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L’Aurora, viaggiando a
pieno regime, aveva già raggiunto la Ares, dove aveva rapidamente dato avvio
alle operazioni di rifornimento e imbarco della forza d’attacco necessaria a
riprendere il controllo del Megonia.
Nell’attesa
che tutto fosse pronto per ripartire, nella sala riunioni della stazione il
consiglio di sicurezza aveva organizzato un’ultima riunione tattica per
decidere la linea d’intervento, nella speranza di sentir giungere da un momento
all’altro la trasmissione che annunciava l’avvenuto ripristino dei sistemi di
navigazione che conducesse il Megonia in un luogo
favorevole per il salvataggio.
Una trasmissione arrivò, ma invece del volto di Ulrich o di quello del Capitano Klopfer
i membri del Consiglio videro materializzarsi sul monitor lo sguardo atterrito
e sconvolto, per quanto composto, del dottor Curtis.
Il
dottore si era risistemato, smettendo il camice degno di un macellaio in favore
uno ancora intonso, lavandosi malamente il sangue anche da faccia e capelli,
inoltre aveva appositamente aperto la comunicazione procuratagli da Ulrich nel proprio ufficio lasciato in ordine.
Tuttavia,
ciò che il dottore aveva da dire era di una gravità e di uno sconvolgente tale
che nessuno, nell’ascoltarlo, avrebbe fatto caso al suo aspetto.
«Un
virus!?» esclamò Nolan
«Sì,
signore. Più precisamente, il virus dell’influenza.
Abbiamo
avuto una piccola epidemia a bordo subito dopo la partenza, per questo si è
diffusa in tutta la nave in modo così rapido.»
«Ma come
può un virus provocare un fenomeno EDA?»
«E
soprattutto, perché un virus!? Gli EDA non dovrebbero nascere solo dagli esseri
umani?»
«La mia
è solo un’ipotesi, signori, ma ritengo abbia a che fare con la Nascita di
Venere. Come tutte le astronavi, anche il Megonia è
dotato di barriere e rivestimenti protettivi, ma la quantità di radiazioni
magiche emesse da Neos in occasione di questo
fenomeno atmosferico sono particolarmente elevate. Forse anche più di quanto ci
aspettassimo.
Il virus
dell’influenza è basato su di una sequenza RNA, che per quanto complessa è
strutturalmente più semplice rispetto all’originale DNA, ma anche molto più
fragile.
La mia
teoria è che le radiazioni abbiano alterato la sequenza genomica del virus
dell’influenza che si era diffuso a bordo, tramutandolo in una sorta di EDA-virus capace di trasmettere la propria infezione a
chiunque ne sia colpito».
I membri
del Consiglio sbiancarono.
«Ha
detto a chiunque!?» ripeté il Direttore Geithner
«Ho
studiato il decorso della malattia, se così si può chiamarla. Subito dopo la
mutazione, il virus inizia a moltiplicarsi in modo incontrollato, causando in
breve tempo il collasso dell’organismo ospite a causa dell’aumento esponenziale
di particelle magiche nell’organismo.
Al
momento della morte, il livello di contaminazione risulta a tal punto elevato
da provocare la mutazione all’interno del corpo stesso, provocando la nascita
di un vero e proprio EDA. L’alta percentuale di energia infetta presente negli
EDA generati è considerevole, abbastanza da permettere loro una sopravvivenza
decisamente più lunga rispetto alla media, oltre ad una resistenza sopra la
media ai comuni sistemi di contenimento.
Infine,
in base agli esami autoptici che ho potuto condurre, credo di poter affermare
con certezza due cose. La prima, è che il virus non ha effetto sugli stregoni,
data la presenza di un core molto sviluppato che
assorbe gli effetti nefasti dell’infezione, la seconda che in base al tasso di
infezione negli esseri umani possono verificarsi vari stadi di mutazione. Circa
due terzi dei soggetti colpiti muoiono prima che l’infezione diventi così grave
da causare una mutazione post-mortem, mentre di
quelli che restano nove su dieci si trasformano in EDA di classe Pedone, con la
restante percentuale che può assumere caratteristiche che possono andare da un
Classe Cavallo ad un Classe Alfiere.
Quando
l’energia nefasta si esaurisce, o se il decesso avviene prima che questa abbia
incrinato pesantemente il DNA, in entrambi i casi il virus rapidamente si
autodistrugge assieme all’organismo ospite e a qualunque materiale non
sufficientemente resistente che si trovi nei dintorni del corpo in una specie
di auto-combustione, anche se servendomi di ritardanti e inibitori sono
riuscito in qualche modo a limitare tale processo sì da condurre i miei
esperimenti».
I membri
del Consiglio si fecero dei fantasmi, guardandosi attoniti tra loro.
«E non
c’è niente che si possa fare?» domandò ancora il Direttore Generale.
«Ho
tentato di somministrare ai pazienti colpiti dosi massicce di antibiotici,
oltre a bombardarli di incantesimi decontaminanti nel tentativo quantomeno di
arrestare la mutazione, ma non ho ottenuto risultati».
Il dottore
si fermò un momento; sembrava a sua volta sconvolto.
«Ma c’è
una cosa ancora peggiore. Questo virus… è
contagioso».
Fu come
se un vento gelido si fosse abbattuto nella stanza, immobilizzando e
cristallizzando ogni cosa.
«Come… come ha detto prego?» domandò Pierce McArdle, il più giovane membro del Consiglio, sia per età
che per nomina
«È così,
signore. Ringraziando il cielo ha perso la capacità di sopravvivere nell’aria,
ma a parte questo si propaga ancora come la normale influenza, soprattutto per contatto
diretto: morsi, graffi, a volte basta il semplice contatto fisico. Il tempo di
incubazione varia a seconda del soggetto, ma in ogni caso non và oltre le
dodici ore.
L’unica
nota positiva è che con la disgregazione dei corpi non rimangono cadaveri che
fungano da ricettacoli, ma di fronte alla sua virulenza questa una ben magra
consolazione.
Dovete
inviare aiuti al più presto, o moriranno tutti!».
Qualcuno
si buttò sul tavolo come sfinito, chi li aveva si tolse gli occhiali quasi a
voler piangere; gli unici a restare impassibili furono Nolan
e Geithner, ma mentre il secondo sembrava cercare di
nascondere il suo reale stato d’animo il primo lasciava trasparire tutto il suo
disappunto e sconcerto, senza però che questo si traducesse in una parvenza di
rassegnazione.
Dopo
qualche attimo il segnale si interruppe di colpo, senza motivo apparente, ma
ormai quegli uomini avevano sentito abbastanza. E se non bastavano le parole,
dopo poco giunsero anche le poche immagini che il dottore era riuscito a
mettere insieme sia dalle riprese della sicurezza prima che si spegnessero del
tutto, sia da quelle delle sue autopsie da lui condotte, e per interminabili
minuti in quella stanza regnò il più totale silenzio.
Non la
si poteva neanche più chiamare situazione al limite: quella era una cosa mai
successa prima, oltre alla più grave, potenziale catastrofe che la MAB e
l’intero pianeta si trovavano a dover affrontare.
«Avete
sentito quello che ha detto, vero?» esclamò ad un certo punto Nolan, il più risoluto di tutti. «Immagino siate tutti
d’accordo su quale sia la cosa giusta da fare.»
«Ma…» tentò di obiettare Geithner.
«Stiamo parlando di migliaia di persone. Avete sentito quello che ha detto l’Agente
Drassimovic. Ci sono dei superstiti a bordo.»
«E sono
tutti potenziali vettori della malattia, Signore» disse un altro, il Direttore Haseo Aoyama. «Chi ci assicura
che tra di loro non ci siano degli infetti? Temo sia un rischio che non
possiamo permetterci di correre. È in gioco la sicurezza del nostro pianeta.»
«Potremmo
mettere in quarantena la nave» provò ad ipotizzare un altro ancora, Andrey Valdes. «Mandiamo i nostri
uomini a bordo, eliminiamo gli infetti, e isoliamo i superstiti fino a che non
potremo accertarne la non pericolosità.»
«E se
uno dei nostri uomini viene infettato cosa facciamo?» irruppe Nolan.
Di nuovo
tutti tacquero, chinando il capo.
«Signore,
lo so che è una decisione dolorosa» disse Aoyama «Ma
dobbiamo fare ciò che è giusto.»
«Non
dovremmo avvertire Amaltea della situazione?» chiese McArdle. «La nave è loro dopotutto.»
«Per
farci rallentare da burocrazia e paternalismi?» tuonò Nolan.
«Il tempo è un lusso che non abbiamo! Dobbiamo agire subito! È in gioco la
sicurezza di questo mondo!».
Il Direttore Shane nel
frattempo si era ritirato nel suo ufficio, certo che sarebbe stato richiamato
appena fosse venuto il momento di deliberare le ultime questioni e partire per Neos.
Stranamente
la cosa andò per le lunghe, anche se Nathan era troppo preso nei suoi pensieri
per accorgersene, ma quando gli venne da gettare uno sguardo sull’orologio
avvedendosi di che ore fossero iniziò a pensare che forse era successo
qualcosa.
Poi, uno
dei suoi assistenti irruppe nell’ufficio, incredulo e frastornato.
«Signore,
l’Aurora si sta preparando a ripartire.»
«Che
cosa!?» esclamò lui balzando dalla poltrona
«È così,
Signore. Hanno anche annullato le operazioni di imbarco truppe, e ordinato il
rifornimento dei sistemi d’arma».
In linea
teorica nessuno poteva fare niente a bordo di quella stazione senza il permesso
di Nathan, ma quello era l’ultimo dei problemi.
Come un
toro infuriato il Direttore si diresse a grandi passi verso la zona d’attracco,
trovando man mano che vi si avvicinava la frenesia più assoluta. Chiunque
fermasse dell’equipaggio dell’Aurora non apriva bocca, obiettando quando gli
veniva ricordata la differenza di grado che l’ordine di silenzio veniva
direttamente dal Direttore Generale in persona.
Con
tutte quelle bocche cucite, a Nathan non rimase che andare dal suo vecchio
amico McArdle, con cui aveva da anni una bella
amicizia, ma che soprattutto gli doveva parecchi favori dai tempi
dell’accademia, tra compiti lasciati copiare e assenze ingiustificate
prontamente coperte.
Lo trovò
in una saletta nei pressi dell’imbarco, funereo e con il volto cereo, gli occhi
al pavimento che trattenevano a stento lacrime di vergogna.
Dovette
forzarlo un po’, ma alla fine riuscì a fargli raccontare cosa fosse realmente
accaduto in quella stanza, e qualche minuto dopo Nolan,
intento a controllare lo stato dei rifornimenti davanti al portello della nave,
se lo vide venire contro schiumante di rabbia.
«Oh,
porca miseria.» imprecò tra sé mentre Nathan si avvicinava
«Brutto
figlio di puttana! Pensavi che non l’avrei saputo?»
«La
decisione ormai è stata presa. Il Consiglio l’ha approvata!»
«Quale
decisione!? Quella di vaporizzare migliaia di civili? Lassù ci sono i miei
ragazzi!»
«Non
possiamo fare niente per loro, e se sono furbi scommetto che già lo sanno! E
comunque, se quel virus lascia il Megonia potrebbe
esserci una pandemia! Vuoi vedere Kyrador, o Otisa, o Volgorad, o qualunque
altra cazzo di città trasformata in una specie di inferno in terra? Io no!
Preferisco perderne poche migliaia di interi milioni! E scommetto anche tu!»
«Ma il
virus non è aerobico, santo Dio! Possiamo contenerlo con la quarantena!»
«È un
rischio che non possiamo né vogliamo correre, stupido amalteco!»
«Hai
ragione, sono amalteco! Quindi non vi permetterò vi
polverizzare una nave del mio Paese! Ora alzerò il telefono e informerò Amaltea della situazione, e vediamo se vi lasceranno fare
quello che volete!»
«No, tu
non farai proprio nulla! Sarai pure amalteco, ma
prima di tutto sei un membro di questa Agenzia, e in quanto tale ti atterrai
alle direttive dei tuoi superiori!»
«Il Megonia è una nave di Amaltea! È
il governo di Amaltea che deve avere l’ultima
parola!»
«Niente
affatto! Emergenza militare di Classe Uno! In base alle direttive, in caso di
emergenza di Classe Uno la MAB ha la facoltà di agire, cito testualmente, nell’interesse e nell’incolumità della
sicurezza mondiale e della popolazione di Celestis!
Vatti a rileggere l’RMA per i dettagli!»
«Ma
scommetto che ad Amaltea non avete detto niente!
Saranno felici quando sapranno che avete disintegrato la loro nave ammiraglia
senza dirgli niente!»
«Lo
saranno ancora di più quando sapranno che gli abbiamo evitato una pandemia di
livello potenzialmente catastrofico!
Questa è
una situazione che, porca puttana, va’ risolta subito!»
«Direttore»
disse in quella un marinaio. «Siamo pronti a decollare.»
«Bene,
era ora. Scusa, amico. I tuoi uomini non ci servono più» e detto questo Nolan salì sull’Aurora chiudendo letteralmente in faccia il
portello al Direttore Shane, che poté solo restare ad osservare attraverso i vetri
la nave che si allontanava in direzione di Neos.
Uno dei
suoi, cui aveva ordinato di tentare di ristabilire il contatto con il Megonia con qualunque mezzo necessario, gli si fece
incontro poco dopo pallido e sconfortato, trovando il suo superiore ancora
immobile come una statua dinnanzi al portello chiuso.
«Mi
dispiace signore, non c’è niente da fare. Temo che il satellite sia stato
colpito da qualche detrito.»
«Fai
preparare gli uomini e una nave.»
«Signore?!»
«Subito!».
Jacob era sicuro che con un
po’ di tempo e di riposo si sarebbe sentito meglio, invece di colpo le sue
condizioni sembrarono precipitare, e a Vincent bastò poggiargli una mano sul
volto per rendersi conto di come scottasse da far paura.
«Santo
cielo Jacob, ma che ti succede?» domandò Vincent sempre più preoccupato.
Ma ormai
Jacob era ridotto in uno stato tale da non riuscire quasi a parlare, tanto i
colpi di tosse e i conati di vomito gli rendevano difficile persino trovare la
forza per respirare.
Per
tentare di aiutare in qualche modo l’amico Vincent andò a cercargli qualcosa da
bere, e mentre Jacob era da solo, disteso alla meglio su uno dei pochi lettini
non lordi di sangue, aperti un momento gli occhi trovò a sovrastarlo il dottor
Curtis, che lo fissava dall’alto come un giudice pronto ad emettere una
sentenza.
«Ti
hanno morso?».
Jacob
fece cenno di sì.
«Lo sai
che cosa ti aspetta, non è vero? Mi hai sentito mentre ne parlavo».
Era
vero.
Forse il
dottore lo aveva fatto di proposito; forse aveva detto volontariamente a
Vincent di distendere l’amico ad un lettino così vicino all’infermeria,
cosicché le orecchie di Jacob, rese ipersensibili da una mutazione che di fatto
era già cominciata, potesse sentire di persona quale era il suo destino e
decidere di conseguenza.
Il suo
destino era segnato. Non c’era niente da fare. L’unica cosa che poteva fare era
morire con onore, senza tramutarsi in uno di quei mostri.
«Ragazzi,
brutte notizie» disse d’improvviso Ulrich. «Ho un
nutrito schieramento di EDA sui monitor nei pressi dell’infermeria. Se non ve
ne andate subito potreste non farlo più».
Vincent
tornò in tutta fretta, ma quello che vide lo scioccò: in suo amico Jacob si era
seduto, gli occhi che piangevano sangue
e una poltiglia fetida che gli usciva dalla bocca.
Riconobbe
subito i sintomi: li aveva visti centinaia di volte. Ma non voleva crederci;
non poteva crederci.
«Il suo
collega è stato colpito in forma blanda» spiegò funereo il dottore. «Il virus
non lo ucciderà, ma questo non impedirà la mutazione.»
«No! No!
Non può essere!» gridò Vincent scotendo l’amico, ormai moribondo, e
mostrandogli il suo stesso pendente. «Jacob, tu sei più forte di così! Sei
sopravvissuto a mille EDA!»
«È
inutile. Teoricamente sarebbe ancora possibile arrestare la mutazione, ma essendo
provocata da un virus fermarla è impossibile.»
«Non può
essere così! Deve esserci qualcosa che possiamo fare!»
«Una
soltanto».
Freddo,
senza apparente esitazione, il dottore prese la pistola, e con un colpo dritto
in mezzo alla fronte pose fine alle sofferenze di Jacob, che si accasciò senza
vita sul lettino.
Vincent
rimase di sasso, mentre in lui montava la rabbia.
«Bastardo!»
sbraitò atterrando Mark con un pugno che quasi gli ruppe la mascella. «L’hai
ucciso!»
«Non
l’ho ucciso!» rispose fieramente il dottore. «Ho salvato quello che restava del
suo onore!»
«Stai
mentendo!»
«Guardalo!
Ti sembra una persona triste?».
Solo
allora Vincent si accorse che sul volto lordo di sangue e vomito del suo più
caro amico era comparso, come una rosa in mezzo al fango, un bellissimo
sorriso, rilassato e felice, e allora capì.
Forse
non era la morte che Jacob avrebbe sempre sognato, ma almeno era stata una fine
onorevole. Meglio morire così che diventare uno di quei mostri che avevano
sempre combattuto.
Di
certo, però, non avrebbe permesso al suo corpo di diventare cibo per quelle
maledette creature. Sapeva di non poterselo portare dietro, ma contava di
tenerlo al sicuro fino a che quell’incubo infernale non fosse finito, così, con
l’aiuto del dottore, lo portò dentro la sala operatoria, adagiandolo con cura
sul tavolo.
Prima di
andarsene lo compose come poteva, incrociandogli le mani sul busto attorno al
pendente, e fino a che gli fu possibile stette ad osservarlo in silenzio,
sfiorandogli di tanto in tanto i capelli insanguinati; quindi, quando i ruggiti
di quei mostri si erano fatti ormai troppo vicini, se ne andò, sprangando con
forza la porta dell’infermeria perché risultasse un santuario, o un cimitero,
assolutamente impenetrabile.
«E ora
forza, andiamo via!» ordinò al dottore.
Nella sala dei superstiti,
l’aria si stava facendo davvero pesante.
Anche se
gli scossoni si erano sensibilmente ridotti di quando in quando si sentiva la
nave scricchiolare, e ogni volta la paura montava sempre più forte.
La
maggior parte delle persone si era convinta che tutto fosse nelle mani del Capitano
Klopfer, e attendeva come i suoi due giovani
sottoposti di sentire da lui buone notizie da un momento all’altro, ma c’era
anche una ristretta minoranza che non perdeva occasione per polemizzare e
mugugnare a mezza voce il proprio disappunto, fulminando Klaus e Amanda con
delle occhiatacce e degli improperi mal celati.
«È tutta
colpa vostra!» urlò ad un certo punto Richard Song
all’indirizzo dei due ragazzi. «Solo colpa vostra!»
«Adesso
non incominciare.» cercò di bloccarlo Gullit
«Chi ha
aperto le porte? Chi ha permesso a quei dannati mostri di circolare liberi per
tutta questa fottuta nave? Siete stati voi!»
«Ma non
lo capisci, imbecille?» gli rispose Ashley. «Se non avessero aperto le porte,
non sarebbero neppure arrivati qui. E noi saremmo ancora a farci luce con le
candele.»
«Sta
zitta, culo basso. Cosa puoi saperne tu? E comunque preferivo di gran lunga
pisciare alla luce di una fiammella che finire mangiato da quelle creature!
Voi avete
provocato tutto questo, e ora voi dovete farci uscire!»
«È
quello che stiamo facendo» tentò di spiegare Amanda. «Abbiate solo un po’ di
pazienza. Quando i motori saranno stati riparati…»
«Al
diavolo i motori! Chi vi dice che funzionino ancora? E soprattutto, chi ci
assicura che quei tre ce la faranno? Grazie a voi, e ribadisco grazie a voi,
ora questa fottuta nave è infestata da cima a fondo! Cosa credete che possano
fare tre uomini? Scommetto che a quest’ora sono già stati sbranati, il che significa
che potrebbero essere diventati anche loro come quei cosi!
L’unica
cosa da fare è raggiungere le scialuppe!»
«Il Capitano
è l’uomo più competente che conosca» disse spazientito Klaus. «Se ha detto che
ce la farà, allora è così.»
«Ma
taci, ragazzino. Cosa credi di saperne tu? Guarda che ti abbiamo visto tutti
fare il cane bastonato davanti a quel tipo. È chiaro che per lui tu non conti
niente, e non intendo stare qui a farmi guardare le spalle da un lattante che
non ha neppure la fiducia del suo capo.»
«Come
hai detto, spocchioso pezzo di merda?».
Klaus
aveva cercato di trattenersi fino all’ultimo, ma alla fine non ce la fece più e
assestò uno dei suoi famosi sinistri dritto allo zigomo di Song,
che volò al tappeto con un molare in meno e il setto nasale spostato.
«Tu,
brutto figlio di…».
Sembrava
davvero che dovesse scatenarsi una gigantesca rissa, ma un urlo paralizzò
tutti.
«Basta,
smettetela!».
Johanna,
rannicchiata in un angolo, seguitava a tenere la figliastra stretta a sé, senza
che però questa ricambiasse in qualche modo, e intanto guardava i responsabili
di quella zuffa con occhi iniettati di astio.
«Che
senso ha combattere tra di noi? Non lo capite che siamo tutti sulla stessa
barca?
Ora
smettetela di fare i bambini e comportatevi da uomini! Così spaventate tutti!».
Effettivamente,
guardandosi attorno Klaus si avvide che le persone tutto attorno li stavano
guardavano, ed era evidente la loro paura.
Si diede
dello stupido: se proprio lui, il cui compito era di portare in salvo quelle
persone, si lasciava sopraffare dalla tensione, come poteva aspettarsi di poter
essere di qualche aiuto?
Lasciò
andare Song, che quasi senza accorgercene aveva preso
con forza per il bavero, scaraventandolo via.
«Se ti
sento ancora aprire bocca, ti faccio saltare qualche altro dente» e quello,
masticando, poté solo obbedire, spaventato dal modo in cui Klaus accarezzava il
suo fucile.
Helen non era mai stata una
persona fortunata; o almeno, non si era mai reputata tale.
Così, il
fatto che l’ascensore per il ponte fosse difettoso non la sorprese più di
tanto, e poiché era una maga non dovette
neanche faticare particolarmente per percorrere in volo la tromba quadrangolare
fino a giungere a destinazione.
Il
ponte, immenso, era completamente deserto; probabilmente i suoi occupanti erano
quelli che aveva sterminato all’ingresso. Inoltre, le paratie di sicurezza a
protezione dei vetri erano tutte abbassate, ma si trattava senza dubbio di una
misura d’emergenza attivatasi automaticamente con il blocco dei sistemi.
Di
nemici, per fortuna, nemmeno uno.
«Sono
sul ponte» disse via radio. «La zona è sicura.»
«D’accordo»
rispose Ulrich. «Dammi un attimo che ripristino i
sistemi».
Ma per
il ragazzo era in serbo una brutta sorpresa.
Quando
tentò di accedere ai comandi del ponte per ripristinarne le funzionalità,
infatti, si ritrovò davanti solo una massa inestricabile di dati e pattume
digitale, oltre a dei software scombinati all’inverosimile.
«Che
diavolo è successo qui?» disse incredulo.
La
risposta arrivò ad un rapido controllo, e non era certo delle più rassicuranti.
«Cattive
notizie, Helen. Temo ci sia un bug nel computer della nave.»
«Come
sarebbe a dire, un bug!?»
«Non so
di preciso di che bug si tratti, ma una cosa è certa: ha fatto macello dei
sistemi che controllano le funzionalità del ponte di comando. Ora come ora è
impossibile perfino dare energia ai motori, figuriamoci ripristinare la rotta.»
«Vuoi
dire che ho fatto tutta questa strada per niente!?»
«Proverò
ad eliminare il bug e a fare un controllo. Se siamo fortunati il sistema che
cerchiamo non è stato toccato. In caso contrario, dovremo inventarci
qualcos’altro.»
«Non c’è
che dire, questa missione sta filando liscia come l’olio».
La strada verso la sala
motori si stava rivelando incredibilmente semplice: forse anche troppo.
Era vero
che quel ponte in particolare era stato di fatto quasi isolato grazie ad Ulrich, ma la situazione sembrava fin troppo tranquilla: in
quei corridoi era solo buio e silenzio.
«Non mi
convince» disse Reynar. «Sembra tutto troppo facile.»
«Cosa
c’è in fondo a questo corridoio?» chiese Georg a Raoul
«Le
cucine».
Le porte
scorrevoli delle cucine apparvero infatti poco dopo a bloccare la strada, ma
erano porte strane, robuste e di puro acciaio, oltre che apparentemente
infrangibili.
«Porte
tagliafuoco» disse Raoul preoccupato. «Deve esserci stato un incendio».
Georg
provò a buttarci sopra l’acqua della sua borraccia, e questa evaporò del tutto
ancor prima di toccare la superficie.
«Ulrich, ci serve un’altra strada.»
«C’è un
corridoio di servizio poco distante che gira attorno alle cucine. Tornate
indietro di quindici metri e prendete a destra».
I tre
fecero come era stato loro detto, ma ancora una volta si trovarono di fronte ad
una porta chiusa.
«Ho
bloccato entrambe le porte. Aspettate un momento, ora le riapro».
L’attesa
fu piuttosto lunga, ma almeno sembrava destinata a scorrere senza imprevisti,
tanto che i tre uomini finirono persino per calmarsi.
«Accidenti
a mia moglie» imprecò Reynar. «Avrei fatto meglio ad
impuntarmi.»
«Sua
moglie è a bordo?» chiese Raoul
«Grazie
al cielo no. Ha baciato un albero a quaranta all’ora e da due settimane è
all’ospedale con un femore rotto e un trauma cranico.
Avevamo
comprato i biglietti per questo viaggio già due anni fa, e ormai era tardi per
riavere i soldi, così mi ha convinto a venirci da solo.»
«Guardi
il lato positivo. Ha assistito a due grandi eventi in una volta sola.»
«Ne
avrei fatto volentieri a meno. Io odio volare.»
«E tu,
Raoul? Sei sposato?» domandò Georg
«Ho una
ragazza. Svetlana. Sta a Volgorad.»
«Sei
fortunato» rise Reynar «Visto il freddo che fa
laggiù, scommetto che ogni volta che vi vedete ti chiede di riscaldarla a
dovere».
Non era
granché come battuta, ma in quella situazione qualunque cosa aiutasse a
stemperare la tensione era benaccetta.
Se non
che, proprio nel momento in cui Georg e i suoi improvvisati compagni erano
maggiormente calmi, un rumore inquietante, come di qualcosa di metallico che
cadeva violentemente a terra rompendo il silenzio, li riportò violentemente
alla realtà.
«Avete
sentito?» domandò il Capitano.