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Autore: EsterElle    12/06/2014    2 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9
Rosso rabbia



 
La notte era scura, nel Mondo di Sotto. Poche stelle illuminavano quel cielo e la luna era oscurata da grandi nubi.
Due figure si stagliavano contro l’imboccatura del tunnel, protette dalla sua cavità, i volti illuminati grazie ad una lanterna.
Il ragazzo poggiava le spalle alla parete di roccia e terra, insudiciandosi la bella tunica, e, a gambe incrociate gesticolava a più non posso.
La ragazza, invece, se ne stava rannicchiata, le gambe contro il petto e il mento sulle ginocchia. Aveva gli occhi stanchi e vitrei per il sonno, ma ascoltava attenta gli sproloqui del compagno.
“Dovremmo chiedere un permesso, Elsa, o qualcosa del genere. Non possiamo starcene qui con le mani in mano mentre quelli che dovremmo proteggere soffrono e vengono attaccati dalla Regione più potente di Cadmow!” stava dicendo, bisbigliando con forza.
“Ma Dima, noi non siamo ancora pronti. Io non lo sono! Non sono brava a gestire il mio potere”
“Non ti devi preoccupare per questo. Siamo una squadra: tu farai la mente ed io il braccio”
“E secondo te funzionerà? Noi due contro la Regione del Sud?”
“Ma certo! Perché non siamo soli: Petar è dalla nostra e anche il Supremo ci appoggerà. Insieme, scoraggeremo qualsiasi attacco da parte di Orwen e aiuteremo la nostra gente a guarire da questa malattia. È perfetto, Elsa!” si esaltò lui, prendendole una mano.
“Non direi, Dima. Noi non possiamo allontanarci da questo posto, non prima del mio compleanno. Ricordi? Non possono esserci due Guardiani del Nord”.
“Ci saranno, invece”
“Come?”
“Faremo come dice Petar, fuggiremo”
“Petar è così coraggioso nelle sue scelte. Viene qui, ci incoraggia ad essere amici contro le regole, ci sostiene e ci suggerisce un piano di fuga: io non so se potrò fare altrettanto. Ho paura” ammise lei, a testa bassa.
“Ma allora cosa vuoi, Elsa? Vuoi che ci scoprano, che ci dividano ancora e puniscano Petar in chissà che modo orribile?”
“No! Assolutamente no!”
“Non abbiamo altra scelta, allora”
Lei sospirò.
“Insieme?”
“Sempre”
“Non so come farei ad affrontare tutto questo da sola. È bello averti qui con me” sorrise lei, leggermente imbarazzata.
“Già. Non riesco ad immaginare come abbiano fatto gli altri Guardiani a vivere ad Odundì circondati solo da monaci” annuì lui.
“Sai cosa penso, certe volte?”
“No, dimmi”
“Che non è stato tutto uno sbaglio. Dira vede più lontano di noi, dicono sempre i monaci. Ecco, per me è vero: lei sapeva che divisi non avremmo mai potuto farcela” sorrise lei a quel pensiero.
“Mi piace pensare che le cose siano andate così” aggiunse.
“Già. Oppure si era stufata di dover scegliere sempre e solo un Guardiano” ridacchiò lui.
“Scemo”
“Che c’è? Anche un dio può annoiarsi! Pensa di fare la stessa cosa, ciclicamente, per più di mille anni; dopo un po’ ti viene a nausea!”
“Se ti sentissero i monaci!” sorrise lei.
“Se mi beccassero qui, con te, nel cuore della notte a chiacchierare amabilmente, non credo che farebbero molta attenzione alle mie parole”.
“Cosa potrebbe succederci, secondo te?”
“Ci spedirebbero a casa, vergogna della nostra gente. E il Supremo resterebbe reggente fino alla nuova Cerimonia della Carta”.
“Come lo sai?”.
“Il Sommo mi minacciava così, quando ero più piccolo, per scoraggiarmi e rendermi un bambino ubbidiente”.
“Una causa persa in partenza, allora!”
“Ma io sono stato bravo!”
“Certo! Come quella volta che mi hai messo un pesce morto nel vestito?”
“Ma si, avevo solo tredici anni! E poi, eri davvero ridicola, e divertente, mentre saltellavi da tutte le parti per lo schifo” rise lui, al ricordo.
“Davvero molto simpatico” gli fece la linguaccia lei.
Risero un po’ al ricordo degli anni trascorsi insieme; sulla superficie del lago, insieme a Petar, a giocare a nascondino nel boschetto, nel cuore della notte, ad esplorare il tunnel.
Malgrado tutto, era stata un’infanzia felice.
I veri problemi erano appena stati avvistati all’orizzonte.
“Guarda, Dima, il cielo si sta schiarendo. È quasi l’alba”
“Dobbiamo tornare?”
“Credo proprio di si. Prima che cambi il turno per la ronda”
Entrambi si alzarono da terra e il ragazzo spense la lanterna.
“Tieni, prendi il mio mantello”
“Dima, io non posso sentire il freddo, lo sai” disse lei, sorridendo.
“Lo so, non sono ancora così stupido! Era per coprirti la testa; sarai meno visibile” rispose lui, leggermente urtato.
“Grazie, allora” fece Elsa, prendendo tra le mani la ruvida stoffa marrone.
“Quando ci vedremo ancora? Dobbiamo mettere a punto un piano d’azione” chiese Dima mentre le sistemava il cappuccio sopra la testa.
“Non saprei. Presto, spero. Petar tornerà tra due giorni”.
“Va bene, allora. Buona giornata per dopo” ammiccò lui, ficcando le mani in tasca come al solito.
“Anche a te”
Camminarono insieme, in silenzio, fino all’uscita del tunnel. Poi, senza dire una parola, presero entrambi due direzioni diverse per raggiungere la Casa.
Dima sbadigliò sonoramente quando mise piede nella sua stanza, finalmente. A peso morto, si gettò sul letto e chiuse gli occhi, esausto; presto sarebbe iniziata una nuova giornata e sarebbe stata dura, se lo sentiva. I suoi pensieri indugiarono un poco sulla notte appena trascorsa, cercando di recuperare dentro di sé quella sensazione di fiducia e sicurezza che solo Elsa e Petar sapevano regalargli. Forse perché erano gli unici a cui non era costretto a mentire, forse perché erano i suoi compagni di vita da quando era bambino; sta di fatto che Dima non vedeva l’ora di rivedere entrambi. E poi, Elsa era così bella e fragile alla luce delle stelle! Dima sentì il suo cuore battere più veloce a quel ricordo. Era orgoglioso di lei, sempre e comunque; era intelligente e sensibile, dolce e davvero, davvero, tanto forte. Come non volerle bene? Come non amarla? Negli anni, la piccola bambina bionda tanto antipatica era diventata la sorella che non aveva mai avuto, e molto di più. Era Elsa e guai a chi avrebbe osato ferirla.
“Grazie, cara amica, Madre mia, per non avermi lasciato solo a portare questo peso” mormorò al vuoto della stanza.
Sospirò, infine, e chiuse gli occhi, che bruciavano di stanchezza.
Dima aveva creduto che addormentarsi sarebbe stato facile, stanco com’era. Eppure, continuò a rivoltarsi nel letto senza riuscire a chiudere occhio, lottando contro le lenzuola ruvide e contando un’infinità di pecore. Come mettere a tacere la testa quando c’era tanto a cui pensare, di cui preoccuparsi? La Muraglia, una guerra all’orizzonte, la terribile epidemia del Nord e, soprattutto, la consapevolezza di non avere alcun controllo, alcun potere, sulla proprio vita. Era troppo, assolutamente troppo, per un ragazzo di diciassette anni che amava divertirsi e ridere.
- Chi l’avrebbe mai detto che è questa la vita di un Guardiano? Un cumulo di ansie e pensieri spiacevoli che ti tolgono il sonno- pensò, affondando il volto nel cuscino.
Il lieve bussare alla porta fu la buona scusa per alzarsi e mettere fine a quel tormento.
“Signore, deve alzarsi, la prego. È l’ora delle preghiere” disse la voce di fratello Portus, supplichevole.
Abituato a borbottii e grugniti, a scene di pianto e urla isteriche, il monaco fu molto sorpreso quando sentì la voce del ragazzo forte e chiara.
“Arrivo subito, grazie fratello” disse, rinvigorito dalla nuova attività.
In un batter d’occhio si lavò e si cambiò d’abito, per non far nascere nei monaci dei sospetti sulla notte appena trascorsa. Davanti allo specchio, passò una mano tra i suoi riccioli ribelli, sorridendo dolcemente in direzione di un piccolo bottone bianco posato l’ vicino.
“Buona giornata Bessie” mormorò.
Infine, uscì.
Di corsa, ovviamente!
Il rito delle preghiere mattutine si prospettava lungo e noioso, come sempre. Fratello Ashim, inginocchiato in fondo alla sala, vicino alla porta, ridacchiò vedendo entrare il ragazzo.
“Il nostro beneamato Signore del Nord ci concede la grazia della sua presenza. È davvero un gran giorno” commentò, sarcastico, avendo cura di farsi udire da Dima.
Il ragazzo scelse di ignorare la provocazione e, inginocchiatosi su un cuscino blu, si impegnò nella sua meditazione.
Parlare con Dira, per lui, era qualcosa di semplice e spontaneo; non riusciva proprio a comprendere il bisogno dei monaci di formule e orari fissi, prestabiliti, pronti ad ingabbiare la libera preghiera verso la Madre. Quello sfiancante rituale non faceva altro che allontanare Dima da quella stanza, da quelle parole, lo portava ad isolarsi in pensieri tutti suoi, belli e colorati, simili ai sogni.
Dira era Dira, come poteva essere imbrigliata in poche frasi scelte dall’uomo? Il ragazzo preferiva di gran lunga aprirgli il suo cuore, dialogare con lei, anche senza le parole.
Distratto da questi pensieri, prese a guardarsi intorno, osservando la stanza fin troppo familiare.
Il pavimento in legno levigato era lo stesso di sette anni prima, così come i cuscini, un po’ consunti, e i volti invecchiati dei monaci. Con lo sguardo, individuò subito fratello Agos, il suo preferito, con il ventre pronunciato e il sorriso buono. Ricordava quanto fossero buoni i dolci extra che, di tanto in tanto, gli passava dalle cucine!
Poco lontano sedeva fratello Tonse, il giardiniere; chissà a che punto erano i suoi canali!
E poi Portus, e Lopa e quel vecchio bastardo di Gahs; erano tutti lì, uniti nella preghiera a quel dio a cui avevano votato la loro vita. Era un movimento bellissimo il loro, Dima doveva ammetterlo: mai viste tante menti e tanti cuori battere e pensare allo stesso momento, tendere insieme verso il cielo, verso Lei.
In fondo, non erano poi così male, i monaci, anche se tanto diversi da lui.
Fu per caso che i suoi occhi si posarono su una figura scura nel punto più isolato della sala; Dima aguzzò la vista  e si accorse in fretta che l’uomo inginocchiato in quell’angolo buio non portava il tradizionale abito arancio dei monaci. Era una macchia scura in mezzo a quel mare color del sole, quando l’unico ad avere il permesso di non indossare la tunica era Dima stesso. Ed Elsa, ovviamente, ma la sagoma di quella figura era troppo imponente per appartenere alla ragazza.
Il sole sorgeva insieme alla preghiera dei monaci e presto fu pronto ad illuminare la sala attraverso i lucernai del soffitto; un raggio di luce colpì in pieno volto lo sconosciuto, illuminando le sue vesti vermiglie, i radi capelli e la folta barba grigio ferro.
“Orwen!” non riuscì a trattenersi dall’esclamare il ragazzo, soffocando le sue parole con una mano.
-Cosa diavolo ci fa qui Orwen, ancora?- si chiese, nervoso.
Dopo le rivelazioni di Petar, il Guardiano del Sud aveva assunto un aspetto molto più minaccioso di quello che già non gli era proprio, agli occhi di Dima.
Al ragazzo ribolliva il sangue al solo pensiero che quell’uomo, seduto a pochi passi da lui, stesse pianificando un guerra contro la sua Regione. Con che coraggio si presentava ad Odundì, come osava anche solo pensare di rivolgerli la parola? Lui, un Guardiano pronto a tradire un suo fratello per puro interesse, un Guardiano che preferiva essere distruttore di pace anziché portatore.
Dima sentiva di odiarlo ogni secondo di più ed era quasi certo che fosse lì per lui.
Quando anche l’ultimo canto terminò, vibrando sull’ultima nota, e i monaci presero ad alzarsi, Dima cercò di guadagnare in fretta la porta, per non essere costretto ad un faccia a faccia con l’uomo che stava imparando a considerare suo nemico.
Purtroppo, però, non aveva fatto i conti con il viscido servilismo di fratello Ashim.
“Quanta fretta, mio Signore. Avvertite la condanne di Dira su di voi, per caso?” disse infatti, non appena il ragazzo si avvicinò alla porta.
“Non temere per me, fratello, io e Dira ce la spassiamo alla grande” rispose quello, irriverente.
Il volto del monaco si tinse di rosso, rosso rabbia, e afferrò con decisione il polso di Dima.
“Abbiate la cortesia, allora, di tenermi compagnia, mentre mi accerto che tutti i fratelli abbiano lasciato la sala” sibilò.
Dima cercò di divincolarsi da quella presa sorprendentemente ferrea; con un ultimo strattone liberò il braccio, pronto a riversare un torrente di maledizioni sul monaco e correre via.
Fu il tocco leggero di una mano sulla sua spalla a immobilizzarlo sul posto, stranamente muto.
“Ragazzo” disse la voce profonda e tonante di Orwen.
Dima imprecò mentalmente.
“Signore” mormorò voltandosi e chinando rispettosamente il capo.
Non ci voleva, non ci voleva proprio. Dima non era pronto per quel confronto, lo sapeva bene; non aveva avuto il tempo per immagazzinare e riflettere, non aveva chiuso occhio per un’intera notte, non sarebbe riuscito a dominarsi.
Perdere le staffe in una situazione così delicate, però, sarebbe stato un passo falso incredibilmente stupido.
-Ecco, adesso si che sarebbe utile il sangue freddo di Elsa- pensò.
“Dimitar, sono lieto di vedere che prendi parte alle preghiere con i tuoi fratelli monaci” continuò Orwen, stringendo la presa sulla sua spalla e guidandolo lungo il corridoio principale della Casa, verso l’esterno.
“È una sorpresa, signore, trovarvi qui”
“Il Sommo non ha avuto cura di avvisarti, allora” constatò semplicemente l’uomo.
Attraversarono in silenzio il ponte per giungere alla terra ferma, mentre Dima sentiva crescere la tensione dentro di lui.
“Gradisci accompagnarmi al Prato, Dimitar? Avrei piacere di scambiare due parole con te” disse, infine, il Guardiano.
-No che non ho piacere! Ma dubito di avere qualche alternativa, detestabile vecchio- pensò il ragazzo, mentre annuiva docilmente.  
Orwen osservò a lungo i lavori per l’irrigazione dell’orto quando si trovarono a passargli di fianco.
“È opera di fratello Tonse?” chiese, sospettoso.
“Si, signore. Abbiamo concepito il progetto insieme, ma io non posso essere molto d’aiuto a causa della mie lezioni” spiegò Dima, orgoglioso.
“Immagino senza chiedere alcun permesso” puntualizzò Orwen, storcendo la bocca.
“Permesso?” si stupì il ragazzo. “Non avevo idea che servisse un permesso. In fondo, è per il bene della comunità, no?”.
“Non tutto ciò che è bene è anche giusto, ragazzo”
“Ma, se mi permette, signore, è vero anche che non tutto ciò che è giusto è bene” replicò Dima, duro, non riuscendo a risparmiare quella frecciata al suo nemico.
Era forse “bene” quella giustizia che lo voleva morto? Era forse “bene” quella giustizia che patteggiava per una lunga e dolorosa guerra?
Dima non riusciva a controllore il tremito delle sue mani e le chiuse a pugno.
“Certamente. È questo il motivo per cui molti rifuggono le scelte e preferiscono rintanarsi in un’abbietta ignavia. Ciò che è bene e ciò che è giusto non sempre procedono di pari passo; è qui che si misura il nostro coraggio e la nostra saggezza di Guardiani”.
“Il coraggio si esprime in molti modi, io credo. Per esempio, ammettendo che nessuno, se non Dira, può dirci ciò che è giusto e bene e, di conseguenza, come agire”.
Orwen si fermò a guardare il ragazzo negli occhi un momento. Erano ormai arrivati allo  steccato che separava il Prato della Meditazione dal resto del Tempio, e l’uomo vi poggiò entrambe le mani, allungando lo sguardo davanti a sé.
 “Parli con trasporto, eppure sei così giovane. Ammiro molto la tua fiducia in Lei, la vicinanza dei primi tempi mi manca. Ma l’esperienza e la saggezza sono ottime compagne di questa età tarda. Spero di non dover interpretare in malo modo le tue parole, Dimitar. Sono sicuro che non oseresti disprezzare le Leggi dettate  da Dira” disse, pensoso.
“Conosco l’argomento. I monaci sono stati degli ottimi maestri” rispose Dima, evasivo.
Il ragazzo sentiva che non avrebbe sopportato ancora a lungo la tensione, l’avversione che provava verso quell’uomo e il fastidio per l’ipocrisia delle sue parole montavano sempre di più in lui.
-Ma perché diavolo non arriva al punto e poi sparisce?- pensava.
 Doveva assolutamente controllarsi, stringere i denti per qualche momento ancora.
“Signore, aveva bisogno di dirmi qualcosa in particolare?” decise infine di chiedere, dopo un lungo silenzio.
“Nonostante i lunghi anni di studio e a dispetto della severa disciplina dei monaci, sei rimasto lo stesso bambino di periferia, pratico alla vita in ogni senso. Immagino che tu non gradisca i giri di parole. Sarò diretto: si, sono venuto qui con uno scopo ben preciso. Seguimi, per cortesia” disse l’uomo, con un mezzo sorriso.
Oltrepassarono la recinzione e, presto, furono immersi in quell’aurea calma e pacata tipica del Prato della meditazione.
“Come mai siamo qui?” chiese Dima.
“Durante questi sette anni ho avuto a cuore la tua preparazione di Guardiano, come ben sai. Le verifiche sono state molte e non sempre ti sei mostrato all’altezza” iniziò quello, duramente.
Dima incassò il colpo, sempre più furente. Erano chiare nella sua memoria quelle visite, impresse a fuoco come dei veri e propri incubi.
“Ebbene, ormai la salita sta per terminare, presto poserai il tuo fardello per prenderne uno più gravoso sulle spalle. Tra poche settimane avrai l’opportunità di importi come Guardiano del Nord e, per allora, l’intera Cadmow si aspetta una guida forte, saggia e potente. Affermi di essere tutto questo, Dima? Ti reputi pronto per quest’incarico? Cosa senti, quando pensi al Nord? Perché, ricorda, tu sei il Nord”.
“Io non ho paura”.
“Non mentire, ragazzo”.
“Mentire? Cosa volete che vi dica, signore? Io non mento. Sono spaventato? Certamente. È una responsabilità più grande di me, quella che sto per addossarmi, lo so bene. Ne sarò all’altezza, mi chiedete? Non lo so. Ne sono pronto? Si, assolutamente. Non ho dimostrato disciplina, in questi anni, né costanza, né
mi sono mostrato sottomesso, ma so di essere pronto. Lo sento, signore, sento che sono io quello giusto, sento di potercela fare. Mai come in questi ultimi mesi è stato facile manipolare l’acqua; la sento dentro. Riuscite a capirmi?”.
“Meglio di quanto tu non creda, Dimiatr”.
“E allora perché diavolo siete qui?” esplose Dima, allargando le braccia, esasperato.
Orwen gli lanciò un’occhiata gelida “Ricorda con chi stai parlando, ragazzo, e mostra rispetto”.
Dima voltò la testa, rosso di rabbia, mordendosi la lingua a sangue.
“Sei qui perché è arrivato il momento della resa dei conti. Parli con passione, te l’ho già detto; ma riuscirai a trasformare quanto detto in fatti? Io non ne sono sicuro e sono qui per metterti alla prova”.
“Come?”
“L’ennesima prova, si, l’ultima” confermò Orwen, mentre iniziava a sciogliere il nodo della cintura che teneva chiusa la ricca veste di seta.
Dima restò a guardarlo, senza parole, mentre lasciava che la stoffa gli scivolasse giù dalle spalle; il vecchio, ora, vestiva solo dei calzoni, neri a motivi rossi, e il ragazzo mai si sarebbe aspettato di vederlo tanto forte e vigoroso nonostante l’età e la barba grigia.
-Che cavolo sta pensando di fare?-
“Di un po’, ragazzo: chi sono io?”
“Ma che razza di domanda è?”
“Rispondi e non essere impertinente”.
“Siete Orwen, Guardiano del Sud”.
“Molto bene. Quali sono i miei poteri? Chi e che cosa rappresento io?”
Le mani di Dima prudevano per l’irritazione “Il fuoco, mio signore. Voi siete fuoco”.
La risposta era corretta e l’uomo annuì sorridendo.
“Il fuoco” ripeté e, con la velocità di un lampo, si chinò sulle ginocchia, sollevando la mano destra.
Una fiammata scaturì dal suo palmo, forte, dirompente, che sfiorò il ragazzo, strappandogli un urlo di sorpresa e di dolore.
“Ma sei pazzo?” urlò, portando una mano al braccio destro, dove la tunica bruciacchiata cadeva a brandelli.
“Il fuoco, Dimitar, è impulsivo, istintivo, passionale. Inarrestabile” disse ancora l’uomo, avvicinandosi di qualche passo.
Un secondo gesto delle mani e piccole fiammelle presero a volare verso di lui, appuntite come frecce, più dolorose che mai.
Dima guardava allibito l’uomo davanti a sé.
-È impazzito, è diventato pazzo in un colpo solo- pensava freneticamente, mentre tamponava con la mano destra una bruciatura alla base del collo.
Eppure Orwen restava serio e controllato, sorridente, persino.
Dima pensò, allora, di chiedere aiuto, nella speranza che qualche monaco giungesse in suo soccorso.
Quando alzò lo sguardo, però, spostandolo fino alla recinzione del Prato, restò dolorosamente sorpreso: i monaci erano tutti lì, in file ordinate, immobili e silenziosi.
Persino il Sommo se ne stava tranquillo, osservando tutto quello che succedeva al di là del suo rifugio sicuro.
 Non sarebbero intervenuti, Dima non ci mise molto a capirlo. Era tutto programmato.
“Maledizione!” urlò, cercando di dare sfogo alla sua rabbia.
“Non temere, ragazzo, non verrà fatto alcun male ai tuoi amici” disse Orwen, seguendo la direzione del suo sguardo e interpretando male i suoi pensieri.
Dima avrebbe voluto annegarli tutti, quegli stupidissimi monaci!
-Diavolo, Petar, perché non ci sei mai quando servi?- disse mentalmente, mentre osservava l’uomo davanti a lui mettersi nuovamente in posizione d’attacco.
Questa volta, però, Dima non voleva farsi trovare impreparato.
Quando giunse il torrente di fuoco e fiamme direttamente dal palmo di Orwen, reagì prontamente, ingabbiandolo in un fitto reticolo di sottili fili d’acqua.
Una gigantesca nuvola di vapore si sollevò per tutto il Prato, nascondendo i due combattenti.
Ignorando le urla di dolore delle sue mani e del suo volto, già ustionate dal calore, Dima si mosse silenziosamente, con la speranza di riuscire a cogliere l’anziano Guardiano di sorpresa. Era pronto, il ragazzo, a difendersi a tutti i costi.
Cercò la concentrazione e, serio come mai, iniziò a richiamare a se quel fluido così familiare. Presto, l’intero Prato fu completamente allagato, un acquitrino di terra e fango alto fino alle ginocchia.
Quando il vapore si diradò, Dima poté vedere Orwen alla sua destra, impantanato, mentre cercava di muovere un passo.
La prossima mossa era chiara nella mente di Dima, e lui era pronto.
Peccato, però, che anche il suo avversario aveva avuto il tempo necessario per escogitare una strategia vincente.
Proprio quando la fanghiglia ai loro piedi stava per mutarsi in un solido blocco di ghiaccio, intrappolando entrambi, un calore inaspettato iniziò a propagarsi dall’uomo. Col volto distorto per la fatica, Dima iniziò ad arrancare, nel tentativo di raggiungere l’asciutto. Presto, però, la massa ai suoi piedi divenne incandescente, iniziando a bollire e schizzare ovunque.
Urlò per il dolore, incapace di persino di pensare.
“Qualche problema, ragazzo?” chiese sprezzante l’uomo.
Dima digrignò i denti, sudato, col respiro affannoso e la mente appannata.
-Pensa, maledizione, pensa!- cercava di farsi forza.
Un’unica soluzione si presentò alla sua mente; poco elegante, certo, e sicuramente poco efficace.
Ma il ragazzo non avrebbe sopportato un minuto di più in mezzo a quell’inferno.
Con un movimento circolare delle braccia creò attorno a sé una piccola bolla d’acqua e si premurò di rivestirla di una spesso strato di ghiaccio.
Il sollievo fu immediato: Dima sospirò quando le sue gambe furono finalmente libere dal fango incandescente.
Le voci gli giungevano ovattate ma riuscì a sentire, e a vedere, la risata di Orwen, a pochi passi da lui.
L’uomo schioccò le dita, semplicemente.
Un cerchio di fuoco nacque intorno al suo rifugio, e si fece sempre più vicino. Dima riusciva a sentire il calore delle fiamme anche all’interno della sua bolla.
“Un topo in trappola, ecco quello che sei, Dimitar” disse l’uomo, con odiosa boria.
Dima non aveva mai provato tanto disprezzo per una sola persona in tutta la sua vita.
Il vapore iniziò nuovamente a riempire l’aria intorno a loro e il ghiaccio della sfera prese lentamente a sciogliersi, sfrigolando al contatto con le fiamme.
Sembrava la bocca di un forno, la condanna delle anime dannate: fuoco, fuoco ovunque, e una piccola bolla d’acqua al centro.
Poi, Dima sentì un urlo, in mezzo a quel caos. Acuto, infuriato. Un urlo che non poteva essere suo.
E allora, così come tutto era iniziato, tutto finì: velocemente e inaspettatamente.
Tutto quel fuoco si estinse nella magia di un solo attimo e Dima stesso lasciò andare quell’energia che teneva la sua piccola bolla intorno a sé. Finì disteso in un acquitrino di acqua e fango, dolorante, le gambe in fiamme, e, per un momento, gli sembrò di essere tornato a casa, ad Imbrs. Dopo tutto quel tempo, sentire la terra umida sotto le sue dita era come lasciarsi abbracciare dalla mamma affettuosa che non aveva mai avuto, era come sentirsi battere una pacca sulla schiena dal suo vecchio amico Teppe.
Così, quando una mano delicata gli sfiorò la fronte con una carezza, non si stupì, credendo ancora in quel suo dolce sogno.
“Caspita Orwen, ma perché deve finire sempre così? Te l’avevo detto di lasciare fare a me!” disse la voce di una donna, da un punto imprecisato sopra di lui.
“Cara, tu sei troppo morbida. I ragazzi devono prepararsi ad affrontare una sfida e questa è la loro ultima possibilità per mettersi alla prova”.
Quando Dima sentì la voce di Orwen non poté fare altro che spalancare gli occhi, teso.
Fu così che vide il volto dolce di Safnea, Guardiana dell’Est, sopra di lui, i lunghi capelli bruni sopra una spalla e la mano delicatamente posata sulla sua testa. Alle sue spalle, Orwen si stava rivestendo, tranquillo e pacato come se nulla fosse successo.
“Lo so bene che era necessario. È successo anche a me, lo ricordo, e ai tempi la situazione non era così complicata. Ma sono solo dei ragazzi, potevi mostrare più clemenza” stava rispondendo lei, con la sua dolce voce leggermente alterata.
“La vita non è clemente, prima imparano a fare i conti con questa realtà, meglio sarà per loro” si limitò a ribattere Orwen, prima di lasciare il Prato a passi decisi.
La donna sospirò, triste.
“Allora, Dima, come ti senti?” gli chiese infine. “Riesci ad alzarti?”.
Dima annuì e, con l’aiuto di fratello Tonse, riuscì a rimettersi in piedi. Vide il Sommo Sacerdote avvicinarsi, serio e imperscrutabile.
“Mia Signora” disse, chinando la testa davanti alla donna.
“Sei stato molto coraggioso, Dimitar, questo devo riconoscerlo. Hai affrontato con intelligenza una delle persone più forti su questa terra. Noi monaci siamo soddisfatti del lavoro che abbiamo svolto con te” disse al ragazzo, posandogli una mano sulla spalla.
“Ma sono stato battuto” disse il ragazzo, mogio.
“Come era giusto che fosse” ribatté il monaco. “Nel momento del pericolo sei ricorso all’elemento che ha caratterizzato la tua infanzia e che ancora, nonostante la lontananza, ti rappresenta: il fango. Il tuo compito, negli anni a venire, sarà di concentrarti molto di più sulla tua nuova identità, regale, incrollabile, solenne. Solo allora riuscirai a combattere col ghiaccio, e avrai molte più possibilità” continuò il Sommo, come se fossero a lezione e non in un Prato appena distrutto dalla furia degli elementi.
“Si, fratello” annuì Dima, sottomesso.
Safnea, allora, prese la parola con decisione.
“Grazie, Sommo, le tue parole sono sempre piene di saggezza. Ma adesso Dima ha bisogno di cure e riposo, permettetemi di medicarlo” disse, posando una mano sull’altra spalla del ragazzo con fare protettivo.
Così, zoppicando e poggiandosi a due monaci ai suoi lati, Dima raggiunse l’Infermeria, all’interno della Casa, seguito dalla Guardiana.
Era una sala piccola e luminosa, nella quale si aprivano numerose finestre.
I monaci fecero stendere Dima su un lettino e, silenziosamente, si allontanarono. Safnea prese ad esaminargli le gambe, ustionate, e le piccole scottature delle braccia e del volto.
“Perché mi curate voi, che siete una Guardiana?” chiese Dima, sospettoso.
“Noi Guardiani dell’Est abbiamo ottime capacità curative, dovresti saperlo” rispose lei, sorridendo. “E mi piacerebbe molto essere meno formale con te. In fondo, siamo tutti Guardiani e noi due ci conosciamo da tempo” disse ancora, ammiccando.
Poi si chinò sulle sue gambe e, con un leggero soffio, prese a curargli le bruciature. Alla fine di quella magia, la sua pelle era ancora arrossata e sensibile, ma aveva un aspetto decisamente migliore. Sembrava una ferita vecchia di settimane.
“Vedi?” disse lei, orgogliosa. “Ora metterò una pomata alle erbe e fascerò le gambe. È sempre meglio non guarire del tutto con la magia; il tuo corpo potrebbe risentirne” spiegò, mentre si dirigeva vero un tavolo sotto la finestra, carico di boccette, sacchi di iuta e mortai.
In pochi minuti preparò un composto che sparse con cura sulle ferite di Dima.
Il ragazzo rimase pensieroso, mentre guadava la donna muoversi con grazia.
“Perché Orwen ha fatto tutto questo?” chiese infine, con voce roca.
Safnea alzò lo sguardo su di lui “Non pensare male di lui, ti prego”.
Dima la guardò, scettico.
“Non essere così severo. Nessuno come Orwen ha a cuore gli interessi di Cadmow, e quindi i Prescelti come te,  nessuno come lui è pronto a sacrificare tutto per questo popolo” disse ancora, convinta.
“Mi risulta difficile crederlo”.
“So bene che può sembrare duro e senza cuore, ma tutto quello che fa è per il bene della nostra terra. Per quello che lui pensa essere il bene, ovviamente” le sue mani erano inoperose, mentre parlava, e stringevano le morbide bende.
“E a volte può sbagliare?”.
“Come tutti noi, Dima”.
“Ci sono sbagli da cui non si può tornare indietro, però, che sono difficili da perdonare” si lasciò sfuggire Dima, in un sussurro.
Safnea lo guardo, sospettosa.
Aveva detto troppo, aveva accennato a realtà di cui non avrebbe dovuto essere a conoscenza. Ma non era pentito. Sentiva di potersi fidare di quella donna dal cuore tenero.
“È così?” insistette.
“In una vera famiglia si perdona sempre. Un padre non porta rancore al figlio, il figlio non lo porta al padre, se c’è amore. E noi Guardiani, Dima, siamo una famiglia” rispose lei, decisa.
Dima avvertì la familiare sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco. Non tutti avevano il diritto di far parte di quella famiglia, però; di certo non lui ed Elsa, non insieme.
Safnea sembrò leggergli questo pensiero negli occhi.
“Ci sono scelte difficili da compiere, Dima. Scelte che spezzano il cuore” sussurrò, con le mani tremanti.
“Può una madre uccidere il proprio figlio?” replicò retorico lui.
“Chi ti ha detto questo?” chiese Safnea, allarmata all’improvviso.
“Nessuno. È la verità, però” rispose lui, sincero.
“Parli come un uomo che conosco, Dima, e gli somigli. Ma, come ho già detto a lui, non possiamo ribellarci alla mano che ci ha donato la vita e questa bellissima terra. È il volere di Dira” replicò, più severa.
“È scritto nelle Leggi” affermò Dima, cercando di smorzare il tono polemico.
Non voleva discutere con lei, tanto dolce e gentile. Eppure, Dima poteva leggere una determinazione e una fede forte dietro il bel volto e i fiori intrecciati tra i capelli.
“Esatto. Sii paziente con Orwen, e presto scoprirai quanto può essere buono, e onesto. Le cose andranno per il verso giusto, vedrai, e tutto tornerà com’era prima” disse infine, riprendendo a fasciargli le gambe ferite.
Dima preferì restare in silenzio. Le ferite non bruciavano più, ma erano ugualmente molto fastidiose. E Safena si stava dimostrando un osso duro, incrollabile nelle sue certezze.
Sarebbe rimasta molto delusa dal loro piano di fuga, quando l’avrebbero messo in atto  con l’aiuto di Petar. Delusa e addolorata, a differenza della furia ceca che Dima immaginava si sarebbe impossessata di Orwen.
-Nessuno dovrà sapere che Petar è dalla nostra parte, però- rifletté tra sé e sé.
Sarebbe stata una vera e propria guerra interna, altrimenti. Chissà da che parte si sarebbe schierata Safnea davanti ad una spaccatura così profonda nel sistema dei Guardiani.
Stava andando tutto a rotoli.
-Altroché famiglia! Questo è un covo di vipere!-.
“Ecco fatto, Dima. Adesso cerca di non infettare le ferite, cambia spesso le bende e non fare a pugni con nessun monaco. Nel giro di pochi giorni non avrai alcun ricordo di questo scontro” disse infine la donna, dopo essersi asciugata le mani su un grembiule lì vicino.
“Ti ringrazio, bella Safnea” disse lui, ammiccando malizioso, cercando di riportare a galla il suo spirito malandrino.
La donna scosse la testa e scompigliò i capelli del ragazzo.
“Avevo sentito parlare della tua faccia tosta” disse, ridacchiando.
“Io direi, piuttosto, del mio buon gusto” sorrise sornione il ragazzo.
“Forza, ragazzino, sii bravo in questi ultimi giorni al Tempio, e vedrai che ci rivedremo presto” disse lei, chinandosi per scoccargli un bacio delicato sulla fronte.
Era dolce, Safnea, tanto. Lo era sempre stata, anche quando lui era solo un bambino combina guai.
In un certo senso, Dima si era affezionato a lei.
“A presto” la salutò, sfiorandosi la fronte con le dita e portandosele alla bocca, mentre faceva il gesto di mandarle un bacio.
Lei rise e in fruscio di veli mossi dal vento e dalla camminata leggera, uscì dalla stanza.
Rimasto solo, Dima si sedette e si prese la testa fra le mani.
-Mai visto un casino simile- si disse, cercando di fare ironia.
Non sapeva proprio cosa pensare, ora, di quel Guardiano severo, implacabile e fautore di guerre. Era davvero così orribile odiare il proprio fratello, la propria famiglia?
Sentiva più che mai il bisogno di parlare, di confidarsi a cuore aperto, con qualcuno. Petar, per esempio: ma sapeva bene che non sarebbe tornato prima di due giorni. Così, stanco e piuttosto malconcio, scese dalla branda e, zoppicando leggermente, fece per andare in camera sua. O al lago, o nel bosco. In qualunque posto potesse trovare un po’ di riposo e, magari, recuperare qualche ora di sonno.
Si sentiva uno straccio a camminare strisciando lungo le pareti dei corridoi stretti della casa. E tutto per colpa di Orwen!
Passava proprio davanti alla sala delle preghiere quando udì un bisbiglio concitato.
-Mi mancano solo le beghe tra i monaci, adesso- pensò, sorridendo mesto, deciso a passare oltre.
Ma una voce, chiara e profonda, che lo portò indietro sui suoi passi.
Curioso, si affacciò dalle porte imponenti e, notando che la sala era vuota, mosse qualche passo all’interno.
La voce continuava a guidarlo, impossibile da confondere con quella di chiunque altro. Bassa, baritonale, profonda anche nei sussurri; poteva essere soltanto il Guardiano del Sud.
Cosa ci faceva ancora al Tempio? Con chi stava parlando, così nascosto e concitato? Dima era pronto a scommettere sul bieco tradimento di quel verme di Ashim.
La situazione era sospetta, molto. Il ragazzo non si sarebbe mai lasciato sfuggire un occasione importante come quella, non avrebbe voltato le spalle ad informazioni che sarebbero potute essere vitali per il suo popolo. Quando capì che le voci provenivano dalla veranda sopra la Casa, alla quale si accedeva solo grazie una stretta scala dalla sala delle Preghiere, strinse i denti e, ignorando il bruciore delle gambe, si arrampico sui primi pioli.
Dalla botola sul pavimento, vide distintamente la veste vermiglia di Orwen, mossa dal vento leggero e intravide anche l’orlo di una tonaca arancio, bella, ricamata con un sottile filo d’oro.
-Un filo d’oro?-
Un ricordo lottava per emergere dalla nebbia dei suoi pensieri. I monaci non avevano ricami dorati sulle loro vesti, nessuno era tanto elegante. Nessuno, tranne il Sommo Sacerdote!
Dima si morse la lingua a sangue per trattenersi dall’urlare di sorpresa e risentimento.
“Dobbiamo mantenere la calma, mio Signore, lo sapete meglio di me” stava dicendo in quel momento il monaco, cercando di smorzare i toni della conversazione.
“Non c’è più tempo, Jeyco. Ho già espresso i miei dubbi, conosci la mia posizione. Stiamo rischiando troppo, non possiamo più stare con le mani in mano” replicò Orwen.
“Non siete sicuro per il Supremo?”
“Assolutamente no, ho grandi preoccupazioni nei suoi confronti. Ma non possiamo liberarlo, scioglierlo da quest’obbligo e farlo semplicemente sparire senza destare sospetti”.
“Allora lo lasceremo dove l’abbiamo messo, Signore”.
“Ma saprà gestire la situazione che abbiamo creato? Io dubito che riuscirà ad essere d’aiuto nel momento del bisogno” disse Orwen, nervoso. “Per questo non posso più attendere. Quest’epidemia va avanti da troppo, troppo tempo. Nessuno pensa più che sia stata creata per cause naturali. Bisogna portare rinforzi, per il bene di Cadmow” aggiunse, e Dima lo vide passeggiare convulsamente tra le piante della veranda.
“State pensando di dichiarare guerra ora, Signore?”.
“Subito dopo la Cerimonia della Scelta, quando avremo uno e un solo Guardiano del Nord”.
“E pensate di riuscire ad ottenere quello che più desiderate?”.
“Si, Jeyco, sarà semplice porre fine alle malattie e alla povertà una volta riportato il potere nelle mani del suo giusto possessore. Il Supremo non c’è più di alcuna utilità, è arrivato il momento di mettersi in gioco in prima persona” disse determinato, uscendo dalla visuale del ragazzo.
Una sola parola aleggiava nella mente di Dima, per il resto completamente bianca: traditore.
Traditore, traditore, traditore.
Traditore.
Nonostante tutto, si era sempre fidato di Owen, del vecchio saggio Orwen. Tutti avevano fiducia in lui, i monaci, i Guardiani, il suo popolo. Ed invece, non era altro che un viscido, subdolo, spietato traditore.
Uno schifoso traditore!
Aveva portato morte e malattia, imprigionato un uomo giusto, ed ora non si faceva scrupoli a scatenare una guerra. Chi era quell’uomo con cui lui stesso aveva condiviso tanti ricordi, parole, discussioni?
Perché tutto stava andando così maledettamente male?
Il cuore di Dima batteva veloce mentre si affrettava a scendere dalla scaletta.
Pallido e con il respiro mozzo, ignorando le punture di spillo sulle sue gambe, lasciò la sala delle preghiere e prese a correre, correre come se non ci fosse un domani.
Non voleva sentire una parola di più, non una sola sillaba pronunciata da quella voce tonante, non un sussurro di quel vigliacco del Sommo, complice del farabutto.
Sapeva qual’era la sua meta e nessuno l’avrebbe potuto fermare. 
 

 
 
 
 
Note
Ciao a tutti! Sono contenta di essere riuscita a caricare questo nuovo capitolo senza un ritardo mostruoso!! Ormai ho abbandonato la speranza di riuscire a pubblicare una volta a settimana XD
Che dire, ve lo aspettavate, un qualcosa del genere, dal caro, vecchio Orwen?
In più, questa è la prima scena di pseudo-azione che scrivo in questa storia, spero che non sia troppo male… Ditemi voi dove dovrei migliorare, accolgo a braccia aperte ogni possibile suggerimento!
E poi basta, non mi dilungo più di tanto, già il capitolo è un mare di parole!!!
Grazie ancora a quelle persone che seguono e leggono questa storia,
a presto,
 
EsterElle
  
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