4. VALO E VARJO
Where am I meant to be?
I feel I'm lost in a dream
Yearning again only to be myself
–
Unleashed, Epica –
– Lucius! –
Regan
sprofondò nel suo abbraccio
tra le sue risate. Ritrovò quel suo profumo di polvere e
pioggia che di lui
amava tanto.
Lucius
la strinse e le accarezzò
i capelli con tutto l’affetto che le aveva fatto mancare
durante la sua
imperdonabile assenza.
–
La mia cerbiattina... –
sussurrò la sua voce, vicina all’orecchio,
attraverso un sorriso. La allontanò
da sé per guardarla meglio. – Come stai? Hai un
aspetto… –
Lei,
che quella mattina era meno
propensa del solito accettare complimenti, gli diede un colpetto di
avvertimento sul braccio.
–
Oh, sta’ zitto. Come stai tu,
piuttosto! Sono settimane che non ti
fai vivo! –
Il
rimprovero, troppo blandito
dalla gioia di rivederlo, finì per passare inosservato.
–
Ho avuto da fare qua e là –
rispose Lucius, in tono vago e distratto. – Sai, le solite
cose. –
“Come cercare di restare vivo.”
Regan
aggrottò la fronte
perplessa: Lucius aveva chiuso la bocca, ma lei aveva sentito lo stesso.
Lo
avrebbe tempestato di domande,
se gli altri non li avessero raggiunti, fortunatamente senza Adora
Shephard
alle calcagna.
Appena
lo vide, Mariek gli
allungò una sonora pacca su una spalla.
–
Guardate un po’ chi non ha
ancora tirato le cuoia! –
A
Regan non sfuggì la fugace
smorfia che passò sul viso di Lucius, ma fece finta di
niente.
–
Hey, ragazzaccio! – interloquì
Ember con una gomitata. – Si può sapere che fine
avevi fatto? Le ragazze di
Kaunes potranno finalmente smettere il lutto. Avevano iniziato a temere
che tu
ti fossi fatto ammazzare. O, peggio, sposare. –
–
E nel secondo caso tua moglie
non avrebbe avuto vita lunga. – Anneli rivolse a Lucius un
sorriso che non le
raggiungeva gli occhi. Lui, invece, ricambiò con calore.
–
In ogni caso, entrambe le
eventualità mi sembrano alquanto improbabili. –
Combattevano
la stessa guerra
senza speranza, Lucius e Anneli: lei per avere lui, lui per avere
un’altra.
Si
spostarono a chiacchierare
nella prima osteria che incontrarono e con un boccale di sidro e
qualche fetta
di pane imburrato davanti le lingue si sciolsero facilmente.
Lucius
snocciolò racconti
insolitamente scoloriti, dedicandosi più che altro a bere,
ma la sala era
talmente chiassosa che quasi non si notava la sua mancanza di
entusiasmo. Il
che era strano, perché la sua arte oratoria in genere sapeva
stregare folle
intere.
Regan
a stento badava alle
parole. Ascoltava solo il suono, la cadenza della sua voce,
quell’esatto timbro
che, in un sussurro, la prima volta le aveva chiesto di resistere. Di
non
morire.
Non
erano passati che pochi mesi,
da allora, e già sembravano lunghi anni. Troppe cose erano
cambiate, e troppo
in fretta, e Regan stava ancora cercando di aggiustare le crepe nella
sua
sicurezza interiore, anche se, mentre Lucius parlava, aveva la
sensazione che
alcune non sarebbe mai riuscita a sanarle. Si impose di non pensarci,
poiché di
pensieri per la testa ne aveva già più che a
sufficienza, e si sforzò quindi di
partecipare ai discorsi.
Il
tempo trascorse così bene che
quando Tristan e Arista entrarono a cercarli si stupirono tutti quanti
di
quanto si fosse fatto tardi.
–
Scusate, colpa mia – disse
Lucius, alzandosi per andare a salutare entrambi, salutato a sua volta
con il
medesimo trasporto. Era sempre stato trattato come un figlio dagli
Edelberg.
–
Dov’è Prince? –
–
Ha detto che aveva un impegno a
Torresco – rispose Tristan. – Il che significa che
abbiamo un posto vacante per
il pranzo, Lucius, se vorrai unirti a noi. –
Lui
rise.
–
Amico mio, il mio appetito è
tanto e tale che non fingerò nemmeno di fare complimenti.
–
Regan
fu contenta di sapere che
sarebbe rimasto ancora per un po’. C’erano tante
cose che dovevano dirsi e capì
che lui pensava la stessa cosa quando, alzandosi, le strizzò
Mentre
uscivano – chi per salire
in carrozza, chi per raggiungere il proprio cavallo – Anneli
si lamentò della
maleducazione che aveva mostrato Prince a non avvertire prima che non
ci
sarebbe stato per il pranzo.
–
Almeno avrebbe potuto dirmelo
che sarebbe andato a Torresco, avevo dei libri da restituire a
Lisandra. –
Donna
Melyor fu così contenta di
rivedere Lucius, e tutto intero, che per poco non lo soffocò
in un abbraccio di
grande trasporto e a tavola lo costrinse a servirsi di una doppia
porzione per
ciascuna delle sei portate. Non che lui apparisse in alcun modo
deperito, ma il
buon cibo sembrava essere la risposta di Melyor a qualunque cosa, anche
quando
non c’era un bel niente a cui rispondere.
Quando
anche le ultime briciole
del dolce furono spazzolate e Tristan gli ebbe offerto un bicchiere di
liquore
digestivo, Lucius chiese il permesso di poter fare una passeggiata nei
giardini
assieme a Regan.
Anneli,
che sembrava aver perso
la voglia di lasciarsi offendere dalle preferenze manifestate da
Lucius, li
guardò uscire senza battere ciglio.
Camminarono
per un po’ in
silenzio, così Regan ebbe modo di osservarlo. Le
sembrò di vederlo stanco, un
po’ sciupato. Ogni volta che il vento gli soffiava sul viso
chiudeva gli occhi
e inspirava profondamente, come se da tempo gli mancasse
l’aria.
–
Non sai quanto sono felice di
essere di nuovo a Norden, cerbiattina. –
Non
c’era bisogno di
chiedergliene il motivo.
–
Casa è dove è il cuore, giusto?
– mormorò Regan, ricordando quanto lui stesso le
aveva detto tempo prima.
Lucius
le piaceva, forse in modo
più spiccato del dovuto, e per un certo periodo si era quasi
illusa di poter
avere qualche speranza. Poi aveva conosciuto la vera ragione per la
quale lui
considerava Norden – e Kauneus, nella fattispecie –
la propria casa, e non le era
rimasto altro che la
rassegnazione.
–
Mi dispiace di essere stato
così assente ultimamente – riprese lui, ignorando
il suo commento. – Ho
lavorato gomito a gomito con il Coordinatore Blackthorne per un
po’ ed è stato
un periodo tutt’altro che gradevole. –
–
Gomito a gomito tu e Blackthorne?
– fece Regan, scettica. Lo sapevano anche i sassi che quei
due non si potevano
sopportare l’un l’altro. – E siete
entrambi ancora interi? –
–
Interi non è esattamente la
parola giusta, ma siamo sopravvissuti. Era il solo modo che avessi per
indagare
senza dare nell’occhio su una questione importante.
–
–
Parli del furto nella miniera
di Cristallo Eterno? –
Lucius
aprì la bocca per la
sorpresa.
–
E tu che ne sai di quel furto?
–
–
Non molto – replicò lei,
soddisfatta di aver attirato la sua attenzione. – Me ne ha
accennato Shin.
Credevo fosse stato commissionato da qualche banda di Ladri di Anime.
–
Lucius
la fissò, evidentemente
colpito, poi le diede un pizzicotto sul naso.
–
Molto bene, cerbiattina, dopotutto
non sei svampita come sembri a volte. Ma non credo ci siano dei Ladri
di Anime
dietro, e non lo crede nemmeno la Lega. I cristalli che usano loro sono
molto
piccoli e quelli che sono stati trafugati invece erano piuttosto grossi
di
dimensione. –
–
Li vogliono polverizzare e
usarli per forgiare delle armi di Vetro Eterno? –
ipotizzò lei.
–
Ci vogliono artigiani molto
esperti per plasmare il Vetro Eterno, maestri di una tecnica che solo
pochi
eletti posso apprendere. Non puoi andare al mercato e chiedere al
Mastro
Vetraio. – Parve ragionarci sopra ancora un po’,
fino a che, sorridendo, non si
riscosse. – Mi stai facendo parlare di cose di cui non dovrei
discutere, con
te. –
La
leggera nota di rimprovero non
disturbò affatto Regan. Era abituata ad essere stuzzicata e
presa in giro da
lui, per cui glissò elegantemente e prese Lucius
sottobraccio.
Stavano
passando vicino alle
serre, all’interno delle quali l’aria rarefatta
sfocava i contorni di fiori dai
colori fulgidi e grandi foglie smeraldine. C’erano un paio di
cesoie appese
alla maniglia interna della porta di vetro e, poco lontano, qualche
cespuglio
di rododendri rosa e viola era stato depredato.
–
Insomma, mi vuoi dire la vera
ragione della tua miracolosa ricomparsa? –
La
primavera conservava qualche
sfumatura ghiacciata nell’odore del suo vento placido, che
però già parlava di
fioriture rigogliose a prati tornati al pieno del loro splendore dopo
aver
dismesso i severi manti di neve invernali. Il cielo era dello stesso
azzurro
degli occhi pensosi di Lucius.
–
Diciamo che presto ti farò
evadere un po’ dalla noia domestica. –
Lei
lo guardò con aria
interrogativa.
–
Te ne parlerò a tempo debito.
Per adesso preoccupati del tuo imminente incontro con la
società e tutti suoi smorfiosi
membri ficcanaso. –
Il
solo pensiero faceva venire a
Regan la pelle d’oca, ma non si scompose.
–
Sono già stata ad altre feste,
ricordi? –
–
Ma prima eri solo una ragazzina
qualsiasi. Ora invece sei Lady Regan Edelberg, figlia di due casate
storicamente rivali, senza contare il colore insolito dei tuoi capelli.
Fidati
di me: sarai letteralmente assediata. –
Lei
sbuffò.
–
Che notizia magnifica. –
–
E non dimenticare che
conoscerai i tuoi nonni, la sera del ballo. –
–
Cosa? – Regan sgranò gli occhi
allarmata. – Così presto? Ma io…
–
Lucius
la zittì chiudendole la
bocca con un dito.
–
Rifletti, è la cosa migliore:
sarà molto più semplice incontrarli in mezzo a un
gran folla piuttosto che in
un intimo salotto privato. Potranno parlare con te liberamente e al
tempo
stesso tutti noi potremo tenerti d’occhio e,
all’occorrenza, venirti in aiuto.
–
–
Se voialtri voleste aiutarmi,
mi risparmiereste tutto questo. –
–
A te piace stare in compagnia.
–
–
Come faccio a godere della
compagnia di qualcuno se devo fingere di essere una gentildonna mentre
sono
bardata come un cavallo da parata? –
Lucius
scoppiò a ridere. Due
leggere fossette apparvero ai lati della sua bocca e i suoi occhi si
assottigliarono in due mezzelune scintillanti.
–
Paragone efficace, lo devo
ammettere! –
–
Quelle sono cose per Anneli,
non per me – borbottò Regan senza starlo a
sentire. Stava per salire i gradini
di marmo del gazebo lì accanto, ma lui le afferrò
il mento e la fece voltare.
Il celeste dei suoi occhi era tutt’uno con il cielo.
–
Quanto poco devi conoscere tua
cugina per affermare qualcosa del genere? –
La
sua voce, un sussurro di
insolita serietà, le suscitò un formicolio dietro
la nuca. Regan lo maledisse
per l’incuranza che costantemente mostrava in gesti e parole
che rivolgeva a
lei, pieni di tenerezze troppo ambigue per non ferire là
dove la speranza
lasciava debolezza in uno scudo già fin troppo sottile.
–
Ho detto fingere –
ribatté, più fredda del necessario, strappandosi
a lui. –
E non puoi negare che lei sia molto più brava di me a farlo.
–
Ma
lui non perse la sua
leggerezza di spirito. Era difficile farlo arrabbiare, scalfire anche
solo di
un poco la sua invulnerabile corazza.
–
Devi imparare a moderare questa
tua causticità, o non troverai mai marito. –
–
Non ti ci mettere anche tu,
adesso! –
–
Comunque tu limitati a
comportarti bene e, se farai la brava, ti prometto che ti
ricompenserò. –
Regan
sedette su uno dei gradini
del gazebo e si lasciò studiare per qualche secondo fingendo
di non
accorgersene. Quando finalmente Lucius guardò altrove, fu
lei a studiare lui.
Il suo sguardo verso l’orizzonte era distante, proteso verso
pensieri a cui lei
non avrebbe mai avuto accesso.
–
Quindi al ballo ci sarai anche
tu? –
–
Naturalmente. –
Lei
sorrise sarcasticamente fra
sé.
Non ne dubitavo.
Si
alzò, mossa da un istinto
improvviso, si rassettò la gonna e scese i pochi gradini che
la separavano dal
sentiero.
–
Forse è meglio rientrare. Mi
devo preparare per il the da zia Persefone. –
Era
il rituale di ogni domenica
pomeriggio, e se all’inizio Regan aveva temuto che a lungo
andare se ne sarebbe
annoiata, adesso, con qualche piccolo incentivo, il sorprendente estro
della
zia le aveva fatto cambiare idea.
Lucius
rimase semplicemente
incredulo.
–
Mi stai dicendo che, tra me e
un the, sceglieresti un the? –
Regan,
che già si stava avviando
nella direzione opposta, si volse indietro con un’espressione
perfettamente
neutra:
–
La cosa ti disturba? –
Non
aspettò che Lucius riuscisse
a trovare una risposta.
Lezioni
di buone maniere: era
questo che la famiglia dava per scontato che lei facesse con Persefone,
benché
nessuna delle due lo aveva mai dichiarato esplicitamente. Lo avevano
semplicemente presunto nel notare i miglioramenti nella postura e nel
portamento della nipote.
Lady
Persefone Westert era Coordinatore
della Terra di Brenner e questo faceva di lei una delle
personalità più
influenti delle Sette Terre. Regan sognava di diventare come lei, un
giorno:
bella e indipendente, sicura di sé, con una vita appagante e
completa e un
marito devoto accanto. Peccato solo che ciascuna voce di quella lista,
per il
momento, le sembrasse del tutto utopistica.
–
Sei distratta. –
La
voce musicale di Persefone
risuonò nel corridoio fino a perdersi nella sua lunghezza.
Regan si abbandonò a
un lungo sospiro di frustrazione.
–
Mi dispiace. Non so cosa mi
prenda. –
Si
tamponò la fronte con una
manica della camiciola mentre con l’altro braccio riabbassava
la spada, quella
che un tempo era appartenuta ad Anneli.
Persefone,
la cui spada puntava
direttamente al cuore della nipote, rilassò la posa e
sorrise.
–
Penso che per oggi possa
bastare. –
Si
trovavano in un corridoio di
servizio, inutilizzato persino dalla servitù. Ampio e
lontano da occhi e
orecchie indiscreti, era stato eletto teatro ideale dei loro
allenamenti
segreti. Uno die tanti motivi per cui Regan adorava la giovane zia era
che, a
differenza di Tristan, lei capiva i suoi disagi e le sue paure e
cercava sempre
un modo per farla sentire meglio. In effetti, anche se non poteva dirsi
esattamente brava, Regan aveva imparato in fretta a cavarsela con le
armi,
scoprendosi anche particolarmente portata per l’uso dei
pugnali, che maneggiava
con molta più confidenza delle spade.
Persefone
si complimentava spesso
con lei per i suoi progressi e di tanto in tanto insisteva ad allenarla
anche
all’uso dei suoi poteri, cosa che puntualmente si rivelava un
perdita di tempo.
Per qualche motivo, a Regan riusciva quasi impossibile entrare in
contatto con
le proprie forze interiori e capire come manovrarle. Il che era una
vera
scocciatura, visto che a chiunque altro sembrava riuscire
così naturale, ma
secondo pareri autorevoli la causa di questa difficoltà
veniva dall’altro potere
che lei custodiva, così ben
sigillato in lei che aveva finito per bloccare anche tutto il resto.
Abbandonarono
il corridoio e si
trasferirono in una saletta attigua a cambiarsi, poi salirono agli
appartamenti
privati di Persefone per la merenda. Trovarono già tutto
apparecchiato e Yalin,
la cameriera personale della zia, le stava aspettando assieme ai
bambini.
Hemel
era una piccola bambola,
rosea e perfetta come la madre, e stava giocando sul soffice tappeto di
fronte
all’ampia finestra che dava sulla terrazza. Il suo fratellino
Shedar, ancora
troppo piccolo per prendere parte ai suoi giochi, succhiava un lembo di
coperta
nella sua culla. Era incredibile quanto fosse cresciuto. Somigliava in
tutto e
per tutto al padre, tranne che in un particolare: come tutti coloro che
avevano
sangue Edelberg nelle vene, aveva gli occhi neri come
l’ossidiana.
Tutti, tranne me, non poté
evitare di pensare Regan, non senza una
punta di dispiacere. Era una sciocchezza, ma in qualche modo la faceva
sentire
come se ci fosse una sottilissima linea che la separava dal resto della
famiglia, come se fosse rimasta esclusa da un dono che accomunava tutti
gli
altri.
Yalin
servì il the e, come di
consueto, si congedò.
–
Sei nervosa per il tuo debutto
– osservò Persefone, deponendo nel piattino di
Regan un paio di grassi
pasticcini glassati di rosa che lei non aveva nessuna voglia di
mangiare. –
Mandali giù con un po’ di the – la
spronò la zia, leggendo senza alcuna
difficoltà la sua espressione. – Hai bisogno di
energia. E comunque non è il
caso di stare in ansia. –
–
Non sono in ansia – precisò
Regan, punzecchiando con la forchetta la cima di un pasticcino.
– Sono arrabbiata.
–
–
Perché sei arrabbiata? – le
chiese Hemel, avvicinatasi per reclamare qualche leccornia.
Un
cenno di Persefone accordò a
Regan il permesso di porgerle un bignè al limone.
–
Perché a nessuno interessa
quello che penso io. –
Un’occhiata
severa da parte della
zia la fece pentire di aver parlato.
–
Scusami. Il fatto è che… –
Hemel
si avvicinò alla madre e si
fece prendere sulle sue ginocchia. Persefone le versò del
the e lo raffreddò
con un goccio di latte.
–
Il fatto è che, anche se in
apparenza sei identica ad Aranel, sei una Edelberg: ribelle, cocciuta,
orgogliosa, e ben poco incline a piegarti a qualsivoglia tipo di
sottomissione.
–
Stranamente,
non suonava affatto
come un rimprovero. C’era anzi un accenno di orgoglio in
quelle parole,
nell’aria vagamente colpevole che Persefone assunse subito
dopo. Forse fu per
quello che aggiunse:
–
Che tu lo creda o meno, so come
ti senti in questo momento, Regan. Non riesci a sentirti te stessa nei
panni
che sei costretta a vestire. Ti senti soffocare nella tua stessa
immagine e
vorresti solo cancellare tutto quello che sei e riscriverti daccapo.
–
Regan
la fissava immobile, gli
occhi sgranati. La zia le sorrise mentre accarezzava i capelli della
bambina.
–
Se vuoi essere quella che senti
di essere davvero, dovrai guadagnartene la possibilità. Mio
padre mi concesse
il permesso di frequentare la Domus Aurea solo perché fin da
piccola mi ero
impegnata a imparare tutto ciò che una fanciulla di buona
famiglia dovrebbe
sapere: arte, musica, letteratura, danza, buone maniere…
sapevo persino cucire
e ricamare, all’epoca, benché ora io abbia perso
ogni abilità. – Una breve
risata alleggerì i toni del discorso. – Tristan
non ti negherà di seguire le
tue inclinazioni, entro i limiti della rispettabilità, e se
dovesse farlo, ti
prometto che metterò in gioco tutta la mia influenza per
persuaderlo, ma tu
prima devi dimostrargli di essere degna di un tale premio. –
–
E se io dovessi morire domani e
non avere mai la possibilità di essere come vorrei?
–
–
Suvvia, che sciocchezza.
Nessuno di noi permetterà mai che ti accada qualcosa.
–
–
Ma quello che sono… –
–
Sei una ragazza come tutte le
altre e come tale noi tutti ti consideriamo. – Regan non
aveva mai sentito la giovane
zia così secca e categorica. – Nascondi un segreto
e non credere che chi ne è a
conoscenza faccia semplicemente finta di niente. Sono convinta che
esista un
modo per separare la tua essenza da quel nucleo estraneo che risiede in
te, ma
fino a che non lo avremo scoperto, puoi star certa che nessuno ti
dispenserà dall’assolvere
i quotidiani doveri di una fanciulla per bene della tua età.
–
A
quel punto Regan non poté
trattenere un minuscolo sorriso rincuorato.
–
Quando parli così sei identica
allo zio Tristan. –
Non
era esattamente un
complimento, ma fece comunque sorridere Persefone.
–
Il bello di essere la sorella
minore è che hai tutto il tempo per apprendere dai fratelli
maggiori ogni
miglior pregio e ogni peggior difetto. Tristan mi ha insegnato ad
affrontare le
cose sempre a testa alta, con dignità e orgoglio. Tuo padre,
al contrario, mi
ha trasmesso il valore della libertà, e probabilmente se non
fosse stato per
lui ora non sarei dove sono adesso, e sicuramente non altrettanto
felice. Ma
noto con piacere che a te non mancano né
l’orgoglio, né la dignità. –
Regan
consumò i suoi pasticcini
in silenzio, servendosene un altro paio senza quasi rendersene conto.
Quando
ebbe posato la sua seconda tazza di the, svuotata fino
all’ultima goccia, la
zia la stava scrutando pensosa, le mani intrecciate sotto al mento in
quel suo
tipico modo da ragazzina che la distaccava così tanto dal
solenne ruolo di
Coordinatore che vestiva in pubblico.
–
Che c’è? –
–
Pensavo all’Equinozio di
Primavera. –
–
Non ci stavo pensando da quasi
cinque minuti… grazie per avermelo rammentato. –
L’aria
assorta di Persefone
evaporò per lasciare spazio a un sorrisetto sornione.
–
Ho una cosa che cambierà il tuo
modo di vedere la serata. Un regalo che sarà il nostro
piccolo segreto. –
Si
alzò, lasciò che Hemel
tornasse ai suoi giochi e scomparve oltre la porta, ritornando poco
dopo con
una scatola di legno consumato, lunga e piatta, chiusa da un
chiavistello
annerito. La porse a Regan e la invitò ad aprirla. Lei
obbedì e quando ebbe
sollevato il coperchio fittamente intarsiato, i suoi occhi brillarono.
Erano
daghe. Due daghe gemelle,
una nera e una bianca, lunghe quasi quanto un suo avambraccio e
adagiate su un
drappo di velluto rosso che ne risaltava la bellezza in ogni minimo
dettaglio.
L’elsa era sottile, fatta di spire avvolte su sé
stesse dalla finissima guardia
crociata fino al pomolo, su cui erano incastonati due diversi simboli
su
ciascuna delle due armi: un sole dorato stilizzato ornava infatti la
daga
bianca, mentre su quella nera risplendeva una falce di luna
d’argento.
Regan
le prese in mano e le
studiò da vicino. Il filo era tagliente come un rasoio e
poco ci mancò che
saggiandolo non si ferisse un dito.
Non
erano semplici lame. Erano
due piccole opere d’arte.
–
Valo e Varjo – disse Persefone,
indicando ora la lama bianca, ora quella nera. – Vetro Eterno
forgiato nelle
fucine reali di Hazar più di mezzo millennio fa. Le ho avute
in dono da mio
nonno quando entrai nella Lega. Sono state per me delle compagne
infallibili.
Ora è tempo che servano una nuova Edelberg. –
Regan
non era sicura di aver capito.
Era davvero possibile che la zia stesse donando quelle daghe a lei? Si
sentiva
vergognosamente prossima alla commozione, soprattutto perché
non riteneva di
meritare un regalo così prezioso.
–
Non so cosa dire… sono
meravigliose. Ma non riuscirò a portarle con me molto
spesso, visti gli abiti
che sono costretta a indossare. –
Proprio
come se avesse previsto
quell’obiezione, Persefone si sporse in avanti e
scostò il drappo rosso sul
fondo della custodia: da sotto di esso fecero capolino dei lacci di
cuoio nero tenuti
insieme da piccole borchie metalliche.
–
Credi che io giri disarmata
solo perché i miei abiti sono un po’ scomodi?
–
Regan
sollevò interrogativamente
lo sguardo e vide che la zia stava sorridendo senza sforzarsi di celare
una
nota di malizia.
–
Ora viene la parte che
preferirai. –