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Autore: SognandoUnaChimera    13/06/2014    0 recensioni
Lei, ragazza di periferia. Viveva alla giornata. Non aveva niente di speciale, se non la sua playlist. Se avessi aperto le tasche del suo zaino, avresti trovato sicuramente un diario. Guardandola, non avresti saputo che dire; probabilmente solo che avesse un diario. Lei era bella, come nessun altro, ma nessuno l'ha mai guardata per davvero. Non ha mai messo in mostra il suo seno, o il suo sedere. Per la scuola, si parlava delle frasi che lasciava scritte sui muri, sui banchi, nei bagni. Una volta ne ho letta una. Dio, ci sapeva fare. Si firmava semplicemente -A. Tutti pensavano che fosse la a di "anonimo". Solo dopo capirò che quella a stava per "angeli". Erano loro che le sussurravano quei meravigliosi versi.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Nessuno provava interesse nei suoi confronti, nessuno aveva mai detto di amarla ma lei voleva essere amata. Non bastavano i suoi libri, le sue frasi buttate giù su quei fogli logori, consumati, scarabocchiati. Non bastavano per renderla felice. Non aveva mai amato, perché nessuno si era mai innamorato di lei, però, a volte mi ritrovavo a pensare a quanto amore quella ragazza potesse dare, e a tutto quello che avesse già dato senza neppure rendersene conto. Mi perdevo spesso nelle parole che leggevo per "puro" caso. A volte, mi capitava ritardare da scuola. Mi ritrovavo chiuso in classe, rannicchiato nell'angolino del suo banco a sbirciare tutto quello che lasciava: disegni, bestemmie urlate al mondo, poesie dedicate al chiarore dell'alba, o all'oscurità della sua anima. E pensavo a quanto il mondo la trascurasse, e non riuscivo a spiegarmi perché le bidelle della scuola pulivano il suo banco, cancellando, ogni giorno, la macchia indelebile che lei lasciava li, in ricordo della sua presenza. Mi ero affezionato a quella ragazza, eppur non conoscendola me ne innamorai perdutamente. Sognavo ogni notte le sue mani che scivolavano sui fogli candidi, ma ingenua com'era, si macchiava coll'inchiostro fresco e sporcava tutte le pagine bianche, scarlatte; ma profumavano quelle pagine, era un odore strano: inchiostro, misto a sangue, al suo sangue, al suo profumo. E la vedevo, nei miei occhi, nella mia mente inconscia, piangere come non avevo mai visto piangere nessuno e sussurrava parole tenui, sottovoce, muoveva le labbra, ma era un movimento leggero, che se fossi stato li presente non me ne sarei accorto. Ma lei era nella mia mente, e fu per me spontaneo avvicinarmi a lei, e sfiorarle quelle labbra sottili quasi invisibili, per vedere se effettivamente si stessero movendo e pareva fosse il vento a farle tremare. Le lacrime nel frattempo scorrevano, invisibili. Mi dirà poi, un giorno, che le partivano bollenti dal cuore, ma sgorgavano dagli occhi come perle ghiacciate e le facevano talmente male da ferirla dentro e fuori. Ho sempre pensato che lei fosse l'incarnazione vivente di quel famoso simbolo cinese che ancora non ne capisco la funzionalità. Se non erro lo chiamano Yin e Yang, due forze opposte, contrastanti, che si controllano a vicenda, e quando una soccombe interviene l'altra per stabilire l'equilibrio. Lei era Amore e Odio, lei era vita e morte, era felicità e tristezza, era purezza, passione, era luce, buio; perfezione, vuoto; saggezza, ingenuità; infinito.. Infinito. Lei era il mio infinito. Mi ci perdevo, e capitava che era lei a ritrovarmi e fingeva sdegno nel salvarmi, quasi come se fossi un peso morto da trascinare dall'oblio che era la sua vita. Non riuscii mai a capirla, a captare i segnali che pareva mandarmi. L'unica cosa che volevo era stringerla nelle mie braccia per far placare quella parte nera del Taijitu che le faceva tanta paura. Una volta, mi trovò in classe, seduto al suo banco come era per me ormai abitudine e non mi rispose quando le chiesi il significato di tutte quelle parole. Ma quando me lo spiegò, capì. Non vorrei mai essere lei, sarebbe assurdo sopportare tutto quello che sentiva, tutto quello che dicevano. Una volta mi parlò del suo segreto e io le promisi che non lo avrei svelato a nessuno. Per convincerla le dissi che le mie labbra si muovevano solo al suono della sua voce e alla vista della sua immagine. Le brillarono gli occhi quando le dissi ciò. Poi mi parlò di lei, mi disse che non sapeva cosa fosse il silenzio. Mi raccontò di una volta, di quando fece un incidente, terribile, con sua madre. Questi era giovane, lei era in grembo. Perse la madre, qualcuno la salvò. Non ha mai saputo come fosse possibile,ma da quel momento iniziò a sentire voci nella sua testa. Mi confidò che forse anche lei era morta, era andata in paradiso forse, e che essendo in paradiso riusciva a comunicare con tutte quelle creature bianche con ali enormi, che se viste da molto vicino fanno paura. Mi diceva che sentiva sempre i loro discorsi e che erano creature che si impicciavano sempre nelle azioni degli uomini, ma che questi ultimi non li ascoltavano; e loro per farsi sentire urlavano. E lei, pur coprendosi le orecchie, riusciva a sentirli. Lei, si, ora ne sono sicuro, lei era un angelo, talmente bello da non poter restare in paradiso.
  
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