Can’t keep my hands off you.
Nonostante
all’inizio fossi entusiasta di avere de settimane di completo
riposo, mi
dovetti ricredere quasi subito: con completo riposo, si intendeva anche
astinenza da musica, troppa lettura e computer. Giravo in casa come uno
zombie
di lunedì mattina. Era deprimente non poter fare niente.
Manuela e Carol
cercavano di stare in casa la maggior parte del tempo, ma anche loro
avevano
bisogno d’aria, quindi quando venivano i ragazzi ne
approfittavano, utilizzando
anche la scusa che troppo fracasso mi avrebbe fatto male. Luke,
tuttavia, era
sempre in casa. Sembrava essersi trasferito a casa nostra e nonostante
la mia
prigionia non mi lasciava da sola.
“Coco!”
mi
rimproverò Luke. Io incassai la testa nelle spalle,
consapevole di essere stata
presa con le mani nel sacco. Mi pulii in fretta le dita e mi voltai
verso di
lui, la bocca piena, nascondendo il pacchetto di patatine dietro la
schiena. Lo
guardai con espressione angelica, battendo candidamente le ciglia.
“Cosa
mangi?” mi chiese truce. “Io? Non sto
mangiando!” tentai di difendermi. Lui mi
lanciò un’occhiata scettica. “Guardati
allo specchio!” mi disse. Io andai
davanti al forno, con l’anta a specchio, e per poco non mi
soffocai dal ridere.
Sembravo tanto un criceto con le guance piene.
“Metti
giù
le patatine, subito!” mi intimò. Io alzai gli
occhi al cielo e gliele
consegnai. “Sembri mio padre!” mi lamentai.
“Tuo padre scapperebbe con le
patatine?” chiese lui. Io scossi la testa, mentre lui si
avvicinò a me e mi
diede un piccolo bacio sul naso. “Questa sarà la
prova che non lo sono” mi
sussurrò, prima di correre in sala. Io rimasi oltraggiata
qualche secondo,
prima di deglutire e lanciarmi all’inseguimento. Mi venne da
ridere quando vidi
il suo nascondiglio. “Non ti si vede proprio, dietro la
tenda, eh?” commentai.
“No guardi, si sbaglia, sono il fratello del fantasma
Formaggino!” rispose lui.
“E come si chiama?” chiesi cercando di non ridere.
Lo vidi esitare. “Il
fantasma Patatino” disse poi, uscendo allo scoperto con il
sacchetto a
nascondergli la faccia. “In questo momento sono invisibile,
perfettamente
mimetizzato” fece lui con tono cospiratorio. Io mi misi a
ridere, notando che
si muoveva lentamente, senza mai darmi le spalle. Improvvisamente,
inciampò e
finì ruzzoloni sul divano. Io scoppiai a ridere.
“Luke? Stai bene?” chiesi poi.
Lui annuì. “Ma le patatine no” fece poi,
mostrando il sacchetto che aveva
schiacciato con la schiena. Per un momento mi venne da chiedergli come
avesse
fatto a finire lì, quel sacchetto, ma preferii tacere.
Invece, mi avvicinai a
lui e mi sedetti al suo fianco. Subito lui mi abbracciò,
mentre le patatine
venivano dimenticate sul tavolino di fronte a noi. Gli stampai un
piccolo bacio
sulle labbra e lui s’imbronciò. “Cosa
c’è?” chiesi ridacchiando. “Io
voglio un
bacio vero” si lamentò con voce da bambino. Io
sorrisi e lo accontentai,
approfondendo il secondo bacio. “Felice?” chiesi
poi. Lui fece un sorrisetto da
demente. “Sì” gongolò,
facendomi ridere. “Che bambino” dissi, affondando
il
viso nella sua maglietta, inspirando il suo profumo così
buono, familiare.
“Ehi, ho diciassette anni. Non puoi pretendere che sia sempre
serio” fece. Io
gli diedi ragione e lui mi prese per i fianchi, portandomi sulle sue
gambe.
Catturò le mie labbra, di nuovo. Perdemmo
l’equilibrio e finimmo distesi sul
divano, con lui sopra di me. Ridacchiammo qualche secondo, prima di
perderci di
nuovo.
Non
sentimmo la chiave nella toppa, né tantomeno il rumore della
porta che si
apriva. “Ditemelo, se volete perdere la verginità
su quel divano. Ci metto
sopra una fodera!” commentò Manuela. Noi ci
separammo subito, rossi in viso.
“Non dovete vergognarvi!” esclamò
Manuela ridendo. “È più forte di
noi!” risposi
io, torturandomi le dita. Essere così in intimità
con lui in presenza di qualcuno
mi imbarazzava tantissimo e così doveva essere anche per
Luke, a giudicare dal
suo rossore.
“Andiamo
di sopra?” mi chiese a bassa voce. Io annuii e ci defilammo
mentre gli altri
non guardavano. Mentre salivamo le scale, sentimmo un: “No,
spiegatemelo, un
attimo fa eravate qui, mi volto e non ci siete
più!” ridacchiammo nel sentire
Carol confusa, prima di correre in camera mia. Presi i fogli sparsi sul
letto e
tentai di dar loro un senso logico. “Luke, mi aiuti a trovare
la pagina tre?”
chiesi. Lui mise un ginocchio sul letto e iniziò a frugare
fra i fogli. “Cosa
sono?” chiese poi, scrutandone un paio. “Una bozza
di una nuova storia. Mi
piaceva come idea e sto provando a metterlo per iscritto”
spiegai. “Posso
leggere?” chiese con occhi luminosi. “Non so se
è il tuo stile. È leggermente
dark. Parla di una demone che deve trovare un angelo per tagliargli le
ali e
diventare la regina degli inferi. La demone, Nadir, è molto,
come dire,
assetata di sangue” feci, porgendogli la prima pagina. Lui
fece spallucce e
iniziò a leggere. Lo vedevo rabbrividire di tanto in tanto.
Quando arrivò alla
pagina due, fece una smorfia e si portò una mano sul collo.
“A che punto sei
arrivato? Sembri inorridito” ridacchiai. Lui mi
indicò le righe in questione:
“T-tu
sei pazza” disse lui, sempre
balbettando. Nadir s’infastidì.
“Risposta sbagliata” disse prima di far
scattare il collo del ragazzo di lato e affondare i denti nella pelle
lattea e
sottile. Gli altri due erano paralizzati dall’orrore, mentre
il ragazzo sotto i
suoi denti urlava dal dolore. Il sangue schizzò nella sua
bocca e sul
pavimento, caldo, pulsante di vita, delizioso.
“Mi
fai
paura!” disse Luke, rabbrividendo. Io mi misi a ridere.
“Te l’ho detto, che è
dark. Io non sono solo una tenera bambina.”
“Ma
la parte
vampira mi spaventa!” fece lui. “Non reggo bene
questo tipo di libri” aggiunse
poi. “Mi dispiace per te, perché io lo
adoro” risposi ridacchiando. Poi mi
ricordai di dover cercare la pagina tre e sbuffai, guardandomi intorno
nel
marasma di fogli che mi circondavano. “Aiuto”
sussurrai. Luke capì e si lasciò
scappare un risolino.
Un quarto
d’ora dopo, decidemmo di scendere. Appena arrivammo, vedemmo
Ashton al
telefono, con aria assorta, mentre prendeva appunti. “Ok, ci
saremo” fece poi,
prima di chiudere la telefonata. “Allora?” chiese
Carol, al suo fianco. Ashton
esultò prima di abbracciarla. “Che ci siamo
persi?” chiesi. “Luke, scalda la
voce, dobbiamo provare il nostro repertorio! Fra una settimana
c’è un concorso,
una guerra fra band, e ci saranno molti manager che potrebbero
lanciarci in
alto!” fece. Luke ed io rimanemmo a bocca aperta.
“Stai scherzando, vero?!”
chiese lui. Ashton scosse la testa. Aveva gli occhi troppo luminosi, il
sorriso
troppo sincero, per essere una presa in giro. Sentimmo dei passi veloci
al
piano di sopra, che preannunciarono Manuela, Michael, Calum e Madison.
“Cos’è
questa storia?!” chiese Manuela. Ashton spiegò
loro tutto e i quattro
lanciarono ovazioni entusiaste. “Andiamo a casa, allora! Che
ci facciamo ancora
qui?!” fece Michael. “Posso venire anche
io?” chiesi, implorante. Loro mi
guardarono indecisi. “Quanto manca allo scontare della
pena?” chiese Calum.
“Tre giorni” rispose
Luke. “Forse non ti
farebbe bene tornare alla vita normale di colpo…”
“Quindi
si
potrebbe iniziare a farti uscire…”
Io
esultai, felice. Corsi di sopra a mettermi le scarpe e fui di sotto in
dieci
secondi, mentre loro iniziavano ad andare in macchina. Nel giro di un
quarto d’ora
fummo a casa dei ragazzi. Mi ricordai subito la prima volta in cui ci
ero
stata, subito dopo il primo concerto cui avevo assistito dei ragazzi.
La prima
volta che rivedevo Luke dopo quattro mesi.
Adesso, la
prospettiva di quattro mesi lontano da lui mi avrebbe ucciso.
Appena
superai la porta, vidi Pericle scappare. “Che gatto
autistico!” commentò
Ashton. Ridacchiammo, mentre i ragazzi andavano a prendere gli
strumenti.
Esattamente
una settimana dopo, avrei ucciso chiunque mi fosse capitato sotto tiro.
“Carol!” urlai. “Cosa
c’è?!” mi chiese lei, da camera sua.
“Il vestito nero!”
“Non
so
dove sia!”
“L’hai
fatto te, il bucato!”
“Sono
passati mesi da quando l’hai usato!”
“Voglio
sapere che fine ha fatto il mio vestito preferito!”
“Non
ne ho
idea!”
“Carol!”
“Coralie!”
“Zitte!”
intervenne Manuela, esasperata. “State facendo venire un
esaurimento nervoso a
me!” aggiunse. “L’esclusiva sugli
esaurimenti nervosi ce l’ho io!” ribattei.
Manuela mi zittì, buttandomi un mio vestito in faccia.
“Mettiti questo e chiudi
la bocca!” esclamò. Io sbuffai e osservai il
vestito che mi aveva lanciato.
“Dov’era?! Non lo trovavo
più!” esclamai. Vidi Carol scappare e intuii la
possibile risposta di Manuela, che non tardò ad arrivare:
“Era nell’armadio di
tua cugina.”
Se fossi
stata un cartone animato, le orecchie avrebbero iniziato a fumare.
“Carol!”
urlai. “Giuro che me ne ero dimenticata! L’ho preso
in prestito solo una sera!”
si difese lei. Non feci in tempo ad attuare la mia tremenda vendetta,
che il
campanello suonò. Ci guardammo allarmate.
“Muoviti!” fece Manuela, chiudendomi
in camera. Io mi tolsi la maglia in fretta e la buttai sul letto,
mentre i
pantaloni facevano la stessa fine. Mi stavo infilando il vestito quando
la
porta si aprì, rivelando Luke. Lanciai un piccolo urlo e lui
chiuse subito,
balbettando scuse insensate, viola dalla vergogna. Finii di infilarmi
le
spalline e sbuffai, avevo bisogno di una mano per la cerniera.
“Luke?” chiamai.
“Posso entrare?” mi chiese lui. Io confermai e lui
aprì lentamente la porta, lo
sguardo basso, la testa affondata nelle spalle. “Mi dispiace,
non pensavo che…”
iniziò. Io lo zittii con un piccolo bacio. “Non
preoccuparti. È capitato,
punto” sussurrai. Lo vidi sorridere piano, ma nei suoi occhi
c’era ancora senso
di colpa.
A volte,
questa mia capacità mi faceva vedere cose di cui non avrei
voluto accorgermene.
Non sapevo
se considerarlo più un bene o un male.
“Mi
aiuti
con la cerniera?” chiesi, voltandomi. Lui annuì e
chiuse la zip, fredda al
contatto con la mia pelle. Poi, senza dire niente, mi
abbracciò da dietro. Io
rabbrividii, sapeva quanto quel gesto mi mandasse fuori di testa e non
esitava
a sfruttarlo a suo vantaggio. Se mi avesse baciato sul collo, mi sarei
sciolta.
Quasi
avesse letto il mio pensiero, mi posò le labbra poco sotto
il lobo dell’orecchio.
Poi risalì, fino a sussurrare le parole di una canzone:
‘Cause
on
the street, or under the covers
We
are stuck
like two pieces of Velcro
At
the park,
in the back of my car
It
doesn’t
matter what I do,
No,
I can’t
keep my hands off you.
Io sorrisi
piano, voltandomi fino ad incontrare le sue labbra morbide. Ogni bacio
con lui
era un assaggio di paradiso, in cui il tempo si fermava ed eravamo solo
noi.
Amavo sentire il sapore delle sue labbra, avevo imparato ad amare anche
il suo
piercing e il modo in cui mi mordicchiava piano quando voleva
approfondire. Amavo
quando le nostre lingue si intrecciavano in quella che molti definivano
una
battaglia, ma che io preferivo chiamare danza, perché in
essa non c’era voglia
di prevalere, solo intrecci dolci, infinitamente dolci e delicati.
Avrei
voluto dirgli tutto questo, ma dalle mie labbra sfuggì solo
un: “Ti amo.” Lui
catturò immediatamente le mie labbra, lasciandomi a malapena
il tempo di
riprendere fiato, ma lo sentii sorridere nel bacio.
Avremmo
continuato così per molto tempo, se non fosse stato per
Madison, che ci ricordò
– col fiatone per la corsa – che eravamo in ritardo
per la competizione.
Guastafeste.
Arrivammo
al locale adibito a campo di battaglia. Era grande, poteva contenere
molte persone,
a mio parere. I ragazzi entrarono dal retro, mentre noi fummo costrette
a
rimanere in fila per entrare.
“Questa
coda non l’ho vista nemmeno con i saldi al centro
commerciale!” si lamentò
Carol, innervosita dagli spintoni che riceveva ogni istante.
“Tranquilla, manca
poco” disse Madison, accomodante. In effetti, davanti a noi
c’erano solo cinque
persone, ma il tizio alla cassa sembrava davvero incompetente.
“Quante ore ci
vogliono per battere uno scontrino?!” chiese Manuela,
esasperata. Io preferii rimanere
in silenzio. “Per me, Coco è più
agitata dei ragazzi!” fece Carol,
ridacchiando. “E dai, non potete biasimarmi! È
un’occasione unica per loro!” mi
difesi. Aveva ragione, ero tesa. Se avessero trovato qualcuno disposto
a
sponsorizzarli? Cosa sarebbe successo, poi?
Passò
ancora un quarto d’ora e finalmente riuscimmo ad entrare.
Inutile dire che non
c’era un posto libero nemmeno a pagarlo. Optammo
così per stare in piedi sotto
al palco, mentre degli operatori lavoravano per sistemare i diversi
strumenti. Non
avendo niente da fare, mi ritrovai ad ascoltare le chiacchiere dei miei
vicini.
“Come si chiama, la band?”
“Let
me
love you.”
“Sembra
il
nome di una canzone…”
“L’hanno
preso dalla loro prima canzone, appunto.”
“Si
spiega
tutto.”
“Sai
chi è
la cantante?”
“No.”
“La
Vale!”
“Seria?!”
“Sì,
e
alla batteria Francesco.”
“Cantano
cover?”
“No,
solo
originali.”
“Mi
sembra
che sia una regola, no?”
“Sì,
si
devono presentare almeno
cinque
inediti.”
Io
sorrisi. Ero curiosa di sentire questo gruppo, più che altro
perché mi aveva
ricordato la prima liceo. Non riuscivo a capire da che parte venissero
le due
voci, ma la prima mi era stranamente familiare. Non ci feci caso, molte
volte
il mio udito si sbagliava.
In pochi
minuti, il presentatore iniziò a elencare i nomi delle band,
in ordine. Ce
n’erano di improponibili: i “Frappé alla
fragola”, ad esempio. Per poco non mi
misi a ridere. Agli ultimi, sentii i “5 seconds of
summer” e sorrisi. Dopo di
loro, venivano i “Let me love you”. Su uno schermo
vennero presentati i turni
ad eliminazione e sentii un insensato moto di sollievo nel notare che
il gruppo
dei ragazzi e i “Let me love you” erano in due
gironi diversi. Non so perché,
ma la curiosità verso quest’ ultimo gruppo mi
faceva desiderare che arrivassero
in finale. Ovviamente, contro i 5 seconds of summer. Potevo essere
incuriosita
al massimo, ma avrei tenuto sempre per loro.
Finalmente,
arrivò il turno dei ragazzi. feci cenno a Luke di
avvicinarsi e lui si chinò,
in ginocchio. “Cosa cantate?” chiesi. “Amnesia”
mi rispose. Io sorrisi incantata, ero innamorata di quella canzone,
nonostante
fosse dannatamente triste. “E
le altre quattro?”
“Wherever you
are, Heartbreak girl, Good girls e
She looks so perfect.”
“Mi
vuoi
morta?!”
“No,
ma
dobbiamo fare colpo su i possibili manager, quindi ci andiamo
giù pesante con
le canzoni migliori.”
“Mi
pare
logico.”
“Adesso
torna lì, che ci guardano tutti male.”
“Mi
raccomando!” esclamai, dandogli un bacio sul naso e tornando
al mio posto.
Sentii che
presentavano il gruppo e la canzone, poi mi persi nelle dolci note
della
canzone.
Quando
iniziò il ritornello, mi sentii sciogliere.
I
remember
the day you told me you we’re leaving
I
remember
the make-up running down your face
And
the
dreams you left behind, you didn’t need them
Like
every
single wish we ever made
I
wish that
I could wake up with amnesia
And
forget
about the stupid little things
Like
the way
it felt to fall asleep next to you
And
the memories
I never can escape
‘cause
I’m
not fine at all
Casualmente,
le mie orecchie captarono di nuovo i commenti delle due che parlavano
prima:
“Sono davvero bravi.”
“Già,
e
poi il cantante è anche carino!”
“Scusa?”
“E
dai,
non dire che non è vero!”
“Mi
dispiace
per te, ma sono già fidanzata.”
Mi venne
da pensare un: “Meglio per te.” Nessuno poteva
anche solo osare di pensare
quelle cose. Luke era proprietà privata. Improvvisamente,
sentii un moto di
gelosia. Mi ripromisi di parlarci, se avessero fatto ancora quei
commenti.
Quando
finì la canzone, si scatenarono gli applausi. Vedevo i volti
radiosi dei
ragazzi ed ero felice per loro, mentre battevo le mani.
“Adesso tocca al mio
patato!” esclamò di nuovo la voce che prima aveva
detto di essere fidanzata. Vidi
salire sul palco quelli che dovevano essere i Let me love you e rimasi
a bocca
aperta.
“Ma
quella
non è Valentina?!” esclamò Manuela,
arpionandomi il braccio. “E l’altro è
Francesco, quello della B!” convenne Carol. Io
improvvisamente mi voltai verso
le due voci, facendomi largo tra la folla. Forse avevo capito a chi
apparteneva
una delle due.
Infatti,
mi ritrovai faccia a faccia con Giorgia.
“Giorgia!”
esclamai, entusiasta. Lei mi guardò un attimo prima di
sgranare gli occhi.
“Coco!” fece, abbracciandomi. “Giorgia,
chi è?” chiese la seconda voce. Mi
voltai verso di lei, non la conoscevo. Era alta, i capelli tinti di
platino, la
pelle abbronzata, gli occhi truccati pesantemente. “Eravamo
compagne di classe
al liceo prima che cambiassi indirizzo. Piacere, mi chiamo
Coralie” dissi, con
una nota di freddezza che non doveva essere notata se non
dall’altra. I
commenti che aveva fatto su Luke mi avevano fatto diventare molto
fredda, nei
suoi confronti, ancora prima di conoscerla. “Elena,
piacere” rispose lei. Nello
stesso momento, da qualche parte sbucò Luke.
“Eccoti qui!” mi disse,
circondandomi la vita con un braccio e stampandomi un bacio sulla
fronte. Io
guardai con la coda dell’occhio Elena, palesemente disturbata
da quella scena.
“Gio, vado a prendere da bere” disse, prima di
sparire. Brutta bestia, la
gelosia. Mi venne in mente che Giorgia odiava quel soprannome.
Giorgia mi
guardava sorpresa. “Hai capito a Coco?”
commentò, facendomi ridere. “Giorgia,
lui è Luke. Luke, Giorgia” dissi. I due si
strinsero la mano con sorrisi
cordiali, al contrario di me ed Elena. “Prima non ho potuto
fare a meno di
ascoltarvi. Chi è il tuo patato?” chiesi poi. La
vidi riempirsi d’orgoglio e
indicò Francesco. “Davvero?!” feci. Lei
annuì entusiasta e io l’abbracciai,
ricordando tutti i mesi di appostamenti fatti per quel ragazzo.
“Coco,
non c’è! Non c’è!”
“Tranquilla,
vedrai che arriva!”
“Non
c’è!” fece Giorgia, urlando a
bassa voce. Eravamo contro i due stipiti della porta della nostra
classe,
aspettando che Francesco passasse. Era l’unico modo per
arrivare alla sua
classe. “Vuoi che andiamo a vedere
l’orario?” chiesi. Lei annuì e
attraversammo
il corridoio, non ottenendo nessuna risposta in più. Stavamo
tornando in
classe, mentre lei diceva una marea di “No!”
disperati, quando le toccai un
braccio. “Giorgia” feci solo, a bassa voce. Lei
seguì il mio sguardo e sbarrò
gli occhi. “Merda, no, no, no!” fece, mentre io mi
trattenevo dal ridere: era
di fronte a noi, con i suoi amici, che ci guardavano come a chiedersi
se stessimo
male. Davvero, stavo per scoppiare.
“Coco,
levati dalla porta!” esclamò
frettolosa. “Sta passando” dedussi ridacchiando.
Lei annuì sorridendo
incantata, mentre io mi toglievo dalla traiettoria. In quel momento,
entrò il
prof, che chiuse la porta. “No, prof! La prego!”
fece a bassa voce Giorgia.
“Claudia,
sapresti il nome di questo
ragazzo?” chiesi, mostrandole il cellulare di Giorgia.
“Sì, è Francesco, della
B” rispose lei dopo un attimo. Vidi Giorgia sorridere
imbambolata, avevamo
orario e nome, le piccole stalker che erano in noi avevano fatto passi
da
gigante in un’ora.
“Come
vi
siete conosciuti, allora??” chiesi. “Ti ricordi la
crociera??” mi chiese. Io
annuii, si riferiva alla vacanza di prima liceo. “Ecco,
c’era anche lui! E
casualmente – sottolineiamo casualmente –
continuavo ad incontrarlo…” dal modo
in cui lo disse, intuii che non era affatto casuale. Mi venne da
ridere. “Ad un
certo punto, eravamo al bar, volevo prendere qualcosa di freddo
perché faceva
troppo caldo. Lui si è avvicinato e mi ha offerto da bere,
dicendo di avermi
già vista da qualche parte. Io gli ho spiegato di essere
della sua stessa
scuola e lì abbiamo iniziato a parlare, non abbiamo smesso
per tutto il
pomeriggio, davvero! La sera mi ha chiesto di cenare con lui. Da
lì è partito
tutto ed eccoci qui!” spiegò trepidante. Io
l’abbracciai, ero davvero felice
per lei. Fummo interrotti dalla presentazione della loro canzone,
chiamata I’m in love with you.
Vale
cantava davvero bene, mi piaceva il loro stile. Erano bravi, forse una
delle
poche band serie in quel concorso. Il testo era la dichiarazione di una
ragazza, costretta a vedere colui di cui era innamorata con una
sbagliata, che
non faceva altro che usarlo.
Why
can’t
you see the truth?
I’m
in love
with you.
Alla fine,
applaudii, nonostante in teoria dovessi tenere per la band dei ragazzi.
Mi
voltai verso Luke e vidi che stava battendo le mani a sua volta. Questo
mi fece
sorridere. Sentii Giorgia avvicinarmi a lei e sussurrarmi:
“Io ti ho spiegato
come io e Francesco ci siamo incontrati. Tu però mi devi
raccontare per filo e
per segno della storia con Luke.” Io ridacchiai e annuii,
prima di voltarmi
verso di lei e vedere che Elena stava tornando indietro. Giorgia
seguì il mio
sguardo. “Fai attenzione. Ha messo gli occhi su
Luke” mi disse. “Ho sentito, e
deve solo provare ad avvicinarsi. Le raddrizzo quel profilo rifatto che
si
ritrova” feci a denti stretti. “Come mai frequenti
una come lei?” chiesi poi.
“È un’amica della sorella di Vale, che
adesso è sul palco alla tastiera. Quindi
mi si è attaccata addosso, e fidati, non è
bello” fece torva. “Se avessi un
modo per separarti
dall’arpia, verresti
con me?” chiesi. Lei annuì in fretta, facendomi
ridere. Le presi una mano e la
portai da Carol e Manuela. Eravamo meglio di un trio di mastini, contro
le
ragazze come Elena.
“Giorgia!”
urlò entusiasta Manuela, gettandogli le braccia al collo,
imitata da Carol.
Vidi Elena avvicinarsi e ci scambiammo un gesto d’intesa.
“Gio, vieni fuori?
Devo fumare una…”
“Giorgia
è
occupata, non vedi?”
“Penso
abbia di meglio da fare che farsi soffiare fumo nei polmoni da un
individuo
come te” fecero Carol e Manuela. Elena le guardò a
bocca aperta. “Mi state
dando della ragazza facile?” chiese. Io ridacchiai, era
cascata nella trappola.
“Tesoro, non l’abbiamo mai detto. Sei tu che
l’hai dedotto. La coda di paglia
fa brutti scherzi, eh?” fece Madison. La guardammo stupita
qualche secondo,
prima di tornare a fissare Elena, che era diventata paonazza. Quando se
ne
andò, furiosa, mi voltai verso Madison. “Primo,
complimenti. Secondo, mi hai
rubato il ruolo!” feci. Lei si mise a ridere.
“Scusate, ma mi aveva già
innervosito quando era venuta qui ancheggiando come se non avesse
articolazioni. Se lo meritava!” disse. Giorgia
esultò. “Mi avete liberata
dall’arpia! Io vi amo!” esclamò. Vidi
Luke che si scriveva qualcosa sulla mano.
“Che fai?” chiesi curiosa. Lui mi porse il palmo,
dove c’era scritto a
caratteri cubitali: “Appunti. Attenzione! Mai mettersi contro
Coco, Carol, Manu
e Maddy.” Mi misi a ridere e lo abbracciai. Sentii la borsa
vibrare e tirai
fuori il cellulare. Messaggio da Giorgia: “Se adesso non esci
con lui, non ti
parlo più.” Ridacchiai e mi voltai verso di lei.
Vidi che stava indicando
l’entrata del locale con aria truce, imitata dalle ragazze.
“Ho come l’impressione
che vogliano farci uscire” sussurrò Luke.
“Almeno uno di voi due l’ha capito!!
Fuori di qui!” fece Madison. Noi ci mettemmo a ridere, per
poi sgattaiolare
fuori, dall’uscita sul retro. Lui sospirò di
sollievo quando respirammo l’aria
fresca della sera. “Si soffocava, lì
dentro!” dissi. Lui annuì e mi
abbracciò
alle spalle. “Scusa, è più forte di
me” mi disse, prima di baciarmi piano sotto
il lobo dell’orecchio. Io intrecciai le nostre mani, non potendo fare altro.
“In che senso, è più
forte di te?” chiesi poi. “Nel senso che non riesco
a starti lontano” sussurrò.
Ciondolando
da un piede
all’altro come pinguini, ci
sedemmo su un muretto che delimitava un prato. O meglio, lui si sedette
sul
muretto, io sulle sue gambe. Cercai le sue labbra immediatamente, ma
lui mi
bloccò. Mi fece segno di rimanere in silenzio e di
nascondermi dietro al
muretto, con un sorriso da complotto. Io seguii il suo sguardo e vidi
Michael e
Manuela avvicinarsi, mano nella mano. Il mio passatempo preferito?
Oltre che a
stare con Luke, ovviamente, era spiarli. Mi buttai dietro il muretto
stile
balenottera azzurra e vidi Luke che si sforzava di non ridere mentre mi
seguiva. “Coco! Attenta al vestito bianco!” mi fece
poi a bassa voce. Io
guardai a terra e notai di essere ad un centimetro da una pozza di
fango. Sospirai
di sollievo per averla evitata.
Michael e
Manuela si sedettero dove eravamo noi prima e noi ci trattenemmo dal
ridere, di
nuovo, poiché sarebbe bastato loro voltare di un millimetro
la testa per
vederci. Quest’aria di pericolo rendeva il tutto ancora
più divertente.
Decisamente
avevo dei precedenti come spia, e anche Luke.
Erano
passati una decina di minuti, in cui loro non avevano fatto altro che
coccolarsi e noi spiarli e concentrarci per non ridere.
Improvvisamente, Luke
sbiancò. Mi fece segno di stare in silenzio e
indicò un punto di fronte a me
sul muretto. Io, perplessa, seguii il suo sguardo e mi sentii morire.
Ad un
centimetro dal mio naso c’era un ragno enorme.
Lanciando
un urlo spaventoso, saltai lontano dal muretto, correndo per un paio di
metri e
passandomi le mani sulle braccia, quasi sentissi
quell’aracnide schifoso
zampettarmi allegramente addosso. Manuela e Michael si presero un
infarto come
minimo e Luke corse verso di me. “Toglimelo di
dosso!” feci isterica. “Coco,
non è su di te!” rispose, prendendomi i polsi e
obbligandomi a calmarmi. “Si
può sapere che ci fate qui?!” esclamò
Manuela, ancora col fiatone per lo
spavento. In quel momento mi ricordai che non dovevamo farci vedere.
Ops.
“Ehm,
niente, avevo perso un orecchino.” Tentai. Già dal
mio tono si capiva che era
una scusa. “Da quanto tempo cercavate questo
orecchino?” fece lei,
virgolettando l’ultima parola. Io mi esibii in
un’espressione che aveva da
invidiare solo l’aureola ad un angelo.
“Ragazzi,
tocca a voi!” fece la voce di Madison, dalla porta. Io e Luke
ne approfittammo
per dileguarci in fretta e furia. Passandole di fianco, ringraziai la
nostra
salvatrice in abito color confetto.
“In
bocca
al lupo, pinguino!” gli dissi, prima che lui salisse sul
palco. “Crepi,
piccola!” rispose dandomi un bacio sul naso. Io sorrisi,
tornando al mio posto.
La serata
era appena iniziata, e già avrei voluto non finisse mai.
*Angolo autrice*
Erin Sanders as Valentina
Alexis Bledel as Giorgia
Alex Pettyfer as Francesco
Il vestito di Coralie, Madison, Giorgia e Valentina (quelli di Manuela e Carol sono gli stessi del primo capitolo)
Ero indecisa su quale canzone dovesse essere il tema di questo capitolo, quale scegliere fra can’t keep my hands off you e they don’t know about us. Alla fine ho scelto la prima, ma solo perché la seconda la voglio tenere per un capitolo speciale.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito, messo la mia storia fra le preferite/seguite/ricordate o semplicemente sono arrivati fino a qui, mi dileguo
Ranya