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Autore: EsterElle    24/06/2014    2 recensioni
Nella terra di Cadmow tutto sta per cambiare. L’armonia che vi ha sempre regnato, l’equilibrio voluto da Dira, la perfetta partizione di un potere enorme: ogni cosa è destinata ad essere sconvolta. Sconvolta, per rinascere a nuova vita.
Ambizione, tradimento, menzogne e segreti; un velo cupo si stende sulla storia delle quattro Regioni. A districarsi tra le torbide acque del mare in tempesta sono due ragazzi, destinati ad essere nemici, entrambi simboli del cambiamento.
Come salvarsi dal crollo di una civiltà? Come sanare un mondo destinato alla rovina?
“Noi siamo Guardiani per volere di Dira e Dira ha fatto si che, per millenni, quattro Guardiani proteggessero il suo popolo. Questa è la Grande Magia, questa è la Sua volontà. Chi sei tu per sovvertire le leggi della natura?”
Genere: Fantasy, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10
Storie di un tempo passato




 
Mai come quel giorno i suoi segreti avevano avuto meno importanza.
Dima correva per i corridoi della casa e non si curava di non farsi vedere, né di rendere il suo passo felpato o di mantenere vigile l’attenzione.
Correva e basta.
Da quando era stato scelto da Dira come Guardiano del Nord aveva avuto poche certezze da tenersi strette e da difendere. Ora, anche quella poca sicurezza era stata spazzata via.
Di chi fidarsi, adesso? Su chi fare affidamento?
Le gambe gli tremavano, mentre urtava lo stipite di una porta mal chiusa. Trattenne un gemito di dolore e si lanciò verso l’area est, dove sapeva che avrebbe finalmente trovato pace.
Si accanì, infine, sulla solita porta di legno vecchio, abbattendo una scarica di pugni sulla superficie irregolare.
“Sono Dima, aprimi, per favore!” disse, con una certa ansia nella voce.
Udì dei passi leggeri, strascicati, e un sospiro. Poi, il chiavistello girare nella serratura e uno spiraglio aprirsi tra la porta e il  muro.
“Dima?” chiese una voce affaticata al di là del legno. “Cosa ci fai qui?”
Il ragazzo non perse tempo e aprì la porta quel tanto che bastava per insinuarsi nella piccola stanzetta.
“Avevo bisogno di parlarti, Elsa. Non hai idea di quello che ho sentito poco fa!” disse, raggiungendo velocemente la finestra all’altro capo della camera.
“Non dovevi venire! Se ti avesse visto qualcuno?” chiese lei alle sue spalle, sempre con quella strana voce sottile, rotta in più punti.
“Che importanza ha, ormai? Noi dobbiamo andarcene, andarcene ora”
“Smettila di dire scemenze e chiudi quelle tende, o qualcuno ti scoprirà qui” disse lei, secca e decisa.
“Elsa, tu non capisci! Stanno organizzando…” prese a spiegare Dima, voltandosi per guardarla in faccia. Ma le parole gli morirono in gola quando il suo sguardo si posò per la prima volta su di lei.
“Per Dira, Elsa! Ma che cosa ti è successo?” chiese, atterrito, muovendo qualche passo verso di lei.
“Non provi nemmeno ad indovinare?” chiese lei, sorridendo amara.
Indossava uno dei suoi semplici abiti celesti, leggeri e lunghi fino alle caviglie, strappato, annerito e bruciacchiato in più punti. Le braccia nude erano rosse e delle vesciche le ricoprivano, così come sul collo e parte del viso. Un brutto taglio gli percorreva la fronte candida e un livido violaceo stava fiorendo tutto intorno. Una benda bianca spuntava da sotto l’orlo della gonna, spessa e già macchiata di sangue, abbarbicata alla gamba sinistra della ragazza, che si reggeva in piedi a stento.
Aveva i capelli sciolti sulla schiena, opachi, e una leggera puzza di bruciato sembrava aleggiare ancora intorno a lei.
Dima la raggiunse in un batter d’occhio e senza dire una parola la fece sedere sul letto perfettamente rifatto, adagiandole la gamba ferita su un cuscino lì vicino.
“Quel maledetto di Orwen! È arrivato fino a te, quindi?”  disse, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Cosa credevi? Sono anch’io una Guardiana, in teoria”.
“Vecchio viscido e senza midollo, senza onore, traditore e spergiuro! Si approfitta dei più deboli, gode della loro sconfitta e del loro dolore. Quanto lo odio!” urlò il ragazzo, non riuscendo a stare seduto accanto ad Elsa e passeggiando per la stanza.
“Che cosa stai dicendo? Dima, calmati cinque secondi e raccontami” intervenne lei, stancamente.
“L’ ho incontrato stamattina, dopo le preghiere” sputò lui, tra i denti.
“Va bene, e quindi?”
“E quindi ha deciso che voleva provare a friggermi un po’, come ha fatto con te”.
“E adesso come stai? Sei ferito?”
“No, va tutto bene. È arrivata Safnea e mi ha guarito” disse, con un alzata di spalle. “A proposito, perché tu, invece, sei ancora conciata così?” chiese all’improvviso, guardando il volto sfatto della ragazza.
“Non è importante, Dima. Continua a raccontare” replicò lei, evasiva.
“No, lo voglio sapere”.
“Dima, ti prego”.
“Se non mi dici nulla, penserò il peggio, lo giuro. E allora niente mi tratterrà dall’andare dritto ad Aprica e fare a pezzi quel vecchio bastardo” disse il ragazzo, con violenza, scuotendo leggermente Elsa per le spalle.
La lasciò andare subito, però, quando lei storse la bocca in una chiara smorfia di dolore.
“Sei odioso quando fai così!”
“Allora?”
Elsa sospirò “È stato un ordine di Orwen”.
“Cosa?”
“Dima, è stato una disastro. Terribile, davvero. Non riuscivo a fare nulla, se non saltellare da una parte all’altra del Prato nella speranza di evitare il suo fuoco. E lui continuava a gridarmi di reagire, di difendermi almeno. Ma, ti giuro, mi sentivo inerme come una qualunque ragazza di Cadmow: non una visione, neanche l’ombra, capisci? Allora Orwen si è infuriato ancora di più. Quando sono finita per terra, distrutta, ha impedito a Safnea di prendersi cura di me; dice che queste ferite devono ricordarmi quanto io sia stata debole e incapace. Safnea ha protestato, ma anche il Sommo si è schierato contro di lei” raccontò Elsa, a testa bassa.
Dima fremeva, nel suo angolo. Come aveva potuto, il grande e potente Orwen, accanirsi con qualcuno tanto delicato, tanto fragile? Conosceva le difficoltà di Elsa, eppure non l’aveva risparmiata. Quanto può essere crudele, un uomo accecato dal potere?
“Te l’avevo detto che non avresti voluto ascoltare questa storia” disse Elsa, osservandolo con apprensione. “Non fare nulla di stupido, ti prego. In fondo, Orwen non ha tutti i torti; merito qualche punizione per la mia incapacità” continuò lei, affranta.
“Diavolo, Elsa! Ma come puoi chinare la testa davanti alla spietatezza di quell’uomo? Ha preso a calci un nemico già a terra! E non colpevolizzarti, porca miseria: sai che il tuo potere è difficile da gestire, lo hai sempre saputo. E lo sapeva anche lui” esplose il ragazzo.
“Ti ha ferita, ti rendi conto? Ti ha fatto del male. È lui, secondo te, la persona di cui dovremmo fidarci, lui colui che potrà guidarci dopo la Cerimonia? Che diavolo di saggezza potrà mai insegnarci!” sbraitò ancora.
Elsa lo guardava muta, immobile. Gli occhi le divennero lucidi, ma non pianse.
“Saremo morti tra pochi giorni, probabilmente. O in prigione, o sotto sequestro, o sbranati dagli animali dei boschi. Che importanza ha cosa fa Orwen?” disse lei, più dolce.
“Ha importanza, più di quanto immagini”.
“Cosa vuoi dire?”
“ È tutta colpa sua, Elsa, tutta colpa sua. Se le cose vanno così male è perché lui ha voluto così. L’ho sentito parlare con il Sommo, quell’altro bastardo di un monaco, falso ed ipocrita. Sono complici. E io non posso ancora credere a quello che ho ascoltato” continuò il ragazzo, sedendosi su una sedia e prendendosi il volto tra le mani.
“ Dima, mi devo preoccupare?”
“Si, e molto. Ho sentito chiaramente Orwen affermare di aver provocato lui l’epidemia nella nostra regione. Lui, capisci? Non è una circostanza naturale, o la sorte avversa. È la sua schifosa smania di potere. Ha condannato centinaia di uomini e donne alla morte, le nostre stesse famiglie, probabilmente, per pura  sete di potere” iniziò a spiegare, disgustato.
Non aveva più la forza, Dima, per infuriarsi. Dentro di sé, però, una sfiducia profonda si stava insinuando, amara e dolorosa.
“Oh, no, non è possibile” mormorò Elsa, gli occhi sgranati, sollevando leggermente la schiena dal cuscino su cui era adagiata.
“L’ho sentito, con queste orecchie. L’ho sentito” ribadì Dima.
“Ma come può raggiungere Nenjaat, e il potere del Nord, decimando la popolazione di tutta la Regione?” chiese lei.
“Ha reso debole e fiacco il nostro territorio, Elsa, per facilitarsi la conquista. L’ha isolato, impedendo alle altre Regione di correre in loro aiuto. Ed ha imprigionato il Supremo, come suo fantoccio nel governo del Nord. Attaccherà presto” spiegò il ragazzo, guardandola bene negli occhi lucidi.
“Quando?”
“Subito dopo la Cerimonia della Scelta”.
“E noi? Che ne sarà di noi?”
Dima ridacchiò, un riso amaro e terribile: “Faremo la stessa fine del Supremo, credo. Noi tre siamo d’intralcio e verremo fatti fuori senza pietà”.
Restarono muti per un po’, ognuno immerso nei suoi terribili pensieri.
Tutto era cominciato come un gioco, come la bella avventura di diventare Guardiani, essere forti, potenti, rispettati. In un certo senso, al sicuro.
Quand’è che la loro storia aveva iniziato a prendere i tratti  dell’incubo? Perché non se ne erano accorti, continuando a vivere un’adolescenza spensierata sotto il lago di Odundì?
Adesso i tempi dei giochi e delle risate, delle scappatelle in superficie, sembravano lontanissimi.
In un silenzioso movimento, impacciato e lento, Elsa si alzò dal suo letto e, a fatica, percorse la distanza che la separava dal suo compagno di sventura. Lo abbracciò, lei in piedi, lui ancora seduto sulla sedia, e calò il viso sui suoi riccioli ribelli, e pianse qualche lacrima, mentre l’amico la stringeva per la vita, sostenendola, aiutandola a reggersi in piedi. Restarono abbracciati per un po’, godendo di quell’amicizia segreta che era tutto ciò che gli restava, al momento.
“Ce la faremo Dima. Non siamo destinati ad essere sconfitti: Dira ci ha scelto e lei vede più lontano di noi” gli sussurrò Elsa all’orecchio, fiduciosa.
“Ma tutto è contro di noi”
“Io ho te, tu hai me, noi abbiamo Petar, che non si tirerà indietro. Vedi che non siamo soli?”
“Sembra così facile, detta così”
“Non sarà facile, ma noi non possiamo permettere che persone crudeli come Orwen, ora che si è rivelato, distruggano la nostra terra. Siamo Guardiani, Dima, e il nostro compito è quello di proteggere le persone che amiamo” disse ancora Elsa, rassicurante, carezzandogli la chioma castana.
Dima la guardò negli occhi, cercando quel calore e quella fiducia che erano soliti regalarsi l’uno con l’altra.
“Cosa facciamo, adesso?”
“Che ne dici di recuperare qualche informazione in più? In fondo, noi non sappiamo nulla di come è venuto fuori tutto questo pasticcio” propose lei, zoppicando nuovamente fino al brodo del letto.
“Di sicuro i monaci qualcosa sanno, impiccioni e curiosi come sono” si rianimò Dima, accompagnandola.
“Ma tu resta qua, va bene?” le disse ancora.
“Non credo proprio! Sono più brava di te, quando si tratta di avere a che fare con le persone. Con i monaci, soprattutto!” ribatté lei, facendogli l’occhiolino, cercando di reprimere la smorfia di dolore, causato dalla mano di Dima sul suo braccio ustionato.
“Ma guarda come sei conciata! Non riesci a muovere un passo. Giuro che poi ti faccio sapere tutto”.
“Ma è noioso starsene qui fermi mentre tu ti becchi tutto il divertimento!” protestò ancora Elsa, davvero impaziente di mettersi all’opera.
Detestava stare con le mani in mano, Dima lo sapeva bene.
“Non ti lascerò sola ad annoiarti, infatti. Adesso vado giù in infermeria e costringo uno dei monaci a salire su, per cambiare quella benda” disse il ragazzo, lanciando uno sguardo perplesso alla fasciatura bianca della gamba, già macchiata.
“Sai che non è buona educazione guardare sotto la gonna di una ragazza?” lo provocò lei, sorridendo, mentre incrociava le braccia al petto, in una dispettosa resa.
“Non quando la ragazza in questione è carina come te” replicò lui, pronto.
Si beccò uno scappellotto gentile sulla testa e poi, ancora ridendo, si avviò verso la porta.
“Attento a non farti beccare da queste parti” lo ammonì Elsa, mentre sistemava meglio il cuscino sotto la sua gamba.
Dima sventolò una mano, annoiato, e, dopo aver scrutato attentamente il corridoio, uscì.
La Casa era silenziosa.
- Probabilmente i monaci sono tutti riuniti per il pranzo – si disse, mentre camminava veloce per i corridoi scuri e odorosi di vecchio legno.
Stando ben attento a tenere la mente lontano dal pensiero di Orwen e del suo bieco tradimento, Dima raggiunse la stanza dell’infermeria con facilità. Supplicando ed implorando fratello Gongi, di turno in quel momento e tutto intento a godersi la sua scodella di zuppa di cipolle, Dima raggiunse il suo obbiettivo non appena vide il giovane monaco incamminarsi verso la stanza di Elsa.
Davanti alla ragazza, Dima aveva cercato di nascondere quanto fosse preoccupato, pur ottenendo risultati poco soddisfacenti; Orwen era forte e invincibile, e lui non voleva neanche pensare a come doveva essere sembrata Elsa sotto i suoi colpi. Sofferente e caparbia, fragile come mai. L’istinto di protezione verso di lei, la bimba che si arrampicava sulle finestre e leggeva enormi libroni nel chiostro, sembrava non dovesse esaurirsi mai in lui.
Arraffando un pezzo di pane dalle cucine, Dima si diresse alla sua prima lezione del pomeriggio, alla Torre.
La Torre era il suo edificio preferito in assoluto nel Mondo di Sotto; ad est rispetto alla Casa e al lago, era immersa in un fitto boschetto di faggi, buio e odoroso di terra fresca e foglie. Era un rifugio perfetto, per Dima, nei suoi momenti no. Era stato teatro di piccole marachelle e dei giochi segreti con Elsa. La Torre svettava alta e sottile, di pietra bianca, scintillante alla luce del sole. Era traforata da mille e più finestre, punteggiata di archi di tutti i tipi e sottili piattaforme. Elsa, un giorno, gli aveva raccontato che le piattaforme erano tutte riservate ai Guardiani dell’Ovest, che venivano brutalmente lanciati verso la terraferma da un altezza sempre maggiore durante la loro formazione. Dima aveva pensato che mai, nella vita, avrebbe voluto essere al posto del povero Petar.
Con la bocca piena, Dima si perdeva in ricordi nostalgici.
- E non è nemmeno la prima volta, in questi giorni. Mi sto davvero rammollendo! – pensava tra sé, mentre calpestava un incauto cespuglio di felci sulla sua strada.
Un altro pensiero lo perseguitava, in quei momenti: doveva assolutamente parlare con Petar. Al più presto. Non poteva permettere che il Guardiano, nella sua ambigua, pericolosa, posizione, a metà tra le Leggi e loro, i due Prescelti, non fosse informato. Doveva essere informato su quanto fosse ripugnante il doppio gioco del suo vecchio amico e mentore Orwen. Ma era inutile arrovellarsi sui possibili futuri, sul cosa dire e come fare; tutto si sarebbe deciso all’indomani, sotto le stelle del Mondo di Sopra, tra lui, Elsa e il loro più caro amico.
Fratello Agos lo aspettava nella solita stanza, dipinta a colori pastello e ricoperta di carte geografiche, piena tavoli dalle gambe sottili carichi di preziosi strumenti. Dima salutò il suo maestro, e prese posto in un banchetto vicino ad una finestra; la tenda sottile si gonfiava a ritmo del vento e carezzava lieve la nuca e le spalle del ragazzo.
“Ben arrivato, Signore” rispose pacato fratello Agos, sorridendogli appena.
“So che avete avuto una mattina movimentata” aggiunse.
Dima restò immobile per un momento, non sapendo come interpretare le parole del monaco: sapeva della sua visita ad Elsa?
“Il Signore del Sud è stato molto duro con voi” concluse quello, comprensivo.
Dima respirò, sollevato.
“Si, fratello Agos. È stata una mattinata davvero insolita”.
“Allora noi, oggi, riprenderemo con le nostre lezioni di routine. L’argomento, mio Signore?”
“Politica”
“Molto bene” ammiccò Agos, posando entrambe le mani sul suo ventre sporgente.
Con la sua camminata ondeggiante percorse tutta la lunghezza della stanza, per tornare indietro carico di pesanti tomi rilegati in pelle. Dima gemette, mentalmente, alla sola vista di tutto quel materiale.
“Continueremo dal trattato che stavamo esaminando la volta scorsa” disse il monaco, scegliendo con cura la pagina del primo dei volumi accatastati sul banco del ragazzo.
Dima si trovava a suo agio con fratello Agos; era buono e giusto, comprensivo al momento opportuno e votato alla sua veste e al suo dio in tutto e per tutto. Ma le sue lezioni di politica erano davvero sfiancanti. E noiose. Lui e Dima leggevano per ore e ore vecchi trattati, o scritti, o poemetti di alcuni passati uomini di stato, Consiglieri o Guardiani stessi, e ne studiavano le mosse e contromosse, imparando l’arte dell’oratoria, soffermandosi sulle innovazioni o su un’epoca particolarmente feconda. Insomma, una lunga carrellata di idee e comportamenti a cui Dima, una volta diventato Guardiano, avrebbe dovuto rifarsi.
Il tempo scorreva lento e il ragazzo faticava a concentrarsi sul grande discorso di Bertold dell’Est al Gran Consiglio, volto a ottenere finanziamenti per una guerra oltreconfine più di cent’anni prima.
La sua mente continuava a vagare e perdersi, riportata al presente da un sempre meno paziente fratello Agos.
“Bene, signore, basta” disse infine il monaco, sistemandosi meglio sulla piccola poltrona destinata a lui.
Dima alzò gli occhi dalla lettura, impappinandosi sull’ultima parola del suo trattato, scritto nell’antica e complicata lingua di Cadmow.
“Ho fatto qualcosa di sbagliato, maestro?” chiese, piuttosto umilmente.
“Devo farvi smettere per la salute delle mie povere orecchie. Mai una lingua bella come la nostra è stata storpiata e modificata come state facendo voi questo pomeriggio” disse quello, con l’ombra di un sorriso sul volto paffuto.
“Mi dispiace, fratello. Mi impegnerò più a fondo, adesso”.
“No, Dima, dubito che lo farete”.
“E perché?”
“La vostra mente è altrove e nulla può il discorso di Bertold per riportarla indietro”.
Dima chinò il capo, sospirando “Hai ragione, maestro, come sempre”.
“Allora perché non mi dite quello che vi passa per la mente? A cosa state pensando?”
Dima  esitò per qualche secondo. Poteva essere molto pericoloso parlare ad un monaco di quello che aveva scoperto in maniera esplicita. Insomma, loro non si sarebbero mai schierati contro il Sommo!
Eppure, quella poteva essere una buona occasione per ottenere qualche informazione in più e portare a termine il piano concordato con Elsa.
“Fratello, sono preoccupato per la Regione del Nord. Proprio ieri ho parlato con il Sommo Sacerdote e non ci sono buone notizie, purtroppo” iniziò, tenendo gli occhi bassi e la mente vigile.
“Intendete l’epidemia, Signore?”
“Ovviamente”
“È doloroso sapere che molta brava gente soffre, in questo momento, mentre noi ci godiamo il sole e la bellezza di Odundì. Avete ragione ad essere preoccupato; ma il mio cuore si riempie di speranza quando mi date la prova del vostro affetto per quella terra lontana” ribatté Agos, senza riuscire a nascondere una nota di commozione che Dima non sapeva proprio come interpretare.
 “Poi, la Muraglia… Sai, mi incuriosisce sempre di più” continuò il ragazzo, dritto verso il suo obbiettivo.
“Incuriosisce?”
“Ecco, è da anni che mi chiedo come sia stato possibile mettere in piedi una costruzione tanto grande e imponente in così poco tempo. Grazie alla quale abbiamo salvato il resto di Cadmow, ovviamente” aggiunse precipitosamente, cercando di nascondere il suo disprezzo verso quella vecchia decisione.
Fratello Agos storse la bocca prima di rispondere, ma Dima non riuscì a cogliere il guizzo nei suoi occhi chiari che già il monaco aveva preso a raccontare.
“Dovete sapere, Dimitar, che quando l’epidemia scoppiò al Nord, il panico si diffuse velocemente a Cadmow. Non potevamo permettere ad una malattia di decimare la nostra popolazione e infettare le nostre merci e i nostri raccolti. Per evitare il tracollo demografico e economico, allora, il Gran Consiglio al completo si riunì diverse volte, nella speranza di trovare una soluzione. Naturalmente io non so nulla di quello che accadde in quelle riunioni, non essendone ammesso in nessun modo” spiegò il monaco.
Dima ricordava l’agitazione che aveva percorso il Tempio in quel periodo; aveva dodici anni, la vita sembrava finalmente andare per il verso giusto e lui non aveva pensato ad altro se non a godersi i giorni di sole e di pioggia con i suoi nuovi amici.
“Eppure sarà circolata qualche voce, qualche indiscrezione. Ti prego, fratello, raccontami questa storia; mi appassiona molto e credo sia utile, per me, conoscere ciò che avvenne durante i primi anni del mio addestramento” lo supplicò allora.
“Le voci che circolarono a Cadmow furono molte e poco affidabili. Una cosa posso dirvi con certezza; l’idea della Muraglia è stata del nostro amato Sommo Sacerdote. Fu lui che suggerì la giusta soluzione ad un problema che rischiava di diventare insolvibile”.
“Non è possibile!” si lasciò sfuggire Dima, in un moto di stupore.
Fratello Agos alzò gli occhi su di lui immediatamente, con una strana espressione dipinta in viso. Dima si morse la lingua a sangue; avrebbe voluto rimangiarsi quanto detto!
L’idea che fosse stato tutto deciso, tutto architettato, dal Sommo ed Orwen sin dall’inizio lo mandava in bestia. Ma aveva assolutamente bisogno di salvare la situazione con il suo maestro.
“Intendo, non è nella natura dei monaci interessarsi troppo agli affari terreni” aggiunse, cercando di dare al suo volto l’espressione più innocente che possedeva.
Fratello Agos continuò a guardarlo dritto negli occhi mentre procedeva con il suo racconto.
“Invece è andata proprio così. La storia non sempre segue la strada che noi immaginiamo”.
“E l’approvazione fu unanime?”
“Si dice che la maggior parte dei Consiglieri abbiano appoggiato la proposta. La costruzione ebbe inizio qualche settimana dopo”.
 “Chi fornì i materiali necessari, quale Regione?” la curiosità lo divorava, sentiva che c’era ancora molto da scoprire sull’argomento.
“Il Sud, ovviamente. Era una periodo prospero e ricco, per quella Regione, quel tempo. Mise a disposizioni i suoi migliori lavoratori che estrassero le pietre dalle Montagne dell’ Ovest e le trasportarono su grandi carri. Anche la costruzione fu curata dal buon Orwen, che prese a cuore il progetto come nessun altro”.
“Orwen? Perché Orwen e non Petar? In fondo, le Montagne sono nella sua Regione” chiese Dima, quasi scandalizzato.
Com’era potuta accadere una cosa del genere sotto gli occhi di tutti? Le parole di Fratello Agos non facevano altro che rafforzare le sue idee, dandogli una sicurezza nuova.
“Il Signore dell’Ovest ha preferito rinunciare a quest’incarico. Non ne conosco le ragioni, so solo che discusse lungamente con il Guardiano Orwen” rispose il monaco, sistemandosi meglio la stola gialla sulle spalle grassocce.
- Petar aveva provato ad opporsi ed è stato brutalmente scavalcato!- pensava Dima, in fretta.
- Magari quel bastardo ha minacciato di invadere anche la sua Regione -.
“Devono essere stati tempi piuttosto bui, fratello” scelse di commentare, mordendosi l’interno di una guancia per il nervosismo.
“Bui ed incerti, si. Per noi monaci, però, la priorità siete sempre stato voi, la vostra istruzione e protezione”.
“Come mai il Supremo ha accettato un incarico tanto pericoloso? Nel senso, so che è suo compito occuparsi della Regione fino ai miei diciassette anni, ma è stato praticamente condannato ad una lunghissimo periodo di reclusione” lo interrogò Dima, anche se pensava di conoscere già la risposta.
“Non è il tipo d’uomo che si tira indietro. Io non so nulla delle sue scelte, né delle sue motivazioni. L’unico che, da cinque anni a questa parte, mantiene i contatti con lui è Il Signore del Sud, in quanto più anziano dei Guardiani”.
“Orwen? Proprio lui?”
“Esatto. Vedo che l’argomento vi interessa non poco. Avete qualche scopo particolare?”
Dima deglutì, a disagio.
“Semplice curiosità, fratello. Sai quanto poco riesco a controllare questo lato del mio carattere” sorrise, infine.
“La curiosità è un’ottima qualità, Dimitar, se usata nel modo giusto. Fate attenzione, in modo che non diventi morbosa, atta solo a soddisfare un primario istinto” lo redarguì fratello Agos.
Il suono profondo del gong di Odundì scosse entrambi, uomo e ragazzo, riportandoli al presente.
Fratello Agos congedò Dima con grazia, e il ragazzo prese ad avviarsi verso la cena. Moriva di fame, ma nulla avrebbe potuto mettere a tacere il rumore della sua mente in moto.
La verità era dura da accettare.
Si trattava di un complotto, ormai era chiaro. Un piano di azione ben architettato, pronto pronto a colpire al momento giusto, quello più instabile e incerto della storia di Cadmow da più di mille anni. Un errore, due Prescelti al posto di uno, il rischio di un cambiamento. E così anche le ambizioni più losche trovano il loro spazio.
Dima inorridiva al solo pensiero.
Il sistema dei Guardiani aveva garantito la pace a Cadmow per più di mille anni, dopo un lungo periodo di sanguinose guerre interne, gestite dalle famiglie più potenti di ogni Regione.
Mille anni di tranquillità, nei quali ogni rivolta, ogni congiura, ogni corruzione era stata sventata o sapientemente arginata e contenuta. I libri di storia raccontavano di Wenda, Guardiana del Sud, brutalmente assassinata da un gruppo di ribelli, o del feroce piano architettato dal Supremo Deel, due secoli prima, per conquistare il potere, o delle rivolte popolari che a più riprese percorsero l’intero paese; la mediazione e la saggezza dei Guardiani, il sangue freddo del Consiglio e la spiccata intelligenza di alcuni uomini politici avevano efficacemente allontano ogni cupo risvolto di queste tristi vicende.
Ora, Dima si sentiva al centro di un pericoloso vortice, e sapeva che presto sarebbe stato risucchiato in qualcosa di più grande di lui. Le poche settimane che lo separavano alla Cerimonia della Scelta non avrebbero solo deciso della sua vita; dopo quel giorno, niente, a Cadmow, sarebbe stato più come prima.
Stranamente, parole lontane, la voce di Petar, prese a risuonare nella sua mente, mentre attraversava il boschetto di faggi. La voce di Petar, una sera lontana.
Le cose stanno cambiando. Cadmow avrà presto bisogno di entrambi.
 
 
 


 
Note
Ok, questo capitolo mi sembra noioso, inutile, banalissimamente di passaggio e, per di più, pubblicato in ritardassimo! Mi dispiace, ma in tutti questi giorni la mia testolina non è riuscita a produrre niente di meglio!!
Spero che, nonostante il mio parere non proprio positivo, possiate leggerlo e apprezzarlo per quello che da… Di seguito ho aggiunto un paragrafetto per spiegare un “tecnicismo” del testo, perché potrebbe sembrare in alcuni punti incongruente e io sono un po’ maniaca su queste cose!! Lo lascio qui sotto, se vi va, leggetelo :)
Come sempre, per ogni opinione, positiva o critica che sia, vi aspetto nelle recensioni!
Infine, grazie, grazie, grazie, a tutti quelli che leggono e seguono questa storia di capitolo in capitolo… siete il miglior incoraggiamento!!
A presto,
EsterElle
 
 
Appunti
Mi sono accorta ora che, leggendo tutti i capitoli, può sembrare strano l’uso del “tu” e del “voi” senza una logica standard, uguale per tutte le situazioni. In realtà non ho lasciato al caso questo dettaglio, ma posso ben capire che non è un ragionamento che salta subito all’occhio! Quindi qui di seguito provo a spiegarlo…
 
Ho pensato che tutto debba dipendere da chi si rapporta a Dima e in che periodo della sua vita, e soprattutto come sceglie di considerarlo; un semplice bambino di appena dieci anni (per quanto riguarda i capitoli della prima parte), inesperto e grezzo, oppure il Guardiano del Nord.
Per esempio, fratello Gahs, durante la primissima lezione al lago, gli da del tu, invece qui fratello Agos del voi. Dima è cresciuto e quindi anche i monaci non si prendono le stesse libertà di quando era bambino.
Alcuni monaci, però, (tipo fratello Ashim) in un eccesso di zelo, si rivolgono da sempre in maniera formale al bambino.
Allo stesso modo, il Supremo e il Sommo danno del tu a Dima; infatti, essendo ancora un bambino/ragazzo sotto la loro responsabilità, e avendo loro un ruolo di potere a Cadmow, non si sono convertiti, per il momento, al voi dovuto ai Guardiani.
Ancora, al Palazzo d’Inverno, Bessie da del voi al bambino e Frewa del tu; sono entrambe domestiche, ma la seconda è più anziana e rude, passa tutto il giorno in lavanderia e quindi non conosce né apprezza certe finezze del linguaggio e l’etichetta del palazzo.
Dima da del tu a tutti, perché così ha fatto dal giorno del suo arrivo a Nenjaat, secondo il vizio di tutti i bambini. Solo ai Guardiani si rivolge con formule diverse e, in particolare, solo ad Orwen.
Un discorso contorto, lo so, e noioso! E magari non interessa proprio a nessuno… Ma sono fissata con queste piccolezze, e ci tenevo a spiegare!
  
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