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Autore: Framboise    11/06/2014    4 recensioni
Italia, anno domini 1381: Eufemia ha diciotto anni ed è figlia di un macellaio piuttosto importante nella Corporazione dei Beccai. Non è come la vorrebbe suo padre, remissiva e pronta ad un buon matrimonio, ma gestisce la bottega di famiglia con pugno di ferro, proprio come un uomo. Quando però arriva un matrimonio combinato ad intralciare i suoi piani, la ragazza non ha che una soluzione: fuggire, nonostante la guerra che da anni insanguina la sua città ed il Comune vicino sia appena ricominciata...
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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CAPITOLO 6:


Eufemia, Alois e gli altri mercenari, le armi in pugno, seguivano il luogotenente su per uno stretto sentiero che si inerpicava su per la collina che sovrastava il campo di battaglia e nascondeva i loro movimenti ai nemici. Ruggero aveva spiegato loro che cosa avrebbero dovuto fare: il loro compito era quello di attaccare da dietro il contingente nemico, già impegnato in uno scontro contro il gruppo guidato da Agilulf, che di lì a poco avrebbe sferrato la sua offensiva. Essa avrebbe richiesto agli avversari anche l’aiuto dei soldati che pattugliavano la cima del colle, cosa che avrebbe lasciato loro il campo libero.
«Combatteremo soltanto noi della fanteria?» domandò la ragazza all’amico.
«Credo di no. Nelle retr... retrostrade ci saranno gli arcieri, aiuteranno a rompere i ranghi avversari. In più ci saranno i picchieri, naturalmente».
«Si dice “retrovie”, non “retrostrade”» lo corresse automaticamente lei, pensierosa. Poco dopo lo chiamò di nuovo, sussurrando.
«Non interverrà la cavalleria?»
«Non adesso, il capitano ha detto che sarebbe un inutile spreco di forze. Non possiamo rischiare che i cavalieri vengano uccisi subito: se loro subissero troppe perdite, poi non potrebbero attaccare di nuovo. È difficile che riescano a farlo due volte di fila, quindi è meglio che intervengano più tardi» mormorò lui di rimando.
«Silenzio!» ringhiò in quel momento Ruggero, voltandosi verso di loro con uno sguardo di fuoco. I due obbedirono, proseguendo la marcia senza più parlare.
Gli uomini camminavano ordinatamente, già disposti nelle posizioni prefissate per l’assalto. La ragazza si guardò intorno di sottecchi, osservando le espressioni dei suoi commilitoni: alcuni sembravano tranquilli o ostentavano un’indifferenza forzata, mentre altri sembravano nervosi e spaventati. Un ragazzo di poco più grande di lei, anche lui alla sua prima battaglia –veniva dal suo stesso Comune, infatti le sembrava di averlo già visto da qualche parte e le pareva che si chiamasse Antonio– era molto pallido e sotto gli occhi aveva le occhiaie scure di chi non dorme da vari giorni. Cercava di mostrarsi calmo, ma non riusciva a celare un tremito alle mani. Il luogotenente lo squadrò con il suo consueto ghigno di scherno e disse, a voce abbastanza alta da farsi sentire anche da lui: «Quel ragazzo non ce la farà. Sarà già tanto se arriverà al campo di battaglia senza pisciarsi addosso!»
Antonio arrossì violentemente, le mani che tremavano in modo ancora più evidente. Eufemia incrociò il suo sguardo e tentò di indirizzargli un sorriso, a cui lui però non rispose. “Odio doverlo ammettere, ma quel bastardo ha ragione: questo ragazzo non sopravvivrà allo scontro” rifletté cupamente. Nonostante i suoi pensieri di pochi giorni prima, una spiacevole ansia stava cominciando a farsi strada anche in lei: si sentiva stringere lo stomaco e tendeva nervosa l’orecchio, cercando di udire i rumori della battaglia. Quando finalmente arrivarono sulla cima, la ragazza guardò in basso e vide un confuso agitarsi di uomini e bestie nella pianura sottostante: il reparto guidato da Agilulf aveva già cominciato a combattere, impegnando tutte le forze del Comune avversario in un furioso corpo a corpo. Femia fece appena in tempo a pensare che era una vista quasi grottesca, ma in quel momento il luogotenente gridò loro di attaccare. Con un unico grido, i mercenari si lanciarono alla carica.

La battaglia infuriava intorno a lei. Eufemia non avrebbe mai pensato che sarebbe stata un’esperienza del genere: nella sua immaginazione, gli scontri si svolgevano con ordine, con i due schieramenti che si affrontavano l’uno davanti all’altro. Naturalmente, la sua esperienza era limitata alle poche e fugaci visioni di uomini armati e di armature splendenti che talvolta scorgeva dalla finestra della sua stanza ed alle canzoni dei menestrelli che aveva udito in città durante le feste più importanti. Si rese subito conto che tutto ciò che fino a quel momento aveva immaginato era radicalmente sbagliato: la battaglia non era affatto ordinata, anzi, le ricordava piuttosto una rissa da taverna. Gli uomini combattevano a distanza ravvicinata, le lame che ruotavano nell’aria cozzando violentemente contro le armature. Il clangore delle armi le riempiva le orecchie, stordendola, mentre ovunque intorno a lei piovevano le frecce degli arcieri; tutto il resto era una confusione di corpi che si agitavano e di cotte di maglia che scintillavano.
“Non riesco nemmeno a capire quali sono i nemici e quali i miei compagni!”
 La ragazza strinse la propria spada, quando un uomo alto e grosso si voltò verso di lei impugnando a due mani uno spadone. I due ingaggiarono subito un combattimento: Eufemia parò i primi colpi, ma l’uomo era troppo forte ed in breve tempo sentì la sua stretta all’elsa della spada farsi meno salda. A quel punto decise di attaccare. La ragazza fece una finta verso sinistra, poi, come le era stato insegnato durante l’addestramento, si spostò di scatto verso la parte opposta e menò un fendente verso la gola dell’uomo, una delle parti del suo corpo meno protette dall’armatura. L’avversario parò il colpo, ma subito Femia cercò di nuovo di colpirlo. Dopo vari minuti di scontro, la ragazza si accorse che l’uomo, nonostante la sua considerevole mole,  faticava a sollevare lo spadone: era un’arma più scomoda da sollevare rispetto ad una spada o ad un coltello, poiché per farlo bisognava usare entrambe le mani. Inoltre era molto ingombrante in una situazione del genere, in cui gli uomini si urtavano tra di loro e si colpivano ininterrottamente a vicenda; la spada di Eufemia era più fragile, ma decisamente più maneggevole.
“Io sono più agile, ma lui è più forte” pensò la ragazza, respingendo i successivi attacchi dell’uomo. “Se riesce a disarmarmi sono morta. Non posso parare tutti i suoi colpi, devo cercare di evitarli”.
Cominciò a muoversi rapidamente, schivando i colpi dell’avversario. Dopo alcuni minuti che le sembrarono eterni, finalmente quest’ultimo cominciò a mostrare segni di cedimento: i suoi fendenti erano ancora potenti ma meno frequenti, in più i suoi movimenti si erano fatti più lenti. Anche lei, però, era stanca: doveva trovare il modo di colpirlo, altrimenti avrebbe perso il vantaggio che era riuscita a conquistare. L’occasione le si presentò poco dopo, quando l’uomo strinse con più forza lo spadone e lo sollevò, lasciando scoperta la base del collo. Eufemia approfittò di quell’attimo per colpirlo con tutta la forza che le restava. La punta della spada penetrò tra le maglie dell’usbergo raggiungendo il collo del rivale, che crollò a terra con un rantolo e lasciò la presa sulla sua arma. La ragazza non fece quasi in tempo a rallegrarsene, o a stupirsi del proprio successo, che subito si ritrovò davanti un altro uomo. I colpi ricominciarono, ancora più violenti dei precedenti. Mentre combattevano, il suo rivale  fu improvvisamente abbattuto da un colpo di mazza: interdetta, la ragazza alzò lo sguardo, incrociando quello di un soldato enorme dalla corazza ricoperta di sangue. Subito si mise in posizione d’attacco, pronta a scagliarsi contro di lui, ma quest’ultimo sollevò la visiera dell’elmo, rivelando un volto devastato da una bruciatura ed un occhio mancante: era l’uomo che poco tempo prima aveva avuto una discussione con Wiligelmo.
«Cosa fai? Pensa ad attaccare gli avversari!» ruggì il suo compagno d’arme, voltandosi di scatto ad affrontare un altro avversario.
«Grazie!» gridò Eufemia, ma la sua voce si perse nel fragore della battaglia. Subito dopo dovette ricominciare a combattere.
I nemici sembravano non finire mai: non appena uno di loro cadeva, ecco che un altro veniva a prendere il suo posto. I colpi provenivano da ogni parte, amici e nemici si confondevano in un unico mare di corpi. A terra si trovavano i caduti, che rendevano lo scontro ancora più duro perché intralciavano i passi dei soldati. La ragazza era dolorante per i colpi subiti e sanguinava da varie ferite, anche se nessuna di esse sembrava molto profonda. Dopo quelle che le sembrarono ore di combattimento, era esausta e faticava a schivare i ripetuti attacchi. Ad un certo punto inciampò in uno dei corpi a terra, cadendo in ginocchio. Il suo avversario ne approfittò per sollevare la spada e calarla violentemente verso di lei, ma Femia parò il colpo impugnando la propria con entrambe le mani. Il metallo stridette e la lama slittò di lato. L’uomo ghignò, pronto a colpire di nuovo, ma in quel momento si sentì un frastuono che superava persino quello della battaglia. Era rumore di zoccoli: la cavalleria stava arrivando. In pochi secondi i cavalieri sfondarono i ranghi, causando una dispersione delle forze nemiche. Per non rimanere schiacciati, i soldati di entrambi gli eserciti tentarono la fuga ed Eufemia, approfittando della confusione, riuscì a rialzarsi e a portarsi fuori tiro per pochi attimi. Gridando per farsi coraggio, si gettò nuovamente nella mischia. Ad un tratto le parve di scorgere Alois, impegnato in uno scontro con un avversario: sembrava in difficoltà, quindi si avvicinò al nemico e lo colpì da dietro. Quando incrociò lo sguardo dell’amico gli sorrise, anche se lui non poteva vederla per via dell’elmo. I due ricominciarono a il combattimento fianco a fianco, cercando di pararsi le spalle a vicenda, mentre tutto intorno i nemici erano ormai allo sbando: la tattica di Agilulf aveva funzionato e l’arrivo della cavalleria aveva deciso le sorti della battaglia.

Quella notte, finiti gli scontri, Eufemia si sedette davanti al fuoco acceso, tra i suoi compagni. Avevano vinto, anche se a caro prezzo. Le sembrava incredibile pensarci, quelle due parole le sembravano così strane mentre le ripeteva tra sé e sé, ancora frastornata dopo i combattimenti... avevano vinto. I nemici che non erano riusciti a fuggire erano stati fatti prigionieri e nelle ore successive al conflitto lei e gli altri sopravvissuti avevano fatto la spola tra l’accampamento ed il campo di battaglia, trasportando i feriti. Gli uomini che conoscevano qualche rudimento di medicina avevano allestito una tenda in cui avevano cercato di organizzarsi per salvare i casi più gravi, mentre coloro le cui ferite non erano tanto pericolose avevano dovuto attendere ed aiutare i propri commilitoni, per quanto possibile. Le condizioni igieniche erano terribili, le bende (soprattutto quelle pulite) scarseggiavano e l’aria era piena delle grida e dei gemiti dei soldati. Alcuni suoi commilitoni erano tornati sul luogo del combattimento per saccheggiare gli averi dei caduti: li aveva visti affaccendarsi attorno ai corpi a terra. Molti di loro erano tornati indietro brandendo delle spade o dei pezzi di armatura che avrebbero poi rivenduto ai propri compagni d’arme. Femia li aveva osservati disgustata.
«Miserabili» aveva borbottato, afferrando sotto le ascelle l’ennesimo uomo e trasportandolo verso l’accampamento. Cercava di essere il più delicata possibile, ma era difficile camminare sul terreno accidentato e ad ogni scossone il poveretto si lamentava piano.
«È normale, Lodovico. Tutti fanno questo, tu sa?» le aveva risposto Alois, che reggeva le gambe del ferito.
«Questo non li giustifica. Anche se in effetti ai morti queste cose non servono più a granché» aveva ammesso lei.
Quando ebbero finito il loro compito, un uomo dall’aria stanca medicò i loro tagli con delle bende che avevano l’aria di essere già state usate da qualcun altro, quindi  poterono finalmente sedersi. Davanti alle fiamme che guizzavano scoppiettando, la ragazza si guardò intorno, cercando di capire chi dei suoi compagni fosse sopravvissuto. Wiligelmo stava aiutando i medici, il comandante girava per il campo insieme ad altri uomini del suo stesso grado per decidere le mosse successive, Ruggero era stato ferito ad una gamba ma era ancora vivo e vegeto. Ad un tratto la ragazza percepì un movimento accanto a lei. Si voltò rapida e vide che si trattava del ragazzo spaventato di quella mattina: inaspettatamente era sopravvissuto. Era pallido come un cencio ed aveva gli occhi spalancati e fissi su qualcosa che solo lui poteva vedere.
«Antonio!» lo chiamò, quasi sollevata. Lui la guardò spaesato e mormorò qualcosa che Eufemia non capì.
«Che cosa?»
«Un ragazzo» replicò lui, alzando leggermente la voce. «Lo avevo conosciuto qualche giorno fa, avevamo parlato qualche volta. Una brava persona, aveva due figli... è morto poco fa. Un colpo di spada alla testa. Non sapevo nemmeno come si chiamava. È morto accanto a me e io non sapevo nemmeno il suo nome...»
Eufemia ed Alois si scambiarono uno sguardo inquieto: nessuno dei due sapeva che cosa rispondere. In quel momento arrivò Wiligelmo, che aveva finito di curare i feriti. Doveva aver sentito il discorso di Antonio, perché si sedette accanto a lui, gli posò una mano sulla spalla e cominciò a parlargli a bassa voce, incalzante. Femia si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo: se c’era qualcuno che era adatto a gestire casi come quello, era il falconiere. Lui avrebbe saputo trovare le parole adatte a consolare il ragazzo. Nel frattempo anche gli altri mercenari avevano cominciato a parlare tra di loro: nonostante le perdite subìte erano piuttosto eccitati dalla vittoria ed il loro chiacchiericcio aveva qualcosa di allegro.
«Ce l’abbiamo fatta!»
«Certo! Cosa ti aspettavi? È difficile che le strategie di Agilulf si dimostrino sbagliate!»

La ragazza cercò di ascoltare le loro parole, ma la stanchezza la assalì di colpo. Non si era resa conto di essere così esausta. In pochi istanti, cullata dal mormorio dei soldati, si addormentò.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:
Avevo detto che avrei aggiornato entro la fine di maggio anche se ci fossero stati cataclismi vari... purtroppo non avevo tenuto conto del moltiplicarsi degli impegni con la banda musicale: chiedo venia! Ora che è finita la scuola, però, dovrei riuscire a rispettare i due aggiornamenti al mese, come promesso. Spero che questo capitolo vi piaccia!

  
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