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Autore: Cygnus_X1    09/06/2014    3 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 8

Leggende



 

L



a consapevolezza di sé tornò un poco alla volta, accompagnata da una voce concitata e un dolore pulsante alla testa.
Anche i ricordi lentamente riemersero dalla nebbia, delineandosi lentamente uno alla volta.
La luce le trafiggeva le palpebre, qualcuno la scuoteva piano per le spalle chiamando il suo nome.
La ragazza aprì gli occhi. Vide davanti a lei il volto preoccupato di Jahrien, gli occhi neri colmi di una strana paura.
«Myrindar, sei viva!» esclamò, sospirando di sollievo, quando si accorse che si era svegliata. La abbracciò forte, e la ragazza sentì un’ondata di fuoco risalire dentro di sé. Quando infine lui si sciolse dall’abbraccio e la ragazza si guardò intorno, gli ultimi istanti prima del colpo che l’aveva fatta svenire comparvero all’improvviso nella sua mente.
Si guardò intorno e notò che si trovava distesa a letto nella sua tenda all’accampamento. E, a giudicare dalla luce che entrava da uno spiraglio, era giorno.
«Jahrien» iniziò la ragazza, con apprensione.
«Che cos’è successo?»
Il ragazzo sembrò esitare.
«In realtà non lo so bene... solo quando abbiamo sconfitto quei guerrieri in armatura ho visto che tu e il comandante eravate spariti. Il resto della squadra ha proseguito, io sono venuto a cercarvi. Ero a due strade dalla torre quando c’è stato il lampo, e ho intuito che tu fossi là, ma Alshain mi ha chiamato per aiutarlo alle porte della città a salvare i sopravvissuti. È stato Eghrel a trovarti sulla torre e a portarti qui. Io ho potuto venire solo adesso.»
La ragazza scosse la testa per cercare di sciogliere quella nebbia, con il solo risultato di acuire il dolore per il colpo infertole da Layrath.
«In quanti sono morti?»
Jahrien esitò e distolse lo sguardo. Myrindar però voleva saperlo. Voleva sapere quante persone aveva indirettamente ucciso la notte prima.
«Dimmelo.»
Lui sospirò.
«Quasi metà della seconda squadra. E praticamente tutta la prima.»
La ragazza assimilò quei dati come un pugno nello stomaco. Si coprì il viso con le mani.
«Lui... era lì, vicino al bordo della torre... e sapeva che non ce l’avrei fatta a fermarlo, sapeva della mia paura di uccidere... sapeva tutto di me.»
«Non devi fartene una colpa, Myrindar. Non ci aspettavamo certo che fossi riuscita a fermarlo... l’ho visto combattere. Era una furia. Non è colpa tua se è successo quello che è successo.»
«In quanti sono morti perché io non ho avuto abbastanza coraggio da buttarlo giù da quella maledettissima torre?» quasi gridò, con gli occhi lucidi. Era inutile che lui tentasse di convincerla. Era colpa sua.
Si vergognava tantissimo.
«Myrindar, non...»
Si interruppe quando sentì del trambusto fuori dalla tenda. C’erano voci, gente che urlava, scalpiccio di stivali chiodati. La ragazza si asciugò le lacrime qualche secondo prima che Alshain entrasse nella tenda quasi di corsa, con il volto cupo e tirato di chi non ha dormito nemmeno un minuto.
«Jahrien, Myrindar, ve ne dovete andare. Subito
Il giovane Cavaliere Errante sollevò gli occhi sul comandante, sorpreso.
«E perché ce ne dovremmo andare? Myrindar non sta ancora bene, e poi la guerra è qui, non vedo perché dovremmo...»
Alshain lo interruppe con un gesto.
«Myrindar è stata ritrovata svenuta sulla cima della torre da cui è venuto il lampo che ha sterminato il nostro esercito. Dice di aver incontrato un tizio che però solo quindici persone in tutto l’esercito hanno visto, nonché è una donna ed è maledetta. E visto quanto poco i soldati sanno del Kratheda, capite che non ci vuole molto perché diano a lei la colpa della disfatta di ieri notte.»
La ragazza spalancò gli occhi, sbalordita, mentre improvvisamente i pezzi si incastravano insieme.
«Credono che sia stata io a lanciare quella magia? Credono che io sia una traditrice?!»
Il comandante la guardò senza rispondere. E da quella espressione indefinibile in cui erano mischiati uno strano dispiacere e rabbia la ragazza capì che non scherzava.
Poi si rivolse al ragazzo.
«Siamo stati decimati nell’ultima battaglia. Non potremmo reggere un attacco in forze dell’impero. Abbiamo solo una possibilità, e ho bisogno di te.»
Fece una pausa, Jahrien annuì.
«Dovete andare a chiedere aiuto agli Elfi.»
Myrindar non poteva crederci. Guardò Alshain allucinata.
«State scherzando? Gli Elfi sono solo una leggenda.»
I due la ignorarono.
Jahrien era improvvisamente teso. Fissava il comandante con quella che sembrava rabbia a stento trattenuta. E quando parlò, la sua voce era d’acciaio. La ragazza si stupì: non l’aveva mai visto in quel modo.
«No. Io non andrò dagli Elfi.»
«Sei la persona più adatta, Jahrien.»
Rise. Una risata colma di un sarcasmo amaro che Myrindar non capì.
«Mi odiano, dannazione!»
«Odiano te meno di noi! Sei l’unico che ha qualche speranza di convincerli.»
«Ci sono persone più vicine. Ci sono i Cavalieri Erranti di Yndira. Possono andare loro. Io non ci andrò.»
«Ragiona, Jahrien! Sei comunque considerato meglio di chiunque di loro. Non voglio obbligarti, ero molto amico di Tarazed. Ma ricordati che il tuo Ordine è comunque subordinato al comandante dell’Esercito Libero, e se devo, ti tratterò come un qualunque Cavaliere Errante.»
Il ragazzo sospirò.
«E va bene, andrò. Non ti direi mai di no, lo sai. Però sai anche quanto mi costa tutto questo.»
Il comandante sembrò più rilassato, ma la ragazza non poteva giurarlo.
«Fallo per Tarazed. E per lei. Potrebbero avere la soluzione.»
Il ragazzo sospirò ancora mentre il comandante se ne andava. Myrindar non aveva capito una parola di quella conversazione, ma sapeva che dovevano scappare. Quindi si alzò dal letto, e anche se le girava ancora la testa cominciò a raccogliere le sue cose.
 
***
 
Cavalcavano da un’ora. Myrindar era stanca, ma non voleva darlo a vedere. Jahrien era teso e silenzioso, fissava l’orizzonte della pianura senza dire niente, le rivolgeva solo un’occhiata ogni tanto. La ragazza non capiva quel cambiamento. Fremeva dalla curiosità, ma non si azzardava a chiedergli il perché.
L’avevano tutti stupita, quel giorno. Il comandante, che riteneva duro e insensibile, aveva mostrato di essere anche lui un essere umano con dei sentimenti, quando la facciata di durezza era caduta dopo la tragica battaglia...
E Jahrien, il suo amico, il ragazzo gentile che l’aveva salvata innumerevoli volte, che l’aveva accettata e non la disprezzava, la persona di cui era innamorata e che l’amava, era scoppiato di rabbia così, senza un motivo apparente. La ragazza non capiva.
Dopo aver rimuginato su quelle domande tutta la giornata, la sera si fermarono tra gli alberi a mangiare qualcosa, spartendosi due pagnotte, della carne secca e una manciata di bacche; in quel momento, quando era già tramontato il sole e il buio e la stanchezza calmavano gli animi, Myrindar decise di fare qualche domanda all’amico.
«Jahrien... non arrabbiarti.»
Il ragazzo la guardò e sorrise, scuotendo la testa. La treccia ormai quasi sfatta si sciolse del tutto, lasciando i lunghi capelli dorati liberi sulle sue spalle.
«Tanto lo so cosa vuoi chiedermi...» ridacchiò lui.
«Perché mi dà così tanto fastidio andare dagli Elfi, giusto?»
La ragazza annuì, un po’ sollevata. Era contenta che lui non si fosse arrabbiato per la sua curiosità. Voleva solo capire cosa diamine stava succedendo tutto intorno a lei.
«È una cosa un po’ complicata da spiegare» iniziò, con lo sguardo perso nel cielo notturno.
«Tarazed era il mio maestro, come ti ho già raccontato. Veniva da Yndira, e grazie al suo compito di Cavaliere Errante aveva avuto a che fare più volte con gli Elfi. Vivono nella Foresta Dorata, lontano dagli umani, e solo pochi non-Elfi sono ammessi nel loro regno. Lui era uno di questi.»
Si fermò per qualche attimo a fissare il cielo, le stelle, la luna piena che stava sorgendo sulla pianura, enorme e dorata.
Myrindar attese che lui riprendesse, senza fargli pressioni.
«Per questa fiducia che gli Elfi nutrivano nei suoi confronti, presto Tarazed fece amicizia con alcuni di loro, soprattutto dei villaggi più esterni, che erano abituati al contatto con gli umani. Un giorno, un’Elfa che lui conosceva, e che si fidava di lui, gli rivelò un segreto. Suo padre l’aveva promessa a un Elfo di un’altra città, ma lei si era innamorata di un altro. Ed era incinta.»
Altra pausa. La ragazza non riusciva a capire perché lui le stesse raccontando tutto quello. Però non disse niente, aspettando che fosse lui a continuare e arrivare al punto.
«Per i primi mesi era riuscita a nascondere la gravidanza illecita al padre. Ma quando i segni avevano cominciato a essere troppo evidenti, aveva chiesto aiuto a Tarazed, disperata. Lui era riuscito a organizzare tutto in modo che il padre avesse pensato che lei sarebbe stata da tutt’altra parte, e l’aveva portata con sé. Così l’Elfa avrebbe partorito il figlio illegittimo e tutto si sarebbe risolto. In quei mesi si rassegnò al destino deciso da suo padre. Si sarebbe sposata. Ma che ne sarebbe stato di suo figlio? L’amante dell’Elfa, un soldato, era morto in una schermaglia contro dei criminali; era un eroe, certo, ma aveva lasciato suo figlio appena nato da solo. Così Tarazed si offrì di occuparsi lui del bambino. Lo portò all’Ordine e lo fece allevare insieme agli altri orfani, e quando compì sei anni, premette perché fosse assegnato a lui. Lo addestrò per dieci anni, presidiò la sua investitura, sempre mantenendo segrete le sue origini. E poi, quando il ragazzo aveva diciotto anni, la sera prima di una grande battaglia, gli raccontò tutta la storia, e soprattutto gli raccontò il perché della disperazione di sua madre: suo padre avrebbe anche accettato di rompere il fidanzamento della figlia, per una ragione come un amore così profondo... se solo l’innamorato fosse stato un Elfo. Peccato che questo fosse un umano. E il giorno dopo avergli detto tutto questo, nella sanguinosa battaglia, Tarazed morì, abbandonandolo anche lui, dopo suo padre e sua madre.»
A mano a mano che raccontava, la sua voce si fece sempre più rabbiosa. Myrindar aspettò che finisse, guardandolo con stupore. Aveva abbassato la testa, e i capelli sciolti gli ricadevano ai lati del viso, nascondendolo come veli. La ragazza non disse niente. Non commentò. Gli si avvicinò e lo abbracciò stretto, affondando il viso nei suoi capelli dorati.
«Sono un mezzosangue» concluse in un sussurro.
«Tutti odiano i mezzosangue... ma se posso facilmente camuffarmi e passare per umano, tra gli Elfi sarei solo un diverso. Un errore.»
La ragazza lo guardò. Non sembrava assolutamente diverso dagli altri umani. Da quello che sapeva, dalle leggende che aveva sentito, gli Elfi erano alti e snelli, con la pelle e i capelli bianchi, e le orecchie a punta, e le ali da libellula dietro la schiena.
«Non sembri per niente un Elfo» disse.
«Non sei bianco, e non hai le ali.»
Lui, sotto la cortina di capelli, sorrise, e la ragazza si sentì meglio. Era felice di essere riuscita a farlo sorridere.
«La faccenda delle ali è solo una leggenda, Myrindar.»
Si risollevò e la guardò negli occhi. Poi senza dire niente scostò i capelli dal suo viso.
Myrindar fissò le orecchie appena appuntite, ma inequivocabilmente elfiche.
«Ecco perché tieni sempre i capelli lunghi.»
Lui annuì.
«Come ti ho detto, mi riesce facile passare per un umano. Mi basta legare i capelli troppo lisci, scurirli appena con una tinta, stare sotto il sole in modo da rendere la pelle più scura... nessuno crederebbe che io sia un mezzosangue, se nascondo le orecchie a punta.»
La ragazza lo osservò sotto una luce nuova. Capì perché non l’aveva mai disprezzata. Non solo perché era gentile, ma anche perché aveva riconosciuto in lei un altro come lui, un altro “diverso”...
«Non ti stanca essere sempre qualcosa che non sei? Nascondere sempre qualcosa di te?»
Lei la maledizione la odiava soprattutto per questo. Non poteva mai essere se stessa, doveva sempre, costantemente fingere... e tentava di resistere, ma ogni tanto non ce la faceva più, e doveva scaricare tutta la tensione.
E crollava.
Jahrien la guardò con un sorriso amaro.
«Sono un Cavaliere Errante. Non posso permettermi di mostrarmi debole. Devo sempre essere positivo, calmo. Se crolla un Cavaliere Errante, come possono resistere le persone normali? Siamo i tutori della pace. Gli eredi degli eroi delle leggende.»
La ragazza lo abbracciò di nuovo, e sentì dopo qualche istante le braccia di lui sulla schiena.
Restarono abbracciati a lungo, senza dire niente.
 
***
 
Myrindar non riusciva a dormire, quella notte, e non era per le rivelazioni del suo amico. Si sentiva strana, sentiva un senso di oppressione al petto che le impediva quasi di respirare, e uno strano freddo la stava lentamente invadendo.
Si alzò a sedere, e quell’insieme di inquietanti sensazioni scomparve com’era venuto. Corrugò la fronte, perplessa.
Ma non ritornò, quindi si tranquillizzò. Si sedette contro un albero, circondando le gambe con le braccia, come faceva sempre quando era bambina. Il cielo era limpido, le nuvole se n’erano andate. La luna piena era salita quasi allo zenit, e spuntava bianca dalle foglie degli alberi.
«Non riesci a dormire?»
Jahrien comparve al suo fianco. Era tornato quello di sempre, calmo, con gli occhi luminosi. Eppure ora Myrindar poteva distinguere una velata malinconia, che il ragazzo non si sforzava più di nascondere.
«Nemmeno tu, sembra» gli rispose la ragazza.
«Già.»
Restarono in silenzio, persi ciascuno nei propri pensieri.
«La luna piena mi fa venire in mente una strana storia che mi raccontava sempre Tarazed» ricominciò Jahrien.
«Ti va di raccontarmela?»
Lui sorrise.
«Si dice che il re di Dokhet fosse un re buono e gentile. Giusto con i propri sudditi, non assetato di potere, giovane ma saggio. Sua moglie la regina era incinta per la prima volta, e avrebbe dovuto dare al mondo l’erede del re verso la fine dell’anno, quando i giorni tornano ad allungarsi e si avvicina la primavera. Ma poi, un brutto giorno di circa diciotto o diciannove anni fa, Uthrag l’Usurpatore uccise il re buono nel sonno, imprigionò la regina e con l’aiuto di un contingente di criminali prese il potere. Quella notte è ancora chiamata dagli abitanti di Dokhet la Notte di Sangue. Così iniziò il regno di guerra e distruzione di Uthrag l’Usurpatore. Ma la regina, nel buio della sua cella, conservava ancora dentro di sé l’erede del re, il legittimo erede al trono di Dokhet. Così partorì, di nascosto dall’Usurpatore, grazie all’aiuto di due servi fedeli. Progettarono tutto perché il bambino fosse portato al sicuro da un vecchio guerriero, un amico della regina. Ma fu presto chiaro che l’erede non era uno. La regina aveva partorito due bambini, che furono soprannominati “i gemelli della Luna”, perché la notte in cui vennero al mondo la luna piena si eclissò. Questo venne considerato un segno. Ma l’Usurpatore si accorse di tutto, strappò i due bambini dalle braccia della madre e li nascose in una prigione incantata sorvegliata da un’ombra. Il vecchio guerriero tentò di salvarli, ma riuscì a portare via dalla prigione dell’ombra solo uno dei due bambini, mentre l’altro restò all’Usurpatore. I bambini crebbero quindi separati, senza conoscere dell’esistenza dell’altro. Ma un giorno si scontreranno, e da loro dipenderà la sorte di Dokhet: se vincerà il bambino addestrato dall’Usurpatore, la tirannia continuerà, mentre se vincerà il bambino salvato dal vecchio guerriero, sarà la pace a trionfare.»
La ragazza non disse niente. Non aveva mai sentito quella leggenda: doveva essere una storia che si raccontava nell’impero, una speranza vana e quasi infantile di quelle persone distrutte da un’ormai ventennale tirannia. Sembravano disposte a credere a qualunque cosa, anche a un’evanescente fiaba per bambini.
Myrindar non disse niente. Gli occhi le si stavano chiudendo, mentre la stanchezza della giornata le piombava sulle spalle. Appoggiò la testa sulla spalla di Jahrien, e in pochi secondi dormiva.
 
***
 
E infine erano arrivati alla Foresta Dorata, dopo quasi venti giorni di viaggio. Myrindar era stanchissima, mentre conduceva il cavallo color miele attraverso una verdeggiante foresta. I suoi occhi saettavano da tutte le parti, attenti a cogliere anche il minimo movimento, mentre seguiva Jahrien sotto le fronde ombrose. Le aveva detto chiaramente di stare in guardia.
Gli Elfi sarebbero presto arrivati.
Colse un movimento rapidissimo con la coda dell’occhio. Si voltò di scatto, ma probabilmente se l’era immaginato. Riprese a seguire il ragazzo, con i nervi a fior di pelle.
Successe altre tre o quattro volte, e la ragazza cominciava a essere ansiosa. Vedeva movimenti ovunque, in ogni ramo pieno di foglie, in ogni goccia di resina che cadeva. Sentiva passi in tutti gli scricchiolii. Non ce la faceva più. Erano ore che era tesa come una preda in trappola.
Quando infine successe, fu senza preavviso. Né movimenti rapidi, né fruscii.
Soltanto una lama acuminata puntata sulla schiena, e una voce sottile che le intimava di stare ferma.
Anche Jahrien si bloccò, quando di fronte a lui comparvero tre figure che gli puntavano frecce affilatissime al petto. Un Elfo incappucciato gli si avvicinò e lo minacciò con una lunga spada sottile. Ci fu un breve scambio di parole che Myrindar non sentì, poi l’Elfo cominciò a esaminare il contenuto della borsa, e a requisirgli le armi. Il ragazzo non provò nemmeno a nascondere qualcosa. Sapeva sarebbe stato inutile.
Mentre succedeva questo, la ragazza restava immobile, osservando gli abitanti della foresta. Indossavano abiti semplici, delle tinte degli alberi. Non portavano l’armatura, erano armati di lunghi archi affusolati e spade leggere e dalla lama ricurva. I mantelli lunghi che indossavano, con il cappuccio che nascondeva il loro volto, erano a macchie di colori diversi, che rappresentavano l’alternarsi di luce e ombra della foresta, e rendevano molto più facile per gli Elfi nascondersi.
Erano creature strane. Erano davvero alti e snelli, ma non per questo erano sproporzionati: anzi, sembrava quasi che fossero perfetti, mentre gli uomini, così massicci e robusti fossero disarmonici. Si muovevano come se levitassero a qualche centimetro da terra, graziosi e leggiadri.
L’Elfo dietro di lei le intimò di camminare, e lei obbedì. Si sentì goffa e maldestra, in confronto a loro. Raggiunsero Jahrien e gli altri, e lo stesso che aveva perquisito il ragazzo fece lo stesso lavoro su di lei. Una volta consegnate tutte le armi, comparve da dietro di lei un sesto Elfo armato di balestra, che tenne i due ragazzi sotto tiro. Quello che li aveva perquisiti si portò di fronte a loro. Doveva essere il capo.
Portò le mani al cappuccio, e lo scostò con un gesto, rivelando una lunghissima treccia argentea, un volto candido e sottile, orecchie molto più appuntite di quelle di Jahrien e grandi occhi a mandorla dorati. Myrindar sbarrò gli occhi. Quella ragazza Elfa era bellissima, sembrava emanare luce, bianca e altera. Sembrava una regina, anche così, vestita da uomo, nel mezzo della foresta, senza trucco né gioielli. La ragazza si sentì infima, un verme appena sbucato da una zolla di terra spaccata, una caricatura abbozzata da qualcuno che non sapeva disegnare.
Jahrien trattenne il respiro, fissandola sorpreso.
«Keeryahel» sussurrò, sbalordito.
Myrindar non fece nemmeno in tempo a stupirsi del fatto che si conoscessero, che l’Elfa ghignò in modo quasi crudele.
«Bentornato, fratellino» disse, con quella sua voce sottile e quasi sibilante.








 
******* Famigerato Angolino Buio *******
*rullo di tamburi*
Tadaaan!! Finalmente sono riuscita a mettere la mappa!!
La metto anche su Facebook, sulla mia pagina (
Di mezzelfi, muffin e fucili laser - Cygnus_X1) così se andate meglio è anche là... perché qui su EFP ci sono dei limiti alle dimensioni delle immagini e non so quanto si legga.
E poi, visto che ben due persone mi hanno chiesto un disegno di Myrindar, l'ho fatto (è colpa vostra se ci rimettete gli occhi, ricordatevelo).

 
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