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Autore: Raya_Cap_Fee    21/06/2014    13 recensioni
Mi chiamo Sarah Jane Donough e nell’Agosto del 1980 sono morta in un incidente a soli vent’anni. Trovate che sia triste? Non datevene pena. Non sono andata verso la luce, sono stata trattenuta qui sulla terra nelle vesti invisibili della Morte. Beh, una delle tante Morti in realtà. Ho il compito di prelevare le anime da questo mondo e guidarle verso la luce. Ora è giunto il momento di passare la falce, simbolicamente parlando, al mio successore. Daniel Duroy. Finalmente potrò essere libera.
Mi chiamo Sarah Jane e sono la Morte.
Genere: Comico, Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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COME FOSSI NIENTE, COME FOSSI ACQUA DENTRO ACQUA


 
Sospirai sommessamente e guardai Jamie allontanarsi fin quando non scomparve alla mia vista. Mio fratello mi aveva in qualche modo percepito anche se, ne ero certa, l’aveva ritenuta solo una sensazione. Dietro di me c’era qualcosa che dovevo ancora vedere perciò, mi girai lentamente. La semplice lapide di marmo grigio era conficcata nel terreno, laddove giacevano da anni i miei resti mortali.

Una foto mi ritraeva pochi mesi prima dell’incidente , una di quelle in cui, per puro caso, accennavo  un sorriso sincero alla macchina fotografica e a mio padre. A guardare la lapide non capii perché in tutti quegli anni mi ero sempre rifiutata di vederla. Ora che ero lì, non mi spaventava più di tanto.

Alzai gli occhi oltre la collina e scorsi il Golden Gate di San Francisco, il famoso ponte, e lo skyline dei grattacieli. Era un bel posto per riposare, quello, almeno per le mie care ossicine. La vera Sarah Jane era altrove. Mi guardai intorno per essere certa di essere sola e poi recuperai dalla tasca della tunica il mio guanto nero. Poteva essere una scelta pericolosa, quella di rendermi nuovamente visibile. Qualcuno si sarebbe di certo turbato a vedere la copia esatta di una persona –morta trentatre anni prima-, inginocchiata  davanti alla lapide. Ricontrollai di essere sola e poi, nell’approfittare della mia semi-umanità, mi riapproriai della mia persona. Poteva essere una delle mie ultime occasioni di avere un aspetto umano.

In un certo senso, quella forma riusciva ad amplificare le mie emozioni. Alle volte era un bene. Sentirsi vivi.

 Allungai le dita della mancina e sfiorai con le dita i contorni  della lapide, piegandomi appena sulle ginocchia.  Infine mi accovacciai, circondandomi con le braccia le ginocchia coperte da pantaloni scuri, gli stessi con cui mi ero allontanata da Caldwell.

“Ciao…” soffiai, lanciando una breve occhiata alla foto che mi ritraeva. Lasciare Caldwell mi era sembrata la scelta più giusta, il giorno prima, ma non ero poi più così tanto sicura. Avevo rivisto Jamie, certo,  non sapevo che fine avessero fatto i miei genitori ma lasciare Daniel? E se Uriele non avesse mantenuto la parola?

“Cose di questo tipo non si vedono tutti i giorni”.

Trattenni il respiro al suono di quella voce, a poca distanza dietro di me. Mi irrigidii e allo stesso tempo sentii qualcosa sciogliersi all’altezza del cuore. Come? Perché? Mi ritrovai ad essere sommersa da una quantità esorbitante di emozioni. Mi ero sbagliata. Clamorosamente sbagliata.

Schiusi le labbra e serrai per un attimo le palpebre. C’era qualcosa di sbagliato nel fatto che Daniel Duroy fosse lì, a pochi metri da me.

“A cosa ti riferisci?” mormorai cercando di mantenere un tono calmo e trattenendo l’istinto di voltarmi a guardarlo.

“Mi riferisco al fatto che non ho mai visto nessuno piangere sulla propria tomba…”  rispose Daniel. Era più vicino, forse a qualche passo. Il suo tono piatto tradiva appena un po’ di nervosismo, ma Daniel era bravo a nascondere ciò che provava.

“Io non sto piangendo” ribattei secca. Sapevo che se Daniel era lì, a San Francisco,  era unicamente per me e la cosa mi sollevava ma mi rendeva anche irritata. A che gioco stava giocando Duroy?

 Tornai in piedi , di spalle, e con le mani pulii i pantaloni all’altezza delle ginocchia.

“Perché sei andata via così?” chiese Daniel . Poco più di un passo, lo percepivo.

“Gli addii non sono il mio forte e mi sembrava di non essere più tanto gradita dalle parti di Caldwell” sfiorai nuovamente con le dita i contorni della lapide e, nel silenzio, ero certa che Daniel stesse guardando.

“Speravo di trovarti. Ci ho messo un po’ di tempo ma, alla fine, ce l’ho fatta” mormorò Daniel. Alzai appena il mento mentre qualcosa si smuoveva di nuovo all’altezza dello stomaco. Sollievo o agitazione?

“Daniel…”

Cosa dirgli? Dovevo chiedergli il perché fosse partito da Caldwell per venire a cercarmi?

“Io dovrei odiarti” aggiunse il ragazzo, senza lasciarmi il tempo di formulare. Quelle parole mi trafissero da parte a parte, mozzandomi il respiro. Mi voltai lentamente verso Daniel e trovai i suoi occhi già piantati all’altezza dei miei, luminosi eppure inespressivi. Era uno sguardo che ormai conoscevo, quello. Uno sguardo in cui rimasi intrappolata. Io avevo contribuito a rendere più buia la vita di quel ragazzo di vent’anni, portandogli via Madison.

Potevo davvero biasimarlo per il fatto che volesse odiarmi?

“Sì, dovresti” articolai a mezza voce. Eppure, una parte mi me, sperava che non fosse lì soltanto per dirmi che mi odiava.

“Dovrei, ma non ci riesco. Non ora che vedo quanto tu stessa soffri la tua condizione e nemmeno prima, quando ho deciso di trovarti. Quando ho avuto paura che fosse già tutto finito, per te”.

“Daniel…”

“Sarah Jane…” mi interruppe alzando appena una mano “Vorrei esserti d’aiuto”.
 


JOHNSE’S POV

La nevicata infuriava fuori le finestre del motel rendendo tutto, ancor di più, asfissiante. Non mi piaceva la neve, anche perché, era l’ultima cosa che avevo visto da vivo. Un bel tappeto candido e freddo dove avevo trascorso i miei ultimi e spiacevolmente agonizzanti minuti.


“Tu non devi guardarla, non devi sfiorarla e non devi nemmeno pensare di metterle le mani addosso come a una ragazzetta qualunque dei bassi fondi che frequenti. Compreso, Johnse?”

Avevo sollevato le sopracciglia di fronte agli ordini non tanto velati di Ethan Withake, detto Silver Blade, di tenermi lontano da sua sorella.

“Non è colpa mia se me la ritrovo sempre tra i piedi, Ethan”

In realtà io e Maci ci ritrovavamo tra i piedi a vicenda, e sempre volontariamente. Silver Blade dal basso del suo metro e sessanta era comunque in grado di incutere un certo timore. Non per niente era chiamato Lama d’argento. Si sapeva che gli piaceva piantare coltelli ai tipi che non gli andavano a genio, a Pasadena.

Ethan si era irrigidito e aveva messo una brutta espressione “Noi due non siamo amici, non chiamarmi per nome”

“Se è per questo nemmeno tu sei mio amico, Ethan. Ora dovrei buttare questa, se permetti…”

Detestavo i gradassi, soprattutto i gradassi ricchi e figli di papà. Avevo agitato il sacco nero e avevo scansato Ethan e il suo braccio destro, Big C. Il mio turno serale alla tavola calda del vecchio Charlie era quasi finito e non vedevo l’ora di iniziare la mia, di serata. Senza nessuno di quei due intorno.

“Se ti vedo girare di nuovo intorno a Maci me la paghi, Johnse”

“Le piaccio, Ethan. E lei piace a me. Dovresti essere solo contento per lei, invece di comportarti come uno dei peggiori stronzi” avevo commentato, secco, richiudendo il cassonetto nel vicolo dietro il locale. Ethan si era voltato nella mia direzione e una smorfia gli aveva increspato il volto da trentenne accuratamente sbarbato.

“Stronzo, io? Attento, Johnse, potrei perdere anche le staffe e farti secco in questo vicolo”

Il mio problema, ora come allora, era quello di non saper tenere la bocca chiusa e incassare in silenzio.

“Non avevi nient’altro di meglio da fare stasera, Ethan? E tu, Big C?” avevo ribattuto scrollandomi i capelli dai fiocchi di neve che, da quel pomeriggio invernale, disturbavano Pasadena.

“Sarai anche suo fratello, Withaker, ma Maci ha abbastanza cervello per desidere da sé della sua vita”

“Ha diciannove anni. E tu la importuni, Fields. Me l’ha detto lei”

Avevo accennato un sorriso e scosso la testa “Certo, le chiederò conferma più tardi, quando abbiamo preso appuntamento per vederci”. Stavo per uscire dal vicolo e rientrare nella tavola calda, per riprendere il giaccone e andarmene, quando avevo sentito quel dolore lancinante tra le scapole.

“Tu non la vedi più, mia sorella, Fields” avevo sentito al mio orecchio.

Quella coltellata era stata la prima di diciotto.

Non ero ancora morto quando Ethan Withaker e Big C se ne erano andati sgommando, nella macchina parcheggiata in strada. C’era solo un dolore sordido al torace, una sostanza viscosa e calda a imbrattarmi la maglia e a rendere appiccicose le dita che cercavano di tamponare. La guancia che era schiacciata contro l’asfalto del vicolo stava perdendo di sensibilità e l’ultima cosa che avevo messo a fuoco guardando verso il mio fianco, era stata la neve fresca sciogliersi al calore del mio sangue.


Mi riscossi con un singulto e chiusi con uno scatto le tende che davano sulla strada. Ezechiele era sparito da quella mattina senza dirmi dove andava. Non che mi importasse più di tanto in realtà. Mi sdraiai sul letto e incrociai le braccia dietro la nuca. Uriele mi aveva chiesto se credevo di meritare la mia morte. Avevo risposto di sì, perché ero stato uno stupido quella sera, nel vicolo.

Uno stupido gradasso come Silver Blade. Certo che l’avevo meritato.

Tirai un sospiro e massaggiai le palpebre chiuse.

“Brutti pensieri, Johnson?”

Sussultai e riaprii di scatto gli occhi, fissandoli sulla figura di Uriele, ferma ai piedi del letto, candidamente avvolta dalla tunica bianca dell’ultima volta. In viso aveva la stessa espressione a metà tra il serio e l’ilare. Gli occhi verdi erano puntati sul mio viso ed ero sicuro che sapesse benissimo a cosa pensavo.

“Può darsi” risposi comunque, mettendomi a sedere. Uriele non si mosse “Certo…” ribattè con un lieve cenno del capo.

“Suppongo che abbiate deciso. Non è così?”

“Siamo giunti ad una conclusione, sì. Prima però volevo parlare un po’ con te, Johnse”


 
DANIEL’S POV

Guardai Sarah Jane, chiusa in uno strano mutismo dopo la mia frase. Stavo tentando di tenermi il più inespressivo possibile ma lei sembrava scrutarmi dentro. Ci avevo messo un po’ di tempo per trovarla, quello non era l’unico cimitero di San Francisco.

Al cancello avevo incontrato una famiglia. La bambina correva avanti urlando qualcosa al padre in merito a dei regali solo che, a quanto avevo visto, il padre non l’aveva neanche ascoltata. Proseguendo avevo intravisto sul pendio della collina i capelli arancioni. Era stata sciocca a rendersi visibile in quel modo ma non avevo potuto fare a meno di provare sollievo.

“Lasciami parlare con qualcuno” tentai nuovamente ma stavolta fu lei a interrompermi.

“E’ inutile. La colpa di ciò che è successo non è tua. Sono io che devo aiutarti, Daniel. Tu non puoi fare granché per me, io sono morta da un pezzo mentre tu sei vivo” ribattè Sarah Jane. Gli occhi grigi sembravano più scuri per quante cose le si agitavano dentro. Non avevo dimenticato quanto mi aveva detto a Caldwell. Lei era innamorata. Di me.

“Voglio tentare”

“No”.

Mi trattenni dallo sbuffare e lei se ne accorse. Stirò appena le labbra imbronciate in un sorriso “Sono segretamente contenta di vederti, però” aggiunse lei, ispirando profondamente. Il viso le si era tinto appena di un rossore diffuso.

“Se me lo dici non è più un segreto”

“Ormai non vale la pena di nasconderti più niente” ribattè lei, decisa. Poi si incamminò verso la cima del pendio e io la seguii in silenzio mentre l’aria fredda si insinuava tra i vestiti. La affiancai e guardai in direzione del ponte e dell’acqua scura. C’era un silenzio quasi surreale tutt’intorno, nonostante quella fosse una città caotica.

“Non lo trovi un bel posto, per essere in pace?” mormorò Sarah Jane. La voce aveva tremato appena ma, nel voltarmi a guardarla, mi accorsi di come lei riusciva a mascherare ugualmente ciò che la turbava agli altri.

“Sì” sussurrai.

“Le mie ossa sono fortunate”.

Capii cosa volesse intendere e nonostante i miei sentimenti contrastanti per lei non potei fare a meno di allungare la mano sinistra per stringerle le dita gelate.


 
Angolo Autrice
Ebbene sì. Sono tornata. Mi scuso tanto con voi ma come vi ho detto nell’avviso è stato ed è un periodo ancora caotico per me. Pubblico questo capitolo che è stato parcheggiato inconcluso da settimane e finalmente trovo il tempo di farlo leggere anche a voi. Ringrazio tutti voi che seguite/preferite/ricordate questa storia perché, alla fine, io scrivo anche per voi. Inoltre, ringrazio chi nel frattempo ha scoperto questa storia quindi: Fifilla995, Nutella_Girl, Melina99 (preferite); Koaluch, livefearless, happyness elly, Marargol, ant0n3lla, Nicole_chan, _Mars, robbie25, Garfield, Roswind, lalu0395 (seguite); solenia21, irly, hogvarts (ricordate).
Alla prossima (spero più presto)! Un bacione,
 
Raya_Cap_Fee

 
   
 
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