quando aveva iniziato i nuovi studi ed esercizi, tra le capacità e le qualità che aveva scoperto di possedere c’era anche una forza e una velocità fuori dall’ordinario; la cosa lo aveva un poco spaventato, considerando che anche Gabriel aveva manifestato caratteristiche simili, tal volta, come quando aveva scagliato lui contro un altare ad oltre dieci metri di distanza, oppure quando aveva sbalzato Yuri … in realtà, Isaia si era sempre chiesto come mai, quando era stato sbattuto d schiena contro un altare di pietra, non si fosse fatto praticamente alcun male.

Il templare, però, non stava certo pensando a queste cose in quel momento, mise la mano sulla maniglia della porta e l’aprì, rimanendo, però, fuori, pronto a reagire in caso di attacco.

Non era stato preparato nessun assalto, almeno apparentemente. La stanza era piena di persone, ma nessuna si scagliò, in quel momento, contro Isaia. Il templare abbassò per un istante lo sguardo sulla propria spada, sentendosi pronto a sfoderarla: si era allenato quotidianamente negli ultimi mesi e, anche se non era diventato uno schermidore provetto, era riuscito ad ottenere una buona dimestichezza con l’arma e si era reso conto di avere una naturale predisposizione (effettivamente, tagliare di netto la testa a Vargas era un colpo da maestro).

Isaia entrò, avanzò di qualche passo, la porta si richiuse alle sue spalle e fu allora che i posseduti lo aggredirono. L’uomo sapeva bene che ricorrere al potere gesuitico o a quello di esorcista era inutile in quella situazione, poiché si sarebbe trattato di uno scontro di volontà e lui si sarebbe trovato a contrapporre la propria a quella di Paimon, moltiplicata per tutte le persone che stava possedendo, il che sarebbe stato troppo faticoso per lui.

Il templare, quindi, sguainò la spada e si difese dagli assalti dei posseduti. Ricorreva al potere gesuitico per tenere indietro gli aggressori, cercando di creare campi di forza che lo proteggessero e impedissero ai posseduti di attaccarlo più di due per volta, ma non era facile mantenere quelle difese che venivano spezzate e lui era costretto a crearne di nuove.

Ragionava rapidamente sul da farsi e arrivò ad una possibile soluzione: sviluppando al massimo i propri poteri gesuitici, si era reso conto che non solo poteva manipolare una mente debole, inducendole allucinazioni visive e sonore, ma anche che poteva produrre realmente qualsiasi suono, per cui in quel momento pensò che l’unica possibilità di salvezza fosse quella di emettere un suono talmente acuto che mandasse in frantumi il vetro degli occhi.

Isaia ripose la spada, si concentrò doppiamente, sia per creare un campo di forza che lo proteggesse, sia per il suono. D’improvviso nella stanza iniziò ad udirsi un sibilo acutissimo e ne giro di un minuto, gli occhi di vetro si creparono e si spezzarono e i posseduti caddero a terra morti.

L’uomo tirò un sospiro di sollievo, era soddisfatto e in cuor suo ringraziò la sorella per averlo indirizzato verso quegli studi, che però non avrebbe mai intrapreso, senza aver prima letto i manoscritti di Giacomo il Giusto.

Isaia non fece in tempo a riprendersi dallo scontro che subito la stanza si popolò di nuovi avversari: demoni di fumo, esattamente come i lupi di Fontanefredde, dalle sembianze più svariate, si materializzarono nella sala.

L’uomo sapeva di poterli affrontare solo con la preghiera e con l’esorcismo, per cui non pensò nemmeno a riprendere la spada. Fece appello alla propria energia interiore e la sentì scorrere in sé. Sollevò la mano destra, che percepiva vibrare di potere, e iniziò a tracciare davanti a sé una croce, dicendo: “Tibi sunt Kheter” la mano era in alto, la portò verso il basso “Et Tipheret et Geburah” la mano era a sinistra e ora andava verso destra “Et Gedulah per eonas!” concluse riportando la mano all’altezza del cuore.

Già questo solo semplice gesto fece dissolvere le prima tre fila di demoni e tra gli altri si diffuse un certo scompiglio.

Isaia ringraziò Giacomo il Giusto per avergli trasmesso quel segno della croce così potente. Dopo di ciò, da sotto le vesti trasse il proprio crocefisso e lo impugnò con la sinistra, mentre teneva la destra davanti a se col palmo aperto. Sentiva l’energia che dalla propria mano usciva e andava a disperdere i demoni, a ricacciarli nella loro dimensione, per dare maggior forza, iniziò ad usare una formula di esorcismo: “Prínceps gloriosíssime cœléstis milítiæ, sancte Michaël Archángele, defénde nos in prœlio advérsus príncipes et postestátes advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequitiæ, in cœléstibus. Veni in auxílium hóminum: quos Deus ad imáginem similitúdinis suæ fecit, et a tyránnide diáboli emit prétio magno. Te custódem et patrónum sancta venerátur Ecclésia; tibi trádidit Dóminus ánimas redemptórum in supérna felicitáte locándas.   Deprecáre Deum pacis, ut cónterat sátanam sub pédibus nostris, ne ultra váleat captivos tenére hómines, et Ecclésiæ nocére.”

Isaia sapeva bene, ormai, che quelle parole di per sé non avevano forza e che l’esorcismo attingeva solo dalla sua energia, ma era pure consapevole che formule e gesti rituali servivano per sottolineare meglio la propria volontà ed incanalarla.

L’esorcismo fu potentissimo e i demoni legionari vennero ricacciati agli inferi tra urla strazianti.

Isaia si sentiva quasi svuotato: non sapeva quanti demoni lo avessero circondato, ma dovevano essere stati centinaia, poiché era certo di aver dato fondo a gran parte della propria energia.

Sentì una forza oscura. Udì il suono di passi, si voltò e vide che nel salone c’era una scalinata che portava al piano superiore, da essa stava scendendo l’uomo con la bombetta e gli occhialini tondi e neri.

Isaia capì immediatamente e, facendosi coraggio, con tono di sfida, disse: “Paimon!”

Il demone annuì e sogghignò. Finì di scendere le scale, si mise di fronte al templare e lo informò: “Anche se sai il mio nome, questo non ti aiuterà, anch’io conosco il tuo: Isaia.”

L’uomo non si era certo illuso che il demone non conoscesse il suo nome, dal momento che aveva fatto di tutto per trovarselo di fronte. Si chiedeva, tuttavia, come mai era stata la vittima designata di un Re infernale che da almeno due secoli si era aggirato nell’ombra, pur non essendo mai stato sconfitto.

“Perché io?” chiese Isaia, in parte anche per prendere tempo e recuperare le forze “Perché sono il Magister Templi? Perché discendo da Giacomo il Giusto?”

“Di Giacomo non sapevo. Ottimo, sarà una soddisfazione in più.”

“Allora, perché hai provocato tutto questo caos solo per me?”

“Davvero, quindi, non hai idea di chi sei o, per meglio dire, di chi potresti essere?”

“Io sono un servo di Dio, nient’altro.”

“Oh, su questo sono assolutamente d’accordo; non sei, però, un servo qualsiasi … peccato che tu non lo sappia, la mia vittoria sarà un po’ meno saporita.”

“Questo non è un problema: non c’è vittoria per te, solo sconfitta.” replicò Isaia, molto sicuro di sé ed emanando calma, sebbene dentro di sé non fosse affatto certo.

Paimon si mise a ridere e disse: “Se fossi in atto ciò che sei in potenza, potresti effettivamente avere qualche possibilità di sconfiggermi, ma nello stato in cui ti trovi ora …” scosse il capo negativamente e sghignazzò, beffardo.

“Il mio maestro, Samuele Costa, ha sconfitto Baal. Io sono un degno allievo e sconfiggerò te.”

Un’altra tremenda risata.

“No. Mi spiace deluderti ma, devi sapere, il caro Baal mi ha raccontato come sono andate le cose: il tuo maestro stava per essere sconfitto dal Signore delle Mosche che se n’è andato unicamente perché gliel’ha chiesto il tuo amico Gabriel.”

“Cosa …?”

Isaia era esterrefatto: non poteva credere che le cose fossero andate così! Se Gabriel era davvero in grado di farsi obbedire dai Re infernali, allora era una minaccia ancora maggiore di quello che aveva supposto e le possibilità per non doverlo uccidere diminuivano parecchio.

“Ci sei rimasto molto male?” lo schernì “Come vedi le tue speranze sono nulle. Non opporre resistenza e dammi ciò che voglio.”

“Non avrai mai i miei occhi. So benissimo che non puoi strapparmeli con la forza ma che devo essere io a cederteli. Io non mi arrenderò MAI!”

“Aspetta, almeno, di ascoltare la mia offerta, prima.”

“Non hai modo di tentarmi.”

“Ah no? Io, invece, scommetto di sì. So perfettamente che cosa ti fa soffrire e che cosa desideri. Sei solo. Hai perso i tuoi amici, perché hai anteposto ad essi il tuo dovere e ora sei circondato da tanta gente, sì, ma sono solo collaboratori, non c’è affetto. Ti rimane solo la tua sorellina, ma hai paura che Gabriel possa perdere il controllo e farle del male o, peggio, che lei venga influenzata dai tuoi vecchi amici e ti volti le spalle.”

Isaia deglutì, era sorpreso che il demone fosse riuscito a superare la sua difesa mentale e riuscisse a leggere così profondamente nel suo animo.

“Odi Serventi e lo ritieni la causa di tutto questo. Odi il fatto di dover combattere contro il tuo migliore amico; odi il fatto di amare fraternamente quello che diventerà l’anticristo; odi la tua debolezza umana che ti ha fatto affezionare e che ora ti fa soffrire, poiché per te il dovere, il bene, la giustizia, vengono prima di qualsiasi altra cosa, anche della tua felicità.” ghignò “Ho solo l’imbarazzo della scelta per decidere su cosa far leva. Che ne dici di questo: se tu mi dai i tuoi occhi, io resetterò tutto. Tu tornerai a startene a Roma, coi tuoi amici, sarete felici e nessuno di voi si ricorderà della Profezia e di quel che è accaduto.”

“Come hai giustamente capito di me, non metterò a rischio il mondo, solo perché una responsabilità mi pare troppo gravosa.”

“Allora ti darò il potere per sconfiggere Gabriel.”

“Non ho intenzione di ucciderlo.”

Isaia, intanto, stava raccogliendo tutte le proprie forze.

Paimon ragionò qualche momento e poi propose: “Dammi i tuoi occhi e io me ne tornerò all’Inferno, senza più mettere piede sulla Terra. Non è un nobile sacrificio, degno di te?”

“No. Mi useresti come tramite per le tue malvagità. Tu non puoi corrompermi!”

Il demone era furioso! Non era mai capitato che qualcuno resistesse alle sue offerte!

Pieno di collera, Paimon afferrò per il collo l’uomo e gli disse: “E va bene, Isaia, può essere ch’io non possa distruggere la tua volontà, ma ci sono mille altre cose che posso fare! Ti imprigionerò in uno dei miei posticini preferiti dell’Inferno.”

L’energia demoniaca iniziò ad uscire dalle mani di Paimon e iniziò a scontrarsi con quella che Isaia stava usando per difendersi.

Era uno scontro di volontà e di energia. Il templare aveva usato quasi tutto il suo potere per respingere i diavoli legionari e ora gliene era rimasto ben poco per difendersi. Sapeva bene che se avesse permesso alla forza di Paimon di penetrare nel suo spirito, allora non ci sarebbe stato più nulla da fare e sarebbe stato risucchiato chissà dove.

Doveva resistere, doveva sfruttare tutta la propria volontà e la propria concentrazione per attingere ad ogni barlume di luce astrale per proteggersi.

Aveva già impiegato quasi tutte le proprie forze e non era ancora in grado di risucchiare energie esterne da sfruttare.

Paimon lo percepiva chiaramente e sentiva imminente il proprio trionfo!

Isaia digrignò i denti, anche se debole, era deciso, sicuro, la sua volontà era di ferro, ostinata a non cedere. D’improvviso, i suoi occhi castani divennero azzurri. Isaia sentì in sé un’energia completamente rigenerata e, soprattutto, sconfinata. Respinse la forza demoniaca, l’attaccò, la sopraffece. La volontà di Isaia, guidando questo potere, distrusse la volontà di Paimon, entrò nella sua mente, nella sua anima, le rovesciò, le scombussolò totalmente e poi …

“Io ti domino, Paimon! Io ti esilio nell’Inferno. Sarai incatenato e non potrai più nuocere!”

Paimon, sbigottito, iniziò a dissolversi: stava tornando nel suo mondo; sorrise amaramente e sussurrò: “Almeno è stato il Princeps a sconfiggermi, non ho di che vergognarmi.” sparì.

Isaia, pure, era sorpreso. Non aveva capito dove avesse trovato la forza per reagire, forza che ora non sentiva più pervaderlo. Si concentrò per cercarla ed ebbe la parvenza di sentirla latente o quiescente nel suo profondo.

I suoi occhi erano tornati castani.

“Complimenti, padre Morganti.”

Era la voce di Serventi. Isaia fu incredulo di sentirla lì, si guardò attorno e infine scorse Bonifacio sulla balaustra del piano superiore.

“Vieni, Isaia, credo sia il caso di conversare da persone educate e civili.”

   
 
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