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Autore: Mary P_Stark    23/06/2014    2 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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 Cap. 10
 
 
 
 
 
La collana, che John le aveva regalato solo due giorni prima, vegetava solitaria sopra gli abiti che Summer aveva infilato nel suo trolley.

Era la muta testimone del terremoto che l’aveva mandata gambe all’aria.

Se il silenzio teso tra i due aveva sorpreso i loro colleghi, la presenza di Sean – costante quanto premurosa – aveva fatto nascere più di un’illazione.

Mike, non lasciandosi sfuggire l’occasione per fare il ficcanaso, si era preso per diretta conseguenza un’autentica ramanzina dal suo capo.

Non solo, Summer gli aveva intimato di farsi gli affari suoi ma, per ciò che riguardava Sean, aveva sottolineato che l’uomo era innanzitutto, e soprattutto, affare suo.

Con Big Mama avrebbe parlato lei, e non certo Mike, con la sua visione distorta della realtà.

Le lacrime intraviste negli occhi della collega, avevano spinto Mike a desistere dal parlare ulteriormente, spingendolo altresì a scusarsi.

Per la prima volta in vita sua, aveva scorto delle crepe vistose sulla maschera solitamente solare di Summer Hamilton, e questo lo aveva scioccato non poco.

Portandolo così, per una volta, a comportarsi con coscienza.

La mattina della partenza, un lento sospiro fuoriuscì dalla bocca piegata in una smorfia di Summ che, uscita che fu dalla sua stanza, si diresse a capo chino verso il bancone della reception.

Mike e Mandy erano all’esterno assieme a John, all’ombra dell’imponente veranda dell’hotel. Sean, solo e con il suo trolley alla mano, l’attendeva sulla porta, protettivo e sicuro come una roccia.

Summer gli sorrise a mezzo, lanciando un rapido sguardo a J.C. – che le voltava le spalle – per poi tornare a sospirare.

Avrebbe dovuto essere lui la sua roccia inviolabile, invece l’aveva lasciata andare a se stessa con la medesima velocità con cui l’aveva afferrata pochi giorni prima.

Eppure era certa di aver visto giusto, di aver percepito amore, nel suo cuore.

Possibile che il suo desiderio di averlo, avesse offuscato le sue percezioni?

Non ne aveva davvero idea ma al momento il suo, di cuore, stava piangendo a dirotto, a dispetto della maschera perfetta e compassata che stava indossando.

Raggiunto che ebbe Sean, mormorò: “Sei sicuro di voler venire con noi? John non sarà di certo tenero.”

“Non ti lascerò sola con lui, bhean dóiteáin.”

“Non sarei sola” precisò lei, pur apprezzando le sue attenzioni.

Sean si limitò a sollevare ironico un sopracciglio e Summer, scoppiando in una risatina divertita, annuì e uscì con lui nell’arsura di quel pomeriggio appena sbocciato.

Come previsto, Sean e J.C. si lanciarono occhiate in cagnesco, ma il cuscinetto offerto da Mike e Mandy impedì loro di prendersi a pugni per puro diletto.

Amanda, da brava paciere, prese sottobraccio Summer e si incamminò con lei verso il pulmino che li avrebbe condotti all’aeroporto.

A mezza voce, poi, celiò: “Non ti senti in paradiso, Summ? Accompagnate da tre baldi uomini!”

“Anche troppi, sai?” ironizzò lei, caricando il suo trolley assieme all’amica per poi salire sull’ultima fila di sedili.

Mandy ridacchiò e, mentre Sean si sistemava sul sedile anteriore, accanto all’autista, Mike e John occuparono i posti centrali.

Il chiacchiericcio delle due donne riempì il minivan e, bellamente, Summer e Mandy ignorarono i due colleghi dinanzi a loro.

Persino Mike si guardò bene dal colloquiare con John.

Pur se nessuno conosceva i motivi dell’astio tra J.C. e la loro collega, le colpe erano andate indirettamente all’uomo che, in quel momento, ne pagava lo scotto.

John, però, aveva ben altro per la testa, troppo indaffarato a rimuginare su quanto aveva visto – e fatto – per badare alla ritrosia delle due colleghe, o al silenzio beffardo di Mike.

L’unico a dargli veramente fastidio era Sean che, ogni tanto, lanciava nella sua direzione un’occhiata ironica quanto sconfortata, come se trovasse le sue azioni più che stupide, e ne fosse rammaricato.

Ma come poteva sopportare in silenzio una simile verità?

Possibile che lui non se ne sentisse schiacciato? Perché era ovvio che lui sapesse, e molto più di quanto John non conoscesse in realtà.

Aveva idea che quanto Summer gli aveva mostrato in quella grotta, fosse ben lontano dal suo effettivo potenziale, e questo lo metteva in agitazione.

E se anche Sean fosse stato…

Lo sguardo turbato di John lo sfiorò per un attimo e Sean, quasi richiamato da quegli occhi sconvolti, si volse a mezzo per scrutarlo da sopra una spalla per poi chiedergli ironico: “Posso esserti utile, John?”

“No di certo” bofonchiò lui, distogliendo immediatamente lo sguardo.

L’irlandese si limitò a ridacchiare e, tornato che fu nella sua posizione originaria, disse a mezza voce: “Ti ricordi ancora quella vecchia filastrocca che cantavi ogni tanto, bhean dóiteáin?”

Incuriosita, Summer replicò: “Quella dei tuoi avi?”

“Esatto” assentì Sean.

Ridacchiando, Summer si rivolse a Mandy, che la stava squadrando a occhi spalancati.

A mo’ di spiegazione, le disse: “Devi sapere che la famiglia di Sean ha origini antichissime. Risale addirittura ai tempi dei Guerrieri del Ramo Rosso, quando Conor mac Nessa governava sull’Ulster.”

“Mi sa che dovrò studiarmi un po’ di storia” ridacchiò Mandy, scuotendo il capo.

La vulcanologa sorrise indulgente.

“Ti dice niente il Mastino dell’Ulster?”

“Qualcosina, in effetti” ammise la collega.

“Beh, il periodo è quello” scrollò allora le spalle Summer, prima di chiedere all’irlandese: “Come mai ti è venuta in mente adesso?”

“Stavo pensando a quando te la sentii cantare per Malcolm… avevi una voce così bella!” mormorò Sean, perso in mille pensieri.

Summer assentì, ammettendo: “Era la preferita di Erin. Dopotutto, eravate cugini non per nulla.”

“Davvero?” esalò Mandy, sorpresa.

“Di terzo… no, quarto grado” mormorò Summer, prima di rammentare un particolare. “Ora che ci penso! Ti farà piacere sapere che hai una cugina che non penso tu conosca.”

“In che senso?” esalò sorpreso Sean, volgendosi completamente per guardarla.

“Kimberly. Parlando tra di noi, abbiamo scoperto che lei ed Erin erano imparentate per parte di madre. Pensa un po’!” sorrise Summer, trovando al tempo stesso divertente e snervante il silenzio inferocito di John.

Avvertiva senza problemi quanto, quel dialogare di fatti comuni, stesse dando un fastidio tremendo all’uomo ma, al tempo stesso, si rifiutava categoricamente di porvi fine.

Per un istante, lo odiò con tutta se stessa.

“Non ne ero al corrente… tua nonna potrebbe infuriarsi molto, per questa mancanza” osservò Sean, prima di scoppiare a ridere di gusto.

Summer lo seguì a ruota e Amanda, trovandoli davvero buffi, celiò: “Sbaglierò, ma questo è una specie di ammutinamento familiare!”

“Esattamente, Mandy! Ci rivoltiamo contro le leggi!” sogghignò la collega, desiderando continuare a ridere e, al tempo stesso, scoppiare a piangere.

Perché non era John, a farla stare così bene?

Mike colse quel momento di ilarità condivisa per chiederle: “Visto che parlavate di una canzone, è possibile sentirla? Sono curioso.”

“Vuoi conoscere le mie doti canore?” si informò divertita Summer, cercando in tutti i modi di ignorare bellamente l’apatia di John.

Che andasse al diavolo!

“Ammetto di sì” assentì Mike, sorridendole.

Lei allora si schiarì la voce, si mise in posa per quanto possibile e, socchiusi gli occhi, iniziò a cantare l’antica ballata in gaelico.

 
Come verde ramata fiamma di pagano
splendore, piene di sfida
le lignee sale emergono
dal loro manto di nebbia.
Per venti generazioni,
la reale fortezza è stata protetta da eroi.
 
A quel punto, a sorpresa, intervenne Sean che, con la sua voce potente e intonata, elevò di un’ottava la parola ‘eroi’ per fare da contraltare a quella da soprano di Summer.

 
Udite! Stridendo le porte di quercia si aprono
sui cardini di ferro.
Adorni di piume i carri si scagliano
verso di noi, trainati da cavalli che scaturiscono
al galoppo, selvaggi,
dall’antichità.
Ecco che giungono!
 
Ancora, Sean intervenne, esclamando la parola ‘guerrieri’ e, al tempo stesso, sorridendo a Summ, che restituì il sorriso con complicità.
 

Ancora una volta un giovane bruno li guida,
intrepido.
Con gli occhi splendenti e le morbide labbra,
può spezzare le ossa
o infrangere il cuore.
Cuchulain.
Il mastino dell’Ulster.1
 
Quando il canto ebbe termine, gli occhi di Mike erano sgranati, quelli di Amanda colmi di stelle, e i sorrisi complici dei due irlandesi li incorniciarono per splendore.

L’unica nota stonata venne da John che, nel suo cupo silenzio, parve essere come un’ombra sull’apparente serenità del gruppo.

Applaudendo con apprezzamento, Mike esclamò: “Per l’amor di dio, Summer! Dovevi fare la cantante! Senza nulla togliere al tuo mestiere, per carità ma… Cristo, hai una voce splendida!”

“Grazie” mormorò lei, arrossendo suo malgrado.

Mandy non fu da meno.

“Non avevo mai sentito cantare così bene. Perché non vai ad American Idol? Faresti faville!”

“Mi piace il mio mestiere” replicò la donna, sorridendo.

“Anche solo per divertimento, lo dovrebbe fare, signorina. Una voce del genere merita di essere ascoltata” intervenne l’autista, sorridendole attraverso lo specchietto.

Summer allora scoppiò a ridere e Amanda, con allegria, esclamò: “Appena arriviamo, ti iscrivo!”

“Non pensarci nemmeno!” esalò la collega, facendo tanto d’occhi.

“Ma perché no?”

Il resto del viaggio fino all’aeroporto, verté sui pro e i contro della sua possibile partecipazione all’importante show canoro.

Quando finalmente si imbarcarono, Summer stava ancora sorridendo.

Nel sedersi accanto a Sean – che ci avesse messo lo zampino? – gli sorrise grata e gli confidò: “Erano anni che non la cantavo più. Mi ha fatto bene riascoltarla.”

“Sono anche le tue radici, no?”

“Già. Le mie radici…” sospirò lei, mordendosi il labbro inferiore con aria sconsolata.

“Ogni albero ha radici e rami, Summer, non si può negare né l’una né l’altra cosa. Il fatto che le radici litighino con i rami è di per sé assurdo ma, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di non essere tra quelle radici che vi stanno dando fastidio. Io e Winter, come Colin, Miranda e Autumn, abbiamo mantenuto il silenzio con te e Spring per non darvi false speranze. Ho impiegato un sacco di tempo per tradurre il grimorum, e neppure ero certo del risultato.”

“Ma lo hai fatto ugualmente, ti sei impegnato con tutto te stesso” replicò lei, sorridendogli.

“L’esempio dei vostri genitori è stato importante… per tutti noi. Quando i nostri genitori ci dissero del destino che incombeva su di noi, parlai a lungo con Mir e Colin. Anche loro erano d’accordo con ciò che fecero Anthony e Camille. Nessuno poteva dirci come intraprendere il nostro futuro” replicò lui, sorridendole benevolo. “Indipendentemente da cosa avremmo perso.”

“E tu hai pensato che potesse esistere una scappatoia nelle leggi di famiglia” gli fece notare lei, abbozzando un sorrisino.

“Un ben misero intervento, ammettiamolo, ma era l’unica strada che potevo intraprendere contro il Consiglio. Ma andava fatto in gran segreto, o ci avrebbero scoperto subito. Autumn ha mantenuto su di me una cappa protettiva e, quando Colin si è premurato di rubare il grimorum dalla biblioteca, ha fatto la stessa cosa” scrollò le spalle l’uomo, lanciando un’occhiata in direzione di John, che sedeva al fianco di un uomo d’affari orientale.

Summer ridacchiò, pensando a Colin nelle vesti di ladro. Lo ricordava un giovane schivo e tranquillo, di certo non un novello Lupin.

Sean la imitò, e aggiunse: “Mir ha guidato meglio di un pilota di Formula 1, per raggiungermi con Colin e il libro.”

“Le darò un bacio anche solo per questo” dichiarò la donna, sorridendo complice all’amico. “E credimi, vi capisco. Io e Spring ti avremmo subissato di domande a ogni piè sospinto, finendo con l’attirare l’attenzione del vecchio Guardiano dell’Aria, prima o poi. Hai fatto bene… avete fatto bene a mantenere il segreto.”

“Temo, però, di aver peggiorato la situazione tra te e il tuo Fulcro, venendo da te.”

Sospirando, Summer ribatté caustica: “Non è la tua presenza ad avergli dato alla testa, ma le sue stesse paure. Finché non accetterà se stesso, non potrà accettare neppure me.”

“E se non lo facesse mai?” le domandò Sean, turbato.

Lei reclinò il viso e ammise: “Allora è probabile che rimarrò sola a vita.”

Afferrata una mano di Summer, l’uomo le sussurrò: “Avrai sempre me, comunque e in ogni modo. Anche solo come amico, ma mi avrai.”

“Grazie, Sean. Davvero” asserì lei, dandogli un bacio sulla guancia rasata.

 
¤¤¤

L’arrivo a casa Hamilton comportò qualche occhiata stranita da parte di Spring, ma Summer procedette per gradi, senza fretta.

Per prima cosa, la donna presentò Sean a Max e Kimberly, e spiegò alla futura cognata che l’irlandese era un suo parente alla lontana.

La cosa scatenò subito la curiosità innata di Kim che, sorridendo al nuovo venuto, lo prese sottobraccio per accompagnarlo al piano superiore, lasciando che Summer restasse con il resto della famiglia.

A bassa voce, e seguendo la coppia ad alcuni passi di distanza, Win domandò alla sorella: “Tutto bene? Sean ti ha già detto?”

“Sì, so tutto, ora. E quanto a quello che è successo, è una storia molto lunga. Ma, per farla breve, ho commesso un passo falso
con John, e lui ha dato di matto… piantandomi in asso” mormorò Summer, sospirando afflitta un attimo dopo.

Un ‘cosa?!’  generalizzato squassò le scale che conducevano all’appartamento di Winter e, mentre Mal si aggrappava a una mano della zia per esserle di conforto, Max gracchiò: “Ma è rimbecillito?!”

“Evidentemente, non ha le palle come te” sentenziò ruvida Summer, lanciando un’occhiata affettuosa a Max.

Lui si limitò a sorriderle benevolo e, nel darle un bacio sulla guancia, disse: “Parlerò con lui e lo farò ragionare.”

“Non otterresti che il benservito. Lascia stare, ho ben altre idee per la testa” replicò lei, irrigidendosi un attimo dopo quando si ricordò chi aveva accanto.

Malcolm le strinse febbrilmente la mano e, affranto, la abbracciò alla vita esclamando: “No, zia. Non andare via anche tu! No! NO!”

Quell’ultima bomba cadde su di loro con la stessa potenza dell’atomica di Hiroshima e Winter, torvo in viso, fissò caustico la sorella prima di dichiarare lapidario: “Ora ne parliamo… approfonditamente.”

“E pensi che cambierà le cose?” ironizzò lei, prendendo in braccio Mal, che stava singhiozzando disperato. “Su, tesoro. Non sarebbe per sempre, e poi verrei comunque a trovarti.”

“Sgriderò lo zio John per averti fatta arrabbiare!” sbottò Malcolm, accigliato.

Sgranando gli occhi, Summer esalò turbata: “No, Mal. Non devi per nessun motivo avvicinarti a John, hai capito?”

“Ma zia…”

“No, Mal. E’ pericoloso, al momento” replicò la donna, lapidaria.

Sempre più ombroso in viso, Winter dichiarò: “Credo proprio che sarà una cena molto lunga.”

“Decisamente” assentì con vigore Spring, gelida in viso. “Anche perché dovete spiegarmi cosa io non so, e voi tutti invece sapete!”

Summer sorrise alla sorella, e così pure Winter che, amabile, ammise: “Prometto che io e Sean vi spiegheremo tutto per filo e per segno, ora che sappiamo con certezza che le nostre speranze non erano solo pie illusioni.”

“Sarebbe ora! Mi sento un’idiota, a sapere le cose sempre per ultima!”

“Tesoro, calma i bollori, o Sunshine stanotte ti farà ballare la samba” le rammentò protettivo Max, avvolgendole le spalle protettivo.

Nell’aprire la porta di casa, Winter asserì: “Max ha ragione. Alla bambina non fa bene sentire la tua rabbia.”

“La pancia è mia, per tutti i demoni dell’inferno! Non avete l’utero, perciò muti!” ringhiò la donna, livida in viso.

I due uomini strabuzzarono gli occhi di fronte a tanta tenacia e, da veri maschi intelligenti, rimasero zitti.

Kimberly, nel frattempo, aveva fatto accomodare Sean in salotto e, nel vederli giungere, domandò loro: “Avete fatto arrabbiare Spring?”

“Si arrabbia anche da sola, non ha bisogno di aiuti esterni” ironizzò Win, raggiungendola.

“Ho chiamato anche zia Brigidh. Sarà qui a momenti. Ho pensato fosse meglio” li informò Kim, lanciando un’occhiata preoccupata a Summer, che però annuì.

“Molto bene, cara. Così dovremo spiegare tutto una volta sola” annuì Winter, rivolgendosi poi al loro ospite. “Penso che dovrai parlare per un po’ stasera.”

“Ne ero consapevole, Winter, ma non è un problema.”

 
¤¤¤

Seduto al lungo tavolo nel salotto di casa Hamilton, Sean sorseggiò lentamente il buon vinello servitogli, prima di prendere la parola.

L’intera famiglia – o quasi – era riunita, e non dubitava che Autumn stesse ascoltando.

“Lady Shaina sa essere estremamente persuasiva, perciò ho colto la palla al balzo e, docile, ho obbedito agli ordini e sono andato da Summer, sperando di poterle dire finalmente ciò che avevo scoperto. Naturalmente, trattandosi di lei, niente è andato per il verso giusto.”

Ciò detto, sorrise alla donna, che espose la lingua come una bimba birichina prima di fare spallucce.

Sean rise, e proseguì nel racconto.

“La legge è stata travisata, sicuramente per interesse, e nessuno ha mai veramente seguito le antiche direttive perciò, quando rientrerò in Irlanda e dirò al Consiglio che né io, né tanto meno Colin e Miranda, intendiamo seguire le tradizioni, scoppierà sicuramente il putiferio. Non era lecito che io leggessi il grimorum” ironizzò Sean, sorprendendo Spring, Max, Brigidh, Malcolm e Kimberly.

“In che senso, travisata?” si informò Spring, accomodandosi su una delle poltrone mentre Max rimase in piedi dietro di lei.

Rivolgendo un sorriso comprensivo al futuro marito della Guardiana della Terra, asserì: “Non vi è scritto in alcun libro che i Guardiani debbano sposarsi forzatamente con i prescelti del Consiglio dei Saggi. Per lo meno, solo il primogenito avrebbe questa imposizione, ma non gli altri Guardiani.”

“Grande! Hai sentito, Max?” esclamò lieta Spring, battendo una mano su quella dell’uomo, che riposava sulla sua spalla.

“Ottima notizia, amico. Mi togli un peso dalle spalle” esalò Max, sorridendo grato a Sean. “Anche se non avrei mollato la mia cucciola a nessun uomo, legge o no legge, s’intende…”

“Ovvio” assentì Sean, concorde.

“Quindi, la faccenda della torque…” mormorò torva Kim, lanciando un’occhiata a Winter, che però le fece segno di non proseguire.

Nessuno voleva che Malcolm ascoltasse quella parte di storia.

“Le vostre famiglie ne sono già al corrente?” chiese allora Winter, rivolgendosi a Sean, preferendo di gran lunga cambiare argomento.

“No. E penso che ai miei verrà un colpo, quando dirò loro che non sposerò Summer” asserì Sean, divertito e irritato al tempo stesso.

“Speravano di assurgere alla vetta del Clan, immagino” sbottò la fulva gemella, vagamente sprezzante.

“Già. Sai benissimo che non si è mai trattato solo di onore, ma di potere, e non solo per i Guardiani. Essere imparentati con voi, vale molto anche in termini economici, e questo lo hanno sempre saputo tutti. Ma non mi permetterei mai di farti uno sgarbo simile, ormai dovresti saperlo.”

“Non fare la bambinaia, adesso, Sean, o potrei decidere di cacciarti a pedate” brontolò la donna, sorridendogli per smorzare il rimbrotto.

“Mi sembrava strano che non trovassi il modo di insultarmi” ridacchiò allora lui. “Erano quasi quarantottore che non lo facevi!”

“Dio! Che sbadata che sono!” esalò allora lei, facendo scoppiare tutti  a ridere.

Sean le sorrise, prima di continuare. “Mi esporrò in prima persona, assieme a Colin e Miranda, perché l’Apice non venga neppure preso in considerazione dal Consiglio. Poiché non esiste da nessuna parte l’obbligo, da parte dei Clan, di imporre i Prescelti ai Guardiani, non vedo perché si debba ricorrere alle maniere pesanti.”

Max fissò dubbioso il giovane studioso, prima di passare lo sguardo ai gemelli e, storcendo la bocca, borbottò: “Per ‘maniere pesanti’, non intendete uno scontro armato, vero?”

Winter tossicchiò imbarazzato e Mal, sbuffando, si levò in piedi per andarsene, già sapendo di non poter ascoltare tutta la discussione.

I fatti che, entro breve, sarebbero stati esposti, non erano argomenti adatti alle sue orecchie.

Che gli facesse piacere ammetterlo, però, era tutt’altra faccenda.

Max lo guardò allontanarsi con passo strascicato e Win, nel sorridere mestamente in direzione del figlio, mormorò: “Non volevo che ascoltasse questa parte del racconto.”

“E’ così brutta?” esalò a quel punto Kim, stringendo una mano al compagno. “Cioè, so che la torque non è indossata volontariamente, ma…”

Lui annuì sospirando e Summer, torva, asserì: “Nelle ere passate, i giovani Dominatori che tentavano di sviare le leggi, venivano prelevati a forza dagli Anziani Guardiani e dai guerrieri più forti del Clan, perché fossero sottoposti a matrimonio forzoso nel giorno del Punto di Fulgore, …nel giorno dell’Apice.”

Max rabbrividì, e così pure Kimberly, e Brigidh annuì mesta.

“E’ l’unico giorno in cui i giovani Dominatori sono vulnerabili, controllabili dal Clan. Per questo, è sempre stato l’unico giorno utile per poterli prendere con la forza. Diversamente, nessuno sarebbe stato in grado di farlo.”

“Ma è… una barbarie!” sbottò Kimberly, inviperita.

“Sono più di tre secoli che non avviene niente del genere, in effetti, ma in passato successe più di una volta. E non fu mai un buon affare per nessuno. Anche per questo, ci siamo battuti per evitarlo” mormorò Winter, fremendo di rabbia repressa. “I nostri genitori fuggirono dall’Irlanda per evitarci un simile destino.”

“E’ tempo di cambiare le leggi del Clan. Non è più accettabile che queste pratiche perdurino oltre, visto soprattutto che l’uso della torque è di fatto illegale” assentì Sean, lapidario.

Nessuno parlò. Era già stato detto a sufficienza.

 
¤¤¤

“Non avevo davvero idea che la visione potesse risolversi così. Mi spiace davvero, cara. So quanto tieni a lui” mormorò Brigidh, dando una pacca leggera sulla mano di Summer, che annuì mogia.

L’intera famiglia si era spostata nel giardino sul retro, preferendo non rimanere oltre entro le mura di casa.

La luna alta in cielo splendeva solitaria nel mare nero del cielo e, tutt’attorno, i rumori della notte si confondevano con quelli della città.

“Probabilmente, ho preso un abbaglio bello grosso. Chissà?” ironizzò senza troppa allegria Summer, scrollando le spalle.

“Quel che ora mi preoccupa, è il suo loa malvagio. Siamo sicuri che l’houngan interpellato da Mæb l’abbia bloccato definitivamente?” domandò Winter, rivolgendosi a Sean.

“Stando a quello che ha detto lei, dovremmo essere ipoteticamente al sicuro ma, trattandosi di uno spirito molto potente, l’houngan non si è potuto sbilanciare più di tanto” affermò pensieroso Sean.

“Ovvio. John stesso è un houngan potenziale. Non fa specie che sia difficile controllarlo” brontolò Summ, carezzando distrattamente i capelli di Mal, sdraiato sul divano da esterni in vimini, il capo poggiato sulle sue gambe.

Per tutta la sera, tolti i momenti in cui si era dovuto obbligatoriamente assentare, non l’aveva mai lasciata un attimo.

“Sicura di voler andare al MIT, allora? Non ti sembra un po’ esagerato?” mormorò spiacente Spring, rivolgendo un sorriso triste alla gemella.

“Per il momento, penso di fare là almeno un semestre o due. Poi… vedrò. Domani ne parlerò con Big Mama, e da lì capirò cosa fare” sospirò l’altra, scrollando indolente le spalle. “Ho bisogno di evadere, di allontanarmi da qui o, quant’è vero Iddio, lo prenderò a botte fino a tramortirlo. Non è possibile che non capisca!”

“Ci parlerò io” brontolò Winter, cocciuto.

“Tu non farai un bel niente, Win! E’ una cosa mia!” sbottò la gemella, fissandolo livida.

“Ah, no, cara! Non arruffare le piume con me, perché non attacca!” sbuffò l’uomo, replicando al suo sguardo con uno altrettanto freddo. “Sei mia sorella, una mia responsabilità, e nessuno ti ferisce così impunemente senza passarla liscia.”

“Non sono più una bambina, per la miseria!” ringhiò allora Summ, accalorandosi.

Malcolm balzò a sedere e la fissò bieco, replicando: “Io sono un bambino, e allora? Papà non deve proteggere neppure me!”

Tutti gli adulti lo fissarono con indulgenza e lui, per diretta conseguenza, mise il broncio.

Senza darsi per vinta, Summer continuò a perorare la sua causa. “Ti voglio bene, bráthair, ma non esagerare.”

“Ti difenderò anche quando avrai novant’anni, sciocca che non sei altro. Sei la mia Summy, dopotutto” le disse con semplicità lui, sorridendole benevolo.

“Oh, tu, brutto…” sbottò lei, scoppiando in lacrime un attimo dopo.

Coprendosi il viso per non mostrare il proprio cedimento a nessuno, Summer si sentì sollevare dalle mani calde e familiari di Winter.

Scusandosi con gli altri, la condusse in silenzio in taverna, dove la fece accomodare su uno degli alti scranni, che si trovavano attorno alla tavola di legno massello.

Lì, la cullò con calma, mormorandole all’orecchio dolci parole di conforto in gaelico.

Le sue barriere, una dopo l’altra, caddero al suolo come macigni e Summ, senza potersi fermare, singhiozzò irrefrenabilmente lasciando uscire tutto.

Ammise quanto odiasse ciò che sentiva, e ciò che divorava dentro di sé per chetare il suo fuoco dirompente.

Ammise quanto il rifiuto di John l’avesse quasi uccisa, e quanto terrore avesse provato nel trovarsi di fronte al loa malvagio, creato dal suo unico amore.

Ammise tutto questo e altro ancora e, quando anche l’ultima lacrima fu spesa, si scostò dalla spalla di Winter ed esalò in un gracidio: “Non sono una persona normale. Sono un gran casino e basta.”

“Ti sei solo voluta fare carico di un peso troppo grande per una persona sola. Cosa, evidentemente, di famiglia” ironizzò lui, asciugandole le lacrime con il passaggio gentile dei pollici. “Perché non ci hai mai detto che il tuo Elemento risucchiava le emozioni altrui?”

“Non è esattamente una cosa carina, quella che faccio” borbottò lei, arrossendo. “Non volevo che mi scambiaste per un’approfittatrice. Per una sorta di vampiro da strapazzo.”

“Non l’avremmo mai fatto. Pensi che far bollire vive le persone sia carino? Eppure posso farlo” ridacchiò lui, facendo spallucce. “E Spring? Che può agire sui loro corpi? O ancora Malcolm? Che potrà plasmare le menti di chiunque tocchi? O Autumn? Che può arrestare la respirazione di chiunque lui voglia? Sono i nostri doni, nel bene e nel male. Avremmo capito.”

“Scusa” mugugnò lei, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia chiare.

“Non devi scusarti di nulla. E’ normale, anzi, se ci pensi bene. Dopotutto, le emozioni della gente sono il loro fuoco interiore. Normale, che il tuo elemento ne sia attratto” le sorrise lui, dandole un caldo bacio sulla fronte. “Ora torniamo fuori, mo chrói e, per il momento, non pensiamoci più. Troveremo una soluzione a tutto, te lo prometto.”

“Sei sempre stato bravo a risolvere i problemi, ma credo che questo travalichi anche la tua bravura” replicò Summ, levandosi in piedi a fatica.

Il gemello le avvolse un braccio attorno alla vita, protettivo e, con ironia, ribatté: “Non ti fidi del tuo fratellone?”

“Tutt’altro. E’ di John che non mi fido più” sospirò lei. “E il solo pensarlo mi uccide.”

Win si limitò a fissarle il segno rosso che aveva poco sopra la clavicola, messo in evidenza dalla canottiera che indossava e, aggrottando la fronte, sentenziò: “Nessuno ti torcerà più un capello. Cascasse il mondo.”

Il cellulare trillò per un messaggio e Summer, sorpresa, lo sollevò per curiosare chi fosse. Fu stupita di vedere chi fosse il mittente.

Autumn.

Winter si accigliò ma non disse nulla e la donna, dopo aver aperto il messaggino, lo mostrò al gemello con un mezzo sorriso.

Hai due fratelloni.

“Bene” bofonchiò l’uomo, riportandola nel salotto.

Beh, era meglio di niente, dopotutto.
 
 
 
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1: Canzone tratta dall’incipit del libro “I guerrieri del Ramo Rosso” di Morgan Llywelyn.
  
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