CAP.10
IN CASA ___
- Ehi sorellona. Ma lui chi è? -
Leah
continuava a scrutarmi il viso alla ricerca di non so
cosa. Non capivo cosa volesse… poi il suo sguardo scese fino
alle mani. Feci
per nasconderle in tasca, ma lei fu rapida ad afferrarmele e le
voltò mostrando
i palmi: avevo stretto talmente tanto i pugni, prima, che ero riuscito
a
conficcare le unghie nella carne lasciando dei piccoli taglietti a
mezzaluna.
Le guardò per qualche secondo, poi alzò gli occhi
sul mio viso. Io non dissi
nulla e lei fece altrettanto. Lasciandomi le mani, si alzò e
si voltò verso il
fratello.
-
Nick, lui è Nathaniel. Nathaniel, lui è Nicholas,
mio
fratello. -
-
Piacere, Nathaniel! -
-
Piacere mio. - Mi sorrise allegro. Nonostante la forte
somiglianza fisica, era palese che i due fratelli avevano un carattere
opposto.
Leah era taciturna, Nicholas era un gran chiacchierone. Leah era
triste,
Nicholas allegro e sempre sorridente.
-
Si è fatto tardi, Nick. È meglio andare. -
-
Ok! - E si diresse verso l’entrata del parco. Leah,
invece, rimase ferma davanti me,
continuando a guardarmi.
-
Forza, biondino. Sei invitato a cena. -
-
Come, scusa? -
Spostò
il viso di lato. I capelli le coprivano il volto e
non riuscì a vedere la sua espressione. Si
schiarì la voce.
-
Ho detto che sei invitato a cena, a casa mia. -
Un
invito a cena? A casa sua? Lei che invita me? Che
succede?
-
O-ok… va bene. -
-
Bene. Andiamo. -
E
raggiunse velocemente il fratello senza voltarsi.
Rimasi per qualche istante a fissarla a bocca aperta. Scossi la testa e
mi
alzai, raggiungendoli. Nicholas, nel vedermi arrivare, si
aprì in un sorriso a
trentadue denti.
-
La mia sorellona mi ha detto che vieni a cena da noi!
Mi fa molto piacere! -
Risi.
Quel bambino mi metteva allegria, ha una risata
contagiosa ed è molto difficile resistergli. Infatti, anche
Leah sorrise.
-
Sentite, io sono venuto in macchina. Se volete,
possiamo andare a casa vostra con quella, anche se… -
“non è molto lontana da
qui” stavo per dire. Mi bloccai appena in tempo. Io non posso
sapere dove
abitano, dato che non ho seguito Leah fino a casa sua. No?
-
… non ho molta benzina. Ho passato il pomeriggio a girare
a vuoto e devo fare il pieno. -
Leah
si strinse nelle spalle.
-
Per me va bene. Tanto non è molto lontana da qui. -
Nicholas
esultò. A quanto pare gli piaceva fare dei giri
in auto. Sorrisi. Eh si, la sua allegria è contagiosa.
Ed
eccomi di nuovo di fronte a quella villetta a due
piani, solo che, questa volta, ero ospite non inseguitore. Questa
conferma mi
fece sentire a disagio… approfittai di quei pochi istanti in
cui Leah cercava le
chiavi per guardare meglio la villetta. Il muretto in mattoni non mi
permetteva
di vedere bene il giardino, ma quel poco che vedevo mi permise di
capire che
Leah non aveva propriamente il pollice verde. A parte un albero, non
c’erano
altre piante e l’erba non era molto curata. Appena Leah
aprì il cancello,
Nicholas varcò la soglia e si diresse verso la porta. Era
una porta piuttosto
robusta, in legno con al centro, nella parte alta, uno spioncino.
Entrai per
ultimo chiudendo il cancello alle mie spalle e confermando la mia
ipotesi: Leah
non aveva per niente il pollice verde. Chissà la casa
com’era messa… ma dovetti
ricredermi. Mentre Nicholas saliva le scale, Leah mi invitò
ad appendere la
giacca sull’attaccapanni posto all’ingresso e ad
accomodarmi in salotto. Ubbidì
e ne approfittai per guardarmi in giro. La casa era in perfetto ordine,
profumata e pulita. Le pareti bianche erano adornate da pochi quadri la
maggior
parte dei quali consistevano in cornici con delle foto dentro. Mi
soffermai su
una in particolare, posta sopra il camino in salotto. Ritraeva una Leah
poco più
che bambina, sorridente e felice tra le braccia di una donna,
anch’ella
sorridente, con i capelli ricci come la figlia e un sorriso altrettanto
splendente. Accanto alle due, vi era un uomo molto alto dai capelli
scuri e gli
occhi di un verde intenso con in braccio un bambino di circa quattro o
cinque
anni con la bocca spalancata come se stesse dicendo qualcosa al padre.
A fare
da sfondo, c’era una spiaggia candida e un mare di un azzurro
intenso. Era la
famiglia Smith al completo durante una vacanza.
-
Quella foto è molto vecchia. - Sobbalzai.
-
Nicholas! Mi hai fatto paura. -
-
Scusa. -
Il
sorriso sul suo viso era sparito. Immagino che quella
foto dovesse far tornare brutti ricordi nella memoria dei due fratelli,
quindi
non chiesi nulla. Avevo un sospetto sui loro genitori, ma non volevo la
conferma. Non volevo altra tristezza addosso.
-
In quella foto io avevo cinque anni e Leah dodici.
Mamma trentasette e papà quaranta. Eravamo in vacanza per
festeggiare il
compleanno di papà. -
Perché
me lo stava dicendo? Non volevo sapere. Distolsi
lo sguardo da lui e sembrò capire. Con la coda
dell’occhio, lo vidi abbassare
lo sguardo per qualche secondo per poi tornare a guardarmi con un
espressione
più allegra.
-
Leah mi ha detto di dirti di salire sopra. Ti sta
aspettando in bagno. -
-
Ah, va bene. -
Dopo
essermi fatto indicare la via per il bagno, Nicholas
si sedette sul divano e accese la TV. Lo guardai trafficare con il
telecomando
alla ricerca di un canale di cartoni per qualche secondo, poi
salì le scale e
raggiunsi la ragazza. Entrai e la vidi chiudere un cassetto. In mano
aveva un
tubetto di crema e un paio di cerotti di quelli rettangolari bianchi,
piuttosto
grandi. Si voltò verso di me.
-
Dammi le mani. -
-
Perché? -
-
Dammele e basta. -
Le
porsi le mani e lei spalmò un po’ di crema sui
taglietti. Il suo tocco era molto più delicato di quanto
pensassi e non mi fece
male, nemmeno quando mise il cerotto. Ma, devo ammettere, quando
sentì il contatto
con le sue mani, rabbrividì e sentì il suo calore
invadermi tutto il braccio. Inoltre,
fu davvero piacevole osservarla mentre mi medicava.
-
Senti… -
-
Mh? -
-
Grazie… per… beh, la medicazione. -
-
Tranquillo. - Furono le uniche parole che ci scambiammo
in quel frangente. Anche se avrei voluto ringraziarla per avermi fatto
andare
via da quel parco. Temo che, se fossi rimasto lì, mi sarei
depresso ancora di
più.
Scendemmo
le scale e lei si diresse verso la cucina. Decisi
di darle una mano (l’idea di stare lì fermo in
salotto mi agitava) quindi la
seguì.
-
Hai bisogno di una mano? -
Si
voltò. - Mh. Se vuoi. Però indossa dei guanti,
altrimenti i cerotti si staccano. -
Annuì
e, presi e indossati i guanti da cucina, mi
rimboccai le maniche e la aiutai a lavare e a tagliare le
verdure… il tutto in
completo silenzio, il che rendeva l’atmosfera imbarazzante.
Almeno per me. La
cucina era piccola e capitava che lei mi passasse molto vicino per
prendere una
scodella o altro, e ogni volta il suo profumo mi inondava le narici
facendomi
fare pensieri vietati ai minori. Chiedendomi se anche per lei fosse
così, la
sbirciavo di tanto in tanto per sorprenderla in una qualche
espressione, ma
sembrava tranquilla e a suo agio. Lo ammetto, un po’ ci
rimasi male.
-
Ehi. C’è un telefono che suona! -
Ci
voltammo verso il ragazzo e drizzammo le orecchie. Ma non
c’era nessun suono.
-
Sarà la Tv, Nick. -
-
No no. È un telefono. Fa “vrr vrr”, non
suona. -
All’improvviso mi ricordai del telefono lasciato nella tasca
della giacca. Mi tolsi
rapidamente i guanti e, altrettanto rapidamente, raggiunsi la giacca,
infilai
la mano in tasca ed estrassi il telefono. Non feci in tempo a
rispondere alla
chiamata, ma vidi dieci chiamate perse da parte di mia madre e un paio
di
messaggi di Ambra. Sospirai dandomi dello stupido per essermi
dimenticato di
avvertire mia madre che avrei fatto tardi. Vidi Leah avvicinarsi.
-
Tutto a posto? -
-
Si, devo… devo chiamare mia madre. -
-
Fa pure. - E tornò in cucina.
Quando
mia madre rispose, era così agitata che temevo
sarebbe svenuta. La tranquillizzai subito dicendole che stavo bene, che
avevo
fatto un giro in auto e che avevo incontrato un’amica che mi
aveva invitato a
cena da lei. Non mi chiese nulla, ma sapevo che aveva capito chi fosse
quella
ragazza.
-
Però potevi rispondermi! -
-
Hai ragione, scusa, ma l’avevo lasciato in vibrazione e
non l’ho sentito. -
Lei
sospirò e mi informò del fatto che avevo rotto
una
caraffa d’acqua e il quadro vicino alla porta, che mio padre
non si era
arrabbiato più di tanto e che, appena ero uscito,
l’ha fermata dicendole “A
volte un uomo deve avere i suoi spazi per pensare.”
-
Che diavolo vuol dire? -
-
Ma che vuoi che ne sappia io?! Vieni a chiederlo a lui,
se ci tieni! Maledizione, Nath, ma questa storia ti sta rovinando
così tanto
l’esistenza? -
La
sua voce era tremolante. Stava piangendo?
-
Mamma… -
-
Quando torni? -
-
Dopo cena. -
-
Ok. Fai attenzione alla strada, è buio. -
-
Si. A dopo. -
Riattaccai
e fissai il display. Con quella sfuriata
dovevo averla scossa parecchio. Che idiota. Lessi i messaggi di Ambra
che, in
poche parole, dicevano la stessa cosa: “ Vedi di tornare
presto, mamma è
impazzita e sta urlando contro papà. Se non mi compra il
vestito che voglio,
giuro che me la paghi!” Quanto è superficiale,
quella cretina.
Note:
Questo
capitolo è un po’ noioso. Non succede nulla di
particolare, mi è servito per collegarmi al capitolo dopo,
che era nato in modo
molto diverso.