Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Carlos Olivera    21/06/2014    1 recensioni
Tratto dal Capitolo 1
In tutta Celestis non c’era vascello più splendente del Megonia.
Era nato inizialmente come vascello militare, ma a seguito dell’approvazione delle nuove limitazioni sugli armamenti orbitali l’aeronautica amalteca aveva deciso di riconvertirlo ad uso civile, facendone la nave da crociera più lussuosa ed innovativa che si fosse mai vista.
Essendo nata come nave da guerra non raggiungeva le dimensioni delle altre sue sorelle battenti bandiera di Caldesia, di Eyban o di Alepto, ma ciò nonostante era considerata la più bella astronave che Celestis avesse mai prodotto.
La sua forma lunga e affusolata, simile ad un veliero vero e proprio, la rendeva agile e veloce, oltre che esteticamente più bella della maggior parte delle altre navi civili; di vetrate panoramiche ne aveva solo una, una scintillante cupola che emergeva elegantemente dalla fusoliera color panna, proprio sopra il grande salone centrale.
A poppa, enormi e suggestivi barbigli emergevano dalla chiglia, protendendosi oltre il bordo poppiero da cui sbucavano le turbine a propulsione, rassomigliando alle ali di un angelo.
Nelle pubblicità delle agenzie di viaggio, il Megonia era decantato come un angolo di paradiso; ora, invece, era divenuto l’anticamera dell'Inferno
Genere: Fantasy, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

12

 

 

Song sembrava essersi calmato dopo il diretto rifilatogli da Klaus, che oltre al dente gli aveva portato via anche il rispetto e la considerazione di cui aveva goduto fino a quel momento tra una ristretta cerchia di superstiti, ma in realtà non aveva ancora rinunciato all’idea di risolvere quella situazione alla sua maniera.

Stava semplicemente aspettando il suo momento, e con il tempo la sua pazienza sembrò incominciare a venir premiata.

Quel duo di ragazzini infatti stavano diventando nervosi a causa della perdita del contatto radio con la squadra inviata alla sala motori, si ipotizzava a causa dell’alto tasso di particelle magiche emesse dagli stessi che disturbava le comunicazioni, e il tentativo continuo di ricontattare il loro nerboruto caposquadra nero li stava tenendo impegnati.

Al momento giusto, fece la sua mossa.

Approfittando del fatto che la ragazza stava dandogli le spalle, e che quelli tutto attorno si stavano facendo ognuno i fatti propri, si avvicinò camminando basso, gli occhi ben fissi sulla pistola riposta nella fondina alla cintura.

Solo Hilda, seduta in terra poco lontano, se ne accorse, ma quando ormai era troppo tardi.

«Attenta, Amanda!» strillò, ma a quel punto Song aveva già l’arma tra le mani.

Istintivamente la bambina tentò di fermarlo, ma lui senza difficoltà riuscì a liberarsi della sua stretta esitante, mettendola fulmineo davanti a sé e puntandole la pistola alla testa.

«Che diavolo stai facendo, pazzo incosciente?» urlò Klaus

«Mi salvo la vita. Non so voi, ma io non intendo restare qui un minuto di più. Ora aprirò quella porta e me ne andrò per conto mio.»

«Se apri quella porta, metterai a rischio tutte queste persone» lo ammonì Amanda. «Gli EDA ti salteranno addosso in massa.»

«Sempre meglio che restare chiusi in questa cazzo di trappola aspettando di fare la fine del topo. E sono sicuro di non essere il solo a pensarla così, dico bene?».

Di nuovo, una parte dei sopravvissuti si mostrò accondiscendente nei riguardi dell’uomo, rivelando, chi palesemente chi in maniera più sommessa, di condividerne il pensiero.

Quelli più audaci si fecero avanti, e su ordine del loro autoproclamato capo presero quante più armi possibili per poi raccogliersi attorno alla porta nel tentativo di aprirla. Tuttavia, forse per la tensione o per inesperienza, uno di loro aprì l’ultimo chiavistello con troppa veemenza, dimenticandosi inoltre di trattenere il battente, che infatti privato da un istante all’altro di ciò che lo bloccava si aprì con inaudita violenza producendo forte rumore.

Song si rivolse quindi nuovamente alla folla.

«Signori! Chiunque volesse venire con noi, è libero di seguirci! Almeno avrete una possibilità!».

Klaus era sicuro che nessuno sarebbe stato tanto incosciente da dare retta a quel pazzo, ma la paura e la voglia sconfinata di far finire quanto prima quell’incubo furono la molla che spinse più di un centinaio di superstiti ad accettare la proposta di Song.

«Non fatelo» tentò di dire Amanda mentre questi, uno per volta, se ne andavano. «Non arriverete mai alle scialuppe, e condannerete a morte queste persone.»

«Sai che ti dico, non me ne frega niente».

Quasi senza volerlo Song allentò un momento la presa, ed Hilda immediatamente ne approfittò per mordergli la mano più forte che poteva, un morso potentissimo che per poco non gli portò via un pezzo di carne.

«Maledetta mocciosa!» tuonò iracondo scaraventandola contro il muro.

Più per rabbia che per necessità vera Klaus sparò fulmineo al nemico, centrandolo ad una spalla, e questi rispose a sua volta con un colpo che, se non fosse stato per la tuta antiproiettile, avrebbe provocato al ragazzo ben più che un tremendo dolore al petto, abbastanza forte da farlo cadere in ginocchio mezzo svenuto.

«Addio, signori» ringhiò Song andandosene con una mano stretta sulla ferita.

 

Song faceva tanto lo spaccone, ma in realtà non aveva la minima idea di come fare per raggiungere le scialuppe.

Per fortuna c’erano le indicazioni affisse sulle pareti, e volendole seguire a tutti i costi lui e i suoi fedelissimi non esitarono ad aprire manualmente, a volte mettendoci solo un po’ di forza a volte con qualche scarica di mitra, tutte le porte che Ulrich aveva chiuso nel tentativo di confondere e bloccare gli EDA.

Se non altro, il gruppo riuscì a salire di due ponti senza incontrare anima viva, e quando arrivarono nel grande ristorante a quattro stelle, ultima stanza da superare prima di arrivare ai ponti di salvataggio, i più pensarono che ormai fosse fatta.

«Sembra che non ci sia nessuno.» osservò uno

«E quelli laggiù erano tanto preoccupati» commentò cinico Song. «Peggio per loro. Che crepino. Muoviamoci».

Tra i pochi esaltati c’era però anche tanta gente spaventata, che seguiva il gruppo stando nelle ultime file e guardandosi costantemente attorno.

Solo le luci sceniche erano accese, e gettavano sulla stanza un’atmosfera spettrale, minacciosa, fatta di ombre sinuose che potevano nascondere ovunque potenziali minacce.

Una anziana coppia di coniugi erano gli ultimi della fila, ed erano anche i più terrorizzati, tanto che quelli che gli stavano davanti dovevano continuamente richiamarli perché non si perdessero.

«Caro, ho visto qualcosa.» disse ad un certo punto la donna

«Eudora, è la centesima volta che lo dici. È già abbastanza difficile così. Hai deciso di farmi prendere un colpo?».

L’anziano fu assalito alle spalle e sbranato prima che potesse rendersene conto, e l’urlo della signora le rimase strozzato in gola quando un altro EDA le saltò addosso uccidendola come era accaduto al marito.

Da un secondo all’altro, una trentina di EDA sbucarono da alcune delle porte secondarie che immettevano nei vari corridoi, circondando completamente il gruppo e prendendo a farne scempio. I sopravvissuti, terrorizzati e colti di sorpresa, tentarono a malapena di resistere, ma quasi subito la loro difesa si tramutò in una fuga incontrollata in ogni direzione che, come accaduto quando tutto quell’orrore aveva avuto inizio, ebbe il solo risultato di spingerli più facilmente tra le braccia di quei mostri segnando la loro fine.

Song dal canto suo sparò tutti i colpi che aveva nel caricatore, e quando rimase a secco senza pensarci corse a perdifiato verso l’uscita secondaria, chiudendosela alle spalle e bloccandola gettandovi contro un pesante armadio.

Così, quando uno di quelli che lo avevano seguito fin dall’inizio riuscì a sua volta a raggiungere la via di salvezza, con suo grande sgomento la trovò bloccata.

«Figlio di puttana, torna indietro!» urlò all’indirizzo dell’uomo che scappava attraverso l’oblò, per poi venire assalito alle spalle da due mostri, con uno che gli portò via mezza gola e l’altro che gli strappò il braccio a forza di tirare.

Rimasto solo, e barcollante per la ferita che non smetteva di sanguinare, Song raggiunse infine i portelli delle scialuppe di salvataggio. Era solo questione di un altro sforzo, l’ultimo, e tutto sarebbe finalmente finito.

Certo, non poteva immaginare che un passeggero sopravvissuto miracolosamente all’assalto iniziale si fosse rifugiato proprio nella scialuppa che Song scelse di aprire, ma fosse morto prima di riuscire ad azionare il distacco.

Song ebbe giusto il tempo di visualizzare nella mente due occhi assatanati e una fila spaventosa di denti, e subito dopo nell’area tutto attorno risuonò un acuto e straziante urlo di dolore.

 

Morpheus era stato in grado di replicare il Megonia con una fedeltà quasi disarmante.

Dalle porte ai corridoi, dalle scale agli ascensori, tutto era perfettamente riprodotto, al punto che per Mayu risultava quasi difficile immaginare che si trattasse di un mondo virtuale.

L’unica conferma al fatto che quella non fosse la realtà veniva, oltre che dalla voce ultraterrena di Ulrich, dalla forte luce bianca che proveniva dagli oblò e dalle vetrate che la ragazza incontrava lungo la strada, come se la nave si fosse trovata a galleggiare sul nulla.

Altra cosa erano il silenzio, oltre alla totale assenza di qualsivoglia anima viva, ma era una cosa piuttosto naturale. Quello che appariva insolito, invece, era lo stato in cui la ragazza trovò alcune parti di quella specie di nave virtuale, completamente devastate come se ci fosse passato un uragano.

«È colpa del virus» le spiegò Ulrich. «Il computer ha riprodotto le alterazioni causate ai server sottoforma di danni fisici.»

«Ehi, aspetta un momento! Se è vero quello che dici, allora anche il virus dovrebbe essere qui da queste parti! Che faccio se lo incontro!?»

«Non preoccuparti. Per poter accedere al programma di rielaborazione digitale è necessario accedere al software di Morpheus, e a quanto mi risulta questo non è stato toccato».

Almeno, pensò Mayu, non c’era il rischio di incontrare qualche cyber-EDA ansioso di farsi una sana mangiata con la sua carne virtuale.

Dalla stiva, con uno dei tanti ascensori la giovane arrivò nel salone centrale, o almeno nella sua riproduzione, da dove avrebbe potuto raggiungere l’ascensore di servizio che l’avrebbe condotta alla sala del nucleo.

«Ci sei quasi. Prendi la porta al terzo piano dall’altra parte della balconata, scendi di tre livelli e ci sei».

Mayu fece per obbedire, ma all’improvviso udì un rumore metallico molto strano, e certamente inquietante, che la particolare conformazione della stanza tramutò in un eco impossibile da localizzare.

«Che è stato!?» domandò guardandosi attorno spaventata.

Contemporaneamente, anche Ulrich notò qualcosa di insolito nel flusso di dati, ma dapprincipio non gli venne neanche lontanamente da pensare che potesse trattarsi proprio del virus.

Passò un attimo, e alzato lo sguardo Mayu si vide letteralmente piovere addosso un pezzo di colonna che riuscì ad evitare per il rotto della cuffia rotolando sul pavimento, e quando risollevò lo sguardo dinnanzi a lei era comparso un essere ributtante: l’aspetto era ancora umano, ma il volto e le braccia lasciate scoperte erano di un colore olivastro e pieni di piaghe; gli occhi, quasi invisibili tra le pustole e i capelli arruffati, erano rossi e minacciosi, la bocca quasi priva di labbra, e i vestiti, oltre che strappati, erano anche lordi di sangue.

«Ma questo…» disse impietrita la ragazza riconoscendo in quell’essere deforme i tratti del viceComandante Shawn.

Ulrich rimase a propria volta basito, non riuscendo a capire come potesse essere possibile; la risposta però, a pensarci, poteva essere solo una.

«Oh, mio Dio. Allora è lui il virus».

Ora era chiaro. Era per questo che quel virus, se così lo si poteva chiamare, aveva attaccato a casaccio senza seguire una logica; era furia bestiale pura e semplice, tipica di un qualunque EDA.

Senza tanti complimenti Shawn caricò Mayu, che istintivamente sfoderò la pistola premendo due volte il grilletto, ma tutto quello che uscì dalla canna fu aria.

«Ma che…».

Il pugno che ricevette fu come una cannonata, talmente forte da spararla addosso alle scale quasi svenuta; ma la cosa più sconvolgente fu, quando tentò di riprendersi, vedere parte del proprio corpo che per un attimo sembrò svanire, dissolvendosi in una sorta di effetto nebbia.

«Sta attenta! Quell’avatar è la proiezione della tua mente! Se ti danneggia troppo il legame si spezzerà e resterai intrappolata lì dentro!»

«Potevi anche dirmelo prima, dannazione!».

L’EDA tentò un secondo assalto, ma stavolta Mayu lo prese in controtempo e se la diede a gambe, salendo la scalinata e iniziando a correre in ogni direzione.

«Ma si può sapere che ci fa lui qui?» domandò mentre scappava

«Deve essersi connesso quando l’infezione era sul punto di consumarlo. Sia il corpo che la mente sono stati danneggiati dal virus, e quando il corpo fisico è morto la mente è rimasta intrappolata lì dentro.»

«E perché le mie armi non funzionano?»

«Quello non è il mondo reale. È solo una proiezione virtuale. La tua pistola è solo decorativa.»

«Fantastico! E ora come ce ne sbarazziamo?».

Ulrich provò a lanciare un antivirus, che apparve nel mondo virtuale come una sorta di nuvola rossa simile ad un denso cumulo di vapore, ma come temeva questo si rivelò del tutto inefficace, transitando da una parte all’altra della stanza per poi scomparire senza prestare la minima attenzione all’EDA, che imperterrito continuò ad inseguire Mayu.

«È come temevo. Non si tratta di un bug vero e proprio, quindi gli antivirus e i firewall non lo riconoscono.»

«Fantastico, e ora che faccio?».

 

Klaus e gli altri, passata la tempesta, tentarono in ogni modo di richiudere la porta e ripristinare l’inviolabilità della stanza, ma per quanto si sforzassero di tirare il battente non voleva saperne di muoversi, e il varco seguitava a rimanere aperto.

«È inutile» mugugnò contrariato uno. «Il meccanismo di scorrimento è saltato. Questa porta non si muoverà.»

«Fanculo!» strillò Klaus prendendola a calci.

Amanda sorvegliava il buio, usando le sue abilità di maga per scorgere prima di altri eventuali minacce.

«Arriva qualcuno.» disse notando un’ombra in lontananza e conseguente rumore di passi.

Tutti quelli che avevano un’arma la puntarono verso la porta, e per lunghissimi istanti l’aria fu carica di una tensione allucinante.

«Non sparate, sono io!» si sentì urlare.

I due agenti abbassarono le armi, e dopo poco Vincent sbucò dall’ultima barricata di fortuna, un po’ ammaccato ma in buona salute.

«Allora siete ancora vivi.»

«Potremmo dire lo stesso di te» replicò Klaus. «E Jacob?»

Vincent chinò il capo; la sua espressione diceva tutto.

«Mi dispiace.» disse Amanda

«Abbiamo altri problemi. Ulrich aveva detto di aver bloccato questo posto, ma ho trovato un sacco di porte aperte venendo qui.»

«È colpa di quello stronzo di Song» disse Ulrich. «Hai visto anche degli EDA?»

«Non da queste parti. Ma se non troviamo il modo di isolare nuovamente questa stanza, temo che non resteremo soli molto a lungo».

 

Ulrich, prima di essere un Agente, era stato un hacker; uno dei tanti modi con cui un rampollo di buona famiglia senza molto da fare e con poche attenzioni da parte dei genitori poteva ammazzare il tempo.

Per questo era entrato nell’agenzia: perché quando infine lo avevano colto sul fatto l’avevano costretto a scegliere tra un lungo periodo di detenzione e mettere le proprie capacità al servizio dell’Agenzia.

E come amava dire sempre, se si sa come creare una cosa, nella fattispecie un bug da computer, si sa anche come distruggerla.

Dovette pensarci qualche minuto, dal momento che si trattava di un virus che definire anomalo era poco, ma alla fine pensò di aver trovato la soluzione, e subito si mise al lavoro.

Nel mentre, Mayu attendeva, nascosta in un anfratto del salone, le ginocchia raggomitolate e il volto ben infilato nell’incavo per nascondere quanto più possibile il rumore del suo respiro.

Il silenzio tutto attorno sembrava totale, ma di quando in quando poteva udire distintamente i passi pesanti e l’ansimare animalesco di quella creatura, che come una tigre in caccia fiutava l’aria e tendeva l’orecchio alla ricerca della sua preda aggirandosi lentamente per il salone.

Di tentare la fuga non se ne parlava. C’era ancora una rampa di scale da salire per arrivare all’ascensore che l’avrebbe condotta al nucleo, e con la sua agilità sovrumana quel mostro le sarebbe saltato addosso prima ancora che avesse potuto raggiungerla.

«Mayu, ascoltami» disse Ulrich, che grazie al cielo solo lei poteva sentire. «Forse ho trovato il modo per liberarci di lui.

Ho riprogrammato un antivirus installato nel software perché possa distruggere la mente contaminata del viceComandante

«E allora muoviti a usarlo. Quella bestiaccia non ci metterà molto a trovarmi.»

«Qui sta il problema. In questo momento mi è impossibile lanciarlo direttamente da qui.»

«Che cosa!?»

«Potrei farlo, ma mi ci vorrebbe del tempo. Tempo che non abbiamo. L’unica possibilità è caricarlo all’interno dell’interfaccia che stai usando per mettertelo a disposizione.»

«In altre parole, dovrei usarlo io.»

«Praticamente. Lo programmerò perché tu possa attivarlo a distanza, altrimenti potresti venirne colpita anche tu.

Aspetta solo altri due minuti».

Furono i due minuti più lunghi della vita di entrambi, con Ulrich che pregava tutti gli dèi dell’universo di aiutarlo a non sbagliare nulla e Mayu che temeva di vedersi comparire davanti quel mostro da un momento all’altro, tremando di paura come quando da piccola si rannicchiava sotto al letto durante i temporali.

«Finito! Eccolo che arriva!».

Un tenue bagliore apparve attorno alle mani di Mayu, nelle quali comparvero quella che sembrava una carica al plastico poco più piccola di un mattone e il relativo detonatore a pulsante.

«Mi raccomando, non devi essere nelle vicinanze al momento dell’attivazione. È programmata per riformattare e cancellare tutte le proiezioni avatar. Se ti colpisse, per te non ci sarebbe scampo.»

«Strepitoso».

In quel momento il mostro passò proprio davanti all’ingresso dell’anfratto, e Mayu silenziosamente si appiattì ancora di più nascondendosi nel buio. Mosse qualche detrito, attirando l’attenzione dell’EDA, che però dopo aver gettato uno sguardo nel buco senza vedere niente, ringhiando ricominciò a camminare.

«Giuro che dopo questo firmo il congedo e me ne torno alle corse clandestine» imprecò la ragazza uscendo dal buco.

Silenziosa, e trattenendo il respiro, si avvicinò lentamente alle spalle del mostro, che malgrado l’udito e la vista molto sviluppati non parve accorgersi di lei; per un attimo pensò di potercela davvero fare, ma proprio all’ultimo momento l’EDA si voltò fulmineo, lasciandola impietrita per la paura, e battendosi i pugni sul petto come un gorilla caricò a testa bassa.

Questa volta però, Mayu scelse di non fuggire, perché sapeva che continuare a scappare era inutile: doveva combattere.

Sfruttando la sua forma minuta e quell’agilità che, per quanto non al livello del suo avversario, non le faceva comunque difetto, schivò due pugni in successione, quindi scivolò sotto le gambe del nemico, e quando questi si girò ricevette un tremendo calcio a piedi uniti sotto il mento che, anche a causa del tacco leggero, gli portò via di netto la mascella. Purtroppo questo non bastò a fermarlo, rendendolo anzi ancor più spaventoso e infuriato per via di quella vistosa menomazione, e mentre Mayu cercava ancora di tornare in equilibrio ricevette un secondo, spaventoso pugno che oltre a spararla via produsse ancora quell’inquietante effetto nebbia sul suo corpo, molto più lungo ed esteso del precedente.

«Sta attenta, la tua mente ormai è al limite!» le intimò Ulrich. «Un altro colpo e sarai consumata!».

Fuori di sé dalla rabbia l’EDA partì nuovamente alla carica, ma stavolta Mayu riuscì a spostarsi all’ultimo e quel poveretto si fece crollare addosso un’intera balconata portandosi via una delle colonne di supporto per poi andarsi a schiantare contro la parete.

Una simile pioggia di detriti avrebbe ucciso chiunque, ma quello restava pur sempre un mondo virtuale, e l’EDA nonostante tutto ne uscì senza un graffio; tuttavia, quando riuscì finalmente a liberarsi delle macerie, la sua preda sembrava sparita.

Ringhiando, si guardò attorno, alla ricerca di un qualunque indizio, e non gli servì molto per notare un bordo di tuta gommosa che emergeva a malapena da dietro una colonna poco distante.

La terza carica doveva essere quella decisiva, e stavolta il mostro centrò in pieno il proprio bersaglio, provocando un nuovo crollo ma riuscendo ad afferrare la preda; tuttavia, quando provò a stringerla, si accorse non senza stupore di avere tra le mani solo il busto di una statua, cui era stata malamente infilata la tuta di gomma e con un minaccioso pacchetto biancastro infilato nella cerniera semichiusa.

Un attimo dopo, uno strano bip lo spinse a guardare alla propria destra.

Mayu era lì, a qualche metro di distanza, con indosso i soli slip, una mano a coprire il seno e l’altra che stringeva una specie di telecomando.

«Oyasumi, stronzo.»

Una grossa sfera di elettricità si generò dall’ordigno non appena la ragazza spinse il bottone, e l’EDA, lanciando urla di dolore, finì letteralmente polverizzato, dissolvendosi in un pulviscolo luminoso.

Vedendolo scomparire così, Mayu e Ulrich non riuscirono a non provare un po’ di pena nei suoi confronti; in fin dei conti, quel poveretto aveva cercato fino all’ultimo di salvare migliaia di vite, anche a costo di sacrificare la propria, ed entrambi gli augurarono col pensiero di poter riposare in pace.

«Avanti ora. Adesso non dovresti incontrare altri ostacoli.»

«Lo spero. Questo mi basterà per qualche secolo.»

Raggiunto l’ascensore, fortunatamente senza nuovi imprevisti, Mayu scese al livello desiderato, percorse per intero il corridoio e aprì la porta del nucleo, immergendosi non senza qualche esitazione nella luce che comparve dall’altra parte dell’ingresso.

Un attimo dopo, Ulrich vide la figura a mezzobusto della ragazza materializzarsi su uno dei monitor.

«Sono dentro».

Era incredibile. Era come se il suo corpo fosse diventato un tutt’uno con la nave; come se la nave stessa fosse diventata il suo corpo. Poteva essere ovunque, vedere ovunque, aprire e chiudere porte a suo piacimento, accendere luci, azionare scale mobili, e persino comandare erogatori d’acqua o macchine del caffè.

«Ottimo» disse Ulrich. «Ora ripristina i sistemi di alimentazione».

 

Helen vide tutte le apparecchiature del ponte riaccendersi come d’incanto, riprendendo a funzionare senza apparente motivo.

«Ulrich, sei stato tu?»

«Non proprio. Ad ogni modo, ora per favore segua le mie istruzioni. Le spiegherò come ridare energia ai motori».

Per prima cosa fu necessario riprogrammare la rotta, e secondo le direttive fornitele da Ulrich, Helen ne impostò una che con le macchine a pieno regime avrebbe condotto il Megonia fuori dalla Zona Oscura nel giro di pochi minuti, quindi fu il momento di ripristinare l’afflusso di energia.

La giovane donna stava per avviarsi al relativo pannello di controllo, quando da sopra la sua testa giunse un sinistro rumore di qualcosa che strisciava.

Alzò gli occhi, e per un attimo le parve di vedere il soffitto scricchiolare sotto la spinta di qualcosa: qualcosa di molto grosso.

Di qualunque cosa si trattasse, si muoveva così velocemente che era difficile stargli dietro, e la tensione nel petto di Helen, nonostante il suo comprovato autocontrollo, salì rapidamente, tanto che appena notò distintamente un’asse metallica ondeggiare immediatamente sparò, ricevendo in cambio una specie di sibilo dolorante.

«Che diavolo era quello?».

La risposta alla domanda arrivò quando la grata dell’aria sopra la sua testa per poco non le piovve addosso sotto la spinta di una sorta di lunga protuberanza carnosa simile ad un tentacolo che scattando verso il basso tentò di afferrarla.

Helen riuscì ad evitare la presa per un soffio, e istintivamente consumò il caricatore contro quell’ignoto aggressore, che colpito in pieno apparentemente si ritirò abbandonando il campo.

«Qui siamo oltre la comprensione» disse attonita.

Ma il vero dramma, pensò Ulrich dopo aver assistito alla scena, era un altro.

«I condotti dell’aria!» esclamò. «Quei bastardi sono nei condotti!».

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Carlos Olivera