Settimo capitolo
– Mike Newton
27 Settembre 2001
Bella si svegliò
con un mal di testa tremendo, la gola secca e gli occhi che faticavano ad
aprirsi. Tirò la coperta sino alla fronte, sprofondando ancora di
più nel suo letto.
“Dovresti
alzarti.” Sussultò, chiedendosi chi, come, e perché qualcuno era nella sua stanza.
“Mh.”
“Dovresti anche
imparare a dire qualcosa di più, di semplici monosillabi.”
“Esci dalla mia
stanza.” Quando capì di chi si trattava, cioè di Edward, cercò di farlo uscire.
“Peccato che questa
è la mia, di stanza.”
Tirò fuori soltanto la testa, guardandosi intorno. La luce che filtrava
dalle finestre le diede subito fastidio, ma cercò di non farci caso.
Più che altro, si rese conto davvero che quella non era la sua stanza. E
che quello non era il suo letto, la sua coperta e nemmeno il
suo cuscino basso e comodo.
“Che faccio
qui?” Domandò con cautela, spaesata.
“Niente.”
Edward si buttò di peso sul materasso, con la pancia in giù. “Ti sei soltanto ubriacata come una diciottenne alla sua
prima festa del college. Poi hai vomitato tutto ciò che avevi
mangiato negli ultimi trent’anni della tua vita nel nostro bagno.” Fece mente locale,
cercando di ricordarsi qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma
niente. Nel suo cervello c’era un vuoto totale. Ricordava della cena con Leah per festeggiare il nuovo lavoro, birre su birre offerte da Jacob e poi… il vuoto.
“Dimmi che non
siamo andati a letto insieme.” Edward soffocò una risata, tirando
su la testa dal cuscino per guardarla dritta negli occhi.
“No tesoro. Mi
dispiace.”
“Ti dispiace? Tesoro? Oh,
Dio. Che diamine è successo?” Lei invece si
nascose di nuovo sotto le coperte, lamentandosi.
“Avrei voluto tanto
chiedere ad Alice come eri da ubriaca, ma purtroppo l’ho visto con i miei
stessi occhi. Ti ho trovata in bagno, distesa per
terra. Ti ho convinta a dormire nella tua camera, e
con passi incerti sei anche riuscita ad arrivare nel tuo letto. Poi, mi hai
chiesto se potevo dormire con te.”
“Cazzaro.”
Edward rise di nuovo.
“Non
scherzo.”
“Se sono arrivata
fino alla mia camera, perché ora sono nel tuo letto?”
“Perché non
riesco a dormire, se non qui. Lo sai, no? Ho portato il mio materasso dal
vecchio appartamento. Non riuscivo a dormire nemmeno nel tuo, di letto. Quindi,
dopo che sei crollata, ti ho portata qui. Fine.”
“E’ un
incubo.” Sussurrò Bella, stropicciandosi gli occhi.
“Non lo fare. Sembri un panda.”
“Eh?” Lo
guardò stralunata, alzando gli occhi al cielo. Occhi contornati di nero,
perché la sera prima non si era nemmeno struccata.
“Aspetta.”
Edward allungò una mano, fino a posare il pollice sotto l’occhio e
strofinandolo lentamente. Quando lo staccò per farlo vedere a Bella, era
sporco di matita nera.
“Perfetto.”
Sussurrò appena, sentendo di nuovo la bocca secca e acida.
“Dobbiamo alzarci. Svegliare le bambine e portarle a scuola. Poi, devo
andare al MoMa. Non ce la
farò mai.”
“Primo: Emma e Mia
sono a scuola da più di quattro ore. Secondo: devi bere qualcosa
perché persino le tue labbra sono secche. E terzo: ho chiamato Rosalie Hale dicendole che non ti sentivi bene. Ha detto che puoi
andare tranquillamente domani.”
A quel punto Bella si
sedette sul letto, incrociando le gambe sotto le coperte.
“Che ore sono,
Edward?”
“Quasi
mezzogiorno.” Rispose lui, con tranquillità.
“E perché
diamine non mi hai svegliata?” Sembrava
tranquilla, ma stava trattenendo la rabbia.
“Non è mai
bello quando ti svegli con i postumi di una sbronza colossale. E quella era proprio enorme, Isabella.”
“Sh. Parliamo
d’altro. Perché tu sei qui?”
“Non è anche
casa mia?” Sbuffò, mettendosi le mani tra i capelli.
“Edward, intendo
qui.” Indicò il letto, e poi con un dito la camera. “A casa.
Perché non lavori?”
“I vantaggi
dell’essere il capo.”
“Oh, Dio. Per quante volte me lo
ripeterai?” Edward le fece l’occhiolino e un mezzo sorriso, che fecero accelerare i battiti del cuore di Bella.
Non se ne parla, Isabella Swan. No.
“Devo
lavarmi.” Disse infine, alzandosi lentamente dal letto. Quando finalmente fu in piedi, cercò veramente di non
inveire contro Edward Cullen.
“Per quale assurdo
motivo sono in mutande e reggiseno?”
“Non
ho avuto nemmeno il tempo di dirtelo, ieri. Ti sei spogliata di corsa.” Mentre vide
l’occhiata che gli lanciò, sussurrò un
‘Giuro’.
Stava per rispondergli a
tono, ma fu interrotta dal suono del campanello di casa. “Aspetti
qualcuno?”
“No. Scendo a vedere chi
è. Intanto, fatti quella doccia.” Bella gli rispose con
l’alzata di un dito medio. “Ah, Isabella?” Urlò,
quando ormai era uscito dalla camera.
“Che altro
vuoi?”
“Carino quel
tanga.” E scese le scale a due a due, senza sentire le imprecazioni che
Bella gli urlava dietro.
Una dopo l’altra.
I trent’anni si
stavano avvicinando.
Anche se mancava quasi un
anno, li sentiva tutti. Erano anni e anni che non si
ubriacava in quel modo. E i risultati si vedevano. Borse nere sotto gli occhi,
labbra screpolate e un bruciore di stomaco che non ci pensava nemmeno di
andarsene. Rimase di sasso quando vide la sua immagine riflessa nello specchio,
con i lunghi capelli color cioccolato che le ricadevano bagnati intorno al viso,
e il colore della pelle quasi cadaverico faceva a gara con l’asciugamano
bianco e aveva stretto attorno al corpo.
Sentì bussare alla
porta, e sbuffò pesantemente. C’erano tre bagni in
quell’enorme casa, perché Edward doveva romperle?
“Che
c’è?”
“Devi
scendere.”
“Non sono vestita,
Edward. Che succede?”
“Devi scendere, Isabella.” Non le dispiaceva più
quando la chiamava Isabella, ma quando lo diceva con serietà come aveva
fatto in quel momento, le provocava ancora un po’ di fastidio.
“Se non è
una questione di vita o di morte t’ammazzo,
Edward.” Aprì la porta del bagno, dimenticandosi che era nuda, con
solo un asciugamano di spugna che le arrivava sopra le ginocchia.
Edward non parlò,
se non prima di averla squadrata da capo a piedi.
“Che vuoi?”
Sussurrò appena, e non poté non rendersi conto del modo in cui
deglutì pesantemente davanti a lei.
“Vestiti. Corri. Ha chiamato la signorina Jessica.”
“Hey.” Gli diede una lieve spintarella. “Che
diamine succede?”
“Mia è in
Ospedale. E’ caduta da un albero.”
“COSA?” E
detto questo, sbatté letteralmente la porta in faccia a Edward, buttando
l’asciugamano a terra e vestendosi con le prime cose che trovò
all’interno di quel piccolo bagno. E con un solo pensiero in testa: ucciderò la signorina Jessica.
“Io la ammazzo.”
Ripeté Bella per l’ennesima volta, mentre Edward sfrecciava per le
vie di New York. “Ti giuro che le strappo quei
due capelli finti che le sono rimasti in testa.” Disse, torturandosi
entrambe le mani.
“Calmati.”
“CALMARMI?”
Inveì, sgranando gli occhi. “Tu non capisci. Stiamo parlando di un
fottuto asilo, Edward. Come è potuta cadere da
un albero? Nemmeno con te succedono cose del genere.”
“Che vorresti
dire?”
“Niente.”
Sussurrò Isabella, guardando fuori dal finestrino. Voleva dirgli che
sapeva che lui amava moltissimo le sue nipotine, ma prendersi cura di loro non
era il suo forte.
“Siamo
arrivati.” Annunciò Edward, parcheggiando fuori la porta
dell’Ospedale. Bella scese di corsa, senza aspettare che Edward spegnesse
la macchina.
Nemmeno fece in tempo ad entrare, che vide subito la signorina Jessica seduta su
una sedia della sala d’aspetto.
“Signora Swan.”
“Signorina Swan.”
Precisò Bella, scoccandole un’occhiataccia.
“Dov’è Mia?” La signorina Jessica indicò una
porta dietro le spalle di Isabella.
“Dentro. Le stanno
ingessando il braccio.”
“INGESSANDO IL
BRACCIO?” Ormai non riusciva più a trattenersi. L’avrebbe
uccisa con le sue stesse mani, se necessario.
Sentì invece due
mani posarsi sulla sua vita, ed una testa che si
sporgeva accanto alla sua.
“Signorina Jessica,
potrebbe dirci quello che è successo?” Alla signorina Jessica non
sfuggirono le mani di Edward che si erano posate sul
corpo di Bella, ma alzò lo stesso la testa per guardarlo negli occhi.
“Era
l’intervallo ed ho deciso di portare la classe fuori, con questo bel
sole.”
“Sinceramente non mi interessa niente del tempo.” Le mani sui fianchi di
Bella strinsero ancora di più, avvertendola che non era quello il modo
giusto di parlare.
“Dicevo: ho deciso
di portare la classe fuori in giardino. Mia ed un
altro suo amichetto hanno deciso di arrampicarvisi sopra, soltanto che lei
è scivolata prima di arrivare alla cima.”
“Arrivare alla
cima?” Disse Edward, precedendo la domanda che Bella non avrebbe fatto
con una calma del genere.
“Tutto questo non
era previsto. Sono desolata, vi giuro.”
“E lei, in tutto questo, dove era?” La
signorina Jessica fu salvata dal cigolio di una porta che si apriva, e di una
bambina con i riccioli neri che usciva con un lecca lecca
in bocca.
“Hey tesoro”, Bella si abbassò immediatamente,
carezzandole i capelli e guardando il gesso che ricopriva quasi tutto il
braccio, fino al gomito. “Come ti senti?”
“Bene. Il doptore mi ha datto qesto.” Mia sorrise, mostrando i
suoi dentini perfetti.
Edward la prese in
braccio, posandole un bacio sulla fronte.
“Signori Hale,
Mia sta benone. Dovrete soltanto tenerla a casa per trenta giorni, il tempo di
togliere il gesso e poi potrà tornare a scuola.”
Né Bella né
Edward fecero notare al dottore che loro non erano i signori Hale, troppo preoccupati nel sapere come stava Mia.
“Quindi?
Non bisogna fare niente?”
“No,
non preoccupatevi.
Mia è una bambina forte e sana, e fortunatamente non ha subito danni
gravi. Nel giro di un mese sarà più attiva di prima.” Il dottore le diede un lieve buffetto sulla guancia,
prima di girarsi ed andarsene.
Bella si voltò,
chiudendo gli occhi fino a mostrare due fessure e puntando il dito contro la signorina Jessica.
“Quel fottuto
albero dovrà essere abbattuto.” Sussurrò con fare
minaccioso. “E se accadrà un’altra cosa del genere, stia
sicura che abbatterò anche lei.”
Così dicendo si girò ed andò
verso l’uscita a passo spedito, seguita da un Edward esasperato e ad una
Mia ignara di quello che era appena successo, troppo felice di continuare a
mangiare il suo lecca lecca.
“Ti piace?”
Mia strappò via la carta, ammirando il set completo con una spazzola
rosa, il pettine, un phon finto e lo specchio delle principesse.
“Tììì!” Urlò, buttando le
braccia intorno al collo di James. “Guadda!” Alzò tutto per mostrarlo a sua sorella più
grande, che con un’alzata di spalle la liquidò.
James si era offerto di
andare a prendere Emma a scuola, mentre Edward e Bella pensavano a Mia. Strada
facendo le aveva comprato anche un piccolo regalino, ignaro di scatenare l’ira
della primogenita.
“Io uso il pettine
per i grandi.” Disse Emma, assottigliando gli occhi. “Sei tu che
devi usare quello per i bambini.”
“Io non tono una bambina!”
“Invece s-”
“Basta
così!” Bella entrò in casa, puntando un
dito contro Emma. “Voi due filate nelle vostre camere.” Il
dito passò dalla più grande alla più piccola, e con uno
sbuffo sonoro tutte e due andarono al piano superiore.
“Grazie per
l’aiuto James.” Bella tirò su dal pavimento la carta del
regalo, dirigendosi verso la cucina. “Non dovevi.”
“Non è
niente. Edward ci aveva comunque dato un giorno di riposo, tranquilla.”
“Mh. Il capo è così flessibile?” James
rise, sedendosi su uno sgabello intorno al piano cottura.
“Sì,
abbastanza.”
“Come fai a
lavorare con lui? Quasi due settimane che viviamo insieme e già non lo
sopporto più.”
“Ormai sono
più di dieci anni che ci conosciamo, io e Edward.
E’ un capo esigente, ma un amico fantastico.”
“Non ne ho mai
sentito parlare così bene.” Bella sorrise, sedendosi di fronte a
James. “Credo che segnerò questo giorno sul calendario.”
“Saprà
conquistare anche te.” Annunciò James, scoccandole
un’occhiata di chi ne sapeva una più del diavolo.
“Non
credo proprio.
Non abbiamo fatto in tempo ad entrare a casa, che ha
chiamato la signorina Jessica. Nemmeno voglio sapere per quale motivo.”
Bella alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché Edward ci
stesse mettendo davvero così tanto tempo.
Aveva deciso di chiamare
quell’arpia, forse per scusarsi del comportamento di Bella. Eppure era
passata più di una mezzora, ed anche Emma ormai era tornata da scuola.
“Che fai stasera, Bella?”
“Ci stai provando,
James?” Lui rise, scuotendo la testa. “
“Lo sai bene quali
sono i miei gusti, Bells. Ma
un amico di Lauren è single e in cerca di una
donna. Qualche ora di svago non ti farà male, vieni a cena a casa
nostra.”
“E lasciare Mia con
un braccio ingessato in balìa di Edward? Non credo
proprio.”
“Devi
dargli fiducia. E
questa è la serata buona. Tu ti diverti, lui si prenderà cura
delle bambine e tutti saranno felici e contenti. Forza!”
Bella ci rifletté su.
Da quanto tempo non
usciva con qualcuno che non fosse Jacob o Leah?
Da quanto non aveva un
appuntamento con un ragazzo? Da troppo tempo.
L’ultima volta che
aveva conosciuto qualcuno era stato due mesi prima, al Pub in Jacob. Un
troglodita che il suo migliore amico aveva cacciato a calci in culo.
“Alle undici devo
stare a casa. E devo chiamare Edward almeno due volte
entro la serata.” Disse, indicando entrambi i
due punti alzando l’indice e il medio.
“Affare fatto!”
James batté entrambe le mani, felice che Bella avesse accettato il suo
invito, ma sapendo perfettamente che i suoi piani erano ben altri.
“A che ora hai
detto che torni?” Urlò Edward dal piano inferiore, mentre
preparava la cena ad Emma e Mia.
“Verso le undici.
Forse più tardi. Posso fidarmi di te?”
“Certo.”
Bella finì di infilarsi i tacchi che non portava
ormai da settimana, sentendo già i piedi che le chiedevano pietà.
Aveva indossato un tubino nero, accompagnato da una giacca rossa e dai tacchi dello
stesso colore della giacca.
Era troppo tempo che non
indossava biancheria che non fosse uguale a quella di sua nonna, o che metteva
un vestito sopra il ginocchio. Eppure aveva deciso di provarci veramente,
quella sera: il vestito era stato un regalo di Alice, quindi una grande firma.
I suoi tacchi Louboutin erano chiusi nella scarpiera
da troppo tempo, e i suoi capelli non venivano curati
da chissà quanto. Aveva accentuato i suoi boccoli già naturali
con il ferro, facendoli ricadere sulle spalle più voluminosi.
Non si era limitata a
mettere soltanto un po’ di rimmel sugli occhi, ma questa volta aveva
fatto un make-up degno di essere apprezzato persino da un uomo: fondotinta,
correttore, ombretto, eyeliner e il suo immancabile
rossetto rosso.
Era pronta. Da lì
a poco il compagno di James sarebbe passata a prenderla.
“Che te ne
pare?” Scese le scale con i tacchi in mano, evitando di rompersi
l’osso del collo ancora prima di uscire. Edward si voltò,
fissandola dalla testa ai piedi. Per poi ritornare su.
E giù di nuovo. “Se vuoi la prossima volta
ti lascio una radiografia.” Bella capì che andava più che
bene. Se Edward aveva avuto quella reazione, il suo appuntamento a quattro non
sarebbe andato per niente male.
“Stai bene.”
“WOW! Ti prego zia
Bella, regalami quelle scarpe!” Emma si scapicollò per
raggiungerla, ammirando i tacchi laccati di rosso.
“Ti prometto che
quando crescerai saranno tuoi.” Si abbassò, per scoccarle un bacio
sulla fronte.
“Non lo
fare.” Disse Edward, deglutendo rumorosamente.
“Non devo regalarle
le scarpe?”
“No. Non abbassarti così davanti
ad un uomo, Isabella.” Indico il punto in cui si
era abbassata proprio davanti a lui.
Bella aprì e
richiuse la bocca, come un pesce fuor d’acqua. Finché il suo di un
clacson la fece sobbalzare.
“Deve essere Laurent.” Edward annuì, prendendo Emma in
braccio e portandola sul divano. Era arrivata l’ora dei cartoni animati. “Tesoro, fai la brava. E Edward, per ogni cosa,
chiamami. Qualsiasi.” Posò un bacio sulla guancia di Emma, uno
sulla fronte di Mia che era crollata sul divano, e prima di uscire
scompigliò i capelli di Edward, regalandogli il sorriso più bello
che lui avesse mai visto.
“Dimmi
che è una persona come si deve. Non posso perdere tempo con i coglioni.” Laurent rise rumorosamente, sfrecciando per le strade di
New York.
“Tesoro,
è un uomo fantastico. Sarà amore a prima vista.” Se
l’omosessualità di James era quasi invisibile ad
occhio umano, quella di Laurent invece si vedeva
persino da Marte. Bella gli diceva spesso che era impossibile uscire con lui,
perché lei si ritrovava ad essere l’uomo
scaricatore di porto, e lui la perfettina della
situazione.
“Perfetto. Fra
mezz’ora tornerò a casa.”
“Dal tuo
Edward?”
“Non ricominciare.
Non riesco ancora a capire come abbiamo fatto a non ammazzarci fino ad ora.”
“Amore, Dio li fa e
poi li accoppia. Ho sempre pensato che tu e Edward siete perfetti insieme.
Già avete la famigliola felice. Manca soltanto quella spinta
in più.”
“Stai zitto.”
Bella lo liquidò con un gesto della mano, mentre Laurent
parcheggiava accanto all’enorme villa Nomadi.
“Dici che
andrò bene vestita così?”
“Stai zitta.”
Laurent ripeté lo stesso gesto di prima,
imitandola ed uscendo dalla macchina. Bella lo
seguì, ed insieme aspettarono che James andasse
ad aprire loro la porta.
“Sto per diventare
etero.” James nemmeno la salutò, ma la squadrò da testa a
piedi. “Mi chiedo per quale motivo Edward ti abbia lasciata
uscire di casa.”
“Io già non
vi sopporto più.” Si tolse la giacca e l’appese
all’appendiabiti, proprio come se fosse a casa sua.
Bella conosceva Laurent dal college, ed era stata proprio
lei a presentarlo a James.
“Dai, andiamo nel
salone.” Seduto sul divano, di spalle, c’era un uomo con corti
capelli biondo cenere.
“Isabella,” James pronunciò il suo nome a voce alta,
così da far voltare quell’uomo. “Ti presento Mike Newton.
Mike, ti presento Isabella Swan.”
Bella lo esaminò
attentamente, pensando che il colpo di fulmine non era proprio arrivato, anzi.
Allungò lo stesso la mano, stringendola nella sua. “Puoi chiamarmi
Bella.”
“E’ un
piacere conoscerti, Isabella.” Purtroppo sentire il suo nome pronunciato
interamente le creò uno strano disagio, cosa che non accadeva
mai, quando lo pronunciava Edward. Cioè, tutti i giorni.
“Allora, che lavoro
fai Mike?” Ormai stavano mangiando il secondo, e gli unici che riuscivano
a tenere vivo quel tavolo erano i padroni di casa.
“Lavoro alla Cullen Media Group.” Bella si strozzò con
l’acqua, tossendo animatamente, mentre Laurent
che era seduto accanto a lei le diede qualche colpetto
sulla schiena. “Tutto bene?”
“Alla
grande.”
“Tu invece di cosa
ti occupi?”
“Avevo una galleria
d’arte. Ora lavoro al MoMa.”
“Cavolo, sei
Isabella Swan la sterminatrice di artisti?”
Bella allargò gli occhi, mentre James e Laurent
non fecero nulla per nascondere le loro risatine ilari.
“Come scusa?”
“Niente.
Però quando vedevamo qualcuno disperato nell’edificio, sapevamo
che era appena uscito dalla tua galleria.”
“Fantastico.”
Sussurrò Isabella, fissando il suo piatto.
“Cambiamo
argomento. Cosa ne pens-” La domanda di Laurent fu interrotta sul nascere dal cellulare di Bella
che squillava.
“Scusate. Devo rispondere per forza.”
Uscì nell’enorme balcone, aprendo lo sportellino del telefono.
“E’
successo qualcosa?
Mia sta bene?” Una risata soffocata arrivò
dall’altra parte del ricevitore.
“Calmati. Volevo
soltanto dirti che stanno entrambe bene, e dormono da un pezzo.”
“Non ci
credo.”
“Se vuoi faccio una foto per testimoniare. Sono state
bravissime. E a detta di Emma anche io sono stato
bravissimo, questa volta.”
Bella sorrise, pensando
che sua nipote era un giudice inflessibile. E quindi Edward era stato davvero
bravo. “Come procede lì?” Si astené nel raccontare
come stava procedendo quella serata.
“Bene, dai. Ci
stiamo divertendo.”
“Sono
contento. Ti
meritavi un po’ di relax.” Il sorriso che
fece Bella, era un sorriso amaro. Edward era veramente
felice che lei si stesse divertendo, eppure…
Perché diamine era
così tranquillo?
“Invece tu
riposati, Edward. Ci vediamo domattina. E chiamai se succede
qualcosa.”
“Promesso.”
Disse lui, riattaccando il telefono e lasciando Bella da sola.
Veramente sola.
“E’ stata una
serata fantastica.” La cena era stata abbastanza imbarazzante, ma dopo
qualche bicchiere di vino e qualche chiacchiera di troppo l’imbarazzo si
era sciolto.
“Ci sentiamo domani, tesoro.” Laurent
le scoccò un bacio sulla guancia, e poi strinse la mano a Mike.
“Ciao James!”
Urlò Bella, cercando di farsi sentire da James, che era in cucina a
lavare i piatti.
“Ciao Bells!” Urlò di rimando lui. Bella
infilò la giacca, e uscì con Mike.
“Sei sicuro che non devi fare altro?”
Mike scosse la testa.
“Non è un problema accompagnarti a casa, Isabella.”
Perché continuava ad odiare quando la chiamava
così?
“Ti ho detto che
puoi chiamarmi semplicemente Bella.” Disse, salendo in macchina.
“Isabella è
il tuo nome, e mi piace di più.” Ecco, ora sì che suonava
maledettamente male.
Non parlarono per tutto
il viaggio, se non per Bella che gli dava le varie indicazioni stradali. Quando
arrivarono a destinazione, Mike accostò accanto alla casa.
“E’
bellissima.”
“Grazie.” Non
voleva dirgli che quella era la sua casa. Nemmeno che aveva due bambine che
dormivano beate lì dentro. E nemmeno che viveva con il suo capo.
“Grazie mille, Mike. E’ stata una serata fantastica.”
“Che ne dici di
risentirci?” Bella alzò gli occhi senza farsi vedere.
“Sì. Credo che possa andare bene. Perché non chiedi il mio numero a James?” Così
dicendo lo liquidò con un breve cenno della mano, avviandosi verso la
porta centrale.
Cercò di essere
più silenziosa possibile, togliendosi i tacchi sul portico, prima ancora
di entrare. I piedi le facevano un male cane, e quella cena era andata liscia
soltanto grazie ai suoi amici. Che il giorno dopo avrebbe ucciso lentamente.
“Sei
tornata.” Una voce assonnata la fece sobbalzare, mentre nel buio
cercò di mettere a fuoco qualsiasi cosa. Finché non vide Edward
sul divano.
“Che fai
qui?” Sussurrò, indicandolo.
“Guardavo
la tv e mi sono addormentato. Com’è andata?” Bella
si sedette accanto a lui sul divano, buttando la testa all’indietro.
“Una merda.”
“Addirittura?”
“Forse non ci so
fare più con gli uomini.” Annunciò, maledicendosi per aver
detto ciò che le passava per la testa.
“Magari ti sbagli. Chi era questo?”
“Mike
Newton.” Sentì il cucino accanto al suo alzarsi.
“Come
scusa? Quel Mike Newton?” Bella sorrise nel buio.
“Già.”
“Che
bastardi.”
“Chi?”
“James e Laurent.”
“Perché?”
Chiese Bella, volendolo sapere veramente.
“Niente. Non vai a dormire?”
“Mi stai forse
cacciando? E poi non riesco a muovere i piedi, i tacchi me li hanno uccisi.”
“Vieni qui.” Edward tirò su la coperta di Barbie e Shelly, cercando di avvolgere le gambe di entrambi. Bella
invece ci pensò un po’, prima di posare la testa sulla sua spalla.
“Quindi
Mike non è il tuo tipo?”
“Secondo me ormai
è colpa mia. Inizio io ad non essere il tipo di
nessuno.”
“Stai zitta, Isabella.” Lei sistemò meglio la testa
fra il collo e la spalla di Edward.
“E a detta tua, stasera stavo bene. Anche tu stai perdendo colpi
con i complimenti, Edward.” Sbadigliò
sonoramente, chiudendo gli occhi.
“Infatti
hai ragione. Non stavi bene stasera, Isabella.”
“Questo mi rincuora
molto.” Sussurrò appena lei, iniziando a cedere al sonno.
“Eri
bellissima.” Bella cercò di capire il senso di quelle parole, chiedendosi
se con il buio e il sonno che incombevano non avesse
sognato tutto. Dopo qualche minuto di silenzio, sbadigliò di nuovo.
“Edward?”
“Sì?”
“Ti voglio
bene.”
“Anche
io, tesoro.” Ma questa volta nessuno dei
due era ubriaco, e nel buio della notte quelle parole erano vere come non mai.