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Autore: Beatrix82    17/08/2008    3 recensioni
Mentre qualcuno attende impaziente i fiori d'arancio e l'arrivo di un nuovo, piccolo mezzosangue, qualcun altro riemerge dal profondo precipizio in cui era caduto, ritrovando la serenità sulle verdi e spensierate colline dei Paoz... 3° volume della saga "Dragonball NG", dopo "Il signore della Terra" e "Moonlight".
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Goten, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3

Capitolo 3 – Shining star

 

 

 

The way you look at me

The way you touch me

The fire in your eyes

-makes me sweat-

makes me shiver inside

there’s nothing I can’t do about it…

 

I vivaci giorni primaverili che avevano rallegrato i Paoz in quel finire di Aprile erano stati interrotti da quarantott’ore di pioggia continua, che aveva costretto tutti gli animaletti da poco usciti dal letargo a rintanarsi di nuovo nelle loro tane, al sicuro e al calduccio.

Non si trattava però di uno di quei pesanti acquazzoni autunnali, in grado di spazzar via ogni cosa, ma di quelle leggere pioggerelle di primavera che abbracciano la campagna come una morbida chioccia, a cui i campi ed i prati in fiore si aprono assetati per prepararsi all’estate.

Intorno alla doppia casetta dei Son si respirava un piacevole profumo di bosco, trasportato dalla fresca umidità dell’aria, mentre la pioggerella fine cadeva ovattata creando una rilassante sinfonia, appena udibile al di sotto della musica ben più alta e definita proveniente dalla legnaia.

Era un pezzo classico, un lento. Due figure, più o meno della stessa altezza, ballavano piano sotto le travi di legno di quel caldo riparo, alla luce opaca e biancastra che vi entrava libera, la cortina di pioggia che faceva da sfondo alla loro lenta danza.

“Ahi! Mi hai pestato di nuovo!”.

“Non è vero!”.

“Certo, me lo sono immaginato! O forse è il mio alluce che ne ha già avuto abbastanza!”.

“Guarda che sei tu che mi hai detto che avresti fatto due passi avanti e uno indietro, e che io avrei dovuto imitarti”.

“Ma se io faccio due passi avanti e uno indietro, è scontato che tu debba fare due passi indietro e uno avanti, non la stessa cosa!”.

“E con quale piede per primo, scusa??”.

“Basta, io ci rinuncio!”.

 Pan cercò di soffocare una risata affondando il mento nel colletto della sua felpa, mentre incrociava le gambe sulla vecchia poltrona su cui era seduta e allungava una mano verso lo stereo portatile appoggiato ad una pila di legna al suo fianco, premendo per l’ennesima volta il pulsante di STOP.

Davanti a lei, la coppia più inusuale di ballerini era immobile l’uno di fronte all’altro, Trunks con le mani ai fianchi, stanco e spazientito, Goten con una mano al mento e lo sguardo perplesso ancora fisso sui propri piedi, quasi stesse ripetendo mentalmente i passi che aveva imparato.

“Non è che tu sia proprio negato” disse Trunks con ostentata calma. “Sei abbastanza sciolto nei pezzi più ritmati, ma non ti sforzi di imparare la tecnica…senza contare il fatto che continui a farti guidare da me, mentre devi metterti in testa che è l’uomo a dover guidare la donna!” aggiunse, rimembrando anni e anni di esperienza ai balli di società. “Perché non lasciamo perdere? Vedrai che a Bra non importerà se…”.

“No Trunks, ti prego!” lo supplicò il Son, le mani giunte davanti al viso, l’espressione implorante. “Avevi promesso che mi avresti insegnato a ballare prima del matrimonio, l’avevi promesso!!”.

“Avanti, Trunks!” rinforzò Pan, sorniona, dondolandosi con la sedia. “Non ti fa neanche un po’ di pena il povero zio Goten, nel pensare a come lo ridurrà tua sorella scoprendo che al galà del matrimonio farà una pessima figura??”.

“Non è affatto divertente!” si difese lui, lanciando un’occhiataccia omicida alla ragazza, ma rivelando anche un po’ di divertimento, prima di rivolgersi di nuovo a Trunks. “So benissimo che a Bra non importa se sono un pessimo ballerino…o almeno non me lo farebbe pesare troppo…in ogni caso, voglio farle una sorpresa, voglio stupirla!”.

“Rimarrà certo stupita, nel contare quante volte riuscirai a pestarla in pochi passi!”.

“Continui ad affondare il dito nella piaga, nipote degenere?” protestò. “Perché non vieni tu a provare, invece di prendere in giro??”.

“Non ci penso proprio!”.

“Per favore, Trunks!” ricominciò. “Ti prego-ti prego-ti prego!!”.

“Ok, ok, proviamo l’ultima volta…”.

“Mi raccomando, non sprecarti troppo eh!” si lamentò. “Cos’è tutta questa fretta! Tanto oggi, con questa pioggia, non potete nemmeno andare a rotolarvi nei campi come vostro solito…”.

“Goten!!”.

Trunks l’aveva richiamato tra lo stizzito e l’imbarazzato, aspettandosi da un momento all’altro una sfuriata di Pan nei confronti dello zio. La ragazza era invece rimasta tranquilla, scegliendo questa volta di replicare con malizia:

“Guarda che quello che credi facciamo io e Trunks è in realtà solo per fare ingelosire te” lo provocò. “Così forse capirai che sposare Bra sarebbe il più grande errore della tua vita, mentre il tuo unico amore sarà sempre e solo Trunks!”.

Goten simulò un’espressione sorpresa, mentre si rivolgeva all’amico con una mano sul cuore: “Non potevi dirmelo subito che eri innamorato di me??”.

“Beh, sai com’è…” sospirò Trunks, stando pazientemente al gioco, solo perché non aveva voglia di battere un legno in testa a lui e di rincorrere lei. “La paura di un possibile rifiuto…e poi non potevo fare questo a Bra…”.

“Giusto, ci ucciderebbe entrambi! Il nostro rimarrà un amore impossibile! Concedimi almeno un ultimo ballo!” esclamò, prendendo con una mano quella del Brief e posandogli l’altra sulla vita.

“Ok, ma questa volta sarai tu a fare la parte dell’uomo, mentre io sarò la tua dama!” lo avvertì Trunks, correggendo la postura dell’allievo e sistemandosi in posizione.

“Ma che carini!” commentò Pan, fingendosi affascinata. “Siete una coppia perfetta! Talmente perfetta che mi sento quasi di troppo, penso che toglierò il disturbo!”.

Balzò giù dalla sedia, lanciò un’ultima occhiata divertita ai due sajan, che ancora immobili in attesa della musica le lanciarono uno sguardo di disappunto, si coprì la testa con il cappuccio della felpa e uscì fuori dalla legnaia, nella pioggia. Mentre il cellulare di Goten iniziava rumorosamente a suonare, obbligandolo a rimandare quel nuovo accenno di valzer e a rispondere all’ennesima chiamata della sua futura moglie, Trunks approfittò per sgattaiolare fuori dalla legnaia con indifferenza, afferrare da dietro un braccio di Pan prima che si allontanasse verso la dependance e trascinarla rapidamente sotto la piccola tettoia che percorreva la parete esterna della legnaia, al riparo.

“Non dirmi che ti manco già!” esclamò Pan  da sotto il cappuccio, non troppo dispiaciuta  per esser stata trattenuta. “Pensavo volessi stare un po’ da solo con il tuo cavaliere!”.

“Infatti, è che ci serve qualcuno che metta la musica!”.

La ragazza strabuzzò gli occhi un po’ divertita e un po’ offesa, affondando un pugno nell’addome di lui senza troppo danno, mentre Trunks rideva di gusto e le tirava il cappuccio sulla faccia per dispetto, facendole quasi perdere l’equilibrio.

Liberatasi, Pan si fece più vicina a lui, afferrandogli i lembi della giacca di jeans e sollevandosi sulle punte, in modo che ora le loro fronti quasi si sfiorassero.

Intorno a loro la pioggia cadeva placida e fine, mentre dalla legnaia proveniva allegra la voce di Goten, che parlava ancora al telefono.

“Stasera vieni da me nella dependance, dopo cena” gli disse la ragazza sottovoce, lo sguardo fisso sulle sue labbra. “Papà e mamma saranno a West City per una premiazione dell’Università…e io… sono sola”.

I suoi occhi scuri si sollevarono su quelli di lui, rivolgendogli un sorriso vagamente malizioso, mordendosi poi leggermente il labbro inferiore in attesa di una risposta a quello che, di fatto, sembrava un invito senza possibilità di rifiuto.

“Ok” sorrise lui, mentre la ragazza, con un ultimo sguardo d’intesa, si aggiustava di nuovo il cappuccio sulla testa e correva via nella pioggia, verso la dependance.

 

‘Cause nothing seems so true

When I’m beside you

Am I dreaming?

Just hold my hands

Naked, perfect, so beautiful…

 

“Te l’ho detto, Bra, sono ancora dal fornitore…sì, non l’ho dimenticato, appena ho fatto qui passo a confermare la prenotazione per il catering…ok, ok, a dopo tesoro”.

Trunks, rientrato nella legnaia, osservò l’amico che terminava la chiamata con uno sguardo perplesso, sollevando un sopracciglio.

“Beh, che c’è?” si difese Goten, riponendo il cellulare in tasca e scrollando le spalle. “Non posso certo dirle che sono qui a prendere lezioni di ballo da te, te l’ho detto che deve essere una sorpresa!”.

“Come…come sta Bra?” chiese debolmente Trunks, a fatica udibile al di sopra della pioggia. “Purtroppo ancora non c’è stata occasione per…dopo che…”.

“Sta benone” lo interruppe il Son, come a volerlo rassicurare. “E’ felice, forse perché ha mille cose da fare e come ben sai più è impegnata e più è contenta. Si sta occupando dei preparativi del matrimonio, che rischia di diventare l’evento più dispendioso e sfarzoso del secolo…ha firmato il contratto della nostra nuova casa a West City, che sembra un hotel…ha fatto produrre il suo primo modello con il tessuto sintetico che lei stessa ha creato, firmato naturalmente Capsule Corporation…e nel frattempo, nostro figlio sembra continuare a crescere sano e forte dentro di lei, almeno dall’ecografia che le ha fatto Marron l’altro giorno!”.

Aveva parlato della felicità della sua futura moglie, ma dalla sua espressione radiosa Trunks percepì nell’amico lo stesso forte sentimento, provando lui stesso un improvviso e spontaneo moto di contentezza per entrambi.

“E’ stupendo” disse con un sorriso malinconico. “Ve lo meritate. Però mi dispiace…di non aver potuto darvi una mano in tutto questo… o non di aver aiutato Bra con la sua nuova linea…”.

Abbassò lo sguardo, a disagio. C’era stato un tempo in cui aveva accusato sua sorella di fuggire dalle responsabilità, mentre adesso era lui ad essersi isolato dal mondo, a fuggire dal lavoro, dai doveri, da tutto, per rifugiarsi in quella che sembrava essere una realtà parallela.

Goten scosse la testa con decisione, come se avesse intuito i suoi pensieri.

“Non devi preoccuparti di questo. Bra sa cavarsela benissimo da sola, lo sai, nemmeno io spesso posso fare niente. E poi, lei il suo momento di fuga se lo è già preso…adesso sei tu, ad aver bisogno di una vacanza”.

Trunks annuì, sorridendo debolmente.

“Già” confermò, inspirando il dolce profumo di bosco che impregnava l’aria. “Ma le vacanze non durano in eterno”.

 

You turn me up and down

And spin me round and round

You never get enough

Baby don’t know you’re a shining star

 

Gohan si strinse il nodo alla cravatta, esaminandosi davanti allo specchio. Indossava un completo nuovo di un’elegante tonalità di blu, acquistato appositamente per quell’occasione in una boutique per uomo di Satan City, sotto la supervisione di Videl, che aveva palesemente insistito per quel modello. Diceva che gli dava un tocco di eleganza al di sopra dell’aria professionale.

Non era ad un concorso di bellezza che si stavano recando, però. Era all’evento di primavera più atteso da tutta la comunità accademica, il galà di premiazione del personaggio universitario dell’anno.

Voci di corridoio e spifferate dei suoi assistenti sembravano darlo per vincitore assoluto, ma aveva avuto modo di capire che, da quell’anno, il senato accademico aveva intenzione di abbassare l’età del premio. Fino ad allora era sempre stato conferito ai più saggi vegliardi dell’università, come un riconoscimento alla carriera, ma quella svolta avrebbe invece premiato i più giovani come incentivo per il futuro. E lui, che a quarantadue anni era già professore ordinario e affermato ricercatore, era sempre stato troppo giovane per ambire al premio alla carriera, ma ora relativamente troppo vecchio per competere con le future, promettenti generazioni.

Esaltati trentenni, si sentono così potenti da credere di poter far tutto…anche sfidare chi ha più esperienza di loro…anche sottrargli ciò che gli appartiene sotto i propri occhi…

Scosse con decisione la testa, come per scacciare quegli assurdi e incoerenti pensieri, mentre da fuori giungeva forte e prolungato il suono del clacson dell’air-car.

“Ehi, Gohan, vuoi muoverti?? Siamo già in ritardo!”.

Che buffo…di solito era estremamente puntuale. Senza contare il fatto che per un’occasione tanto attesa come quella sarebbe partito addirittura con un paio d’ore di anticipo. Eppure era ancora lì, immobile davanti allo specchio di camera, forse trattenuto dal pensiero di veder sfumare la sua ultima occasione di vincere quel premio, forse da qualcos’altro.

Inspirò profondamente, si appiattì la giacca con qualche colpetto e uscì finalmente dalla stanza. Nel corridoio incrociò sua figlia, che usciva dal bagno in accappatoio, i capelli bagnati. Gli rivolse un sorriso radioso, mentre si avvicinava lentamente, e lui non potè far altro che ricambiare. Erano occhi colmi di gioia quelli che vedeva, gli occhi…di una ragazza innamorata.

“Buona fortuna, papà” gli augurò sinceramente. “Comunque vada, io so che sei tu il migliore”.

Gli gettò le braccia al collo, sollevandosi sulle punte e baciandolo su una guancia, e lui l’abbracciò dolcemente. Accarezzando il morbido accappatoio bianco di spugna della figlia, che la rivestiva morbidamente, si rese conto di quanto intensamente amasse il suo piccolo pulcino e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, per il suo bene. Qualsiasi.

“Grazie, tesoro”.

Si separò da lei, la guardò per qualche attimo, osservando con un senso di agrodolce rassegnazione quanto fosse bella e radiosa e splendente, quanto potesse essere desiderabile agli occhi di un uomo, non solo fisicamente, ma per tutta la luminosa e brillante aura che emanava, come una stella allo zenith.

Le rivolse un ultimo sorriso, per poi avviarsi giù per le scale, senza voltarsi indietro.

Uscì fuori a corsa, riparandosi dalla pioggia con una cartella dei documenti, per poi aprire goffamente lo sportello dell’air-car.

“Era ora!” brontolò Videl, mentre lui si accomodava sul sedile del passeggero. Indossava un grazioso abitino verde primaverile, ma a causa della giornata di pioggia aveva dovuto aggiungere un coprispalle azzurro, che però si intonava splendidamente al colore dei suoi occhi, i capelli morbidamente sciolti e ondulati fino alle spalle. “E poi dicono che sono le donne a indugiare davanti allo specchio!”.

Mentre sua moglie faceva manovra nella verde spianata in modo da avere spazio per il decollo, Gohan abbassò il finestrino appannato per salutare sua madre, al riparo appena sotto la soglia di casa. Evidentemente Goten doveva essersene andato da poco.

“Torna a casa senza quel premio, Gohan, e non varcherai questa porta!”.

“Oh, fantastico! Adesso andrò sicuramente più tranquillo!” replicò un po’ divertito e un po’ allarmato, e solo allora vide Trunks proprio lì accanto a sua madre, che sorrideva alla battuta della donna.

Il suo sorriso, invece, si rabbuiò rapidamente, rivolgendo al ragazzo un’occhiata eloquente, quasi di sfida, e continuò a guardarlo così per tutto il tempo che l’air-car ci mise a innalzarsi in volo e a sparire tra le nuvole, sperando che capisse, che cogliesse…e che un po’ si spaventasse.

 

* * *

 

 

Goku, Trunks e Pan, a bordo della navicella che li ha scorrazzati per l’intera galassia, durante una delle infinite giornate di viaggio tra una sfera e l’altra. Deve essere una delle ultime sfere, quella verso cui si stanno dirigendo, a giudicare dall’atmosfera festosa che pervade l’ambiente. Si sente la voce di Goku che strilla allegramente qualcosa, Gill che svolazza libero nell’aria, Pan che canticchia ad alta voce mentre ascolta musica con il suo nuovo lettore musicale, acquistato in uno degli ultimi pianeti visitati. Solo Trunks è al posto di guida, lo sguardo concentrato sul monitor e sul calcolo delle coordinate. Ad un certo punto si sente un grido acuto, che lo fa sobbalzare sul suo sedile facendogli cadere fogli e penna, e mentre la visuale si sposta rapidamente, si nota che Pan sta inseguendo il povero Gill per tutta la navicella.

“Torna subito qui, brutto barattolo inutile! Vedrai che se ti prendo ti smonto con le mie mani!!” urla con rabbia, mentre la voce di Goku si fa sentire di nuovo:

“Che succede, Pan? Cosa ti ha fatto il povero Gill??”.

La ragazza si ferma e guarda davanti a se, mentre alla rabbia fanno seguito le lacrime, che minacciano di sgorgarle dagli occhi e di bagnarle le guance arrossate.

“Non hai visto, nonno?? Gill si è mangiato il mio lettore musicale! L’avevo appena acquistato e pagato anche parecchio, era l’ultimo modello!”.

“Diciamo piuttosto che io l’ho pagato parecchio!” fece eco Trunks, dalla sua postazione. “I soldi erano miei, non dimenticartelo, e una volta sulla Terra mi aspetto di riaverli indietro!”.

“Avevi detto che era un regalo!”.

“Avrai capito male!”.

“Già, solo perché adesso è finito in pasto a Gill!” sbuffa Pan, mentre rivolge a Goku uno sguardo insofferente: “E tu spegni quella dannata videocamera, nonno!”.

“Avanti Pan, non disperare! Se è come quando ha ingoiato il radar cerca sfere, vedrai che…”.

E infatti il robottino dimostra di aver già digerito il nuovo congegno elettronico, iniziando a trasmettere dall’altoparlante la canzone che Pan stava ascoltando poco prima.

“Wow…” commenta la ragazzina, ritrovando il sorriso. “Però sia ben chiaro, Gill, che dovrai farmi ascoltare le canzoni a comando, non solo quando hai voglia tu!”.

“Hai visto, te l’avevo detto!” sghignazza Goku con soddisfazione. “Perché non facciamo una foto ricordo, per festeggiare??”.

“Sì, sì, ci sto!!” approva Pan, invasa di nuovo dal buonumore. “Dai Trunks, vieni anche tu!”.

“No, adesso non posso muovermi!”.

“Ok, allora veniamo noi!” ripara Goku, continuando a filmare, mentre si avvicina alla postazione del ragazzo, che non troppo a malincuore abbandona momentaneamente i suoi calcoli per rivolgersi all’obiettivo.

“Ma facciamo veloce, però, che devo lavorare!”.

“Come no, dì piuttosto che fai finta!” lo provoca Pan, balzando sul bracciolo del sedile di lui e accomodandovisi seduta, mentre Gill si aggrappa alla spalliera.

“Porta un po’ più di rispetto, signorina, che ti lascio sul primo pianeta a portata di mano!” risponde lui a tono, ma con il sorriso sulle labbra. Anche da quelle piccole cose si capisce che la caccia alle sfere è quasi giunta al suo termine, che il ritorno a casa è vicino.

“Ok, adesso fatemi posto, che imposto l’autoscatto!” annuncia Goku, mentre abbandona la videocamera e compare finalmente davanti all’obiettivo, e la sua presenza è così solare e raggiante da bucare quasi lo schermo, da mettere in ombra tutti gli altri.

Salta agilmente sul bracciolo, proprio davanti a Pan, che cerca faticosamente di allungare la testa al di sopra degli sparati capelli del nonno, e nel frattempo il sedile scricchiola impercettibilmente.

“Non da questo lato, Goku, ci stiamo sbilanciando…” lo avverte Trunks, perplesso.

“L’altro è troppo in ombra, non mi piace!”.

Un altro scricchiolio, più pronunciato, e adesso si vede chiaramente che la poltroncina si sta inclinando da un lato.

“Ehi nonno, ma perché la tua fotocamera ci mette così tanto a scattare?” dice Pan a denti stretti, continuando a sorridere forzatamente.

“Forse perché…” mormora Trunks, realizzando improvvisamente e scuotendo arreso la testa. “…perché quella non è una fotocamera, ma una telecamera, e ci sta solo filmando!”.

“Giusto! Come ho fatto a non pensarci!” grida Goku, dando un pugno al bracciolo, e allora il sedile cede definitivamente, ribaltando da un lato il trio e il robottino, che stramazzano a terra in un’esclamazione generale di disappunto.

Solo un richiamo minaccioso fuori campo, prima che il sajan in questione decida di spegnere definitivamente la videocamera: “Goku!!!!!”.

 

Pan e Trunks risero di gusto, mentre le immagini di quei goliardici ricordi si oscuravano sullo schermo e la videocassetta terminava, lasciando di nuovo spazio ai programmi della rete. Trunks quasi non si era reso conto che, in due, avevano spolverato un’intera scatola di popcorn, in cui aveva affondato ripetutamente la mano per tutta la durata del nastro, alternandosi a quella di lei. Le rivolse una breve occhiata, notando che stava ancora fissando lo schermo con il sorriso sulle labbra, affondata nel divano, indosso una maglietta bianca e dei comodi shorts, i capelli sciolti e sparsi contro la spalliera.

“Sembra ieri, eppure…sono cambiate così tante cose da allora” commentò pensieroso. “Rivedendo quei momenti, la mancanza di Goku si fa sentire ancora di più…”.

“Già…il nonno ha lasciato un bel vuoto” concordò la ragazza, sospirando con una malinconia che, in quegli anni, da amara aveva cominciato a diventare dolce. “Ma anche tra noi sono cambiate tante cose, non credi? Tu mi odiavi, all’inizio del viaggio!”.

“Non è vero che ti odiavo” rispose lui, lo sguardo rivolto distrattamente allo schermo, unica luce nella stanza, mentre con le dita giocherellava con le scanalature del cuscino. “Ero solo sotto stress, mi ero ritrovato addosso un sacco di responsabilità tutte insieme…ed ogni minima cosa mi mandava nel panico…anche se tu e Goku ci mettevate comunque del vostro!”.

Pan fece un smorfia di disappunto, ma sembrò soddisfatta della risposta. “Però dai…alla fine è andato tutto per il meglio, abbiamo recuperato tutte e sette le sfere entro l’anno e siamo tornati sulla Terra tutti interi!”.

“Peccato che il rientro non è stato dei migliori…”.

“Purtroppo no…e pensare che se non ci fosse stato Baby ad aspettarci, il nostro arrivo sarebbe stato trionfale, da eroi!” esclamò la ragazza con eccitazione. “A volte penso a tutte le cose che avrei potuto fare appena tornata a casa, dopo quell’anno surreale, così piena di adrenalina!”.

“E cosa avresti fatto?” le chiese lui, rivelando una punta di curiosità.

“Allora, per prima cosa…” iniziò Pan, incrociando le gambe sul divano e accomodandosi meglio, mentre un largo sorriso le illuminava il viso nella semioscurità della stanza. “Avrei superato la barriera del suono volando a velocità di razzo tutto intorno alla Terra, il nostro bellissimo pianeta azzurro che mi era tanto mancato! Poi avrei fatto organizzare da nonno Satan un torneo straordinario, niente premi speciali, s’intende, solo un’occasione per potermi sfogare! E poi…credo che avrei dato una bella lezione a tutte quelle mezze femminucce che mi avevano scaricata negli ultimi mesi perché avevano paura di me!”.

“Credo che allora non avessero visto ancora niente!”.

“Esatto…comunque sia, negli anni successivi ho imparato a comportarmi in modo diverso con i ragazzi, a trattenermi di più…e la situazione è migliorata, anche se non era facile fingere…” abbassò il tono delle ultime parole, come se stesse parlando solo con se stessa, poi tornò a rivolgersi luminosa al ragazzo: “E tu? Cosa avresti fatto appena tornato, se non ci fosse stato Baby?”.

“Io?” chiese Trunks, colto alla sprovvista, leggermente a disagio. “Beh…non so…purtroppo non ho mai avuto modo di scoprirlo!”.

“Andiamo! Usa l’immaginazione per una volta!” cercò di convincerlo lei, sbuffando per la completa mancanza di fantasia del ragazzo. “Prova a tornare indietro a quel giorno…non c’è niente di male a sognare, ogni tanto!”.

Trunks sospirò, arrendendosi, mentre chiudeva gli occhi per concentrarsi meglio, per provare a pensare di nuovo con l’immaginazione e la creatività del ragazzino che era stato. Ricordò il suo rientro alla Capsule Corporation in compagnia di Gill, cancellò con estremo sollievo tutto ciò che seguì nella realtà e vi sostituì quello che avrebbe voluto aspettarsi, visualizzando mentalmente il volto commosso e felice di sua madre che si precipitava ad abbracciarlo, le mille domande di sua sorella, l’appena accennato sorriso di suo padre, che si limitava a dargli una leggera pacca sulle spalle, ma trapelando un paterno orgoglio. “Allora…ehm…credo che per prima cosa avrei voluto poter fare un nomale pranzo in famiglia con i miei e Bra, dopo tanto tempo…”.

Pan arricciò il naso: “Puoi fare di meglio”.

“Ok…ecco…forse un allenamento nella gravity room con mio padre” aggiunse quindi, mentre immaginava il buonumore e l’eccitazione che avrebbe dovuto provare in quell’allettante realtà alternativa, quel fiume in piena di energia che solo in quei giorni lì sui Paoz aveva rivissuto davvero. “Un allenamento di quelli intensivi…di quelli che ti fanno esplodere i muscoli e arrivano a farti urlare di fatica e dolore…”.

“Così mi piaci. E poi?”.

“Beh…non saprei…”.

“Che ne dici di una ragazza?” lo aiutò Pan, strizzandogli un occhio con leggera malizia. “Non credi che dopo un anno ti ci sarebbe voluta un po’ della compagnia di una donna??”.

Trunks sorrise a disagio, abbassando gli occhi e ringraziando la poca luminosità della sala per non far trasparire il suo vago rossore. “Beh…forse…probabilmente” dovette riconoscere, pensando all’ultima volta che, prima di partire per lo spazio, aveva avuto una relazione più o meno stabile, e realizzando con stupore che dal suo ritorno in poi non ce n’erano state molte altre degne di quel nome.

“Non probabilmente…decisamente!” lo corresse Pan. “A giudicare da com’eri scorbutico e intrattabile in certi momenti…”.

“In ogni modo, per me la più grande vittoria era già esser tornati dallo spazio sani e salvi!”.

Pan lo guardò qualche attimo, inclinando leggermente il capo come per valutare l’affermazione, scuotendo poi la testa con disappunto.

“Vedi qual’è la differenza tra me e te?” disse. “Tu hai sempre considerato il viaggio nello spazio come qualcosa a cui siamo sopravvissuti…io invece lo vedo come qualcosa che abbiamo vissuto! Ma ti rendi conto? Io, tu ed il nonno abbiamo avuto avventure così bizzarre e visto posti così esotici e straordinari che nemmeno il nonno stesso e tua madre avevano mai avuto modo di vedere da giovani! Forse allora non te ne rendevi conto, ma abbiamo vissuto un’esperienza straordinaria!”.

Il suo tono era acceso ed eccitato, e osservando il suo sorriso radioso e la fervente convinzione con cui argomentava le sue teorie, Trunks avvertì di ammirarla con forza e passione, sentendo risvegliarsi dentro di lui la stessa fanciullesca esaltazione che l’aveva un tempo animato e che poi con gli anni e le responsabilità era andata estinguendosi.

“Quindi adesso devi solo ringraziarmi, se ogni tanto cercavo di farti prendere le cose con più leggerezza e farti un minimo divertire!” aggiunse la ragazza, ridendo.

Trunks si voltò piano verso di lei, rivolgendole uno sguardo tipico del malandrino che era stato: “Tu non mi facevi divertire, Pan, mi facevi dannare. Eri una piccola rompiscatole appiccicosa”.

Pan sbattè qualche volta le palpebre sugli occhi strabuzzanti, la bocca spalancata in un’espressione a metà tra il divertito e l’offeso, mentre Trunks sembrava osservare con compiacimento la reazione di lei.

“Ma come osi!! Io sarei stata una rompiscatole appiccicosa, eh?? E tu sai cos’eri, eh? Lo sai?? Eri incredibilmente noioso e…antipatico!”.

“Mai come te”.

“Vuoi la guerra?” lo sfidò Pan, afferrando un cuscino.

“Non ti conviene”.

“Ah no, Mr Brief??” chiese minacciosamente lei, decidendo di abbandonare il cuscino e avvicinandosi di più a lui. “Io lavoro in una palestra di arti marziali, tu dietro una scrivania. Chi credi possa essere più in forma per spuntarla?” lo provocò, dandogli un piccolo pugno sul braccio, per verificare i suoi riflessi.

Trunks la scrutò un attimo impassibile, poi disse sornione: “Guarda che dico a Gohan che mi molesti, così ti mette in riga”.

Pan si sporse sopra il ragazzo, sedendosi poi a cavallo delle gambe di lui con un movimento lento ma fluido, un sorrisetto poco affidabile stampato sul volto abbronzato: “E io gli dico che tu molesti me, così ti mette al tappeto”.

Lui le rivolse uno sguardo di sfida, guardandola nei vivi occhi di brace proprio davanti a lui, percependo il contatto del corpo di lei sopra il suo, della posizione fortemente sensuale in cui si trovavano al momento.

“Gohan è troppo intelligente per credere alla tua versione dei fatti” si difese, i loro nasi che si sfioravano, i loro respiri che si fondevano.

“Non ci scommetterei…” lo contraddisse lei, quando già le loro labbra si accarezzavano nella debole fluorescenza emessa dalla tv, mentre si aprivano morbide, si fondevano, si chiudevano di nuovo e poi si fondevano ancora lentamente.

… … … … …

“Comunque…resti sempre una rompiscatole appiccicosa”.

Solo un roco sussurro a fior di labbra, senza nemmeno interrompere del tutto il bacio, le palpebre abbassate.

“Non dirmi che non ti piace…”.

“Non mi piace…”.

 … … … … …

“Stai mentendo”.

“E cosa te lo fa credere?”.

“Perché mi stai baciando…”.

… … … … …

“Sei tu che stai baciando me…”.

“Non credo proprio…”.

“Sì invece…”.

“Stai zitto…”.

… … … … …

Tutto fluiva, tutto ardeva, tutto bruciava.

Trunks fu affatica consapevole della sua mano che risaliva lenta la coscia di lei, l’altra che invece, appoggiata fino ad allora sulla sua vita, minacciava di farsi strada sotto la t-shirt, mentre la ragazza, senza interrompere il bacio, gli sbottonava lentamente la camicia.

Solo quando Pan si staccò delicatamente dalle sue labbra e iniziò a lasciargli pericolosamente sul collo e sul torace una scia di piccoli ma bollenti baci, che rischiavano di fargli perdere completamente la testa e la ragione, Trunks cercò di richiamare a se tutta la forza di volontà di cui ancora disponeva.

“Pan…”.

“Hmm?” biascicò la ragazza, senza smettere.

“Pan…” la richiamò di nuovo lui, il tono leggero ma un pochino a disagio. “Ti stai comportando da ragazza cattiva…”.

“E’ quello che sono” rispose lei, alzando appena gli occhi con un sorrisetto.

“No, non lo sei”.

Le posò le mani sulle spalle, spingendola delicatamente un po’ più lontano da lui, in modo da poterla guardare in viso. Lei sembrò inizialmente contrariata, poi i suoi tratti si rilassarono in un’espressione di tranquilla accettazione.

Non era sicuro che la ragazza avesse compreso appieno il motivo del suo improvviso rifiuto, nonostante stesse succedendo tutto nel modo più spontaneo e naturale, ma sembrò non voler protestare ulteriormente o chiedere spiegazioni a riguardo, e di questo gliene fu silenziosamente grato.

La osservò mentre si sollevava da lui e si distendeva placidamente sul divano, appoggiando la testa sulle sue gambe, quasi fossero un più comodo cuscino. Lui le accarezzò dolcemente i capelli, facendo passare le dita tra le ciocche corvine in rilassanti carezze, mentre lei alzava lo sguardo assonnato in un debole, compiaciuto sorriso. Sollevò quindi la mano per raggiungere quella di lui, e le loro dita si incrociarono morbidamente.

“Ti amo” disse la ragazza, la voce già impastata dal sonno e gli occhi chiusi, e prima ancora di realizzare appieno cosa avesse detto, prima ancora di poter assistere ad una qualunque reazione, era già caduta in un piacevole oblio.

 

You’re my soul mate

My summer and my fate

You fill me up with love

Your kisses are better than wine

There’s nothing I want more than you girl

 

* * *

 

 

Era da quando erano partiti da West City che non staccava le mani dall’oggetto che teneva in grembo, così liscio, così lucido da risplendere alla debole luminescenza del cruscotto dell’air-car, così sfaccettato e perfetto. Ma non era tanto il fatto che quel microscopio in miniatura sulla piccola base di legno quadrata fosse d’oro e del valore di svariati zeni, quanto il fatto che esso rappresentava l’ambizione e il coronamento di anni e anni di dedizione allo studio, alla scienza e alla didattica. Sua madre ne sarebbe stata fiera, e come soleva spesso dire, nonostante le sue proteste, adesso poteva anche morire felice, con la consapevolezza che qualcosa di buono, in vita, l’aveva fatto pure lei. In effetti era lei, sempre lei, che doveva e aveva sempre dovuto ringraziare. Era lei che l’aveva spinto in quella strada, credendoci più di lui stesso, e dimostrando alla fine che aveva ragione, come sempre.

Già, e non era l’unica cosa su cui si era sbilanciata.

Dette un’occhiata veloce al navigatore di bordo, nello stesso momento in cui Videl, alla guida, si voltava brevemente nella sua direzione.

“Credi che non abbia capito perché sei voluto tornare a casa così presto?” lo punzecchiò la donna.

Gohan scrollò le spalle, fingendo indifferenza.

“Te l’ho detto, ero piuttosto stanco, è stata una serata impegnativa”.

“Naaa, tu non sei mai stanco quando si parla dell’università. E figuriamoci quando sei il protagonista della serata!”.

“Lo sai che sono una persona piuttosto riservata, non mi piace stare troppo al centro dell’attenzione”.

Videl gli rivolse di nuovo un’occhiata penetrante, gli occhi che per un momento brillarono di rosso, mentre superavano le luci di Satan city, nella spianata sotto di loro.

“Ti conosco troppo bene, Son Gohan, per sapere che tenevi a quel premio più di ogni altra cosa e che avresti fatto le ore piccole per festeggiare insieme al tuo dipartimento, per brindare e gioire fino all’alba!”.

Gohan non potè far altro che tacere, messo con le spalle al muro.

“Quello che non capisco, è cosa pensi di ottenere con il tuo comportamento!” continuò la donna, mentre faceva perdere quota all’air-car e si preparava ad atterrare sui Paoz.

Gohan scese dal velivolo prima ancora che fosse completamente fermo, avviandosi a passo svelto lungo il vialetto, verso la dependance.

Videl recuperò la borsetta, chiuse la portiera e seguì il marito faticosamente, cercando di non perdere l’equilibrio con i tacchi alti che affondavano nel terreno fangoso.

“Gohan!” lo chiamò, ma il marito era già alla porta. Fu allora, però, che l’uomo ebbe come un momento di esitazione, subito prima di entrare, che permise a lei di raggiungerlo con calma, e di entrare in casa insieme a lui.

La sala era quasi completamente avvolta nel buio, se non per la debole e intermittente luminescenza della tv accesa. Era dallo stesso apparecchio che provenivano le voci che, in un primo momento, avevano fatto esitare Gohan.

Sul divano, immersi in un sonno tranquillo, giacevano Trunks e Pan, lui con la testa appoggiata al bracciolo, una gamba stesa e una posata a terra, lei con il volto affondato per metà nell’incavo della spalla di lui, un braccio intorno al suo petto e l’espressione rilassata.

“Sono…sono vestiti, vero?” chiese Gohan, dopo averli osservati per un minuto buono, i loro respiri sincroni, lenti.

“Ma certo che sono vestiti!” lo rassicurò divertita Videl, mentre togliendosi le scarpe per non far rumore, si dirigeva verso la credenza, tirava fuori una trapunta pulita e li copriva delicatamente, spegnendo poi la tv.

“E danno l’impressione di esserci sempre rimasti, non trovi?”.

Videl portò gli occhi al cielo, sbuffando con insofferenza, mentre afferrava senza tanta gentilezza la cravatta del marito, sradicandolo dalla sua paralisi e trascinandolo su per le scale.

“Forse dovremmo svegliarli, far tornare Trunks di là dalla mamma…”.

“Scherzi, dormivano così bene!”.

“Ma staranno scomodi, laggiù sul divano…”.

“Staranno benissimo, fidati!”.

Avrebbe dovuto sentirsi sollevato nel realizzare che non era successo niente, o che almeno così sembrava, ma anche vederli così vicini, così dolcemente abbracciati e appagati, gli aveva rivelato che era definitivamente stato superato il punto di non ritorno.

“Ho deciso, domani gli parlo” annunciò, entrando in camera e riponendo distrattamente il premio su una mensola, mentre la moglie si sfilava il coprispalle e gli rivolgeva uno sguardo perplesso. “Devo capire certe cose, metterne in chiaro altre e…”.

“Rilassati, Gohan, è la tua serata!”.

Ma lui non demorse, sedendosi sul letto con espressione pensierosa: “Io voglio molto bene a Trunks, gliene ho sempre voluto come fosse mio fratello, ma devo risolvere questa situazione prima che sfugga di mano”.

“Uff!” sbuffò di nuovo Videl. “Trunks, Trunks e ancora Trunks!”. Gli si sedette delicatamente sulle gambe, passandogli un braccio intorno al collo e massaggiandogli piano la nuca. “Capisco che sia un bel ragazzo, ma tutte queste attenzioni nei suoi confronti cominciano a farmi sentire un po’ trascurata…”.

I tratti di lui sembrarono rilassarsi in una bozza di sorriso, mentre lanciava un’occhiata furtiva al decolleté della moglie e al delizioso abitino che indossava quella sera, che metteva in risalto il suo fisico ancora impeccabile, compiacendosi al tempo stesso delle sue morbide carezze. Fu allora che lei gli tolse gli occhiali, spense la luce e, cercando al buio le labbra del suo uomo, lo invitò a dimostrarle che non aveva intenzione di trascurarla oltre.

 

Continua…

 

Nota: Voglio ringraziare tutti coloro che hanno lasciato e lasceranno commenti su questa storia nonostante l'estate, le vacanze, e la voglia di passare più tempo fuori che davanti ad un computer! Accetto volentieri qualsiasi tipo di osservazione, sia in positivo che in negativo, non chiedo altro che la vostra partecipazione: quale personaggio trovate meglio rappresentato, quale scena vi ha coinvolto di più, cosa vorreste aspettarvi dal proseguimento...solo la curiosità di un'autrice amatoriale, ed il desiderio di potersi migliorare sempre di più.

Un bacio e buone vacanze!

  
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