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Autore: missimissisipi    08/06/2014    3 recensioni
“Elena”
Il suono della sua voce mentre pronuncia quel nome che non sembra appartenermi del tutto non fa altro che testimoniare il voler allontanarsi da me. Eppure è qui, così vicino. E’ distante con le parole ma a qualche decina di centimetri con le promesse.
“M’importa.” Esclama non sbottonandosi troppo con i suoi pensieri.
“Lo hai già detto.”
Le sue nocche diventano quasi bianche. “Ma tu non sembri capirlo”

Elena, Damon, Katherine, Caroline: l'importanza di avere un qualcuno al proprio fianco anche mentre le certezze si frantumano in un crescendo di eventi capaci di far traballare ogni convinzione.
Genere: Romantico, Slice of life, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Katherine Pierce, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine, Elena/Stefan
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo ventesimo

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The big bang theory

 

Katherine

 

James Peebles disse che l’essenza della teoria del Big Bang sta proprio nel fatto che l’universo si stia espandendo e raffreddando. Non si parla di un’esplosione, ma bensì di come il nostro pianeta si evolve, non di come esso iniziò. Se potessi in qualche modo paragonare me ed Elena a questa teoria, lo farei. Non ho la benché minima intenzione di spiegare come è iniziato tutto, come si siano improvvisamente invertite le nostre vite –seppure, ne sono certa, lei meriti una qualche spiegazione- ma voglio discutere del fatto che ho bisogno di riavere tutto indietro, ho bisogno di spedirla dall’altra parte di Londra, dall’altra parte che abbiamo entrambe abbandonato.

Non capisco un sacco di cose, mi mancano numerosi dettagli per inquadrare finalmente la nostra situazione, ma quel che ho mi basta, ora come ora. Ed io che, fino a poco tempo fa, credevo che i ricordi fossero superflui tasselli della nostra intera esistenza (patetico destino).

“Tu devi essere Elena”

Lei si blocca, pare quasi paralizzata, ghiacciata, impossibilitata a muoversi. Il colorito olivastro passa ad una gradazione più chiara, quasi color latte, mentre le guance rimangono rosee, in netto contrasto con il resto della sua pelle.

Abbandona le chiavi per terra, in un gesto involontario che produce un lieve tonfo. Il silenzio è calato da quando ho aperto bocca, lei ha le labbra appena aperte, ma cosa dire?

Incrocio le braccia sotto il petto, avanzando verso di lei, lentamente.

“Come possiamo essere identiche?”

Credimi, sto cercando di capirlo anche io.

La sua è una giusta quanto curiosa domanda, posta con un tono che lascia trasparire la sua totale mancanza di convinzione.

“Possiamo passare ad un altro quesito? Non sono ancora in grado di risponderti.”

Serra le labbra e sembra pian piano riprendersi, almeno il necessario per indurire la mascella e spostare di poco il capo, quasi per non guardarmi, infastidita dalla presenza di una totale sconosciuta.

Poi riporta il suo sguardo su di me, lo fa subito, come se avvertisse la patetica necessità di continuare a scrutarmi e capire se siamo davvero identiche, davvero due gocce d’acqua.

“Senti, prima che possa formulare altre sciocche domande, sono stupita quanto te, ma, a differenza tua, posso chiarirti le idee… almeno un po’. Hai intenzione di ascoltarmi?”

“Chi sei?” ribatte incurante delle mie parole. Testarda. Quasi quanto me.

“Katerina Petrova. O Katherine Petrova, se preferisci.”

Sgrana gli occhi, facendosi un passo indietro e toccando il tavolino nero come se fosse l’unico appiglio a tenerla ancora viva di fronte a me.

“Immagino sia difficile, Elena, ma se ascolti quello che ho da dire sono certa che l’idea che questo sia il tuo reale nome non sarà poi così lontana da credere”

Mi scruta ancora, sbattendo le lunghe ciglia di tanto in tanto.

“Ti prego, Elena, sto cercando di mantenere la calma” il mio tono piatto rompe nuovamente il silenzio che si crea perché lei non risponde a ciò che dico, parla solo quando le pare e piace, quando ha la stupida forza di porre domande idiote.

“Proviamo così, allora: puoi scappare ancora, puoi svenire sul pavimento del mio appartamento e sappi che in quel caso ti sbatterei fuori da casa mia, oppure puoi accomodarti sul mio bellissimo divano, sicura che sarà di tuo gradimento, almeno quanto la storia che muori dalla voglia di ascoltare”

Si inumidisce le labbra e si siede senza che io parli più, senza nemmeno sfiorarmi con gli occhi scuri che tanto somigliano ai miei.

“Brava ragazza”

 

 

“Cioccolata e brownies vanno bene?”

Aggrotta le sopracciglia e annuisce appena, stendendo le braccia nella mia direzione, pronte a prendere la tazza piena di cioccolata calza ed il piattino sottostante, su cui ho poggiato alcuni dei pasticcini che Stefan credeva mi piacessero tanto.

Sorrido quando capisco che sì, ci ha azzeccato e che, ho azzeccato anche io: ma stiamo pur sempre parlando di Elena. Ed io sono Katherine. Lo sono.

“Stavi parlando di alcuni tuoi ricordi…” mi riprende, mormorando vaga. Annuisco di rimando e continuo il discorso iniziato una decina di minuti fa.

“A dire il vero non posso affermare con tranquillità di aver ricordato ogni cosa. Però questo mi basta, in un certo senso, capisci? E’ stata Vicky a gettarmi questo secchio d’acqua gelata addosso, metaforicamente parlando”

Scrollo le spalle, persino dimenticandomi della sua esistenza per qualche attimo.

“Ha parlato di me, della vita che prima ero cosciente di vivere e di quella che hai continuato tu ad insaputa di entrambe, delle mie relazioni e dei miei colleghi. E si è accesa una lampadina, la mia lampadina. Io ero questa. Io sono questa persona. I ricordi sono arrivati dopo, dopo la lampadina. Ho iniziato a vedere i dettagli, a mettere a fuoco la vista. Sono tornati. Come se nulla fosse mai andato via.”

“Cosa ricordi? Prima dello scambio, intendo…”

Beve un breve sorso e torna a guardarmi con la stessa intensità che quegli occhi grandi e scuri possono trasmettere.

“Qualche pomeriggio passato a studiare a casa, a Mystic Falls, in Virginia. Quando ho scritto la lettera di ammissione per il Whitmore, quando ci siamo trasferiti a Londra, io, John ed Isobel. Quando ho conosciuto Caroline. Elijah. Quello che è successo prima di Las Vegas, la sfuriata in ufficio ed il tragitto in macchina con lei…”

“Perché l’hai chiamata?”

“Chi?”

Alza le spalle. “Perché hai chiamato Caroline?”

“E’ tutto quello che ho.”

Scuote il capo. “Non posso fidarmi di te.”

“Mi dispiace, Elena, ma non hai altre opzioni”

“Dimmi perché siamo uguali.”

“Non so spiegarmelo.”

“Non posso fidarmi di te” ribadisce con un sorriso stanco.

Poggia la tazza sul tavolo basso di fronte al divano, sfrega le mani togliendo da queste ogni briciola di brownies rimasta e poi mi guarda, assottigliando lo sguardo.

“Non siamo un qualche gioco della natura, una cosa chimica, no? Non è come “Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde”, noi siamo vive.” Ribatte inarcando le sopracciglia. “Deve esserci un qualcosa, una ragione che adesso non notiamo.”

“Perché sei così calma?”

Ride appena, con le punte delle labbra verso l’alto. “Perché, tu non lo sei?”

“Dovresti odiarmi. Dovresti urlarmi contro qualcosa, dovresti piangere, sbraitare, cacciarmi… io sono scoppiata.”

“Beh, correggimi se sbaglio, ma non sembra affatto”

Inclino il capo. “Ho detto che l’ho fatto, non che lo mostro. Non che l’abbia mai mostrato a qualcuno.”

“Hai abbandonato tutta la mia famiglia?”

Il modo in cui pronuncia quelle parole fa zittire entrambe per un po’.

“Sei scappata quando l’hai saputo?”

“E’ esattamente il mio modo per dire che sono scoppiata. Cento punti per la bravura, copia di me stessa”

Mi alzo improvvisamente, sospirando e cercando un modo per liberare la mente.

“Li hai chiamati la tua famiglia. Mi credi, allora?”

“Non lo so. Ma è… è come se qui non ci fosse più posto per me” Elena parla alle mie spalle, affievolendo il tono di voce.

“Ecco, volevo parlarti di questo…”

“Non me ne andrò sino a quando non avrò risposte” chiarisce prima che possa continuare il mio discorso.

“Hai un fratello, degli zii fantastici, due amiche strepitose ed un ex futuro marito che ti aspettano. Sono scappata, dubito che Stefan abbia parlato con loro e dubito ancora più fortemente che qualcuno non abbia notato la tua assenza. Sei il loro centro del mondo, Elena, devi andare da loro.”

“Devo andare e cosa? Iniziare la mia vita daccapo? Ancora? Lasciando te qui, in balia delle persone che mi hanno accompagnato nell’ultimo mese e mezzo?”

“Io sono a casa” puntiglio arrabbiata.

“Non chiamarmi Elena” ribatte con la stessa furia.

Ci stiamo guardando, adesso, e non ho neanche idea di cosa fare. Cosa dirle? Questo è il mio posto, è la mia casa e lei è di troppo.

“Hai chiamato i tuoi genitori?” domanda innocentemente, le mani poggiate sulle cosce e il volto inclinato verso destra. Mi guarda con una punta di preoccupazione, che subito si evolve in consapevolezza.

“Credi che noi sia-”

“No, Elena. Non possiamo essere sorelle.”

Ride con velata ironia, portandosi le mani alle tempie. “Hai qualche altra idea, allora?”

Io che abito a Mystic Falls.

Jeremy che mi parla di come Elena sia stata concepita lì.

Noi che siamo identiche.

“So solo che non possiamo esserlo, d’accordo? Nulla è certo. Potranno essere i peggiori genitori del mondo per come mi hanno cresciuta, ma sai cosa? Loro non mentirebbero a riguardo. Non su questo, perlomeno. Sanno… sanno quanto ho sofferto, okay? Sanno quanto avrei voluto un fratello, una vita migliore, frequentare il college più prestigioso dell’America. Non hanno potuto far nulla, non sanno prendersi cura di me… ma questo no. E’ troppo persino per loro.”

“Loro tengono a te, sono venuti a trovarmi”

Scuoto la testa, “Ah, sì? Dopo quante settimane?”

Si alza dal divano e tentenna un po’, incrociando le braccia e mi fa paura. Per la prima volta da quando siamo qui, la osservo. La osservo è capisco che è me, che è come me, che siamo fatte della stessa pasta e che i pezzi si stanno congiungendo.

Io che abito a Mystic Falls.

Jeremy che mi parla di come Elena sia stata concepita lì.

Noi che siamo identiche.

La nostra stessa testardaggine.

“Importa davvero quanto dopo? Sono venuti e basta”

“Sì, sì che importa – spalanco le braccia, possibile che non veda l’evidenza? – Non hanno saputo crescermi, hanno sempre avuto paura che fossi fragile, che potessi spezzarmi con un nulla. Mi hanno allontanata da loro, volendo che fossi diversa da entrambi. Io me ne sono accorta: sanno di non essere granché. Hanno lasciato che commettessi tutti gli errori possibili, hanno lasciato che Caroline si prendesse cura di te. Cosa pensi di questo, Elena?”

“Che ti vogliono bene, nonostante tutto e nonostante tutti.”

“Non mi hanno mentito. Non possiamo essere sorelle, dimentica ogni cosa. Devi andartene, ho bisogno della mia vita.”

Il cuore batte forte, lei rimane immobile, ferma ma diversamente da quando è entrata a casa.

“Katherine…”

“E’ stato bello conoscerti, Elena Gilbert. Vai nella direzione opposta dell’Alexander Park. Raggiungi Hampstead Heath, c’è la tua galleria nelle vicinanze. Tuo fratello ti troverà, stanne certa.”

 

***

 

Raggiungo Hyde Park, con la speranza che Caroline abiti ancora lì e sia rinchiusa in quell’appartamento piccolo, troppo turbata dalla mia chiamata e da due ragazze troppo simili per essere vere per uscire da lì e per darsi alla pazza gioia (o forse per buttarsi giù dal Tower Bridge).

Suono con insistenza il citofono, spingo più e più volte, però non mi giunge nessun cenno di vita.

Provo a chiamarla, a lasciarle un messaggio vocale e rimpinzarla di notifiche su WhatsApp.

“Caroline, so che non è il miglior momento per parlarti… ma giuro di essere Katherine. Lascia stare Elena e l’ultimo mese e mezzo trascorso con lei. Posso spiegarti quasi tutto se solo rispondessi. Richiamami, ti prego”

Con insistenza, mi dedico ancora al suo cognome al citofono. Continuo a suonare, ma nulla: suono altri nomi ed altri cognomi, nella vana speranza che qualcuno apra il dannato portone, anche solo erroneamente, anche solo supponendo che sia una stupida postina o una sciocca fioraia.

“Chi è?”

“Salve! Sono Forbes del terzo piano, ho dimenticato le chiavi… potrebbe--”

Ecco il suono che tanto aspettavo. Sorrido.

“Grazie mille!”

Raggiungo subito il suo pianerottolo, e ad ogni passo che compio sento che mi sto avvicinando sempre più a quella che, un tempo, era la mia normalità, la mia quotidianità, il mio presente, la vita che mi appartiene.

Busso.

Nessuno apre.

Attendo qualche minuto, fino a che non sento dei passi avvicinarsi all’uscio della porta. Abbasso lo sguardo per terra: ce la posso fare.

“Sì?”

“Caroline” esordisco allora, ma lei sgrana gli occhi e fa per chiudermi la porta in faccia.

“No, aspetta, Barbie” sospiro “se non vuoi sentirti in colpa per il resto della tua vita per avermi fatto amputare una gamba, apri questa porta e ascoltami parlare”

Lei rimane così, ferma, la mia gamba bloccata ed il suo sorriso spento che intravedo nonostante il buio regni nel suo soggiorno.

“Katherine…” prende un respiro profondo. Il modo in cui ha pronunciato il mio nome, in modo strascicato e stanco, non lascia presagire nulla di buono.

 “…dio solo sa quanto vorrei che fossi tu. E se lo sei, allora d’accordo, potremo parlare. Ma non ora” scrolla le spalle, tirando verso sé la porta e mostrandosi a me, seppure in uno stato pietoso.

“Ho bisogno di tempo per metabolizzare il tutto, comprendi? Se quello che mi hai detto al telefono è vero allora diamine, che ho bisogno di allontanarmi da te! Ho voluto bene ed aiutato una sconosciuta, lei mi ha aiutata ed è stata mia amica forse più di quanto lo sia stata tu per me prima. Non è un rifiuto, non prenderla sul personale… penso che tu debba prenderti qualche giorno di ferie da lavoro. Per me, per Damon, per Vicky, per Nik, per Elijah… domani dirò loro ogni cosa. Abbiamo solo bisogno di tempo, non puoi tornare e fingere che vada tutto bene. Devi reintrodurti pian piano nelle nostre esistenze e noi dobbiamo psicologicamente esserne pronti.”

Sospira. “Mi prenderò io cura di Damon.”

Immobile, lascio scivolare via la mia unica certezza.

Risoluta, lei chiude ogni contatto con me.

 

 

 

Elena

 

A: Damon

“Possiamo vederci?”

 

Da: Numero sconosciuto

“Non so chi tu sia, mi dispiace”

 

A: Damon

“Sono Elena”

 

A: Damon

“Sto per andare via, Katherine è ritornata alla sua vita. Non sono pronta a conoscere la mia famiglia. Ho bisogno di un volto amico.”

 

A: Damon

“Ho detto più di quanto tu ricordi in quella telefonata. E non potrai mai fare ciò che ti ho chiesto perché sono stata troppo codarda per pronunciare quelle parole quando tu c’eri, l’ho fatto mentre prendevi uno stupido bicchiere.”

 

Da: Numero sconosciuto

“Cosa stai cercando di dirmi?”

 

A: Damon

“Ho imparato il tuo numero di cellulare a memoria. Volevo che tu mi baciassi. Ero più vicina a te di quanto entrambi credessimo. Libero di non credermi, so che non ci rivedremo più. Sei una parte di me che non voglio dimenticare. Il presente mi aspetta e tu non ne fai parte.”

 

Sono divenuta troppo codarda: non riesco a chiamare né a lottare per la persona che mi ha resa, seppure non sappia come e quando, quella che sono adesso. Sono diventata un cliché e qualcuno facile da modellare, semplice da buttar giù, come è successo con Caroline, come è successo con Katherine e come è successo, poco meno di un minuto fa, con Damon.

Ed io non posso semplicemente credere che tutto questo stia accadendo. Tutte le persone a cui ho voluto bene nell’ultimo periodo mi hanno dato le spalle, una sconosciuta identica a me mi caccia da quella che era ed è la sua vita, dicendomi che gliel’ho strappata e che per qualche strana e contraddittoria coincidenza lei ha vissuto la mia.

Mi sento intrappolata in uno stupido gioco, in un incubo: vivo della sola speranza che qualcuno mi svegli. Come posso essere andata via quando Katherine me l’ha imposto? Perché non sto lottando? Dove dovrei andare? Dove dovrei essere adesso?

Importa?

E’ davvero fondamentale conoscere da dove veniamo, per poter andare avanti? Il passato è solo un tassello della propria esistenza, è come l’esempio negli esercizi, che serve unicamente a dare un imput, un punto di partenza. Ma cosa conosciamo? Dei ricordi, delle abitudini? E sono davvero importanti per sopravvivere? Woody Allen una volta ha detto “Cosa conosciamo? Cioè cosa siamo sicuri di conoscere, o sicuri che conosciamo di aver conosciuto, se pure è conoscibile? Possiamo conoscere l'universo? Mio Dio, è già così difficile non perdersi a Chinatown...

Ed io vorrei averlo capito un po’ prima, sono come Chinatown ed i ricordi si perdono come turisti in un numero pressoché spropositato di volte. Mi stringo nel maglione di lana bianco, mentre getto nell’enorme scatolone del passato tutti gli errori commessi.

Possiamo scegliere dove andare solo dal presente in poi.

E nessuno, per ora, sembra farne parte. Ci sono solo io.

 

Incoming call, 18.21

 

Il nome di Damon lampeggia assieme al mio cellulare.

Rifiuto la chiamata.

 

Incoming call, 18.21

Damon.

 

Rifiuto. Ancora.

 

Nuovo messaggio. Da Damon. Ancora.

Dove sei? Recita il testo di due sole parole, un punto di domanda e non so quanta preoccupazione alle spalle. Che qualcuno ci tenga a me, nonostante io non sia nessuno?

Ammettere anche solo per un secondo che io abbia un’immensa e spropositata paura mi terrorizza più del terrore stesso. Ammettere di non essere nessuno, di aver perso identità e affetti in meno di una giornata mi spaventa. Ammettere di essere sola, nel freddo di una città che sto imparando a detestare mi apre un varco nello stomaco.

Non posso tornare in quella che l’altra me giudica casa mia. Non ho idea di come sia fatta la mia vita, ammesso che ne avessi mai avuta una.

Non posso… semplicemente non posso.

 

Dove sei? Ti vengo a prendere.

 

Io ho paura, Damon.

Ne ho così tanta da non capire più quale sia la cosa giusta da fare.

Scoppio in un pianto liberatorio.

 

Trafalgar Sq.

 

Il mio cuore batte forte, l’ansia riempie ogni mio punto morto e vuoto, sono immersa in lei tanto da sentirmi quasi anestetizzata.

Non muoverti da lì. Arrivo subito.

 

Deglutisco.

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Finalmente il tanto atteso capitolo con le due petrova a confronto!

Come vi è sembrato? attendo pareri perchè è una scena davvero delicata, come fra l'altro, le successive: sia quella che coinvolge Elena e Damon, sia quella con Katherine e Caroline. Il capitolo è un po' lungo, mentre il successivo no, ecco perchè spero mi perdoniate:)

Non ci sono note nè appunti sul seguente capitolo, se non una. Comunque sia, se avete bisogno di chiarezza basta chiedere e risponderò volentieri! Katherine ed Elena sono confuse eppure alle volte si definiscono appunto Katherine o Elena. Non sono bipolari e non perdono nuovamente la memoria, no, solo che sono ad un passo dal convincersi circa la loro reale identità, e credo che in una situazione come quella ci siano costanti dubbi e nuove certezze in continuazione. Qualcosa si spezza e si allontanano da un'idea o viceversa. Insomma, spero di essere stata chiara.

Vi  lascio con il solito spoiler:

“Voglio che rispettiate le mie scelte. E la mia scelta è non parlare di Katherine, non nominarla, non pensarla, non averla qui. Ha già fatto troppi danni.”

Damon scoppia: “Questo ha fatto tanti danni, io li ho fatti, Katherine e te non potete averne fatti. Non nelle vesti dell’altra.”

“Non proteggerla solo perché sei innamorato di lei!” sbraito io

Grazie per il supporto datomi!

A presto, un bacio!

  
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