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Autore: Monijoy1990    06/06/2014    1 recensioni
Mary è una ragazza di 22 anni. A seguito della scomparsa prematura di sua madre si ritrova a gestire le continue assenze di suo padre dilaniato dal dolore, oltre che fare i conti con le nuove responsabilità.
La sua unica ancora di salvezza è Andrea, suo fratello minore.
La sua vita, ormai giunta a un punto morto, cambia inesorabilmente con la partenza di suo fratello per il Giappone. Un insolito scambio, catapulterà un giovane e aitante ragazzo orientale in casa sua, sconvolgendo la sua vita ormai ordinaria.
Riuscirà Mary a gestire quest’altro uragano nella sua vita? E quell’insolito e misterioso ragazzo, quali segreti avrà in serbo per lei?
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Hyunjoong
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Questa è una storia in cui i personaggi non sono realmente esistiti e le vicende narrate non sono mai realmente accadute. Proprio per questo motivo, anche le esperienze riproposte e descritte, proprio perché frutto di fantasia e non di esperienze dirette,  non vogliono ferire o ledere la dignità di nessuno.
L’unico elemento a cui farò ricorso è l’immagine di alcuni personaggi noti nella musica Kpop. Essi compariranno nel mio racconto alla stregua di attori o figuranti, non mostrandosi mai nelle loro vesti più note ne con i loro nomi specifici, ma limitandosi a conferire ai protagonisti che si susseguiranno, un volto e un atteggiamento comportamentale. L’intento è rendere più agevole e interessante la descrizione dei personaggi.
Ricorrerò,  quando mi sarà possibile, all’uso di immagini, musiche e video che aiutino e stimolino la lettura. 
 

CAPITOLO 8
INIZIANO I GIOCHI

 

 
 
ITALIA:
 
 
 I due ragazzi erano l’uno di fronte all’altro e si studiavano silenziosamente. Il primo a rompere quel silenzio carico di astio fu Marco. Non sembrava affatto preoccupato, ma al contrario ostentava l’aria di strafottenza  di chi sa di avere la vittoria in pugno.
Eichi invece, con le mani in tasca, stringeva nervosamente il telefono da poco sequestrato.
Con atteggiamento sostenuto cercava nella faccia del suo nemico le parole giuste e i giusti argomenti. Se tutto andava secondo i suoi piani, avrebbe risolto due questioni in una e forse finalmente avrebbe potuto dire tutta la verità a Mary. Lasciò la presa sul telefonino. Era arrivato il momento. Le parole di Marco diedero il via al loro imminente scontro verbale.
«Che diamine speri di ottenere da me?» chiese Marco tra il serio e il divertito, guardandolo con indifferenza. Provocandolo con quell’atteggiamento sperava di stuzzicarlo tanto da fargli perdere la pazienza.
«Non fare finta di niente, so benissimo che hai scoperto chi sono!»
«e chi saresti di grazia?» chiese sorridendo sotto i baffi.
«non trattarmi da stupido Marco.»
«ah… giusto tu  non sei per niente stupido. Anzi devo ammettere che sei stato fin troppo bravo a mascherare la tua identità. » lo stuzzicò ironico. «Converrai anche tu che usare il tuo vero nome  non è stata proprio una genialata».
Eichi, con misurata tolleranza sopportava le istigazioni di Marco. I pugni serrati erano la sua sola valvola di sfogo.  Marco aveva colpito nel segno.
Marco lo osservava compiaciuto, il vederlo trattenere a stento la rabbia indicava che aveva toccato il punto giusto. Scorgendolo in difficoltà proseguì più convinto.
«Forse speravi che nessuno facesse ricerche su di te, dico bene? La tua sfortuna per certi versi, sembra aver corrisposto con la mia fortuna. Come ben sai Mary non ha segreti per me. Siamo amici da sempre. Dopo avermi raccontato tutto di te, grazie al tuo ingenuo errore, mi è stato possibile scoprire la tua vera identità. Devo ammettere che senza il tuo aiuto non mi sarebbe stato poi così facile. Non devi aver considerato il fatto che tutto sommato sei abbastanza famoso anche qui in Italia. Sei pieno di fan club anche qui nel nostro paese Eichi Kitamura leader dei BB5. E’ questo quello che sei dico bene? »
Eichi, maledì se stesso per quel piccolo sbaglio compiuto al suo arrivo. Avrebbe dovuto presentarsi con un nome falso e invece ecco lì l’errore. Dopo essere crollato sul divano si era completamente dimenticato delle raccomandazioni del suo Manager.
Ad aggiungersi a quella sua mancanza ci fu l’incontro imprevisto con Mary che lo aveva distratto dal suo piano ben costruito, ed ecco che le presentazioni  con Luigi si erano rivelate un disastro. In quel momento sperò che quel piccolo errore non gli costasse un ritorno anticipato in Giappone e invece a quanto pare le sue aspettative erano state forse un po’ troppo positive.
che sfortuna che Mary se lo sia ricordato. Avrei sperato che la mia vera identità rimanesse nascosta ancora un po’ e invece ecco che devo rifare i conti con quell’immagine di me che avrei voluto gettarmi alle spalle”
«Caro il mio Eichi,  credo sia un po’ troppo tardi per rimediare ai tuoi errori» aggiunse con un sogghigno soddisfatto Marco.
Eichi tornò serio e combattivo.
«Ora che hai scoperto chi sono cosa hai intenzione di fare?»
Marco si portò due dita sotto il mento e se lo strofinò meditativo. Poi tornò a confrontarsi con lo sguardo severo di Eichi. Il suo volto si illuminò di un sorriso di vittoria sin troppo spudorato «per prima cosa pensavo di dire tutto a Mary. Chissà come la prenderà la storia con la tua ragazza? Sicuramente la ferirà e con te non vorrà più avere nulla a che fare. Dopo quello che ha passato al liceo non vorrà ripercorrere le stesse esperienze…» lo sfidò con aria di trionfo.
«questo è tutto da vedere. Se sarò io a dirgli la verità, prima che possa farlo tu, magari potrebbe capire e perdonare le mie bugie. In fondo lo ha già fatto una volta. Chissà, è altamente probabile  che alla fine di questa storia potrebbe anche farle piacere ritrovarsi per amico un cantante famoso. Non sai l’ascendente che ha il mio lavoro sulle ragazze! Potrei riuscire anche a conquistarla.» lo provocò a sua volta Eichi con una smorfia divertita.
“Cavolo, questo non lo avevo considerato.”
 Marco era in leggera difficoltà. Ma i suoi assi nella manica non erano ancora finiti. Quel ragazzino giapponese non poteva credere che lui fosse davvero così sprovveduto. Si era conservato il pezzo forte per la fine.
«Beh, potrebbe essere, ma se tu fossi costretto, per così dire, a lasciare in anticipo l’Italia, sicuramente lei si dimenticherebbe di te in un batter d’occhio.» lo punzecchiò con uno sguardo di sfida per certi versi disperato. Era la sua ultima carta. Questo era evidente anche per Eichi.
«vuoi denunciarmi alla stampa giapponese dico bene?» chiese come chiarimento un Eichi per niente preoccupato.
«si, se mi costringerai a farlo…» Marco non capiva come faceva a rimanere così tranquillo. Era convinto che quella possibilità gli avrebbe fatto salire il sangue al cervello e invece sembrava non averlo colpito minimamente.
«se proprio vuoi farlo accomodati pure.».
Marco non poteva credere alle sue orecchie.
“Mi sta anche invitando a farlo. Da dove gli viene tutta questa sicurezza ora?”
«come puoi permettere che faccia una cosa del genere senza neanche opporti?» Marco sembrava preoccupato. Era stato tutto troppo semplice. Come mai Eichi non aveva mosso alcuna opposizione al riguardo?
«semplice, perché in quel caso non sarò l’unico a perdere Mary»
«cosa intendi?»
«Marco, non sei stato l’unico a scoprire certi segreti. Anche io sono venuto a conoscenza di alcune cose davvero interessanti su di te e su tuo padre…»
Gli occhi di Marco si spalancarono per la paura,.
“Possibile che sappia dell’accordo con Luigi?”
«cosa vuoi dire? io non nascondo nulla!» mentì cercando di mascherare la preoccupazione, mal riuscendoci.
«quello che stai facendo a Luigi e a Mary è inconcepibile. Se davvero la desideri così tanto, cerca di conquistarla con le tue forze. Ricorrere all’aiuto di tuo padre per questo genere di cose è da immaturi. Non credi?». Marco era rimasto immobile e studiava Eichi,
“Questa si che non ci voleva, come ha fatto a scoprire tutta questa storia? ”.
«…oppure non sei abbastanza sicuro delle tue capacita? Sono convinto che, in fondo, sai perfettamente che Mary non potrà mai vederti come un ragazzo con il quale costruire un rapporto perché per lei sei solo il suo amico d’infanzia e niente più..».
Marco scattò verso l’altro bloccandolo e sollevandolo dal collo della maglia. I loro sguardi erano vicini e trasparenti.
«cosa vuoi fare? Colpirmi? solo perché ho detto la verità?» proseguì Eichi.
«che succederebbe se rovinassi il tuo bel visino? Non sai quanto possono fare male i miei pugni…».
Eichi sapeva che Marco non stava facendo sul serio. La commessura del suo labbro si sollevò di lato in un sogghigno di scherno.
«credi che non ne sia capace?» riprese sempre più adirato Marco. Quell’atteggiamento lo irritava. “pensa di conoscermi e invece di me non sa proprio nulla!!”
«se ci tieni tanto colpiscimi pure…» lo invitò Eichi ruotando la testa di lato in modo che l’atro potesse colpirlo.
Marco era così tentato, un pugno netto e forse la sua rabbia sarebbe stata nutrita e saziata.
Era lì pronto quando Eichi continuò tornando serio.
«se mi colpisci, cosa speri di ottenere? Vincere contro di te sarà molto più semplice di quello che pensavo. Se mi colpirai che impressione pensi si farà Mary di te?».
“Ha ragione, se lo colpisco Mary potrebbe arrabbiarsi con me. Maledetto avevi già calcolato tutto non è vero?”.
Marco distolse il suo sguardo furente e sconfitto da quello più freddo e sicuro di Eichi, allontanò le sue mani dalla sua maglia mentre lo stesso cercava di rimettersela in ordine stirandola alla meglio.
«Marco a dispetto di quanto credi non ho alcuna intenzione di giocare sporco e credimi potrei. Voglio che Mary scelga liberamente, e sono convinto che in fondo lo vuoi anche tu. Altrimenti perché chiedere di aspettare sino a Natale per rivelare a Mary tutta questa storia? Vuoi conquistarla senza sporchi giochetti, questo lo so…» Eichi ritornò alla posizione di partenza: mani nelle tasche e sguardo fisso e indagatorio.
«ti propongo un patto. »
Marco si sentiva con le spalle al muro. Fino a pochi minuti prima era sicuro di avere la vittoria in pugno ed invece adesso era lui ad elemosinare una via di salvezza.
«parla…»
«Tu non dirai nulla della mia presenza qui in Italia alla stampa giapponese e inoltre chiederai a tuo padre di dimenticarsi dell’accordo preso con Luigi, ed io in cambio non rivelerò a Mary tutta questa storia. Sai benissimo che se lo facessi a quel punto anche costringendola a sposarti non potrai mai godere del suo amore e del suo rispetto.  So che non è quello che vuoi. Ti sto proponendo di giocare pulito d’ora in avanti. Cosa vuoi fare? ».
Marco ci stava pensando, quell’offerta conveniva a entrambi ma non ne era ancora molto soddisfatto.
«Ci sto, ma a una condizione …».
«Quale?» chiese Eichi.
«Se Mary sceglie te, io farò decadere ogni pretesa su di lei, non metterò in difficoltà Luigi e accetterò la cosa senza sollevare obbiezioni. Ma se dovessi vincere io prima di Natale tu dovrai preparare le valige e andartene anche prima del tempo previsto. Non potrai contattarla in nessun modo. Ti sarà proibito tornare a ritrovarla, dovrai chiudere tutti i ponti con lei e se sarà necessario dovrai farti odiare per riuscirci. Se non farai quello che ti sto chiedendo mi costringerai a interpellare la stampa e allora i problemi per te si moltiplicheranno. Cosa vuoi fare? Accetti?»
Eichi sapeva che Marco non avrebbe accolto così pacatamente un suo accordo senza apporre qualche sua personale richiesta.
«ci sto!» accettò con fermezza Eichi in attesa di una stretta che sancisse il loro accordo.
I due dopo una sguardo carico di sottointesi si ritirano muovendosi in due direzioni diverse.
Da ora  i giochi erano ufficialmente aperti.
 
 
 
Mary era seduta su quel marciapiede mentre meditava in silenzio su tutto quello che era successo. Il fondoschiena le faceva male e le gambe incominciavano ad addormentarsi. Dall’altro lato della strada c’era un parco giochi. Due bambini sulle loro altalene ridevano e scherzavano spensieratamente. Erano gli unici suoni gioiosi in quella strada tristemente desolata. Erano ormai le otto ma essendo estate il sole non era ancora calato del tutto. C’era una leggera brezza, che le faceva venire la pelle d’oca. 
Mary non calcolò molto bene il tempo che ci mise Angela a raggiungerla, ma a lei sembrò un’eternità. Voleva qualcuno con cui sfogarsi e cercare di rielaborare un po’ gli eventi di quel pomeriggio.
Angela le si avvicinò con uno sguardo sollevato, ma Subito dopo aver incrociato quello disperato dell’amica il suo tornò a incupirsi nuovamente.
Mary non disse una parola, semplicemente la osservò mentre in silenzio le si sedeva accanto.
Rimasero così immobili per qualche minuto finché inaspettatamente lei prese la mano dell’amica tra le sue.
«Mary, non devi odiarlo per forza. Aspetta prima di sapere il motivo del suo comportamento. Io non posso dire di conoscerlo benissimo, ma penso abbia avuto una buona motivazione per comportarsi in quel modo».
Mary continuava ad avere gli occhi fissi su quelle due mani strette l’una nell’altra. Quel contatto la faceva sentire sicuramente meno persa.
Mary, si voltò con gli occhi lucidi verso Angela che immobile e seria aspettava che l’altra dicesse qualcosa. Ma Mary aveva le labbra serrate. Non capiva il perché, ma non riusciva a comunicare nemmeno a una delle sue migliori amiche quello che provava.
“Perché non ho la forza di dirle che lo odio, che è così incostante e che il suo comportamento è così inconcepibile?
 Prima mi avvicina poi mi allontana. Un giorno mi sembra di sapere tutto di lui e un altro giorno diventa un vero mistero. Ci sono momenti in cui credo di leggere nei suoi occhi tanto ma poi arrivano quei giorni in cui gli stessi diventano così bui e profondi. So che avevo accettato questa condizione sin dall’inizio, e in fondo per un rapporto di semplice amicizia, senza troppi coinvolgimenti, sarebbe andato anche bene. Perché allora adesso tutti questi segreti e questi comportamenti insoliti mi turbano?”.
Una lacrima scese ma Mary l’asciugò rapidamente.
«Mary, va tutto bene adesso. Calmati.» la rassicurò Angela.
«e invece non va bene proprio niente…» sottolineò Mary distogliendo il suo sguardo da quello dell’amica.
«Perché dici così?»
«Perché? Tu piuttosto, cosa ti prende? Dovresti dirmi di odiarlo, di non perdonarlo e se necessario di picchiarlo con tutte le mie forze e invece mi incoraggi addirittura a credere in lui! Pensi davvero sia la cosa giusta per me fidarmi di un estraneo che ho appena conosciuto e che è così incostante  e imprevedibile? Pensi sia davvero quello che dovrei fare dopo tutto quello che ho passato?» Mary sembrava parlare più a se stessa che ad Angela.
Angela rimase interdetta per qualche secondo. La reazione dell’amica era stata inaspettata e l’aveva lasciata senza parole.
 Mary iniziò a piangere e distaccando la sua mano dalla stretta salda dell’amica l’avvicinò al suo viso. Si coprì con entrambe le mani il volto e iniziò a piangere silenziosamente.
«Mary…» la richiamò dolcemente Angela mentre con una mano le accarezzava i capelli.
«…io c’ho provato… cosa credi?» le spiegò tra un singhiozzo e l’altro.
«cosa hai provato?» le chiese l’amica con aria dispiaciuta.
«… ho provato ad odiarlo. Cosa c’è che non va in me? Perché nonostante tutto io non riesco a fare a meno di credergli? Cosa mi sta succedendo? Vorrei allontanarlo ma non ci riesco. Perché sono così frivola? Non posso permettermi due volte lo stesso errore.»
Angela aveva finalmente capito che i suoi presentimenti erano fondati.
«Mary cos’è che ti spinge a credere in lui secondo te?»
Mary smise di piangere e asciugandosi con il palmo delle mani le ultime lacrime si voltò ancora una volta verso l’amica. Con il suo sguardo perso sembrava più cercare una risposta che darla in prima persona.
«io… forse… no, non dovrei»
«perché non dovresti?»
«come perché? Non ricordi quello che è successo l’ultima volta?»
«Mary non puoi lasciare che un piccolo errore condizioni la tua vita per sempre. Inoltre da quel che vedo ci tieni davvero a Eichi. Forse questa volta puoi lasciarti andare. L’importante è che tu sia consapevole che prima o poi lui dovrà andare via. Non voglio che tu soffra più del dovuto».
Angela cercava di confortarla con sguardo comprensivo e amorevole.
«Angela, non ho paura che lui mi lasci un giorno ma che si stia prendendo gioco di me adesso. Non capisco perché deve avere tutti questi misteri! Alla fine non voglio più ritrovarmi ad amare qualcuno che non riesce ad essere sincero con me! Capisci? Non voglio soffrire ancora…»
«come fai a sapere che soffrirai anche questa volta?»
Era evidente quanto Mary fosse combattuta.
«Prova a fidarti di lui. L’amore non dà mai garanzie e se non rischi non potrai mai dire di aver realmente amato…»
“Angela ha ragione. Questa volta forse il mio cuore può riprovarci.”
«Ci penserò. Grazie Angela…»
«Tra amici non c’è bisogno di dirsi grazie. Te l’ho ripetuto tante volte! Adesso, credo che il momento di metterti in gioco sia  arrivato…» la spronò rialzandosi, dalla seduta scomoda e fredda del marciapiede.
Mary guardò oltre l’amica e intravide la sagoma di Eichi avanzare nella loro direzione.
 «Mary segui il tuo cuore, non voglio che tu lo rimpianga un giorno…» la incoraggiò salutandola con un gesto della mano prima di andare incontro ad Eichi. Dopo un rapido saluto si congedò anche da lui che finalmente poté raggiungere Mary.
Mary lo vide farsi avanti nella sua direzione. Amava tutto di lui: il suo modo di camminare, il modo con cui si scostava i suoi capelli dal volto, il suo sorriso luminoso e anche quegli occhi profondi e impenetrabili. Amava persino quei momenti di completo smarrimento che le faceva provare attraverso i suoi costanti silenzi. Per un’assurda incomprensione tra cuore e cervello, si era ritrovata ad amare di lui tutto quello, che in passato, si era ripromessa di odiare in un ragazzo.
 Non poteva più negarlo, era troppo tardi.
“Angela ha ragione. Adesso è arrivato il momento di dirgli tutto, non riuscirei a nascondere ancora per molto quello che provo. Forse anche lui mi ferirà, ma non posso più continuare così. Come ho fatto a non capirlo prima? Non riesco ad odiarlo perché in realtà quello che provo per lui è amore. Ecco fatto! Alla fine mi sono innamorata dell’ennesimo ragazzo sbagliato… come posso essere così stupida?”
 
 
 
 
GIAPPONE:
 
 
Andrea era seduto al tavolo di quel caffè in attesa di incontrare la donna del mistero. Dopo averne discusso con Daisuke e JJ, i tre ragazzi erano arrivati alla conclusione che, per la statura e la corporatura mostrata quella sera, dovesse trattarsi di una donna.
Non era passato molto da quell’incontro insolito che JJ mandò un messaggio a quel numero sconosciuto dicendo di voler organizzare un colloquio il prima possibile e precisando che per sicurezza avrebbe mandato una persona fidata a controllare che la storia fosse vera.  Era così che il giovane infiltrato italiano si trovava in quel bar in attesa da più di venti minuti.
 
“Ma come ho fatto a lasciarmi coinvolgere in tutta questa storia?
JJ mi ha sempre trattato malissimo, non capisco proprio perché dovrei aiutarlo. Non si meriterebbe un bel nulla.
Se ripenso a come si è comportato nei miei confronti mi ribolle il sangue al pensiero di essere qui a fargli un favore. Ma questo e pur sempre il dovere di un assistente quindi ingoierò l’ennesimo amaro boccone. Ora che ci penso, in fondo tutta questa storia mi incuriosisce e anche parecchio.  Chissà che aspetto avrà questa donna del mistero?Chissà se sarà davvero una donna…”
 
 Della fatidica figura femminile però ancora nessuna traccia. Per farsi riconoscere era stato specificato che Andrea avrebbe indossato un berretto giallo. In questo modo si sarebbe reso facilmente riconoscibile.  Il giovane assistente sapeva che fuori, a pochi metri dal bar, c’erano JJ e Daisuke che lo attendevano in apprensione.
Era il secondo caffè che ordinava e ormai la curiosità e l’ansia unita alla caffeina incominciavano a farsi sentire.
Andrea picchiettava nervosamente le dita sul tavolo. Era un tic che si portava dietro da tempo indefinito. Mary si innervosiva sempre quando lo vedeva insistere con quel movimento ritmico e snervante.
“Chissà come starà la mia sorellina, dopo quell’ultima e-mail non mi ha più risposto. Il Signor Marini mi ha detto che sono andati tutti a Villa Rosa. Di sicuro da lì è impossibile che legga le mie e-mail. Pazienza a breve dovrebbe tornare a casa. Non vedo l’ora di raccontarle tutto. O meglio una parte del tutto…”.
Andrea non fece in tempo a chiudere quei pensieri nella sua mente, che una sagoma occupò il suo campo visivo. Era una donna con abiti eleganti e modi raffinati. Indossava una gonna a tubino lunga fino al ginocchio nera, delle scarpette con tacco medio e una camicia bianca. Al braccio portavano appesa una piccola pochette nera. In quel look sobrio spiccavano in contrasto i suoi capelli brizzolati tenuti stretti in un tuppè raffinato e un rossetto rosso fuoco ostentato con orgoglio ed eleganza. Andrea osservava indagatore la sofisticata figura davanti ai suoi occhi. Poco dopo la stessa, ruotando leggermente la testa di lato, si sfilò elegantemente gli occhiali scuri, mettendo in mostra uno sguardo freddo e altolocato. Andrea notò con sua meraviglia che seppure i segni della sua età fossero ben evidenti sul suo viso, gli stessi non la deturpassero affatto, ma al contrario la impreziosissero rievocando l’immagine di una bellezza arcaica affascinante e terribile. Per un attimo Andrea con quel berretto giallo e il suo abbigliamento casual si sentì enormemente fuori posto. Si ritrovò a pensare che la donna che aveva di fronte avesse la capacità innata di far sentire a disagio chiunque le si parasse davanti.
 Senza dire neanche una parola prese posto di fronte ad Andrea. I suoi gesti erano calcolati e lenti. Il suo modo di fare, principesco, insospettì Andrea.
«è lei la persona che devo incontrare?» chiese togliendosi finalmente il berretto giallo e cercando di assumere un atteggiamento più consono alla figura che aveva davanti.
La donna non si scompose e con aria poco convinta iniziò ad ispezionare quel ragazzo biondo  davanti a se con occhi severi e intransigenti. Senza aggiungere neanche una parola uscì da sotto il tavolino una busta da lettere. Con un movimento elegante la porse ad Andrea che la prese senza troppi giri di parole.
Rapido ne esaminò il contenuto. C’era una foto e un bigliettino.
Solo a quel punto la donna si decise a parlare.
«dica al suo amico che non sono abituata a prendere accordi con degli intermediari. Preferisco discutere con i diretti interessati di certe questioni. Non è l’unico a tenere alla sua reputazione. Gli dia il contenuto di quella busta e gli riferisca che se vuole incontrare Akiko, gli basterà presentarsi nel luogo trascritto in quel biglietto. Per ovvie ragioni non aggiungerò altro sulla questione. Se vorrà ulteriori chiarimenti sarà meglio si presenti il prima possibile nel luogo da me riportato. Non credo di aver fatto nulla di più umiliante in tutta la mia vita, quindi sarà meglio che si sbrighi e prenda una decisione. Gli dica di non giocare troppo con la mia pazienza perché potrei diventare davvero pericolosa… » si sollevò in modo deciso e dopo aver chinato la testa in segno di saluto e riposizionato le lenti scure sui suoi occhi intransigenti si congedò da Andrea, che ancora paralizzato dal tono e dalla risolutezza di quelle parole non riuscì a razionalizzare che il loro incontro si fosse già concluso. La stessa uscì dal locale con passo deciso e sinuoso prima che, il giovane assistente potesse fare qualcosa per fermarla.
 
JJ e Daisuke erano in macchina che aspettavano da tempo indefinito l’arrivo di Andrea. Entrambi agitati rimasero chiusi nel loro silenzio sino al suo ritorno. Già da una certa distanza JJ si rese conto che il ragazzo biondo aveva una espressione abbastanza delusa sul volto.
Andrea entrò silenziosamente in auto facendo attenzione che in giro non ci fossero occhi indiscreti. Appena prese posto sul sedile posteriore entrambi i componenti dei BB5 si girarono verso di lui, con uno sguardo ansioso e interessato.
«Beh, Andrea non restare lì impalato. Dicci tutto quello che hai scoperto…» lo spronò JJ impaziente.
Andrea non sapeva da dove iniziare.
«Cosa aspetti straniero? Vuoi tenerci sulle spine ancora per molto?» JJ iniziava a perdere la sua già labile pazienza. Andrea era nel panico più assoluto.
Così, quasi leggendo la sua incertezza negli occhi, Daisuke si decise a intervenire per incoraggiarlo.
«Su Andrea dicci cosa è successo, non avere paura,  nessuno ti mangerà se quello che ci racconterai non corrisponderà perfettamente alle nostre aspettative».
Così più convinto iniziò a raccontare tutto senza esitazioni. Dopo aver raccontato quello che aveva appreso da quel colloquio, sotto gli occhi scettici e poco convinti di Daisuke e quelli più delusi e pieni di domande di JJ,  consegnò anche l’ultimo pezzo del puzzle che completava il quadro insolito di quell’incontro. JJ  prese la busta tra le mani e l’aprì sotto gli occhi degli altri due. La fotografia immortalava una ragazzina tredicenne con delle lunghe trecce e un lungo vestito bianco. Era Akiko. Alla sua sinistra si trovavano una donna e un uomo di bell’aspetto con uno sguardo sereno e felice. Erano i suoi genitori adottivi. Su questo non c’erano dubbi. JJ più guardava quella foto e più non riusciva a capire. Finché non sentì Andrea esultare alle sue spalle.
«È lei!».
«Chi?» chiese Daisuke incuriosito, guardandosi intorno.
«la donna della foto!»
«cosa vuoi dire? Spiegati meglio!»aggiunse JJ.
«la donna nella foto è la stessa signora che è venuta all’incontro di oggi!»
«dici sul serio? Non ti starai sbagliando vero?» chiese dubbioso Daisuke.
«certo che no!»
Battendo un pugno sul palmo dell’altra mano JJ attirò l’attenzione degli altri due.
«Ora è tutto chiaro, ed ho anche capito dove avevo già visto questa donna »
«Dove?» chiesero all’unisono Daisuke e Andrea.
«E’ la moglie del futuro erede della nota Takeda. Un’azienda farmaceutica molto conosciuta qui in Giappone. Non so come ho fatto a non pensarci prima. Un giorno vidi la sua foto pubblicata su un giornale era insieme all’intera famiglia. Sarà stato un paio di anni fa.»
Continuando estrasse anche l’ultimo bigliettino contenuto all’interno della busta. Era segnato il nome di una nota struttura ospedaliera.
I tre si scambiarono degli sguardi preoccupati. Consapevoli che quel luogo non portasse affatto buone notizie.
 
 
 
 
ITALIA:
 
Mary ed Eichi erano seduti sulle altalene di quel parco giochi ormai abbandonato, in cui l’unico rumore a persistere era lo stridulo eco ritmico quasi musicale degli ingranaggi delle giostre.  Erano le nove e ormai il sole aveva ceduto il suo posto a una luna piena e a un cielo stellato nel quale erano chiare le costellazioni estive al pari di sapienti disegni celesti.
I due si dondolavano silenziosamente. Finché Eichi si decise a rivolgerle la parola. Aveva ben chiaro cosa le avrebbe detto. Puntò i piedi si arrestò sulla sua postazione. Poi con sguardo serio si rivolse a una Mary taciturna con il volto rivolto verso il cielo profondo e nitido di quella sera.
«Mary, è arrivato il momento di spiegarti tutto» ammise con sicurezza. La stessa si fermò voltandosi verso di lui, non disse nulla ma era indubbio che il sguardo attendesse ormai stanco delle spiegazioni. Eichi proseguì con fermezza. Ormai aveva deciso di aprirsi a Mary. La sua mente tentennava insicura mentre il cuore lo incoraggiava a rischiare. Non era semplice per lui che aveva vissuto tanti abbandoni rischiare di fidarsi di una persona conosciuta da poco, ma il suo cuore lo spingeva ad aprirsi così spontaneamente da non permettere al più piccolo pensiero negativo di offuscare la sua decisione. Inspirò profondamente prima di proseguire.
«quello che ti dirò spero non cambierà nulla nel nostro rapporto. Questo devi promettermelo. Non vorrei mai che la nostra amicizia finisse per questo.».
Amicizia... ovvio, che ti aspettavi Mary? Per lui sei solo una persona di passaggio...” Mary mosse la testa per sottolineare la sua approvazione «d’accordo, però dopo vorrei dirti qualcosa anche io…» puntualizzò.
Voleva mettere in chiaro quello che provava una volta per tutte. Eichi gli piaceva davvero.
Eichi acconsentì prima di alzarsi dal sellino dell’altalena e mettersi di fronte a una Mary ancora seduta che forse per scaricare la tensione del momento aveva ricominciato a dondolarsi leggermente. Quell’altalena sgangherata su cui era ancora seduta emetteva un cigolio sinistro ogni volta che tornava in asse. Mary notò come quel suono facesse sembrare ancora più vuoto quel parco già abbandonato. Erano l’uno di fronte all’altro adesso. Eichi le si avvicinò  lentamente dopo averla raggiunta le si accovacciò vicino le cinse le mani con le sue e finalmente si preparò a parlare. Mary che osservava dall’alto della sua seduta Eichi aveva paura che quello che di li a poco avrebbe appreso avesse il potere di cambiare inesorabilmente il loro rapporto. Era un presentimento che si portava dentro e che la raggiunse  inaspettatamente proprio in quel momento. Fino ad allora la verità era le sembrata la soluzione migliore ma adesso che leggeva la preoccupazione negli occhi di Eichi incominciava a farle paura. I loro sguardi si incontrarono intensamente come durante il loro primo incontro, quando attraverso gli stessi cercarono di studiarsi e conoscersi a vicenda. Quella volta era lei a guardare Eichi dal basso adesso era lei a sovrastarlo…
«Mary, tu sai benissimo che non era mia intenzione mentirti. Purtroppo molte cose della mia vita ho deciso di tenerle nascoste egoisticamente, perché avevo paura di ferire me stesso. So di averti messo in una situazioni difficile da sopportare. Però d’ora in avanti ho intenzione di essere sincero fino in fondo, perché ho capito che scappare non porta a nulla.  Non chiedermi il perché, ma penso che al momento tu sia l’unica capace di capirmi sul serio. Ho deciso che voglio raccontarti tutta la verità. Te la sentiresti di ascoltarmi e magari di aiutarmi?».
Mary non riusciva ancora a vederci molto chiaro, ma in cuor suo voleva conoscere la verità e si meravigliò di scoprire che più che per sanare i suoi dubbi voleva apprenderla per poter essere di aiuto ad Eichi.
«certo che voglio conoscerla, a patto che non includa omicidi o scene del crimine. In quel caso potrei essere accusata di occultamento di informazioni utili allo svolgimento delle indagini. E francamente non credo di essere ancora pronta a questo genere di cose » confessò con più leggerezza Mary nella speranza di allentare la tensione del momento. Sapere che Eichi si fidava così tanto di lei e che addirittura chiedesse il suo aiuto l’aveva inspiegabilmente resa più tranquilla e ottimista. In un certo senso quel senso di frustrazione rabbia provato quando l’aveva abbandonata lì su quel marciapiede neanche un’ora fa erano stati completamente cancellati da quelle sue poche parole. Mary sapeva che non sarebbe riuscita a mostrargli rancore ancora per troppo tempo. Non era il tipo di persona da mantenere il broncio allungo. Questo lato lo aveva preso da sua madre. Non sapeva spiegarselo ma il suo cuore non riusciva a rimanere in collera per troppo tempo, o almeno non ci riusciva in maniera particolare con Eichi.
Lui le sorrise risollevandosi.
«tranquilla non sono ancora diventato un serial killer, comunque grazie di avermi avvisato per tempo. Nel caso in cui decidessi di confessare un omicidio non verrò sicuramente da te.»
«ci mancherebbe…» aggiunse Mary con un sorriso che le fuggì spontaneo.
Eichi non poteva fare a meno di rimanere incantato ogni volta che Mary sorrideva. Come accadeva a lui anche Mary non rideva spesso però quando quel sorriso esplodeva così spontaneo e imprevedibile sul suo viso provocava in lui una reazione così piacevole da renderlo inspiegabilmente sollevato a sua volta. Vederla felice rendeva felice anche lui. Era come vedere un riflesso di se stessi nell’altro. Così che ogni sorriso di Mary si rifletteva su di lui. Era come in una reazione a catena invisibile e misteriosa, come il loro stesso legame. Lui le sorrise complice finché anche Mary non riacquistò quel tanto di serietà che permettesse ad Eichi di continuare con il suo discorso.
«Eichi, sono pronta adesso voglio conoscere tutta la verità.» ribadì Mary.
Eichi fece un respiro profondo per riordinarsi le idee e trovare la forza di confessarle la verità. In cuor suo sapeva che quella semplice confessione ne avrebbe richiamate altre molto più scomode, ma questa volta voleva fidarsi e provare a lasciarsi andare.
 Sfilava avanti e indietro pensieroso mentre Mary ancora seduta in attesa lo fissava incuriosita. Poi si fermò e guardandola negli occhi era pronto a mettere a nudo la sua identità.
«Sono una Popstar» confessò sintetico.
Per pochi secondi Mary rimase immobile interdetta quasi sottoshock. Sembrava avesse smesso anche di respirare. Poi improvvisamente esplose in una risata così fragorosa da fare eco in quell’ampio spazio deserto.
«si certo una popstar e io sono la sorella di Jennifer Lopez, ma dai Eichi finiscila di scherzare… »
Eichi rimase serio e non si smosse continuando a guardare Mary intensamente.
«non sto scherzando…» si apprestò ad aggiungere quando vide che Mary non era intenzionata a prendere sul serio la sua affermazione.
«suvvia non penserai che mi beva una storia del genere.» disse mentre con l’indice si asciugava due piccole lacrime agli angoli degli occhi.
«Mary sono una popstar e sono venuto dal Giappone a causa di alcuni problemi sorti nella mio gruppo.».
Mary a quel punto iniziò a prendere più sul serio le parole di Eichi. Il suo sguardo era troppo severo e contrito per essere uno che la stava prendendo in giro.
«Dici sul serio?» domandò ancora leggermente scettica.
«Si, dico sul serio. Il mio gruppo si chiama BB5 e siamo molto noti in Giappone.»
“Cavolo se quello che dice è vero allora per me non ci sono proprio speranze. Ma perché mi innamoro sempre dei ragazzi sbagliati. Se prima le possibilità di costruire un legame erano difficili ma possibili adesso questa eventualità è diventata del tutto irragionevole.”
Mary era rimasta immobile con lo sguardo vitreo e vuoto di chi ha appena preso coscienza di una verità difficile da sopportare.
«te la sentiresti di conoscere tutta la storia adesso che sai chi è la persona che hai davanti?» domandò in tono premuroso Eichi notando lo sguardo perso e leggermente disorientato di Mary.
Lei seppe solo emettere un leggero gemito di approvazione. Eichi diede un’occhiata al telefono che Luigi gli aveva prestato per le emergente.
«vista l’ora credo dovremmo incamminarci verso la stazione. Durante il tragitto ti spiegherò ogni cosa.». Mary si sollevò dall’altalena. In quel momento l’aria intorno a se le sembrò più pesante e soffocante del solito.  Era come se la forza di gravità la comprimesse in maniera esagerata spingendola forzatamente verso il suolo. Si sentiva pesante come se sulle spalle ci fosse un peso enorme impossibile da scrollarsi di dosso. Era così che si sentiva. Stranamente pesante.
I due ragazzi si mossero verso la stazione mentre Eichi continuava a raccontarle la sua storia.
 
 
 
 
 
GIAPPONE:
 
Era da poco passato mezzogiorno e  finalmente Andrea era ritornato a casa dal signor Marini. Dopo quello strano incontro non vedeva l’ora di buttarsi sul letto e di scrivere un’altra e-mail a sua sorella. Soprattutto per raccontarle di Daisuke.
Entrò e si tolse le scarpe come era usanza lì in Giappone e dopo aver sondato il territorio si rese conto che il signor Marini non era ancora rientrato a casa. Ora che ci pensava non ricordava neanche come facesse per nome. Da quando lo aveva conosciuto si era presentato solo una volta e d’allora nessuno lo aveva più chiamato in maniera informale. Tutti e alla fine anche lui avevano preso l’abitudine di chiamarlo solo per cognome o con l’ appellativo di “Zio”.  Così anche Andrea aveva finito per dimenticare si chiamasse in realtà. Ora che ci pensava bene conosceva davvero poco di lui. Non sapeva se aveva una famiglia, dei figli, se custodiva delle passioni o cose di questo tipo. Doveva ammettere che dopo quasi un mese di convivenza non era riuscito a scoprire molto su di lui. Un po’ per curiosità un po’ mosso anche da queste considerazioni si avvicinò alla stanza studio del signor Marini. Bussò un paio di volte per precauzione e dopo aver verificato che non ci fosse nessuno entrò furtivamente. Non sapeva ne cosa cercare ne in realtà cosa aspettarsi di trovare, ma voleva scoprire qualcosa di più sulla figura del misterioso manager. Da quando aveva messo piede in quella casa non era ancora entrato neanche una volta in quella stanza. Era molto elegante i mobili richiamavano uno stile anglosassone classico e raffinato. Alle pareti erano appesi una serie di attestati tra i quali quello a colpirlo maggiormente era uno del conservatorio. Era segnato anche il suo nome che per l’appunto era Roberto. Era riportato che tra gli strumenti appresi quello in cui si era specializzato era il pianoforte. Che strano eppure in casa non ce n’era nemmeno uno. Probabilmente aveva direzionato la sua passione musicale nel lavoro di manager. Però chissà come mai aveva rinunciato per tanto tempo per lavorare nella banca con suo padre. Questo si che era strano. Il passaggio da pianista a manager musicale era anche tollerabile ma da musicista a impiegato bancario era del tutto irragionevole. Andrea sapeva che c’era qualcosa nel mezzo che gli sfuggiva così continuò ad indagare, spinto da una sempre maggiore curiosità.
Tra i vari cassetti aperti ne trovò uno chiuso a chiave. Non era molto bravo nello scassinare le serrature così decise di abbandonare la possibilità di indagare oltre per quella sera. Stava per uscire dallo studio quando intravide una piccola luce sulla libreria. Era un vecchio carillon musicale. Si avvicinò e con premura lo caricò, stranamente non emerse alcuna melodia ne tanto menò partì il meccanismo di apertura dello stesso. Andrea se lo rigirò tra le mani per capire quale fosse il problema finché ad un certo punto sentì cadere qualcosa sul pavimento. Era una piccola chiave. La raccolse e notando il carillon aperto dovette dedurre che fosse stata nascosta all’interno. Decise di verificare se fosse davvero la chiave che cercava.   Si avvicinò al cassetto chiuso e dopo aver ruotato la chiave all’interno della serratura un paio di volte la stessa scattò. Andrea aprì con cautela il cassetto. Iniziò a indagarne il contenuto. All’interno c’era solo un’agenda rossa e una busta per raccomandate. Prese l’agenda e con attenzione meticolosa l’aprì. Dentro erano segnati appunti e numeri di telefono. Le pagine ingiallite facevano presumere che avesse molti anni. Ad una certo punto tra le varie pagine spuntò una piccola foto in bianco e nero. Un ragazzo con i capelli chiari e grandi occhi verdi era seduto su una panchina mentre stringeva in un abbraccio amichevole una ragazza davvero molto bella con dei capelli neri e lisci raccolti in una codina alta che lasciava emergere delle orecchie leggermente grandi per il suo viso piccolo e tondo. Al centro il suo naso leggermente all’insù spuntava armonioso in quel viso. Sulle loro divise uguali  nel colore e nel modello era riportato il nome “Conservatorio di musica Nicolò Puccini”. Andrea spinto dalla volontà di completare quel puzzle corse a ricontrollare il nome del conservatorio riportato nell’attestato del signor Marini. Era lo stesso. Tutto quadrava, il ragazzo nella foto era il signor Marini. Girando la foto, notò che vi erano riportate delle piccole frasi.
Roberto anche se le nostre strade dovessero separarci vorrei sapessi che nel mio cuore custodirò per sempre le dolci noti della tua musica e il caloroso affetto della tua amicizia. Con amore sconfinato la tua amica Lucia.
 
Andrea tornò a quel cassetto. Dopo aver riposto l’agenda rossa con la foto all’interno recuperò anche la busta per raccomandate sul fondo e l’aprì facendo molta attenzione. All’interno c’erano delle carte mediche.  Scorrendo tra le diverse righe due parole saltarono subito alla sua attenzione. Tumore al pancreas.
Tornò indietro per verificare che il nome del paziente fosse quello del signor Marini. Proprio in alto erano segnati il suo nome e cognome insieme alla data. Era recente, poco più di tre settimane. Andrea non poteva crederci. Cadde seduto sul pavimento mentre continuava a fissare sottoshock i fogli con i risultati medici che aveva davanti.
Eppure non aveva notato alcun sintomo particolare. Possibile che non se ne fosse accorto?
Andrea sentì un rumore di chiavi dalla serratura della porta principale. Così si apprestò a reinserire i fogli nella busta e a chiudere rapidamente il cassetto. Corse a riporre le chiavi nel carillon e uscì dallo studio di fretta. In quello stesso momento si ritrovò davanti un signor Marini sorpreso e del tutto impreparato alla sua uscita. Adesso si che era nei guai.
 
 
 
 
Erano passate l’una e finalmente Yori aveva portato a termine il suo turno di lavoro. In meno di dieci minuti si era cambiata, sistemato alla meglio i capelli e riposto la divisa da lavoro nell’armadietto, ripiegandola con cura meticolosa. Era pronta per incontrarsi con Nana, la sua amica e collega di lavoro. Era stata lei a riferirle che alla Kings Recod stavano cercando personale e così dopo un breve colloquio era stata assunta. Quel posto di lavoro si era rivelato una manna dal cielo. Era stufa di dover pesare ancora sui suoi nonni. Seppure  fare la donna delle pulizie non rappresentava la sua massima ambizione, era un modo come un altro per iniziare la conquista di un po’ di sana e giusta autonomia. “In certi casi non si può fare troppo le schizzinose” si ripeteva spesso. Infondo doveva ammettere che lavorare alla Kings Record non era tanto male, gi avrebbe dato la possibilità di incontrare molta gente famosa e chissà magari un giorno sarebbe stata notata anche lei. Per il momento si sarebbe dovuta accontentare di essere una semplice donna di servizio, avrebbe messo da parte quei sogni che custodiva segretamente sin da piccola, e che al momento si rivelavano  eccessivamente ambiziosi per le sue modeste tasche. Nonostante questo non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Diede un ultimo sguardo all’immagine di famiglia che aveva appesa nell’armadietto, c’erano proprio tutti : i suoi nonni, i suoi genitori e la sua sorellina. 
Erano passati dieci anni da quell’incidente e seppure le ferite e il dolore si erano attutiti la loro mancanza era così grande che certe volte le sembrava potesse toglierle tutte le forze.
Per lungo tempo si era portata sulle spalle il peso di essere stata l’unica a sopravvivere. Una colpa che l’aveva spinta spesso verso quel desiderio irrazionale e impulsivo di seguire la sua famiglia in quel mondo immateriale. Col tempo era giunta insieme con la crescita e la maturità anche la consapevolezza che essendo sopravvissuta avrebbe dovuto vivere per loro che non c’erano più e dedicare ogni sua vittoria a chi l’aveva amata in questa vita ingiusta e crudele che aveva scelto di non abbandonare ma di affrontare combattendo ogni cedimento, ogni debolezza e sconfitta.
Chiuse l’armadietto e dopo aver dato un ultimo sguardo al suo look ad uno dei tanti specchi della stanza uscì dagli spogliatoi del personale. Aveva fretta, doveva incontrarsi con Nana prima che anche la sua amica iniziasse il suo turno. Avevano all’incirca un’ora. Si sarebbero incontrate al solito bar a un isolato di distanza. Yori si infilò gli auricolari e a ritmo di musica aumentò il suo passo. Mentre si muoveva rapida verso l’uscita dell’edificio, si ricordò dell’incontro con Rio avuto qualche giorno prima. D’allora aveva avuto la fortuna di non incontrarlo. Ciò nonostante aveva preso l’abitudine di muoversi con circospezione per quei corridoi per paura di doversi imbattere ancora una volta nella figura di quell’arrogante e presuntuoso pallone gonfiato.
Si Rio, per Yori, era la conferma di quello che spesso si dice in giro sulla gente di spettacolo: l’immagine che mostrano al pubblico spesso non è quella che meglio li rappresenta.
Uscì rapida dall’edificio aveva così fretta che non aspettò nemmeno che le porte a scorrimento automatico si aprissero completamente. Arrivata all’esterno, attraversò la strada e proprio mentre era a un passo dall’altro lato della carreggiata si sentì strattonare, perse l’equilibrio e cadde a terra, nella caduta qualcosa attutì il colpo. Poco dopo quel capitombolo improvviso si rese conto che la melodia nelle sue orecchie era stata sostituita dai rumori della città, il suo mp3 era andato perso insieme ai suoi auricolari. Tutto era accaduto in maniera così rapida che si rese conto di ciò che era successo solo a fatto compiuto. Sentì il suono di un clacson in lontananza e voci concitate di persone che si riunivano intorno a lei.
 «stai bene ragazzina?» chiese una voce vicina.
Yori si sollevò rapida. Qualcuno l’aveva salvata da un incidente questo era sicuro dalle voci della gente che intorno avevano iniziato a rivolgersi a lei in modo concitato “Ragazzina sei stata proprio fortunata se non ci fosse stato quel ragazzo non so che fine avresti fatto” , “Ehi, stai bene?”,  “ma tu guarda quell’idiota che è passato anche con il rosso, non si è nemmeno fermato”,  “forse sarebbe meglio chiamare un’ambulanza”.
 
Yori dopo essersi sollevata notò la sagoma di un ragazzo stesa per terra. Era immobile. Si chinò rapida per verificare le sue condizioni. Indossava un cappello e una giacca di jeans scura. Sollevò appena il cappello per poter verificare che respirasse. Quello che notò la lasciò senza parole. Era Rio. Non era possibile.
Dopo poco lo stesso aprì gli occhi e anche il suo volto sembrò riflettere la stessa espressione incredula della ragazza che aveva di fronte.
«Non dirmi che eri tu quella pazza sconsiderata che non si guarda nemmeno intorno quando cammina…» chiese pungente come al solito mentre, con una leggera smorfia compiaciuta, si risollevava dal suolo. Un lampo di dolore al braccio lo fece tornare serio. Yori notando la sua espressione decise di ignorare le sue pessime battute e di aiutarlo invece a prendere posto su una panchina lì vicino. Rio si risistemò con l’altra mano il cappello reclinandolo sugli occhi. Aveva paura che qualcuno lo riconoscesse, anche Yori se ne era accorta. A quel punto un signore sulla cinquantina si avvicinò ai due ragazzi e chiese loro se volessero un passaggio in ospedale. Yori aveva capito che la soluzione migliore era evitare il suo aiuto, se la notizia si diffondeva Rio correva il rischio di venire assediato dai giornalisti.
«…grazie ma ho la macchina qui dietro posso accompagnarlo io.» gli spiegò Yori ugualmente riconoscente per la proposta prima di congedarsi. Lo stesso dopo aver salutato si dileguò in mezzo a quella folla che ormai rapida si stava già disperdendo.
«…grazie» aggiunse Rio richiamando l’attenzione di Yori.
«figurati, adesso è bene che ti porti in ospedale. Il tuo braccio non sembra ridotto molto bene» aggiunse prima di aiutare Rio a rialzarsi a sua volta.
Erano in macchina e alla guida c’era Yori. Giunsero in ospedale. Rio sapeva a chi si sarebbe dovuto rivolgere in modo che la vicenda non richiamasse l’attenzione di troppe persone. Il primario dell’ospedale che era anche un vecchio amico dei suoi genitori lo raggiunse e dopo aver invitato Yori ad accomodarsi nella sala d’attesa chiese a Rio di seguirlo.
Yori era lì seduta da dieci minuti in mezzo a tutte quelle persone in attesa che giungesse il loro turno.
“Certo che essere famosi apre molte porte. Se Rio fosse stato un ragazzo come molti altri adesso avrebbe dovuto aspettare il suo turno proprio come tutti qui dentro. Che ingiustizia.”
Ad un tratto i suoi pensieri furono interrotti dalla suoneria del suo cellulare. Recuperò il telefono dalla borsa. Era Nana.
«Ehi Nana»
«ma si può sapere che fine hai fatto? Sono rimasta ad aspettarti per più di mezz’ora!»
«scusa hai ragione, ma ho avuto una specie di incidente e ora sono in ospedale»
«incidente? Stai bene? Hai qualcosa di rotto?»
«no, tranquilla, non ho nulla. Sono qui per verificare le condizioni del mio soccorritore»
«sicura di stare bene? Non vuoi che venga lì da te?»
«no davvero è tutto apposto appena possibile ti racconterò tutto»
«d’accordo, io allora chiudo e inizio il mio turno. Posticiperemo il nostro incontro al più presto»
«va bene, guarda che mi devi ancora  del sushi»
«lo so, mi farò perdonare non temere»
«ci conto» detto questo la chiamata fu chiusa.
Yori non fece in tempo a riporre il telefono in borsa che vide venirgli in contro Rio con un braccio ingessato e un’espressione seria e pensierosa in viso.
«Cosa ti hanno detto?» chiese Yori andandogli incontro, preoccupata.
«secondo te?» le domandò sarcastico Rio.
«cosa posso saperne io!» ammise offesa.
“la prepotenza di questo ragazzo è davvero indescrivibile. Perché deve essere sempre così acido?”
«… mi hanno detto che la prossima volta devo pensarci due volte prima di compromettere la mia carriera per colpa di una ragazzina sbadata come te. Almeno fossi bella potrei dire che ne è valsa la pena. Bah, che spreco il mio povero braccio…»
«cosa?» Yori aveva un diavolo per capello.
«si esatto hai sentito bene, il mio braccio destro resterà bloccato in questa odiosa ingessatura per due mesi, grazie alla tua imbranataggine».
«Tu sei fuori! E pensare che quando mi hai ringraziato avevo creduto che ci fosse un minimo di umanità nel tuo cuore ma a quanto pare mi ero sbagliata. Sei un vero idiota, su questo non ci sono più dubbi. Comunque la prossima volta se hai intenzione di fare l’eroe per il solo piacere di sentirti grande rispetto a noi umili mortali sarebbe meglio non facessi nulla. E pensare che ti stavo offrendo addirittura il mio aiuto se ne avessi avuto bisogno. Che stupida. Un arrogante come te non meriterebbe la mia assistenza neanche a pagarla oro…» Yori si voltò e iniziò a muoversi rapida verso l’uscita. Quando le parole di Rio la raggiunsero chiare seppure lontane.
«…che persone meschine ci sono in giro, non è vero signora? Tu le salvi la vita e poi se ne vanno senza nemmeno ringraziarti.» lo disse gridandolo in modo che tutti nella sala d’attesa potessero sentirlo. Tutti i presenti compresa un’infermiera che era proprio vicino Yori si voltarono verso di lei con sguardo di rimprovero.
“Cavolo questo bastardo sta mettendo proprio a dura prova la mia pazienza. Va bene, se vuole la mia gratitudine l’avrà, ma non sa ancora cosa lo attende.”
Tornò indietro e prendendolo per il braccio ancora sano lo strattonò fino all’uscita. Una volta fuori puntò il suo dito indice su di lui picchiettandolo ripetutamente sul suo petto.
«Sai non ho alcuna intenzione di sentirmi dire che sono un’ingrata soprattutto da uno come te. È il mio aiuto che vuoi? E allora lo avrai che tu lo voglia o meno.» affermò con sguardo di sfida.
«beh, a dire il vero avrei proprio bisogno di te in questo momento» aggiunse leggermente divertito Rio.
Yori non smosse un ciglio ma rimase in attesa della sua richiesta.
«Ho bisogno che componi il numero della Kings Record e chieda di Hiro. Dopo passamelo. Sai con una mano sola l’operazione potrebbe riuscirmi scomoda. Stai tranquilla conoscono il mio numero non ti faranno problemi.» così dicendo prese il suo telefono dalla tasca e lo porse ad Yori che lo prese controvoglia. Digitò frettolosamente il numero e portò il telefono al suo orecchio destro. Dopo poco le rispose la centralinista. Dopo aver chiesto di Hiro a nome di Rio poggiò il telefono all’orecchio dello stesso.
«Ciao Hiro, scusami ma oggi non credo che potremo vederci, il prima possibile ti porterò le bozze del testo al massimo potresti inviarmi la traccia che ho lasciato in studio di registrazione per e-mail. D’accordo ci aggiorniamo. Ciao.» detto questo fece segno a Yori di chiudere la chiamata.
«Hai bisogno di altro?» gli domandò la ragazza in tono falsamente servile.
«Si, il minimo che tu possa fare adesso è accompagnarmi a casa.»
Yori acconsentì mentre annoiata porgeva il telefono a Rio.
«Prima di darmelo segna il tuo numero. Sai della gente è meglio non fidarsi troppo. Potresti sparire senza lasciar traccia e allora come potrei godere dei tuoi servigi?»
Yori prese il telefono tra le mani e compose un numero a caso. Non si fidava a tal punto di quel tipo da lasciargli il suo numero personale. Glielo tese nuovamente, ma neanche questa volta Rir fu disposto a riprenderselo.
«Che c’è ancora?» chiese seccata.
«Chiama quel numero che hai composto»
«perché? Non ti fidi?»
«per niente…»
“cavolo e ora?”
«beh che aspetti?»
Yori rimase immobile con il telefono tra le mani.
«come immaginavo hai composto un numero a caso… esci il tuo telefono un attimo»
Yori prese il telefono e compose il numero che Rio le stava dettato. Dopo pochi secondi il telefono di Rio squillò.
«perfetto adesso ho il tuo vero numero. Ti dispiace memorizzarlo come “imbranata”»
Yori sospirò e senza opporre resistenza salvò il numero. Dopo entrambi si mossero verso il parcheggio.
 
 
 
Il signor Marini sorseggiava con calma la tazza di the caldo che Andrea aveva appena finito di preparare. Erano in cucina e l’espressione che aveva sul viso lasciava trapelare che nel profondo qualcosa lo preoccupasse.
«mi dispiace...» furono le prime parole che il giovane assistente era riuscito a pronunciare da quando il più anziano lo aveva beccato mentre usciva di fretta dal suo studio.
«Andrea, io so che sei un ragazzo intelligente, quindi credo sia inutile continuarci a mentire. Sei entrato nel mio studio perché eri curioso di scoprire qualcosa sul mio conto, dico bene?»
Andrea si sedette al tavolo. Erano l’uno di fronte all’altro.
«si, direi di si.» ammise in imbarazzo.
«se volevi sapere qualcosa avresti potuto chiedermelo. Non ho poi questi grandi segreti» puntualizzò prima di iniziare a sorseggiare la calda bevanda.
Andrea non poté fare a meno di provare un morsa di rabbia per via di quella menzogna che il signor Marini cercava di rifilargli.
“Altro che non hai grandi segreti da nascondere. Allora il cancro cosa sarebbe?”
Si morse le labbra cercando di contenersi. Ma odiava il fatto di sapere che quelle parole erano una menzogna e allo stesso tempo non avere il potere di smentirle.
«se hai qualche curiosità chiedi pure...» lo invitò tranquillo l’uomo dalla chiara capigliatura.
I suoi occhi verdi erano così limpidi e sinceri. Con molta probabilità, in un’altra situazione, difficilmente Andrea avrebbe creduto che gli stessi fossero i complici insospettabili di una bugia ben costruita.
«siete malato?» chiese a bruciapelo Andrea.
Il più anziano non si smosse e con garbo poggiò la tazza sul tavolo.
«perché me lo chiedi?» si apprestò ad aggiungere, evitando ancora lo sguardo di Andrea.
“centro….”
«non saprei è solo che mi sembra sia così...»aggiunse sintetico Andrea.
«hai trovato la chiave dico bene?»
«io, veramente, non era mia intenzione rovistare tra le sue cose... e solo che non conoscevo nulla su di lei e la cosa mi tormentava da un po’. Mi dispiace.» ammise alla fine.
«capisco, allora credo di doverti raccontare un po’ di cose.» il più giovane si mise in posizione di ascolto: mani incrociate su tavolo e sguardo attento e curioso tipico dei bambini che si apprestano all’ascolto di una storia fiabesca inverosimile.
«Bene, immagino tu ti sia chiesto il perché di molte cose. Come del mio diploma al conservatorio. Per spiegarti temo dovrò tornare indietro di molto tempo. Io e tuo padre ci conosciamo da quando più o meno avevamo la tua età. Avevo vent’anni quando conobbi tua madre al conservatorio. Frequentavamo entrambi le lezioni di pianoforte della professoressa Nicoletti. Divenimmo molto amici. In realtà il nostro era un trio. Io e tua madre suonavamo il pianoforte mentre un’altra nostra amica, Lucia era la chitarrista del gruppo. Lei è in realtà la madre di Eichi. Al secondo anno della nostra amicizia tua madre conobbe tuo padre e da lì sbocciò l’amore. Purtroppo il nostro rapporto di amicizia non trovava spesso la possibilità di consumarsi al di fuori delle mura del conservatorio, anche perché ricordo benissimo che c’era un amico di tua madre che non sopportava la mia presenza. Se non ricordo male si chiamava Francesco. Dopo che i tuoi genitori si misero insieme lui scomparve letteralmente.  Per un breve periodo tornammo a frequentarci finché anche la scuola finì. Per una serie di motivi ci perdemmo di vista nuovamente. Io purtroppo a seguito di un incidente dovetti abbandonare la carriera musicale. Ripresi la strada che la mia famiglia aveva scelto per me già da molto tempo prima. Mi laureai in economia e commercio, per la gioia dei miei genitori, e dopo un paio di anni mi ritrovai a sostenere un colloquio proprio al cospetto di tuo padre. Così iniziai a lavorare nella compagnia bancaria di tuo padre».
«E Lucia?» chiese Andrea ansioso di conoscere tutti i dettagli di quella storia.
«Lucia?» ripeté incupendosi il Signor Marini «Beh io e lei ci perdemmo di vista quando decise di venire in Giappone. Si era innamorata di un ragazzo giapponese che riuscì a convincerla a seguirlo nella sua città natale. A dire il vero inizialmente cercai di persuaderla a rimanere in Italia. Ma lei fu impassibile: per niente al mondo sarebbe tornata indietro sulla sua decisione. Devo ammettere che ci lasciammo nei peggiori dei modi. Dopo due anni di silenzio mi spedì una lettera, io all’epoca frequentavo il secondo anno di università. All’interno mi sorpresi di trovare la foto di un bambino dai lineamenti orientali: era Eichi. Mi raccontò che si vergognava molto per il modo con cui ci eravamo lasciati e che se era stata restia a spedirmi prima quella lettera era stato solo perché aveva pura di quello che avrei potuto pensare io della sua decisione. Mi scrisse che nonostante il padre di Eichi l’avesse lasciata lei era ugualmente felice in Giappone e che non sarebbe tornata indietro per niente al mondo. Se era felice, nonostante tutto, chi ero io per giudicarla. Le scrissi una lettera di risposta molto chiara dove le spiegavo che ero contento che lei conducesse una vita serena nonostante tutto. Da lì iniziamo un rapporto epistolare fitto, nel quale mi raccontava spesso di Eichi e di quanto suo figlio sentisse la mancanza di una figura paterna. Mi raccontò delle lezioni di chitarra che lei spesso le dava e del desiderio di Eichi di studiare anche pianoforte.  Quando mi raccontò della carriera musicale che aveva intrapreso, mi scrisse che le avrebbe fatto piacere se io le fossi stato vicino. Quella situazione la spaventava non poco. All’epoca io non è che avessi molto da perdere: ero stato sposato, ma il mio matrimonio finì proprio a causa del mio rapporto epistolare con Lucia. Non avevo figli e stranamente fui spinto da una forza esterna a lasciare tutto e ad andare in Giappone. Se mi chiedi cosa mi avesse spinto a farlo forse ancora oggi non saprei darti una risposta precisa. Forse sentì la reale richiesta di aiuto di Lucia tra le righe di quella lettera e non fui capace di tirarmi indietro o più semplicemente la vita in Italia non mi soddisfaceva più. Arrivato in Giappone fui ospitato per un po’ di tempo a casa di Lucia, conobbi Eichi e infine fu proprio lui e sua madre a propormi come manager del gruppo. Mi meravigliai di essere molto portato per quel nuovo lavoro. Nel frattempo il gruppo era cresciuto conquistando un certo successo anche all’estero. Diciamo che da non avere figli mi ritrovai a badare a un gruppo di 5 ragazzini per nulla facile da gestire. Per me loro sono i figli che non ho mai potuto avere nella vita. Voglio loro un bene sconfinato. Forse proprio per questo che ho preferito tenere nascosta la mia reale condizione di salute. Non vorrei mai che si preoccupassero più del dovuto. Hanno così tanti problemi al momento e non vorrei mai essere un peso per loro».
Andrea aveva finalmente capito tutto.
«Non credo sia molto giusto. Loro e soprattutto Eichi ne dovrebbero essere messi al corrente. Per quanto crede di poterlo tenere nascosto?»
Il signor Marini si meravigliò della risolutezza di quel ragazzino. Era molto più maturo di quanto dava a vedere anche se alle volte la sua indole impulsiva lo faceva ritornare nei panni del ragazzino che era in realtà, «cosa le hanno detto i medici?» chiese diretto Andrea, senza dare la possibilità al più anziano di controbattere.
«se tutto va per il meglio mi restano due anni di vita. Dovrò sostenere una chemioterapia serrata. Il mio fisico inizierà a indebolirsi e probabilmente nell’arco di dieci mesi sarò così debole che dovrò abbandonare il mio lavoro. Purtroppo mi è stato diagnosticato un cancro al  secondo stadio. Ora l’unica cosa che vorrei portare al termine prima che finiscano questi dieci mesi è una ed una sola…»
«cosa?» chiese interessato Andrea.
«vorrei che il gruppo iniziasse il suo tour mondiale. A causa delle loro ultime divergenze lo stesso è stato posticipato. Mi farebbe piacere vedere riconosciuto il loro talento anche all’estero oltre che rivederli vicini e riappacificati. Prima che il mio tempo si concluda mi farebbe piacere trovare una persona dai giusti valori capace di seguire la loro carriera come ho fatto io in tutti questi anni. Una persona onesta e sincera capace di comprenderli aiutandoli a dare sempre il meglio. Sai Andrea appena ti ho conosciuto ho visto qualcosa di speciale in te qualcosa che mi ricordava me stesso. Tutte queste qualità ti appartengono e se decidessi di sostituirmi mi renderesti molto felice. Ovviamente non vorrei mai costringerti, sia ben chiaro, è solo un mio desiderio. Tutto qui. Quindi non sentirti obbligato.»
«sarebbe un onore» aggiunge Andrea sollevandosi dalla sedia e avvicinandosi al signor Marini.
«lei però deve promettermi che non mi mentirà più e che al più presto avvertirà anche glia altri ragazzi della sua reale condizione.»
«d’accordo cercherò di fare del mio meglio»
«cercheremo di farlo entrambi» sottolineò Andrea sorridendogli prima di congedarsi con un inchino.
Andrea sei proprio un bravo ragazzo. Mi spiace averti dato un’altra brutta situazione da digerire. So che eri venuto qui per allontanare i cattivi pensieri e invece adesso dovrai sopportare anche questa responsabilità. Caro ragazzo, hai il cuore grande ti tua madre e la spiccata intelligenza di tuo padre. Farai grandi cose, nella tua vita, su questo non ci sono dubbi. Mi spiace solo che non potrò esserci per vederti risplendere.”
Il signor Marini buttò giù in un sol colpo quello che era rimasto del the e dopo aver spento le luci tornò nel suo studio. Prese la chiave dal carillon e dopo aver aperto il cassetto chiuso della sua scrivania, riprese l’agenda rossa che teneva segretamente custodita all’interno. L’aprì e recuperò la foto in bianco e nero riposta con cura tra quelle pagine ingiallite. La tenne stretta tra le sue mani come se la stessa potesse portarlo indietro nel tempo, a quella fase spensierata della sua vita. All’epoca credeva che avrebbe avuto tutta la vita davanti per realizzare i suoi sogni. Adesso invece si rendeva conto di quanto tempo prezioso avesse sprecato inutilmente. Fu in quel momento che finalmente comprese che avrebbe dovuto fare un’altra cosa prima che il tempo per lui finisse per sempre. Prese carta e penna e iniziò a scrivere.
 
 
 
 
 
 
ITALIA
 
Tra un racconto e l’altro, i due ragazzi, erano finalmente giunti in stazione. Eichi aveva rivelato molte cose del suo passato: dalla storia di suo padre e di come conoscesse davvero poco di lui, o ancora di sua madre e dei suoi primi anni da adolescente. Per paura di affrontare l’argomento era stato attento a non menzionare troppo presto il gruppo di cui faceva parte.  Purtroppo per Eichi il momento tanto demandato sembrava essere arrivato. Entrambi presero posto su una panchina in attesa dell’ultimo autobus di linea quando Mary, comprese dai continui giri di parole di Eichi che il ragazzo non era ancora pronto ad affrontare il discorso riguardante il motivo della sua partenza.
«Eichi potrei sbagliarmi, ma sembrerebbe quasi che tu stia evitando di parlare della band, non so cosa sia successo per averti spinto a venire in Italia ma di sicuro deve essere stato qualcosa di molto grave altrimenti non avresti preso una decisione così drastica. Penso che ora per te sia ancora molto difficile parlarne. Ovviamente non voglio che tu soffra solo per saziare  la mia egoistica curiosità. Quindi se non te la senti di raccontarmene stasera non mi arrabbierò. Non ho fretta, quando ti sentirai pronto a parlarne io sarò qui.»
Eichi fu sorpreso e grato di scoprire che Mary aveva compreso quale fosse il suo problema. Forse avrebbe aspettato ancora a raccontarle tutto: della band di Misako e Hiro. Per quella sera, forse, poteva bastare.
«Grazie, devo ammettere che mi sento leggermente stanco.»
«lo immaginavo. Ti andrebbe se parlassi un po’ io adesso?» chiese Mary.
«certo, è quasi un ora che parlo solo io. Devo averti annoiata» aggiunse Eichi.
«Fidati più che annoiata direi che mi hai lasciata senza parole. Fino a poche ore fa credevo tu fossi un ragazzo come molti altri e invece sei una di quelle persone irraggiungibili per le quali le ragazze si strappano i capelli ai concerti. Già immagino quante di loro pagherebbero per stare al mio posto in questo momento. Assurdo, sono amica di una pop star!»
«quindi adesso siamo amici?» chiese Eichi divertito, mentre rammentava della litigata avvenuta in ospedale.
«in realtà diciamo che lo sei al 50%. Ricordi? Mi devi ancora avverare due dei miei desideri! Però voglio essere buona. Visto che il primo ha richiesto uno sforzo non male lo valuterò al 50% gli altri invece varranno il 25%. Quando arriverai al 100% allora potremo tornare ad essere amici.»
«capisco... al momento non hai un desiderio che vorresti si avverasse?»
Mary si strofinò il mento pensierosa «in realtà ora che ci penso ci sarebbe una cosa…»
«quale?» chiese Eichi sempre più curioso.
« Al momento giusto lo capirai da solo»
«va bene, come vuole la mia padrona. Per stasera il suo genio della lampada metterà da parte le sue incredibili doti magiche»
«si certo.. incredibili» aggiunse Mary scoppiando in una risata poco contenuta. Eichi la seguì. Dopo poco Mary tornò seria.
«Eichi, posso chiederti cosa pensi di me?»
«cosa penso di te?» ripeté stupito Eichi. Non si aspettava una domanda del genere.
«si vorrei capire il motivo per cui pensi che io possa aiutarti…»
«vuoi che ti dica cosa ho trovato in te che mi ha dato così tanta fiducia …»
«si diciamo…»
«per quello che ho visto sei un’amica leale, una persona sincera e sensibile, testarda ma disponibile. Sei una ragazza speciale.»
«tutto qui?» chiese leggermente delusa.
«ovviamente no… in te c’è qualcosa come una fiamma che mi da calore. Se sono vicino a te mi sento meglio. È come se mi ricaricassi. Sembra stupido vero?»
«per niente, anzi è la stessa cosa che sento io… sai credo in fondo che noi due..» Mary non riuscì a completare la frase. Il rumore stridente dei freni dell’autobus coprì le sue parole.
«cosa?» chiese Eichi quando i rumori del bus si arrestarono.
«niente, credo sia solo l’ora per noi di ritirarci» gli spiegò prima di avvicinarsi alle porte dell’autobus. Entrambi vi salirono per fare ritorno a villa Rosa: quella sarebbe stata la loro ultima sera in quella abitazione estiva ricca di bei ricordi.
 
 
 
 
 
GIAPPONE
 
Yori era leggermente a disagio in quella casa super tecnologica con maxischermi sparsi ovunque. Rispetto al suo misero appartamento quello sembrava Versailles. Si guardava in torno con aria sognante.
“deve essere proprio bello essere ricchi e famosi. Indubbiamente ci saranno situazioni spiacevoli da sopportare ma credo che sarei disposta anche ad accettarle pur di aver un appartamento del genere. Chissà che faccia farà Nana quando le racconterò questa storia.”
Un colpo di tosse alle sue spalle la riscosse dai suoi pensieri. Era Rio.
«Seguimi» le ordinò sintetico. Yori fece come le fu detto. Giunsero in un’enorme stanza adibita a studio di registrazione. “Ovviamente in questo enorme appartamento non poteva di certo mancare anche l’attrezzatura per registrare e modificare le tracce audio!!”.
Yori in quel momento rammentò il primo incontro-scontro avuto con Rio alla Kings Record.
“Chissà come mai viene alla Kings Record di notte per lavorare alle tracce audio se ha un intero studio di registrazione tra le mura di casa? Certo che questo ragazzo è davvero strano!”
«che fai lì impalata? Chissà in quale razza di bettola vivrai se un appartamento di questo tipo ti lascia senza parole.»
«idiota..» gli rispose Yori scoccandogli un leggero pugno sul braccio ancora sano.
Ma tu guarda questo idiota patentato. Avevo proprio ragione quella sera alla Kings Record: gli servirebbe proprio una lezione di buone maniere”.
«scusa e poi che ne sai… guarda che casa mia è molto più grande di questa. Forse non avrà tutti questi aggeggi supertecnologici ma di sicuro è molto più accogliente delle tua» aggiunse mostrandogli una linguaccia indispettita.
«… assomigli proprio a una persona che conosco. Forse è anche per questo che lo stare con te mi innervosisce»
«cosa?» sbottò la ragazza mentre cercava di mantenere calma quella vocina interiore che le diceva “dai Yori spacca la faccia a quel pallone gonfiato che aspetti!!!”.
« Devo ammettere che alle volte ragazzina sei davvero infantile. Sai non c’è bisogno che ti inventi le cose, basta che tu dica la verità sulla tua vita sotto la media. Credimi nascondersi dietro false apparenze non porta da nessuna parte. E poi reggere il confronto con la mia vita è del tutto inutile.»
“Ma tu guarda questo pallone gonfiato
«senti, non ho voglia di discutere con te, dimmi cosa vuoi che faccia. Non vedo l’ora di sbrigarmi e tornare a casa mia anzi come dici tu alla mia bettola.»
«come vuoi. Ho bisogno di te, devo scrivere le parole di una canzone, ma ovviamente con la mia mano destra bloccata mi è difficile. Sarai la mia dattilografa.»
«scusami? ma quanto tempo pretendi che io resti qui con te?»
«il tempo che servirà»
«tu stai scherzando!»
«come ti ho già detto io non scherzo mai. Però se vuoi che io sporga una denuncia a tuo carico fai pure…»
Dopo aver fatto un profondo sospiro Yori si rassegnò alla cosa. Dopo essersi seduta su una sedia raccolse un blocnotes lì vicino e una penna e si mise in posizione di lavoro. Aveva capito che obbiettare avrebbe comportato solo inutili discussioni che avrebbero inevitabilmente prolungato la sua, già straziante, presenza in quella casa.
 
 
JJ era davanti l’ingresso di quell’imponente edificio. Intorno al viso un foulard, agli occhi un paio di occhiali scuri e infine un cappello nero sulla testa erano gli unici elementi del suo abbigliamento a proteggerlo da un assalto di massa. La prudenza non era mai troppa nonostante il suo abbigliamento risultasse poco in sintonia con il clima afoso della giornata non poteva rischiare che lo riconoscessero. Ciononostante il caldo era davvero insopportabile. Sia Daisuke che Andrea erano stati concordi e lo avevano spinto a provare. Non c’erano altre strade per conoscere la verità e questa volta avrebbe dovuto affrontarla da solo.
Dall’esterno quella struttura ospedaliera non sembrava male, di sicuro era la migliore che si potesse trovare in Giappone. Dopo aver dato un ultimo sguardo a quella fotografia, prese coraggio e si decise ad entrare.
All’ingresso un’infermiera sulla quarantina lo guardò con curiosità.
«scusi signore posso aiutarla?» chiese cercando di richiamare la sua attenzione.
«si grazie cerco una persona, forse lei può aiutarmi. Si chiama Akiko…» “Aspetta ma quale sarà il suo cognome? Giusto! Se è davvero la figlia adottiva di quella donna potrei provare …”
«…la figlia della Signora Aoki»
« lei sarebbe?» Chiese mentre alzava la cornetta di un ricevitore telefonico.
“e ora che le dico? Beh la verità è l’unica strada”.
«Sono Yuki Kitamura, un amico di Akiko»
L’infermiera non sembrava aver fatto troppo caso al suo nome o più semplicemente non conosceva molto il mondo dello spettacolo per ricordarsi quale fosse il vero nome di JJ dei BB5. Che fortuna pensò JJ mentre aspettava che l’infermiera finisse la sua chiamata interna.
«prego signor Kitamura può accomodarsi un attimo, a breve qualcuno verrà da lei»
JJ sedette a una delle tante poltrone bianche della hall. Finalmente fu raggiunto da una Donna sofisticata sulla cinquantina. Era la stessa signora della foto solo con qualche anno in più. Andrea non si era sbagliato.
«JJ?»
Il ragazzo ancora tutto imbacuccato fece di si con la testa mentre sollevatosi reggeva il confronto con lo sguardo indagatorio della donna.
«perfetto mi segua..» e gli fece segno di seguirla.
JJ doveva venire a capo di alcune cose prima di incontrare Akiko e quello era il momento giusto e la persona giusta a cui chiedere delle informazioni.
«mi scusi lei è la signora Aoki dico bene?»
«mi stupisco che lei debba domandarlo, credevo fosse più perspicace di così.»
«mi scusi, vorrei solo sapere alcune cose prima di incontrare Akiko.»
L’elegante figura continuava a procedere a passo spedito tra i diversi corridoi dell’ospedale.
Senza degnare JJ nemmeno di uno sguardo.
«faccia pure le sue domande…»
«Prima di tutto cosa ha Akiko? Sta davvero molto male?» chiese preoccupato.
«non saresti qui se non fosse così…»
«cos’ha?»
La donna improvvisamente arrestò il suo passo spedito davanti a una porta con il cognome Aoki e il nome di Akiko. La figura femminile voltandosi verso JJ con uno sguardo fiero come fosse di ghiaccio, difficile da scalfire e impossibile da penetrare si rivolse in tono risentito verso il giovane cantante.
«come se non lo sapessi! Sei stato con lei tutti quegli anni all’orfanotrofio e davvero non sapevi nulla delle sue condizioni di salute?» JJ non riusciva a capire come mai quella donna usasse quel tono accusatorio proprio con lui e poi cosa poteva saperne, all’epoca era solo un ragazzino.
«mi spiace so solo che Akiko all’epoca non poteva sforzarsi più del dovuto e che era di salute cagionevole, nulla di più.»
«ah! Non riesco proprio a capire cosa Akiko trovi in te. Una persona che è sparita senza nemmeno provare a cercarla per tutti questi anni. Dimmi, davvero ti interessano le condizioni di Akiko?» JJ avvicinandosi a quella porta bianca fece di si con la testa  senza in realtà aggiungere nulla. Sapeva di essere sparito in maniera brusca però cos’altro avrebbe potuto fare? Pensava che era meglio per Akiko ricominciare una vita spensierata senza di lui. Perché cercarla? Non voleva rivivesse il passato attraverso di lui. Se avesse saputo prima che in realtà Akiko sentiva la sua mancanza proprio come lui la sua allora avrebbe fatto il diavolo a quattro per ritrovarla, invece di rinunciare pensato a cosa era più giusto per lei. Invece che farle rivivere il passato voleva vivesse serena il suo  futuro, costruendo una vita migliore per se stessa anche se questa non avrebbe compreso più lui.
«se ha finito di accusarmi io entrerei...» esordì mentre con una mano chiusa a pugno si preparava a bussare contro quell’unico ostacolo che lo teneva lontano da una delle persone più importanti della sua vita un legame che aveva custodito segretamente nel suo cuore per tutti quegli anni. L’unica cosa che avrebbe salvato del suo passato erano i ricordi dei bei momenti passati con Akiko. Ma quella donna cosa poteva saperne.
«prima di entrare voglio che tu esamini davvero quali sono le tue intenzioni, perché superata quella soglia non potrai più voltarle le spalle. Io non te lo permetterò. Non voglio vedere mia figlia soffrire una seconda volta». JJ aveva finalmente compreso il motivo del rancore nei suoi confronti. Ma lei non conosceva nulla di lui ne del suo rapporto con Akiko.
«non ho bisogno delle sue minacce, se dietro quella porta troverò la mia Akiko sarò io a non volerla più lasciare. Lei non conosce quanto sia determinato il mio carattere. Una volta entrato sarà lei a dover sopportare la mia presenza e non di certo io a sopportare le sue minacce. Io non lascerò Akiko per niente al mondo. Ad ogni modo se davvero lei pensa che io sia un ipocrita insensibile e indifferente perché mi sta permettendo di rivedere Akiko? Dovrebbe essere lei a riflettere sulle sue intenzioni, perché una volta che la ritroverò non la lascerò andare più via così facilmente. È davvero disposta a sopportare tutto questo?»
La donna si ritrovò del tutto impreparata davanti all’impudenza di quel ragazzo.
Vedendola in silenzio JJ decise di voltarsi e bussare. Non aveva voglia di perdere tempo in quel modo. La sua Akiko aveva bisogno di lui e questa era l’unica cosa che davvero gli importava.
Prese coraggio e bussò un paio di volte. Non sapeva come Akiko avrebbe reagito e in fondo non sapeva neanche lui cosa avrebbe fatto ma sapeva che aveva una voglia irrefrenabile di rivedere il suo viso. Quegli occhi e quel sorriso che gli erano mancati per tutti quegli anni.
Una flebile voce dall’interno lo invitò ad entrare. JJ prese un grosso respiro ed aprì la porta. La luce che entrava dalla finestra era davvero eccessiva rispetto a quella appena soffusa dei corridoi. Akiko era seduta su una sedia a rotelle davanti a una finestra spalancata su un cielo azzurro e limpido. Gli voltava le spalle, probabilmente non sapeva nulla del suo arrivo.
Le tende si muovevano fievolmente sospinte da una leggera brezza. I capelli di Akiko erano stati raccolti di lato e lasciavano scoperto il collo. Era davvero così sottile. JJ si rese conto di come tutto il suo corpo fosse minuto. Sembrava fatta di ceramica.
Non sapeva davvero cosa fare ne tanto meno cosa dirle. Come avrebbe potuto iniziare un discorso?
«Akiko, sono tornato».
Ecco finalmente aveva trovato le parole giuste.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ITALIA
 
Era tardi e Marco non  sapeva davvero come spiegare la cosa a suo padre. Doveva dargli un valido motivo per non minacciare più il signor Luigi, altrimenti Eichi avrebbe riferito a Mary del suo piano.
Bussò un paio di volte alla camera studio di suo padre. Dopo pochi minuti una voce lo invitò ad entrare. L’autoritaria figura genitoriale era intenta a controllare le carte relative all’apertura del nuovo magazzino e sembrava prestare poca attenzione a Marco che nel frattempo si era seduto sulla sedia di fronte la scrivania del padre. Aspettava che lui finisse con le sue pratiche prima di iniziare la conversazione. Inoltre, restare li in attesa era un modo come un’altro per pensare a una scusa plausibile. Non poteva di certo raccontargli di come quel ragazzino fosse riuscito a rigirare la situazione a suo favore.
Dopo qualche minuto Francesco si avvicinò a una credenza e aperta la vetrinetta uscì una bottiglia di rum. Ne versò il contenuto in un bicchiere di vetro e poi tornò a sedersi sulla poltrona. Adesso era finalmente pronto ad ascoltare cosa aveva da dirgli suo figlio.
«perché sei qui? Hai bisogno di altri soldi?»
«no, ho bisogno di parlarti di Mary...»
«non dirmi che sei riuscito a conquistarla così presto? Allora quando volete fissare la data?»chiese mentre sorseggiava quel liquido brunastro.
«no, veramente volevo chiederti se ti era possibile lasciar perdere tutta questa faccenda. Ci ho pensato e credo di voler conquistare Mary con le mie sole forze. Averla senza il suo amore non sarebbe la stessa cosa.»
L’uomo sedutogli di fronte non finì di sorseggiare la sua bevanda e sbatté violentemente il bicchiere sulla scrivania.
«cosa cavolo ti viene in mente ora? Sei impazzito! Non ti lascerò gestire la cosa in questo modo sappilo...»
«non ti fidi delle mie capacità?» chiese sconcertato Marco.
«certo che non mi fido, tu sei debole proprio come tua madre. Inoltre con il tuo modo di fare non pianificato pensi davvero che concluderai qualcosa? Vuoi davvero essere un perdente e lasciare che qualcun altro ti porti via Mary davanti agli occhi?»
«non accadrà...»
«ne sei davvero sicuro?»
«certamente» disse convinto.
«bah, fai quello che vuoi. Mi tiro fuori da tutta questa storia. Non venire più da me perché tuo padre non ci sarà.»
«bene, non ne avrò bisogno non temere» detto questo Marco si alzò e senza nemmeno salutare suo padre uscì sbattendo la porta violentemente.
“Quell’idiota cosa pensa di ottenere comportandosi così? Se davvero vuoi qualcosa l’unico modo per ottenerla è giocare d’anticipo pianificando tutto nei minimi dettagli. Povero illuso crede davvero che me ne starò seduto qui senza fare nulla? Mi spiace Marco, ma non ti lacerò buttare all’aria un piano ben costruito come il mio per nulla al mondo. Se davvero non ti va di essere coinvolto allora vorrà dire che dovrò cercarmi un’altra pedina che giochi dalla mia parte.”
Francesco prese il bicchiere e inghiottì con fare inquieto quello che era rimasto del rum.
La storia almeno per lui non finiva lì.
 
Mary ed Eichi erano rientrati finalmente a Villa Rosa. Silenziosamente avevano chiuso la porta d’ingresso. Cercando di fare meno rumori possibili si muovevano tra i vari mobili del salone.  Non volevano svegliare Luigi che dormiva su quel divano un po’ troppo piccolo per la sua robusta corporatura.  Dopo non pochi sforzi erano riusciti a raggiungere la stanza che per quella settimana avevano condiviso. Appena chiusero la porta alle loro spalle i due ragazzi ripresero a respirare con più libertà.
 
«Finalmente! Cavolo, mi sembrava di essere in un fumetto di Diabolik.» disse Mary dopo aver acceso la luce.
«si però devi ammettere che è stato divertente.» aggiunse Eichi con una smorfia compiaciuta buttandosi scompostamente sul letto.
«si, certo divertentissimo…» sottolineò scettica Mary. Stava sistemando il contenuto della sua borsa sulla scrivania quando Eichi le si avvicinò alle spalle. Sentendo la sua presenza Mary si voltò, ritrovandoselo a una distanza davvero pericolosa. Era bloccata tra quel bellissimo ragazzo dai lineamenti orientali e la scrivania.
«Mary… » i suoi occhi intensi e profondi la fecero sentire vulnerabile. Sapeva che qualsiasi cosa avesse avuto in mente di farle in quel momento, lei non sarebbe riuscita a porvi resistenza. Quei pochi centimetri di distanza erano l’unica cosa a separarli perché Mary ormai aveva abbassato le sue difese. Sapeva che il suo comportamento era azzardato, soprattutto dopo aver appreso della sua reale identità, ma non le importava. Aveva deciso che voleva vivere ogni momento senza troppi interrogativi lasciandosi trascinare da quel sentimento  così chiaro ai suoi occhi da non poterlo più negare a se stessa.
Eichi si avvicinò al volto di Mary lentamente, ma a pochi centimetri dalle sue labbra si arrestò deviando sulla sua spalla. Vi poggiò la fronte mentre con le sue mani delicatamente le cinse i fianchi. Mary rimase immobile senza capire cosa stesse succedendo.
«… scusa non so cosa mi è preso.» le disse quasi in un sussurro.
«non importa. Stai bene piuttosto?» chiese Mary cercando di mascherare l’imbarazzo cambiando  discorso.
«Mary, ho bisogno che mi abbracci. Ti prego tienimi stretto a te. Ti prego. È l’unica cosa che ti chiedo.»
Mary senza aggiungere nulla lo strinse a se, accarezzandogli con una mano i capelli biondi.
Rimasero così immobili per pochi minuti. Dopo Eichi si staccò prendendo posto sul letto e trascinando Mary con se. Erano l’uno accanto all’altro in silenzio. Mary non sapeva spiegarselo ma improvvisamente Eichi le sembrò vulnerabile e indifeso come mai prima d'allora. Doveva soffrire davvero molto. Quello sguardo fiero e sicuro di se che aveva visto la sera sul lungomare era sparito. Iniziò a chiedersi se, per colpa del suo lavoro, si fosse abituato a portare una maschera invisibile anche a se stesso.
«Mary, avevo in mente di rimandare questo discorso a un altro momento ma credo sia giusto farlo adesso. Questa è l’ultima nostra sera in questa villa e da domani torneremo in città. So che la mia nuova identità può averti lasciata leggermente confusa. Non vorrei mai che leggessi su internet notizie false sul mio conto facendoti un’idea sbagliata di me. Per questo ti racconterò tutto, senza tralasciare nulla. Tu in cambio promettimi che crederai solo alle mie parole le calunnie che leggerai su di me sono tutte falsità.»
«sono qui, puoi raccontarmi tutto io crederò solo alle tue parole. Te lo prometto.» lo rassicuró Mary.
«prima di tutto voglio raccontarti del mio gruppo. Loro sono la mia vera famiglia. Siamo in cinque e tra noi il più grande è  Rio che io reputo il mio fratello maggiore. Ci conosciamo dal liceo e mi è stato molto vicino aiutandomi con la storia di mio padre. All’epoca seppi da mia madre che si era risposato. Ero molto triste per lei che soffriva silenziosamente. Per fortuna venne a trovarci un suo vecchio amico, il Signor Marini il nostro attuale manager nonché ex-collega di tuo padre. Grazie a lui l’umore di mia madre sembrò migliorare. Io stesso gli sarò grato a vita per quello che ha fatto per noi. Sai è stato lui ad insegnarmi a suonare il pianoforte.» prese una pausa come per riordinare i suoi pensieri.
«all’epoca non eravamo solo noi due ma c’era anche una terza persona nella mia vita: Misako. Di lei mi innamorai quasi immediatamente aveva carisma da vendere insieme a una forza e a una grazia che all’epoca le invidiavo. Lei riuscì a inserirsi quasi subito nel mondo dello spettacolo e tutt’ora è un’attrice affermata. Ricordi quando sono uscito dalla sala del cinema? Sullo schermo c’era lei! Ti ho trascinata via perché avevo paura che Marco avesse scoperto chi fossi in realtà.»
«ora è tutto più chiaro, ma Misako come l’ha presa questa tua decisione di partire per l’Italia?»
«in realtà è proprio la rottura tra me e Misako il motivo per cui ho deciso di prendere distanza dal mondo dello spettacolo e venire qui.»
Mary tirò un leggero sospiro di sollievo. “Non è fidanzato. Ma cosa mi metto a pensare ora?”.
«Se Rio per me è come un fratello maggiore JJ è il mio fratellino minore. In realtà almeno stando ai documenti noi siamo realmente fratelli o almeno lo siamo di adozione. È un po’ testardo ma fondamentalmente ha un grande cuore, mi farebbe piacere fartelo conoscere un giorno. Sai con lui condivido la mancanza di una figura paterna. JJ più di me non ha passato una bella infanzia. È stato ritrovato quando aveva neanche tre anni solo senza documenti che girovagava per le strade di Tokyo. Da allora ha vissuto in un orfanotrofio. Poi c’è Daisuke. Sa sempre come incoraggiare la gente. Ed è sempre pronto ad ascoltare. È abbastanza pignolo nel suo lavoro e non lascia mai nulla al caso è un grande professionista. Infine Hiro…»
Eichi fece una piccola pausa.
«Inizialmente il nostro gruppo doveva essere composto da quattro persone solo successivamente si aggiunse Hiro, lui ha un carattere molto riservato e mentre JJ si occupava di qualche pezzo rap io e lui ci dedicavamo alla melodia e al resto del testo. Il nostro era un bel gruppo…»
«… era?» chiese Mary, sempre più interessata            
«Si, era. Beh per farti capire come sia nata questa crepa nella nostra band devo parlarti prima del mio rapporto con Misako. Ci mettemmo insieme al liceo. Lei è più grande di me e quando finì i superiori io stavo frequentando ancora l’ultimo anno. Inoltre in quel periodo aveva iniziato la sua carriera d’attrice recitando in un live action. Dopo poco fui notato anche io e venni scritturato per fare una comparsa in un film dove recitava anche Misako. In realtà ho sempre sospettato che fosse stata lei a convincere il regista a inserirmi nel film. Di lì la mia popolarità è volata alle stelle. Inizialmente ho girato solo film. Poi proposi al direttore della Kings Record il mio progetto di formare un gruppo musicale. L’idea piacque così tanto, che nell’arco di pochi anni si formarono i BB5 o meglio i BadBoy5. Gli impegni lavorativi sempre più fitti mi costrinsero a trascurare Misako. Il gruppo si era appena formato e a breve avrebbe fatto il suo debutto. Allo stesso tempo anche Misako iniziò ad essere sempre meno reperibile a causa dei suoi continui impegni lavorativi. Alle volte riuscivamo a incontrarci giusto il tempo di un caffè e dopo potevano passare anche mesi senza vedersi.»
«non deve essere stato facile per voi reggere questa situazione…» ammise dispiaciuta Mary.
«Si, infatti, anche se sono sempre più convinta che tra i due a risentirne maggiormente sia stata Misako. Lei ha represso molte sue preoccupazioni pur di non mettermi in apprensione. Credeva forse di farmi del bene ma in realtà è stato proprio questo suo reprimere a portarci a una rottura. Nell’ultimo anno la popolarità di Misako era scesa. Non veniva cercata dai registi e la sua vita era fatta di provini fallimentari. Per mantenersi iniziò a lavorare come modella o registrando qualche spot pubblicitario per prodotti commerciali di largo consumo. Sai Mary, il nostro mondo è fatto di alti e bassi. Proprio come una montagna russa ad ogni salita corrisponde una discesa. All’epoca mi disse che era lei a volersi prendere una pausa dai set cinematografici e come uno stupido le credetti. Ma in realtà quei continui rifiuti la ferirono nel profondo più di quanto potessi mai immaginare. Fu così che a mia insaputa iniziò ad assumere droghe. All’epoca condividevamo un appartamento nella periferia di Tokyo: era il nostro rifugio segreto. A causa dei miei impegni rimaneva spesso sola. E io non riuscì ad accorgermi di nulla se non fino a quel giorno. Tornai come ero solito fare da casa di Rio. Ogni volta che io e Hiro finivamo delle canzoni le sottoponevamo a Rio. Lui ha un bellissimo studio di registrazione a casa sua e quindi non avevamo problemi d’orario e mi capitava spesso di rimanere anche giorni interi a casa sua per rivedere i pezzi. Hiro invece preferiva occuparsi dei testi in solitudine e lasciare a noi la possibilità di rivederli. In realtà non sembrava molto interessato a costruire dei legami. Gli unici a cui si era maggiormente avvicinato eravamo io e Rio. Suppongo per l’età e per il mio ruolo di leader. Beh tornando a quella sera mi ritirai prima del previsto e non avvisai Misako perché volevo farle una sorpresa. Salì le scale del nostro appartamento. Aprì la porta con le chiavi e notai già dall’ingresso che qualcosa non andava. Insieme alle scarpe di Misako ce n’erano delle altre lasciate in disparte. Entrai in casa e raggiunsi il soggiorno. Quello che vidi mi lasciò completamente senza parole. Misako era tra le braccia di Hiro. A primo impatto pensai di non farmi cattivi pensieri, poi però a togliermi ogni dubbio fu Misako che si sporse su Hiro baciandolo davanti ai miei occhi. Il mondo mi cadde a dosso. “Tra tutte le persone perché Hiro?”. Fu il mio primo pensiero. Lasciai cadere sul pavimento la busta con la cena d’asporto che avevo appena acquistato. Il rumore richiamò la loro attenzione. Non dimenticherò mai lo sguardo di Misako non era per niente triste o dispiaciuta, non cercò nemmeno di negare la cosa. Ma semplicemente mi disse che come potevo vedere lei non mi amava più e che non aveva bisogno di una persona continuamente assente. In quel momento non riuscì a sfogarmi nemmeno su Hiro. Uscì di casa dicendole solo, che tra noi era finita per sempre. Trascorsi la notte da Rio. A causa di questo, il tour mondiale che avevamo progettato fu rimandato e io iniziai a vivere in solitudine chiudendomi sempre più in me stesso. Ero distrutto, senza ispirazione e completamente vuoto. L’ennesima persona importante della mia vita mi abbandonava. Le avevo dato tutto me stesso ma a quanto pare non era stato abbastanza. Non sono stato capace di renderla felice come avrei dovuto. Dopo qualche mese la stampa fece uscire delle foto mie e di Misako in atteggiamenti intimi e ovviamente lì nacquero i primi pettegolezzi su di noi. Paradossalmente proprio quando la nostra relazione era finita per la stampa invece era appena incominciata. Iniziammo ad essere pedinati e Misako fu immortalata mentre fumava una canna. Come puoi immaginare questo si ripercosse anche su di me, iniziarono a girare voci sul fatto che anche io facessi uso di droghe. Di lì il caos mediatico fu davvero insostenibile e sotto consiglio del signor Marini mi decisi a venire qui in Italia».
Mary capì finalmente quanta sofferenza avesse custodito, in silenzio Eichi. Fino a quel momento le era risultato del tutto incomprensibile il suo atteggiamento inizialmente incostante. Ora tutto tornava.  Era comprensibile che volesse svuotare la mente e evitare legami inutili e complicati. Doveva aver sofferto molto e vederlo così fragile ferì anche lei. Avrebbe voluto essere capace di risollevare il suo animo proprio come aveva fatto lui, in più di un’occasione, ma non aveva la più pallida idea di cosa dirgli per alleviare la sua sofferenza. Non era di quel mondo e conosceva davvero poco di quella realtà costantemente vissuta sotto i riflettori. Per non parlare delle relazioni amorose. Lei non aveva mai fatto i conti con una rapporto duraturo come quello tra Eichi e Misako. Che nonostante tutto aveva resistito a notevoli pressioni. Non era proprio nella posizione per dargli consigli come invece aveva fatto con lei Eichi in quel capanno giorni prima. D’altro canto doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Vederlo sorridere come quella sera vicino al lago era l’unica cosa che le rimaneva da tentare.
Prese coraggio e richiamando Eichi che era rimasto con gli occhi fissi sul pavimento per tutto il tempo di quel discorso. Fece uno scatto fulmineo e cogliendolo di sorpresa strinse tra le sue dita le sue guance facendo emergere sul suo viso una smorfia davvero buffa.
«Certo che anche tu sei un vero idiota. Non hai detto che avresti sempre sorriso per le persone che ti vogliono bene? Qui davanti ai tuoi occhi ne hai una e allora cos’è questo broncio?» Mary gli sorrise dolcemente. Eichi dal canto suo non oppose alcuna resistenza ma rimase bloccato in quella posizione indeciso sul da farsi. Quel contatto era per lui così piacevolmente insolito. Resistere era davvero dura. D’un tratto strinse entrambi i polsi di Mary avvolgendoli con le sue mani forti. Si sorprese di quanto fossero sottili e delicati i polsi di quella ragazza. Mary allentò la presa tanto quanto bastava per consentire ad Eichi di recuperare la propria autonomia espressiva.  Gradualmente all’unisono con il viso di Eichi anche il suo sorriso si spense.Si guardarono intensamente per pochi minuti. Gli occhi di Eichi sembravano cercare qualcosa nei suoi così intensamente che Mary fu costretta a distogliere il suo sguardo. La situazione sembrava farsi più delicata del previsto.
“Ecco ho esagerato come al mio solito. Cavolo Mary perché devi essere sempre così impulsiva?”.
 Eichi aumentò la stretta sui polsi di Mary, la quale fu così costretta a rifare i conti con quegli occhi che sin dall’inizio l’avevano conquistata. Impercettibilmente li vide avanzare verso di lei. Erano sempre più vicini. Non oppose resistenza e non cercò nemmeno di divincolarsi da quella presa ma lasciò che Eichi si avvicinasse al suo volto, ancora.
A pochi centimetri lo stesso tentennò insicuro. Reclinò sconfitto il capo.
«ti prego non sorridermi più in quel modo, altrimenti potrei fare qualcosa di cui un giorno sicuramente ci pentiremo entrambi.»
«chi ti dice che ce ne pentiremo?» Mary non poteva crederci: quelle parole erano davvero uscite dalla sua bocca? Eichi tornò con gli occhi su di lei.
«sai chi sono e che prima o poi dovrò tornare in Giappone non posso prometterti che resterò qui per sempre. Non voglio che tu soffra anche per colpa mia.»
«se non vuoi che io mi penta un giorno… non frenare qualcosa di bello solo per paura del domani. Viviamo per noi e per il tempo che abbiamo a disposizione. Non ho paura del periodo che ci resta ne della distanza che ci separerà ho solo paura che ancora una volta tu ti allontani da me senza che le nostre labbra si siano sfiorate. Eichi credo tu mi piaccia davvero e per la prima volta so a cosa sto andando in contro dicendoti questo e la cosa non mi spaventa per niente.» i suoi occhi consapevoli accompagnavano con la loro serietà la fermezza di quelle parole.
Eichi lasciò la presa sui polsi di Mary i quali crollarono inermi verso il basso. Una delle sue mani si mosse verso l’orecchio destro di lei si insinuò tra i suoi capelli sino a raggiungere la nuca. Una leggera pressione sulla stessa e finalmente le loro labbra si incontrarono in un primo bacio incerto. Gradualmente i loro movimenti si fecero meno insicuri. Le loro labbra si muovevano all’unisono come se fossero nate solo per incontrarsi in quel momento e su quel letto.
«..anche tu mi piaci Mary». furono le ultime parole pronunciate prima che le luci di quella stanza venissero spente.
 
Marco era nella sua stanza seduto alla sedia vicino la sua scrivania mentre stringeva tra le mani le pagine di quell’articolo che adesso le sembravano solo robaccia inutile.
“Quel bastardo le avrà raccontato tutto ormai. Non ho più niente da fare con questa roba.”
La rabbia fu sostituita dallo sconforto. Si sollevò dalla seduta scomoda vicino la scrivania per incontrare la morbidezza più accogliente del suo letto.  
 “Non capisco perché papà non si fidi di me, dopotutto non sono poi così senza speranze” si mise su un fianco “devo solo creare l’occasione giusta e confessarmi a Mary. all’inaugurazione manca ancora una pò. Devo trovare il modo di non lasciarli soli per troppo tempo… chissà cosa potrebbe pensare di fare alla mia Mary quell’idiota.”
Prese l’articolo che aveva ancora tra le mani e lo accartocciò lanciandolo con violenza in un angolo della stanza. Andò a colpire proprio il fodero della chitarra che Mary gli aveva dato in custodia.
Marco si sollevò e la raccolse. Avrebbe voluto davvero distruggerla e farla in mille pezzi. Altro che fortuna quello strumento non aveva fatto altro che portargli rogne. Tolse il fodero più che altro per curiosità. Era una semplice chitarra classica, non che lui ne capisse molto in realtà, ma non sembrava poi un granché. Stava per lasciarla scivolare sul pavimento quando sentì qualcosa muoversi all’interno. Non con poca difficoltà riuscì ad estrarre dalla stessa il motivo di quel rumore sordo che aveva percepito poco prima. Era una busta da lettere. Non era nemmeno stata sigillata come si deve. L’aprì senza troppi problemi. E ne lesse il contenuto. Sembrava essere stata scritta di fretta o almeno la calligrafia disordinata sembrava suggerirlo.
 
Ciao Eichi,
so che tu non mi conosci o meglio mi conosci solo come il proprietario del negozio Acustica\2. Si sono Salvatore. Sin dalle prime note di quella tua musica malinconica mi era sembrato di conoscerti meglio di quanto tu potessi in quel momento solo immaginare. Proprio adesso grazie alle parole della tua amica ne ho avuto la conferma. Non prendertela troppo con lei, voleva solo farti un regalo. Sembra ci tenga davvero a te e sono stato io ad insistere affinché mi raccontasse qualcosa in più su di te in cambio di questo strumento musicale. Non ho alcuna intenzione di infierire o di subentrare nella tua vita prepotentemente, ma non potevo rimanere immobile con le mani nelle mani sapendo che il mio unico nipote è qui in Italia. È una vita che io e tua nonna sognavamo di fare la tua conoscenza e non mi sarei mai immaginato che saresti arrivato un giorno proprio nel nostro negozio. So che tutto questo potrebbe sembrarti inverosimile per questo ho lasciato che la tua amica prendesse questo strumento. Sai non è un oggetto come un altro è la prima chitarra da studio di tua madre nella parte retrostante potrai leggere un’ incisione con il suo nome che lo conferma. Spero vorrai incontrarci prima di tornare in Giappone. Un abbraccio da tuo nonno che non ha mai smesso di esserti vicino con il cuore.
 
Marco non poteva aspettarsi un risvolto più positivo di questo. Finalmente aveva tra le mani qualcosa che neanche Eichi poteva prevedere.
Ancora una volta quella chitarra sembrava venirgli in aiuto.
 
 
 
 
 
GIAPPONE
 
Hiro era nel suo appartamento. Il telefono non dava segni di vita da più di due ore, eppure attendeva una chiamata davvero importante. Il campanello del suo appartamento al 25° piano di un grattacielo entrò in azione proprio in quel moment, distogliendolo dai suoi pensieri. Si mosse controvoglia.
Sicuramente era il portiere con un altro carico di regali delle sue fans. 
Aprì distrattamente la porta e inaspettatamente a dispetto della corporatura  tozza e imponente del portiere la sagoma che gli si presentò dinanzi era slanciata e sinuosa.
«Misako? Cosa ci fai qui?»
La giovane aveva stretto in una mano un ciondolo che gli porse.  Lui lo prese rigirandoselo tra le mani incuriosito.
«E' solo un piccolo pensiero per farmi perdonare» precisò prima di  superato trascinandosi dietro una enorme valigia verde. 
«so che avrei dovuto avvisarti,» ammise amareggiata «ma avevo voglia di farti una sorpresa!» continuò con uno sguardo da gattino indifeso che fece crollare rassegnato Hiro.
«Sarei dovuto venire io a prenderti dall’aeroporto» la rimproverò comprensivo mentre richiudeva la porta e riponeva quel ciondolo nella tasca dei pantaloni, «deve essere stata dura per te trascinare fin qui quella valigia…» puntualizzò Hiro mentre invitava la giovane attrice a prendere posto sull’enorme divano bianco del suo appartamento.
«beh, in effetti non è stato un gioco da ragazzi…» ammise distrutta Misako. Era provata per tutte quelle ore di volo.
«gradisci qualcosa da bere?» domandò Hiro mentre si muoveva verso il frigorifero.
«ho proprio bisogno di qualcosa di forte, avresti una birra?»
«non vorresti un'aranciata?»
«Dai sono mesi che bevo solo aranciata, adesso gradirei davvero una bella birra. Per una volta puoi accontentarmi»
Hiro, si arrese, ne prese due belle ghiacciate le aprì e dopo aver preso posto anche lui su quel divano  ne porse una a Misako.
«com’è andata in America?» domandò sottintendendo qualcos’altro.
Misako bevve il contenuto di quella lattina prima di dargli una risposta, si aspettava quella domanda, «se mi stai chiedendo se ci sono ricaduta…beh, allora devo dirti che anche volendo non ne avrei avuto il tempo. Tra le riprese e le anteprime del film non ho avuto quasi nemmeno la possibilità di respirare. Anzi vorrei scusarmi con te, perché non sono riuscita a contattarti come avrei voluto…»
«Ciò che conta adesso è che tu possa ritornare a lavorare come un tempo» mentì Hiro. Era un tipo riservato e raramente lasciava che i suoi veri sentimenti venissero allo scoperto. Non poteva ammettere che il fatto di non essere riuscito a contattare Misako lo aveva destabilizzato più di quanto si fosse prospettato. Era l’unica persona che gli restava dopo quello che era successo e averla sentita lontana gli aveva reso davvero difficile andare avanti. Ma non era ancora capace di esternare quello che provava a Misako così proteggeva se stesso con quella solita maschera di indifferenza che ormai si portava dietro da tempo.
«Come sono andate le cose qui?» chiese Misako dopo aver finito la sua bevanda.
«come ti ho scritto nelle e-mail stiamo riuscendo a tamponare la situazione meglio che possiamo. A breve usciranno i singoli di JJ e Daisuke. Per quanto riguarda quelli di Rio e il mio abbiamo intenzione di aspettare ancora qualche mese.»
«Beh, l’importante è non essersi fermati. Mi spiace di averti lasciato solo a sopportare tutta questa situazione, non deve essere stato facile. Soprattutto considerando il rapporto ormai compromesso con gli altri del gruppo».
«In fondo non è stata così dura, dopo i primi dissapori la situazione sembra essere leggermente migliorata. Forse grazie anche ad Andrea!» ammise mentre presa la lattina di Misako si sollevò ancora una volta dirigendosi verso la cucina. Le butto distrattamente nella cesta dei rifiuti sotto l’enorme bancone al centro della stessa. Quando ne riemerse si ritrovò Misako appoggiata con i gomiti sullo stesso che con sguardo divertito aspettava di potersi confrontare ancora una volta con Hiro.
«beh, come se la sta cavando questo ragazzino? Sono molto curiosa di vederlo!» sottolineò divertita.
«diciamo che sta dando il meglio di se. Inoltre la sua presenza mi ha aiutato molto a gestire la situazione. Per evitare di metterlo a corrente di quello che realmente è successo tutti o quasi facciamo finta di niente e questo mi ha aiutato molto a reggere il clima poco amichevole che si è creato»
«capisco. Ma assomiglia davvero così tanto ad Eichi?» il suo sguardo adesso era diventato molto più serio. In quegli occhi Hiro lesse molto più di quello che avrebbe voluto. Eichi le mancava ancora, e non era ancora pronta a dimenticarlo. Si preoccupava per lui.
«ti interessa davvero che gli somigli? Guarda che non sei il suo tipo.»
«non dirmi che adesso fai il geloso!»
“Geloso io? Figuriamoci.” Non le rispose ma preferì cambiare discorso.
«se vuoi ti aiuto a portare le tue robe nella stanza degli ospiti.»
«nella stanza degli ospiti? Davvero posso rimanere qui da te?» domandò sconcertata Misako. A quel che sapeva Hiro non aveva permesso mai a nessuno di rimanere a casa sua se non per qualche visita fugace.
«guarda che non ci perdo niente a mandarti via. Sai benissimo che per quello che penso una persona che si presenta senza preavviso non merita di essere ospitata.»
«no, no ti prego.»lo supplicò disperata.
«per questa volta passi ma la prossima volta ti sbatto fuori senza pensarci due volte» aggiunse acido Hiro. Misako aveva capito che qualcosa doveva averlo colpito se si comportava in quel modo. Presa  la valigia Hiro se la trascinò muovendosi verso la stanza che avrebbe ospitato Misako. Improvvisamente sentì le braccia di lei avvolgerlo. Poteva avvertire chiaramente la pressione del suo corpo esile sulla sua schiena.
«Hiro, grazie. Non posso prometterti che cancellerò Eichi da un giorno all’altro. Sai quanto lui sia stato importante per me. Non voglio mentirti dicendo che lui non è più nel mio cuore. Quello che mi sento di dirti è che… »
Hiro lasciò la presa sulla valigia si voltò verso Misako. I suoi occhi la scrutavano indagatori. Poi senza lasciarle il tempo di continuare la strinse forte a se.
«lo so.»
Misako si concesse due lacrime silenziose. Non meritava l’amore di Hiro, questo lo sapeva bene. Ma ormai non riusciva più a fare a meno di lui.
«mi dispiace».
Hiro la strinse ancora più forte avrebbe voluto chiederle di amarlo come aveva amato Eichi, di guardare lui come guardava Eichi di parlare di lui come aveva parlato di Eichi. Ma sapeva che quegli occhi non erano ancora pronti a brillare solo per lui.
“non lasciarmi solo ad amarti” ecco quali erano le parole che avrebbe voluto dirle ma ancora una volta le nascose dentro di se. Sin dal loro primo incontro quegli occhi lo avevano ammagliato e conquistato. All’epoca era appena entrato alla King Records non conosceva molto di quell’ambiente e la prima persona che incrociò fu proprio Misako. Era nello studio del direttore. Gli sorrise cordiale presentandosi. All’epoca non sapeva nulla della sua relazione con Eichi. Quando la scoprì si sentì così stupido per essersi cullato nell’illusione che quella bellissima ragazza fosse interessata a lui. Scoprì, in seguito che era proprio nel carattere di Misako interessarsi a gli altri e fare di tutto per aiutarli. I primi tempi la sua presenza fu molto incoraggiante tanto che all’unanimità era stata eletta mascotte del gruppo. Erano tempi felici per tutti. Forse un po’ meno per Hiro che dovette nascondere quei sentimenti in un angolo del suo cuore. Le tempistiche portarono il gruppo a lavorare sodo per il debutto. Eichi era quello più impegnato degli altri, Hiro spesso gli dava una mano ma il più delle volte lasciava a lui il compito di completare il lavoro. Una sera erano rimasti entrambi chiusi nella sala di registrazione sino a tardi. Erano le undici passate quando Hiro decise che era arrivata l’ora di fare ritorno a casa. Salutò Eichi e uscì dallo studio di registrazione. Per i corridoi incontrò Misako. Si sorprese che lei fosse lì ancora a quell’ora. Gli chiese se Eichi era ancora nello studio di registrazione. Lui acconsentì e decise di accompagnarla. Lei lo ringraziò e subito dopo bussò a quella porta. Una voce la invitò ad entrare. Hiro era sorpreso che fosse venuta lì tutta in ghingheri solo per fare una visita a Eichi. Poco dopo i suoi dubbi furono sanati. Misako ed Eichi stavano litigando. Eichi si era dimenticato dell’appuntamento con Misako. Era il suo compleanno. Non che Hiro volesse ascoltare la loro conversazione ma il tono delle loro voci era davvero troppo alto perché lui potesse far finta di nulla. Dopo neanche dieci minuti Misako uscì da quella stanza sbattendo la porta violentemente. Era in lacrime. Incrociò lo sguardo sconcertato di Hiro prima di superarlo a passo spedito. Hiro non poteva sopportare di vederla piangere. Si offrì di accompagnarla a casa e lei acconsentì. Quella sera si sfogò come non ebbe modo di fare prima con nessuno. Da quel giorno Hiro divenne una presenza costante nella vita di Misako. Quando Eichi non c’era lei spesso lo invitava a casa sua per parlare della giornata oltre che dei suoi problemi. Fu Hiro a scoprire per primo dei suoi problemi di droga. Quel giorno fu la fine e l’inizio di tutto. Lo ricordava come fosse successo solo da poche ore. Pioveva troppo forte per riuscir a distinguere qualcosa a un palmo dal proprio naso. Hiro aveva ricevuto quella chiamata da Misako. Scese di casa prese la sua Jeep e raggiunse quell’appartamento nella periferia di Tokyo. Gli aprì la porta una Misako del tutto fuori di se. Aveva bevuto e probabilmente aveva assunto anche qualcosa. La portò in bagno e l’aiutò a riprendersi. La buttò nella doccia, l’acqua fresca pensò che l’avrebbe aiutata. Dopo un’ora Misako era crollata sul divano esausta le sue ultime parole prima di crollare Hiro non le avrebbe mai potute dimenticare: «Eichi, ti prego perdonami».
“Eichi perdonami?” La rabbia fu incontenibile. Se Misako si era ridotta così era per colpa di Eichi. Era chiaro che non le dedicava le attenzione che meritava.  Come poteva essere lei a chiedergli scusa. Questo era a dir poco surreale. Era già notte fonda quando Misako tornò in se. Hiro aveva capito tutto ormai e a Misako non rimaneva che ammettere i suoi problemi di droga.
Quella sera avrebbe portato con se venti di cambiamenti ma Hiro ancora non lo sapeva.
Misako lo supplicò di non dire nulla a Eichi. Disse che al più presto avrebbe rotto con lui, non voleva che i suoi problemi infierissero su di lui. Non gli avrebbe permesso di rovinare il successo del gruppo solo per potergli dedicare più attenzione. Non voleva diventare una preoccupazione inutile. Fu in quel momento che lo scatto di chiavi nella serratura richiamò la loro attenzione. Hiro sapeva che l’unico modo per evitare che lei continuasse a soffrire era allontanare l’oggetto delle sue sofferenze. Allo stesso modo Misako pensò che forse il modo migliore per far capire a Eichi che la loro storia non poteva continuare era uno solo.
Entrambi si guardarono.  Hiro le fece solo un breve cenno con la testa, poi la tirò a se stringendola in un abbraccio avvolgente che le seppe dare la carica. Entrambi sapevano che Eichi era appena entrato. In quel momento fecero finta di nulla entrambi. Finché sussurrandole a un orecchio Hiro la incoraggiò a fare quello che entrambi consideravano giusto in quel momento. Non gli importava delle conseguenze se era quello il desiderio di Misako lui l’avrebbe accontentato.
«fai quello che devi. Adesso o mai più.».
Misako si fece forza in fondo era l’unico modo per salvare Eichi dal loro amore malato.
Quella fu la prima volta che le loro labbra si incontrarono. Hiro la vide crollare dopo che Eichi uscì sbattendo la porta e dicendole che la loro storia era finita. Passò la notte ad asciugare le sue lacrime augurandosi che fossero le ultime che avrebbe versato.
 
Si allontanò da lei. E ancora una volta la baciò come quel giorno. Non gli importava, per il momento avrebbe goduto di quel poco di affetto che poteva leggere nei suoi occhi. Non l’avrebbe lasciata andare per nulla al mondo. Non avrebbe mai commesso lo stesso errore di Eichi. Farla soffrire era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
 https://www.youtube.com/watch?v=SpC97fNKt5g

 
JJ era seduto sul letto di quell’enorme stanza d’ospedale. La sorpresa e la meraviglia per quell’incontro avevano lasciato Akiko del tutto senza parole. Nell’arco di meno di un’ora parlando del più e del meno il loro rapporto sembrava essere tornato quello di una volta. JJ non aveva voluto toccare subito l’argomento. Chiederle cosa aveva che non andava faceva paura anche a lui.
Da quando si erano lasciati ad oggi Akiko era cambiata davvero molto. JJ notò subito che  aveva un qualcosa di molto più femminile, o molto più probabilmente era JJ a vederla adesso come una donna. Era bellissima. La sua pelle candida e morbida era in contrasto con il nero inchiostro dei suoi lunghi capelli lucenti. Le labbra rosse e carnose erano un richiamo invitante. Si, la sua piccola Akiko era cresciuta ed era diventata una bellissima donna. A dispetto del suo corpo i suoi movimenti era proprio gli stessi di quando era bambina. Aveva ancora l’abitudine di spostare i capelli dietro l’orecchio distogliendo lo sguardo quando qualcuno la metteva in imbarazzo. Nemmeno il suo sorriso era cambiato, così luminoso e contagioso proprio come JJ lo ricordava.  Anche in quel caso non aveva perso l’abitudine di mascherarlo con il dorso della sua mano. Si sorprese a invidiare quelle sue mani che la potevano sfiorare. JJ non faceva che ricadere con lo sguardo proprio sui boccioli di rose delle sue labbra. Akiko sembrava proprio un fiore raro e prezioso.
“insomma JJ che cavolo ti prende? È Akiko è la tua sorellina… che strani pensieri ti fai adesso?”
«tutto bene Yuki?» gli domandò Akiko notando il suo sguardo perso e immobile.
«si scusa è che qui dentro fa davvero caldo. Non ti sembra lo stesso anche a te?» cambiò discorso in imbarazzo.
 «bah, a dire il vero non saprei. Comunque non mi hai ancora detto come hai fatto a trovarmi?»
«diciamo che ho i miei informatori.» le spiegò sintetico.
«capisco. Come va con il tuo nuovo singolo? Non vedo l’ora di ascoltarlo!» disse sognate Akiko.
«in realtà è concluso ma non ne sono molto convinto».
«come mai?»
«anche se il testo l’ho rivisitato completamente la musica è stata scritta dai Hiro e francamente non  mi convince molto».
«capisco, non so davvero come esserti d’aiuto. Deve essere frustrante cantare una canzone che non si riesce a sentire propria. Anche io odiavo quando a lezione di piano mi obbligavano a suonare pezzi noiosi, preferivo creare roba tutta mia.»
«suoni?» chiese sbalordito JJ.
«Cosa c’è di così strano?»
«nulla era solo che non me lo aspettavo.»
«sai a causa di questo mio corpo debole non potevo praticare alcuno sport così mia madre decise di farmi seguire delle lezioni di pianoforte. Anche i medici avevano suggerito che la musica avrebbe potuto aiutarmi. Soprattutto il suono delicato e accogliente del pianoforte poteva favorire le mie condizioni»
«i miei pezzi però sono molto lontani dal tuo stile » precisò compiaciuta dall’espressione sorpresa di JJ.
«E come sarebbero?» chiese interessato.
«diciamo più calmi» gli sorrise.
«mi farebbe piacere poterne ascoltare uno…»
«davvero?» chiese entusiasta.
«certamente».
Scese dal letto e aprendo un cassetto del comodino Akiko tirò fuori un telefono di ultima generazione. Tornò a risedersi accanto a JJ e fece partire la traccia audio.
Le note si susseguivano spingendosi a ogni cellula del suo corpo. JJ si muoveva ormai senza controllo. La testa dondolava a ritmo di quella musica che surreale lo travolse nel profondo. C’era tanta sofferenza, ma anche voglia di lottare. Era incredibilmente coinvolgente.
Il brano si concluse troppo presto per JJ che avrebbe voluto risentirlo all’infinito.
«come ti sembra?» chiese Akiko guardando lo schermo del suo telefono, in soggezione mentre  portava dietro l’orecchio i suoi lunghi capelli neri.
«molto bella davvero…» aggiunse JJ.
«lo pensi davvero? So che non è proprio nel tuo stile ma speravo davvero che potesse piacerti.»aggiunse felice come una bambina a cui è stato appena regalato un cucciolo.
«è davvero molto bella. A questo punto mi chiedo come possa piacerti ancora la mia musica. Al confronto la tua è mille volte meglio»
«scherzi? Non devi dirlo neanche per sogno!» lo rimproverò ammonendolo con un dito.
«la tua musica mi dava sempre la carica per andare avanti. Mia madre non la sopportava. Aveva paura che quei ritmi frenetici potessero danneggiare il mio cuore già malconcio. Non capiva che la tua voce e il tuo modo di cantare in rima erano la mia caffeina quotidiana. Grazie a te e alla tua musica ho superato molti momenti difficili. Finalmente dopo tanto posso ringraziati.»
«Caffeina dici? Bah, credo comunque che tu non dovresti ringraziarmi ma avercela a morte con me. Non ti sono stato vicino come avrei dovuto. Mi dispiace» i suoi occhi lucidi e le sue sopracciglia corrugate mostravano chiaramente quanto la cosa lo ferisse.
«Non fare quella faccia. In fondo il passato è passato ciò che conta è che tu sia qui adesso. Non sai quanto questo mi renda felice.» gli sorrise confortante prendendogli una mano. Quel contatto fu così delicato e la sua stretta così leggera da sembrare per JJ come un velo caldo sulle sue mani.
Yuki però sentiva il senso di colpa appesantirgli il cuore. Mentre lei soffriva lui si godeva la fama e il successo. Come aveva potuto permetterlo?
«Akiko ti prometto che questa volta non ti abbandonerò più.»
«lo so.» aggiunse lei, e tenendo stretto il suo viso tra le sue fragili mani gli scoccò un bacio sulla fronte.
Dopo quasi due ore un infermiere comunicò ad Akiko e a JJ che l’orario delle visite era concluso. I due ragazzi si scambiarono numeri di telefono ed e-mail. JJ sapeva che l’imminente debutto da solista lo avrebbe costretto  a degli orari impossibili e probabilmente non avrebbe rivisto subito Akiko. Almeno per telefono e computer si sarebbero tenuti in contatto sino al loro prossimo incontro. Lei le passò anche la sua base musicale.
« Almeno ti aiuterà a tirati su di morale. In questo modo potrò sdebitarmi per tutte quelle volte che la tua musica mi ha aiutato».
Paradossalmente da dover essere lui ad aiutare Akiko era stato lui ad usufruire del suo aiuto. Mentre si muoveva per i corridoi dell’ospedale non poteva fare a meno di sorridere. Era felice di averla ritrovata adesso non l’avrebbe più lasciata andar via.
https://www.youtube.com/watch?v=RmQBbZK3rJI
   
 
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