Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: SmellyJelly    09/06/2014    3 recensioni
-"Maicol Gecson", who is it?-
..Dream with me,
Elizabeth.
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Tu vuò fa l'americana!"

08:03, 27 giugno 1992, Monaco di Baviera, Germania.
Ero in piena fase rem del sonno e stavo facendo un sogno, non un incubo, e quindi non avrebbero mai dovuto svegliarmi. Ma questo fu interrotto da una Siria euforica quanto raggiante che saltellava da un letto all’altro.
-Sveglia ragazze! Il sole è altro nel cielo e una magnifica Germania ci aspetta!-
Continuava a gridare spalancando tutte le finestre facendo sì che la luce accecante del sole s’impossessasse della stanza… io d’istinto mi rivoltai sotto le lenzuola mugugnando contraria a tutto quel fracasso che stava facendo. Poi improvvisamente fu silenzio totale e io ne approfittai per sistemarmi meglio.
Miriam e Scarlett si erano appena svegliate ed erano tutte in bagno a prepararsi, forse si erano scordate di me e avrei potuto dormire tutto il giorno in quel letto stupendo che sembrava mi abbracciasse e mi dicesse di non lasciarlo andare, ma questo bellissimo pensiero fu distrutto da due pesi che mi si buttarono accanto facendomi rimbalzare almeno di mezzo metro. Spostai le lenzuola  dagli occhi per vedere chi dovevo uccidere… e chi poteva essere se non Scarlett e Miriam?
-Dai Lely alzati!- disse Scarlett capovolgendosi su di me.
L’unica cosa che mi interessava veramente in quel momento era sapere dov’era la terza peste. Ed ecco che la risposta arrivò quando sentii Scarlett e Miriam spostarsi, facendo comodamente accomodare Siria che mi fece mormorare un “Ahi” sottilissimo, ma molto, troppo significativo.
-Buondì fiorellino- gridò continuando a saltare sul letto.
-Allora ti svegli o devo usare le maniere forti?- continuò lei.
“Perché non le stai usando già?” mi venne da dirgli, ma mi stetti zitta per non suscitare altre polemiche.
Mi arresi.
Il mio disperato piano di diventare invisibile fallì miseramente e fui costretta ad alzarmi.
-Sit cuntent mo'?! M’ stong aizann!- gridai mentre mi alzavo goffamente dal letto.
-Cosa?- sapevo che non avrebbe capito.
-Sei contenta adesso? Mi sto alzando- spiegarono Miriam e Scarlett.
-Po’ m’ata ricr comm fat a esser accussì allegre a primma matin!- sospirai e mi diressi in bagno –soprattutt tu!- indicai Siria.
-Poi mi dovete dire come fate ad essere così allegre di prima mattina, specialmente tu- chiarirono ancora.
-Dovresti provare l’emozione di andare al concerto del tuo idolo, quella è meglio di cento caffè-
La guardai per un secondo e poi mi chiusi la porta alle spalle.
Da fuori sentii provenire un certo motivetto…
Tu vuò fa l' americana!
mmericana! mmericana
siente a me, chi t' ho fa fa?
tu vuoi vivere alla moda
ma se bevi whisky and soda
po' te sente 'e disturbà.
Tu abballe 'o roccorol
tu giochi al basebal '
ma 'e solde pe' Camel
chi te li dà? ...
La borsetta di mammà!
Tu vuò fa l' americana
mmericana! mmericana!
ma si nata in Italy!
siente a mme
non ce sta' niente a ffa
o kay, napolitan!
Tu vuò fa l' american!
Tu vuò fa l' american!
Comme te po' capì chi te vò bene
si tu le parle 'mmiezzo americano?
Quando se fa l 'ammore sotto 'a luna
come te vene 'capa e di:"i love you!?”
Cantarono così ad alta voce che pensai che i vecchietti nella stanza accanto avevano ballato come matti, risero a squarciagola dopo.
Riaprii la porta –bel motivetto! Siete proprio un bel coro, avrebbe dovuto sentirvi Michael!- risi.
-Scusa, ma non abbiamo resistito- confessò Siria.
Sorrisi e richiusi la porta. La stessa canzoncina che cantavano tutti quando scendevo nei vicoli di Scampia, ci avevo fatto l’abitudine e mi piaceva, mi piaceva davvero. Infondo, infondo… Napoli restava la mia amata “culla”.
Mi guardai allo specchio… ero un completo disastro, reduce di una nottata in bianco. Avevo i capelli arruffati e pieni di piume, le occhiaie e un livido gigante di cui non ricordavo nemmeno l’origine.
-Ma che...- lo toccai e faceva un gran male.
Forse era stata la botta che avevo preso vicino alla spalliera del letto mentre cercavo di scappare dalle cuscinate di Miriam e Scarlett che si erano messe in coalizione contro di me perché gli avevo detto che sapevo ballare meglio di loro due messe assieme; oppure quando Siria mi aveva fatto sbattere vicino alla maniglia della porta perché le avevo detto che il suo adorato Michael non sapeva cantare (anche se non l’avevo mai sentito).
Feci spallucce e iniziai a prepararmi. Mi sciacquai il viso con dell’acqua ghiacciata, poi decisi di farmi una doccia rigenerante e infine cercai di dare un senso ai miei capelli…
Uscii dal bagno e presi i vestiti dalla valigia. Optai per i soliti jeans lunghi e una t-shirt con delle note musicali stampate sopra, un filo di matita e un po’ di mascara prestatomi da Siria e infine mi infilai le scarpe e andai in cucina dove trovai le tre intente a finire la colazione.
-Finalmente ce l’hai fatta- disse Siria con tono scherzoso facendomi notare dalle altre che mi guardarono.
-Tu non devi lottare contro i tuoi capelli per far sì che stiano al loro posto!- gli risposi provocandola.
Lei alzò gli occhi al cielo come risposta –Adesso è tardi, dovrai fare colazione giù al buffè, altrimenti non ce la faremo a completare il programma di oggi… noi ti aspettiamo giù ok?- m’informò.
La vedevo tutta presa nell’arraffare qualsiasi cosa le potesse servire e io ferma sull’uscio della porta cercavo di stargli dietro con lo sguardo, difficile.
-Ok- risposi alla fine.
-Perfetto, sbrigati!- concluse sbattendomi la porta in faccia.
Mi diedi un’ultima guardatina e aggiustai il ciuffo che mi si ritrovava davanti ogni mattina, poi uscii fuori di corsa, anche se non dovevo farlo visto che avevo le scarpe tacco dodici!
Beh non ero una tale idiota da mettermi i trampoli per andare in giro, ma ero disposta a questo sacrificio pur di sembrare più alta.
Mi precipitai nel corridoio a tutta velocità, quando girando l’angolo andai a sbattere contro qualcuno.
-Ahy, accidenti!- mormorai massaggiandomi le natiche.
Guardai quell’essere con tutta la rabbia del mondo. Aveva i capelli neri e riccioluti che gli scendevano sulle spalle, il suo viso non aveva dei lineamenti molto delicati, ma si vedeva da un miglio che era un uomo molto curato, poi aveva i Ray Ban e un naso particolarmente a punta.
Pov Michael.
Nella mia fretta svoltai l’angolo e mi scontrai con una ragazza, la guardai.
Era abbastanza esile, dalla pelle particolarmente abbronzata, quasi mulatta, i capelli neri, lunghi fino ai fianchi e molto, molto vaporosi, le sue labbra erano piccole e tinte da un rossetto rosso scuro, quasi viola, troppo duro per quelle labbra così dolci, infine aveva un paio d’occhi azzurri... quasi blu.
-Mi scusi signorina, è tutta colpa mia- la aiutai ad alzarsi, già pronto a vederla gridare e saltarmi al collo non appena si fosse accorta chi ero.
-Sei impazzito, guarda dove vai!-
Spalancai la bocca, non mi conosceva? Com’era possibile? E subito pensai che era il momento di pescare.
-Scusami tanto, ero sovrappensiero-
-Ma va, non l’avevo capito. La prossima volta scendi dai tuoi pensieri e guarda dove vai!- mi urlò contro –Dio che male-
-Ti prego perdonami, non volevo-
Si sedette a terra per sistemarsi i pantaloni e controllare che tutto fosse a posto..
-Ci mancava solo che volevi- disse ironica mentre si alzava nuovamente, le porsi la mano. Lei la guardò un po’ titubante, poi l’afferrò e si fece aiutare.
-Ti sei fatta molto male, piccola?-
-Sì! E non sono piccola, ho 17 anni!- sbraitò.
-Per me sei piccola- risi.
Lei mi guardò quasi per uccidermi, ma del resto l’avevo voluto io.
-Non puoi prenderti tutta questa confidenza solo perché sei un riccone del cazzo che può permettersi un soggiorno in questo albergo!- spalancò gli occhi e si morse le labbra, ma io mi misi a ridere, e lei insieme a me.
-Doveva restare solo nei tuoi pensieri?-
-Già. La tua risata è contagiosa- sorrise.
-Grazie, tu sei molto dolce- dissi ironico.
-Odio la gente che mi prende per il culo...- incrociò le braccia.
-Guarda che io dico sul serio!- mi misi una mano al cuore.
-Sì, l’innocente. Sarò pure piccola per te, ma mica cretina-
-Ok scusa… per farmi perdonare posso offrirti la colazione?- mi sorpresi io stesso di ciò che dissi.
-Smettila di scusarti, non sono sorda-
-Scusa- risi divertito, ma poi mi ammutolii immediatamente in attesa di una risposta. Avrei tanto voluto che accettasse, avevo una delle rare occasioni di parlare con una persona che non voleva solo i miei soldi, o che si mettesse ad urlare e ad inginocchiarsi solo perché ero il re del pop... adoravo i miei fan, ma a volte sarei voluto essere una persona comune, o sparire magari di fronte a tutto quell’adulare.
Pov Ely.
Ah beh… almeno voleva farsi perdonare.
-Va bene, basta che smetti di scusarti- risposi gesticolando, continuai –forse a stomaco pieno hai una piccola possibilità di essere perdonato- “Doveva restare solo nei miei pensieri!”
Alla mia risposta lo vidi abbassare la testa e sorridere, ma che aveva tanto da ridere? Forse ero io che sembravo un’idiota… ero troppo sincera e le parole mi uscivano di bocca senza che io lo volessi.
-Bene, allora andiamo?-
Ad ogni parola si dondolava quasi, sembrava tanto un bambino timido e impacciato.
-Ehm… ok- gli confermai iniziando a camminare per farmi seguire, ma mi fermai quando lo vidi prendere qualcosa da terra, non riuscii a capire cos’era fin quando non me lo porse.
-Credo tu abbia perso questo-
Lo vidi scrutare quella catenina argentata quasi ipnotizzato, alla fine aveva un ciondolo che continuava ad oscillare. Dopo qualche secondo capii che si trattava del mio prezioso “ciondolo musicale”. Mi portai una mano al collo e con l’altra lo afferrai così velocemente che quando se ne accorse mi guardò con uno sguardo alquanto perplesso.
Infondo era l’unico ricordo dei miei genitori, la cosa più preziosa che avevo, un pezzo della mia vita.
-Grazie…- dissi sincera abbozzando un sorriso, in quel momento mi pentii di averlo trattato così male.
-Andiamo?- chiesi interrompendo quel silenzio imbarazzante. Lui annui mostrandomi uno dei suoi sorrisi che sembravano illuminare l’intero albergo. Ci sedemmo ad una delle sedie al bancone del bar, mi guardai intorno. Era tutto così nuovo per me, che non avevo mai viaggiato se non una volta con Siria e i genitori.
Il barista si avvicinò aspettando di sapere cosa volessimo e mi domandai perché l’uomo accanto a me (di cui non sapevo nemmeno il nome, incredibile!) non avesse ordinato per primo. In quel momento ebbi la sensazione che ci stesse “provando”…
-Che c’è?-
-Prima le signore- rise.
Avrei tanto voluto scomparire…
-Prendo un caffè, grazie- mi rivolsi al barista che annuì voltandosi verso di lui.
-Un semplice caffè? Nient’altro?- domandò stranito.
-No… che c’è di stano?- domandai io ancora più stranita di lui.
-A lei invece cosa porto Mr. J…-
-Un cappuccino- lo interruppe, non riuscii a capire la sua reazione, ma non me ne fregai più di tanto, e mentre stavo per sorseggiare il mio caldo caffè venni richiamata dalla sua voce cristallina.
-Allora, da dove vieni?- domandò.
-Da Napoli, Italia- risposi sorseggiando il mio caffè bollente.
-Napoli… ho sempre desiderato visitarla, mi dicono che è molto caratteristica-
Sorrisi –ah… ti dicono così? Comunque, sì hai ragione-
-E come mai così lontana da casa? Se posso chiedere…-
A quella domanda mi ricordai il futilissimo motivo per cui ero lì e sospirai.
-Ho accompagnato le mie amiche a vedere il concerto di uno stupido cantante che odio- spiegai quasi annoiata –Michael Jackson, conosci?-
Affogò quasi col caffè quando gli rivolsi quella domanda, forse gli faceva schifo pure a lui o forse l’avevo pronunciato male ancora una volta (visto che si mise a ridere dopo essersi ripreso), il che mi sorprendeva visto che Siria me l’aveva fatto ripetere almeno trecento volte.
-Sì lo conosco, non è un granché- rispose smettendo di ridere.
-Sono quelle solite cottarelle che si prendono le ragazzine per i loro idoli- dissi sprezzante.
-Ma tu non sei una ragazzina come loro?-
-Ho vissuto in un ambiente che mi ha fatto crescere troppo prematuramente, a volte dimentico di essere una diciassettenne e mi sento come se avessi già trent’anni, come se nella mia vita avessi già vissuto tutto e adesso nulla ha più senso- mi rattristai e strinsi con forza la tazza ormai vuota –ma questo… questo era solo un… spero di aver reso l’idea, mi sono lasciata un po’ andare, non è mai successo prima...- mi voltai verso di lui e attraverso i Ray Ban intravidi i suoi occhi lucidi. Posò la sua mano sulla mia, ma la scostai subito con la scusa che dovevo andarmene.
-Devo andare-  scesi dalla sedia.
-Aspetta- scese anche lui –non devi mai pensare che la tua vita non abbia senso, c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere-
-Forse nella tua vita, ma non nella mia- stavo per piangere, ma lui mi abbracciò. Odiavo sembrare debole davanti alle persone, ma sentivo che lui non mi avrebbe preso in giro, sentivo di potermi fidare e il sesto senso di una donna non sbaglia. Poi sentii un campanellino nella mia testa che mi diceva di scappare, un campanello d’allarme, il campanello delle emozioni, dei sentimenti… quell’uomo mi aveva ispirato una tale fiducia, aveva fatto sì che le parole potessero uscire automatiche dalla mia bocca.
-Io adesso devo proprio… beh ciao- corsi via.
-Dimmi almeno come ti chiami-
-Elizabeth!- gli gridai mentre correvo.
Pov Michael.
“Che nome meraviglioso” pensai.
-Elizabeth- assaporai quel nome che amavo, con una tale delicatezza da avere paura di rovinarlo.
Pov Ely.
Monaco era una città molto bella, piena di giardini e castelli.
A pranzo non mangiai niente io, piuttosto mi divertii ad osservare le tre che si ingozzavano con un panino, mentre il padrone del chiosco le guardava come se fossero uscite da un cartone animato!
La sera arrivò presto, troppo presto, la voglia di andare al concerto era pari a zero e mi stavo truccando con una tale lentezza da far invidia a una lumaca, poi mi si affianco Siria e mi misi l’anima in pace  sapendo di ricevere la solita ramanzina.
-Insomma ma ti muovi?! Hai promesso, ricordi?-
-Cosa?! Io non ti ho promesso proprio niente!-
-Ok… non ricordi- disse rassegnata.
Ruotai gli occhi al cielo e continuai nell’intento di fare una linea dritta sugli occhi. Alla dine guardai fiera i miei occhi perché  ci ero riuscita alla grande! Meglio di un’egiziana sapevo truccarmi…
Poi con il taxi arrivammo al concerto, beh da lumaca quale ero sarei volentieri andata a piedi.
Volete sapere come andò il concerto?
Uno schifo.
Uno schifo quando scoprii che Michael Jackson in realtà era il tipo che avevo incontrato in albergo. La mia faccia divenne tipo urlo di Munch e le uniche parole che mi uscirono da bocca furono: “Cazzo! Era Michael Jackson!” e le altre ovviamente lo notarono e la cara Siry cominciò con le domande… seguita dalle altre.
-Eh? Che stai dicendo?- cominciò la Siry.
-Tu…non…non capisci, io… prima mi sono scontrata con un uomo in albergo mentre scendevo da voi, che mi ha offerto la colazione e…-
Non me lo fece finir di dire che mi bloccò –No! Non ci credo, non può essere! Sei una maledetta fortunata!- mi sgridò quasi…
-Credi che lo abbia voluto io?! Mi ci sono persino litigata con quel maledetto…- dissi ripensando a quello che accadde.
-Oh mio Dio, solo tu puoi litigare con Michael Jackson!- mi urlò gesticolando.
-Tranquilla poi abbiamo fatto pace e poi capirai…! Mi aveva quasi spezzato una caviglia! E… e lo odio, tutto qui!-
-Eh capirai, tu odi il mondo cara!-
La nostra discussione fu interrotta da Jackson che si mosse appena, facendo urlare praticamente tutto lo stadio e si ci misero anche le mie vicine.
Passò circa un’ora e mezza prima che il mal di testa che avevo divenne così forte da farmi diventare sorda di fronte a tutto ciò che capitava intorno a me, questa era la prova che odiavo i concerti. Tutta quella gente, quel casino e Jackson che cantava sul palco, una cosa terribile.
Per fortuna stava per finire, ma mi sentivo morire e perciò dissi alle tre che andavo in infermeria, e che anche se non fossi tornata, avrebbero dovuto aspettarmi al parcheggio, dove ci aveva lasciato il taxi. Dopo che ebbero annuito mi incamminai in mezzo alla folla, sembravo Mosè che spartiva le acque, peccato che non tutti erano disposti a farlo e dovetti quasi lottare per passare.
Ma persi il senso dell’orientamento e la vista si sfocò per dei minuti. Caddi su delle scale e visto che non capivo più nulla, non mi restava che salirci. Riuscii ad alzarmi in piedi, vidi una figura confusa davanti a me e alla fine fu buio.



*Angolo autrice*
Ciao dolcezze! Voglio ringraziare coloro che hanno recensito il primo capitolo e chi l'ha messa tra le preferite e le seguite! Sono davvero contenta che vi sia piaciuto l'inizio di questa nuova avventura, eccone a voi un altro piccolo pezzettino.
Allora, vorrei dire che questa storia la tenevo sotto coperta da un bel po' di tempo, ma avevo paura di pubblicarla perchè... dovete sapere che io sono una tipa  un po' insicura e a cui non piace la sua scrittura, già. E temevo non avrei avuto nessun lettore, ma mi sbagliavo! Vi ringraio davvero molto!
I love you all and God bless you!
P.s. Vi posto una piccola (ok, non proprio piccola) immagine delle mie quattro pazzarelle.

 

  
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