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Autore: Tati Saetre    24/06/2014    7 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Settimo capitolo – Mike Newton

Settimo capitolo – Mike Newton

27 Settembre 2001

 

 

Bella si svegliò con un mal di testa tremendo, la gola secca e gli occhi che faticavano ad aprirsi. Tirò la coperta sino alla fronte, sprofondando ancora di più nel suo letto.

“Dovresti alzarti.” Sussultò, chiedendosi chi, come, e perché qualcuno era nella sua stanza.

Mh.”

“Dovresti anche imparare a dire qualcosa di più, di semplici monosillabi.”

“Esci dalla mia stanza.” Quando capì di chi si trattava, cioè di Edward, cercò di farlo uscire.

“Peccato che questa è la mia, di stanza.” Tirò fuori soltanto la testa, guardandosi intorno. La luce che filtrava dalle finestre le diede subito fastidio, ma cercò di non farci caso. Più che altro, si rese conto davvero che quella non era la sua stanza. E che quello non era il suo letto, la sua coperta e nemmeno il suo cuscino basso e comodo.

“Che faccio qui?” Domandò con cautela, spaesata.

“Niente.” Edward si buttò di peso sul materasso, con la pancia in giù. “Ti sei soltanto ubriacata come una diciottenne alla sua prima festa del college. Poi hai vomitato tutto ciò che avevi mangiato negli ultimi trent’anni della tua vita nel nostro bagno. Fece mente locale, cercando di ricordarsi qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma niente. Nel suo cervello c’era un vuoto totale. Ricordava della cena con Leah per festeggiare il nuovo lavoro, birre su birre offerte da Jacob e poi… il vuoto.

“Dimmi che non siamo andati a letto insieme.” Edward soffocò una risata, tirando su la testa dal cuscino per guardarla dritta negli occhi.

“No tesoro. Mi dispiace.”

Ti dispiace? Tesoro? Oh, Dio. Che diamine è successo?” Lei invece si nascose di nuovo sotto le coperte, lamentandosi.

“Avrei voluto tanto chiedere ad Alice come eri da ubriaca, ma purtroppo l’ho visto con i miei stessi occhi. Ti ho trovata in bagno, distesa per terra. Ti ho convinta a dormire nella tua camera, e con passi incerti sei anche riuscita ad arrivare nel tuo letto. Poi, mi hai chiesto se potevo dormire con te.

Cazzaro.” Edward rise di nuovo.

“Non scherzo.”

“Se sono arrivata fino alla mia camera, perché ora sono nel tuo letto?”

“Perché non riesco a dormire, se non qui. Lo sai, no? Ho portato il mio materasso dal vecchio appartamento. Non riuscivo a dormire nemmeno nel tuo, di letto. Quindi, dopo che sei crollata, ti ho portata qui. Fine.”

“E’ un incubo.” Sussurrò Bella, stropicciandosi gli occhi.

“Non lo fare. Sembri un panda.”

“Eh?” Lo guardò stralunata, alzando gli occhi al cielo. Occhi contornati di nero, perché la sera prima non si era nemmeno struccata.

“Aspetta.” Edward allungò una mano, fino a posare il pollice sotto l’occhio e strofinandolo lentamente. Quando lo staccò per farlo vedere a Bella, era sporco di matita nera.

“Perfetto.” Sussurrò appena, sentendo di nuovo la bocca secca e acida. “Dobbiamo alzarci. Svegliare le bambine e portarle a scuola. Poi, devo andare al MoMa. Non ce la farò mai.”

“Primo: Emma e Mia sono a scuola da più di quattro ore. Secondo: devi bere qualcosa perché persino le tue labbra sono secche. E terzo: ho chiamato Rosalie Hale dicendole che non ti sentivi bene. Ha detto che puoi andare tranquillamente domani.

A quel punto Bella si sedette sul letto, incrociando le gambe sotto le coperte.

“Che ore sono, Edward?”

“Quasi mezzogiorno.” Rispose lui, con tranquillità.

“E perché diamine non mi hai svegliata?” Sembrava tranquilla, ma stava trattenendo la rabbia.

“Non è mai bello quando ti svegli con i postumi di una sbronza colossale. E quella era proprio enorme, Isabella.”

“Sh. Parliamo d’altro. Perché tu sei qui?”

“Non è anche casa mia?” Sbuffò, mettendosi le mani tra i capelli.

“Edward, intendo qui.” Indicò il letto, e poi con un dito la camera. “A casa. Perché non lavori?”

“I vantaggi dell’essere il capo.”

Oh, Dio. Per quante volte me lo ripeterai?” Edward le fece l’occhiolino e un mezzo sorriso, che fecero accelerare i battiti del cuore di Bella.

Non se ne parla, Isabella Swan. No.

“Devo lavarmi.” Disse infine, alzandosi lentamente dal letto. Quando finalmente fu in piedi, cercò veramente di non inveire contro Edward Cullen.

“Per quale assurdo motivo sono in mutande e reggiseno?”

“Non ho avuto nemmeno il tempo di dirtelo, ieri. Ti sei spogliata di corsa.” Mentre vide l’occhiata che gli lanciò, sussurrò unGiuro’.

Stava per rispondergli a tono, ma fu interrotta dal suono del campanello di casa. “Aspetti qualcuno?”

“No. Scendo a vedere chi è. Intanto, fatti quella doccia.” Bella gli rispose con l’alzata di un dito medio. “Ah, Isabella?” Urlò, quando ormai era uscito dalla camera.

“Che altro vuoi?”

“Carino quel tanga.” E scese le scale a due a due, senza sentire le imprecazioni che Bella gli urlava dietro.

Una dopo l’altra.

 

I trent’anni si stavano avvicinando.

Anche se mancava quasi un anno, li sentiva tutti. Erano anni e anni che non si ubriacava in quel modo. E i risultati si vedevano. Borse nere sotto gli occhi, labbra screpolate e un bruciore di stomaco che non ci pensava nemmeno di andarsene. Rimase di sasso quando vide la sua immagine riflessa nello specchio, con i lunghi capelli color cioccolato che le ricadevano bagnati intorno al viso, e il colore della pelle quasi cadaverico faceva a gara con l’asciugamano bianco e aveva stretto attorno al corpo.

Sentì bussare alla porta, e sbuffò pesantemente. C’erano tre bagni in quell’enorme casa, perché Edward doveva romperle?

“Che c’è?”

“Devi scendere.”

“Non sono vestita, Edward. Che succede?”

“Devi scendere, Isabella.” Non le dispiaceva più quando la chiamava Isabella, ma quando lo diceva con serietà come aveva fatto in quel momento, le provocava ancora un po’ di fastidio.

“Se non è una questione di vita o di morte t’ammazzo, Edward.” Aprì la porta del bagno, dimenticandosi che era nuda, con solo un asciugamano di spugna che le arrivava sopra le ginocchia.

Edward non parlò, se non prima di averla squadrata da capo a piedi.

“Che vuoi?” Sussurrò appena, e non poté non rendersi conto del modo in cui deglutì pesantemente davanti a lei.

“Vestiti. Corri. Ha chiamato la signorina Jessica.”

Hey.” Gli diede una lieve spintarella. “Che diamine succede?”

“Mia è in Ospedale. E’ caduta da un albero.”

“COSA?” E detto questo, sbatté letteralmente la porta in faccia a Edward, buttando l’asciugamano a terra e vestendosi con le prime cose che trovò all’interno di quel piccolo bagno. E con un solo pensiero in testa: ucciderò la signorina Jessica.

 

 

 

“Io la ammazzo.” Ripeté Bella per l’ennesima volta, mentre Edward sfrecciava per le vie di New York. “Ti giuro che le strappo quei due capelli finti che le sono rimasti in testa.” Disse, torturandosi entrambe le mani.

“Calmati.”

“CALMARMI?” Inveì, sgranando gli occhi. “Tu non capisci. Stiamo parlando di un fottuto asilo, Edward. Come è potuta cadere da un albero? Nemmeno con te succedono cose del genere.

“Che vorresti dire?”

“Niente.” Sussurrò Isabella, guardando fuori dal finestrino. Voleva dirgli che sapeva che lui amava moltissimo le sue nipotine, ma prendersi cura di loro non era il suo forte.

“Siamo arrivati.” Annunciò Edward, parcheggiando fuori la porta dell’Ospedale. Bella scese di corsa, senza aspettare che Edward spegnesse la macchina.

Nemmeno fece in tempo ad entrare, che vide subito la signorina Jessica seduta su una sedia della sala d’aspetto.

“Signora Swan.”

Signorina Swan.” Precisò Bella, scoccandole un’occhiataccia. “Dov’è Mia?” La signorina Jessica indicò una porta dietro le spalle di Isabella.

“Dentro. Le stanno ingessando il braccio.”

“INGESSANDO IL BRACCIO?” Ormai non riusciva più a trattenersi. L’avrebbe uccisa con le sue stesse mani, se necessario.

Sentì invece due mani posarsi sulla sua vita, ed una testa che si sporgeva accanto alla sua.

“Signorina Jessica, potrebbe dirci quello che è successo?” Alla signorina Jessica non sfuggirono le mani di Edward che si erano posate sul corpo di Bella, ma alzò lo stesso la testa per guardarlo negli occhi.

“Era l’intervallo ed ho deciso di portare la classe fuori, con questo bel sole.”

“Sinceramente non mi interessa niente del tempo.” Le mani sui fianchi di Bella strinsero ancora di più, avvertendola che non era quello il modo giusto di parlare.

“Dicevo: ho deciso di portare la classe fuori in giardino. Mia ed un altro suo amichetto hanno deciso di arrampicarvisi sopra, soltanto che lei è scivolata prima di arrivare alla cima.”

“Arrivare alla cima?” Disse Edward, precedendo la domanda che Bella non avrebbe fatto con una calma del genere.

“Tutto questo non era previsto. Sono desolata, vi giuro.”

“E lei, in tutto questo, dove era?” La signorina Jessica fu salvata dal cigolio di una porta che si apriva, e di una bambina con i riccioli neri che usciva con un lecca lecca in bocca.

Hey tesoro”, Bella si abbassò immediatamente, carezzandole i capelli e guardando il gesso che ricopriva quasi tutto il braccio, fino al gomito. “Come ti senti?”

“Bene. Il doptore mi ha datto qesto.” Mia sorrise, mostrando i suoi dentini perfetti.

Edward la prese in braccio, posandole un bacio sulla fronte.

Signori Hale, Mia sta benone. Dovrete soltanto tenerla a casa per trenta giorni, il tempo di togliere il gesso e poi potrà tornare a scuola.

Né Bella né Edward fecero notare al dottore che loro non erano i signori Hale, troppo preoccupati nel sapere come stava Mia.

Quindi? Non bisogna fare niente?”

“No, non preoccupatevi. Mia è una bambina forte e sana, e fortunatamente non ha subito danni gravi. Nel giro di un mese sarà più attiva di prima. Il dottore le diede un lieve buffetto sulla guancia, prima di girarsi ed andarsene.

Bella si voltò, chiudendo gli occhi fino a mostrare due fessure e puntando il dito contro la signorina Jessica.

“Quel fottuto albero dovrà essere abbattuto.” Sussurrò con fare minaccioso. “E se accadrà un’altra cosa del genere, stia sicura che abbatterò anche lei.” Così dicendo si girò ed andò verso l’uscita a passo spedito, seguita da un Edward esasperato e ad una Mia ignara di quello che era appena successo, troppo felice di continuare a mangiare il suo lecca lecca.

 

 

 

“Ti piace?” Mia strappò via la carta, ammirando il set completo con una spazzola rosa, il pettine, un phon finto e lo specchio delle principesse.

Tììì!” Urlò, buttando le braccia intorno al collo di James. “Guadda!” Alzò tutto per mostrarlo a sua sorella più grande, che con un’alzata di spalle la liquidò.

James si era offerto di andare a prendere Emma a scuola, mentre Edward e Bella pensavano a Mia. Strada facendo le aveva comprato anche un piccolo regalino, ignaro di scatenare l’ira della primogenita.

“Io uso il pettine per i grandi.” Disse Emma, assottigliando gli occhi. “Sei tu che devi usare quello per i bambini.”

“Io non tono una bambina!”

“Invece s-”

“Basta così!” Bella entrò in casa, puntando un dito contro Emma. “Voi due filate nelle vostre camere.” Il dito passò dalla più grande alla più piccola, e con uno sbuffo sonoro tutte e due andarono al piano superiore.

“Grazie per l’aiuto James.” Bella tirò su dal pavimento la carta del regalo, dirigendosi verso la cucina. “Non dovevi.”

“Non è niente. Edward ci aveva comunque dato un giorno di riposo, tranquilla.

Mh. Il capo è così flessibile?” James rise, sedendosi su uno sgabello intorno al piano cottura.

“Sì, abbastanza.”

“Come fai a lavorare con lui? Quasi due settimane che viviamo insieme e già non lo sopporto più.

“Ormai sono più di dieci anni che ci conosciamo, io e Edward. E’ un capo esigente, ma un amico fantastico.

“Non ne ho mai sentito parlare così bene.” Bella sorrise, sedendosi di fronte a James. “Credo che segnerò questo giorno sul calendario.”

“Saprà conquistare anche te.” Annunciò James, scoccandole un’occhiata di chi ne sapeva una più del diavolo.

“Non credo proprio. Non abbiamo fatto in tempo ad entrare a casa, che ha chiamato la signorina Jessica. Nemmeno voglio sapere per quale motivo.” Bella alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché Edward ci stesse mettendo davvero così tanto tempo.

Aveva deciso di chiamare quell’arpia, forse per scusarsi del comportamento di Bella. Eppure era passata più di una mezzora, ed anche Emma ormai era tornata da scuola.

“Che fai stasera, Bella?”

“Ci stai provando, James?” Lui rise, scuotendo la testa.

“Lo sai bene quali sono i miei gusti, Bells. Ma un amico di Lauren è single e in cerca di una donna. Qualche ora di svago non ti farà male, vieni a cena a casa nostra.

“E lasciare Mia con un braccio ingessato in balìa di Edward? Non credo proprio.”

“Devi dargli fiducia. E questa è la serata buona. Tu ti diverti, lui si prenderà cura delle bambine e tutti saranno felici e contenti. Forza!” Bella ci rifletté su.

Da quanto tempo non usciva con qualcuno che non fosse Jacob o Leah?

Da quanto non aveva un appuntamento con un ragazzo? Da troppo tempo.

L’ultima volta che aveva conosciuto qualcuno era stato due mesi prima, al Pub in Jacob. Un troglodita che il suo migliore amico aveva cacciato a calci in culo.

“Alle undici devo stare a casa. E devo chiamare Edward almeno due volte entro la serata. Disse, indicando entrambi i due punti alzando l’indice e il medio.

“Affare fatto!” James batté entrambe le mani, felice che Bella avesse accettato il suo invito, ma sapendo perfettamente che i suoi piani erano ben altri.

 

 

“A che ora hai detto che torni?” Urlò Edward dal piano inferiore, mentre preparava la cena ad Emma e Mia.

“Verso le undici. Forse più tardi. Posso fidarmi di te?”

“Certo.” Bella finì di infilarsi i tacchi che non portava ormai da settimana, sentendo già i piedi che le chiedevano pietà. Aveva indossato un tubino nero, accompagnato da una giacca rossa e dai tacchi dello stesso colore della giacca.

Era troppo tempo che non indossava biancheria che non fosse uguale a quella di sua nonna, o che metteva un vestito sopra il ginocchio. Eppure aveva deciso di provarci veramente, quella sera: il vestito era stato un regalo di Alice, quindi una grande firma. I suoi tacchi Louboutin erano chiusi nella scarpiera da troppo tempo, e i suoi capelli non venivano curati da chissà quanto. Aveva accentuato i suoi boccoli già naturali con il ferro, facendoli ricadere sulle spalle più voluminosi.

Non si era limitata a mettere soltanto un po’ di rimmel sugli occhi, ma questa volta aveva fatto un make-up degno di essere apprezzato persino da un uomo: fondotinta, correttore, ombretto, eyeliner e il suo immancabile rossetto rosso.

Era pronta. Da lì a poco il compagno di James sarebbe passata a prenderla.

“Che te ne pare?” Scese le scale con i tacchi in mano, evitando di rompersi l’osso del collo ancora prima di uscire. Edward si voltò, fissandola dalla testa ai piedi. Per poi ritornare su. E giù di nuovo. “Se vuoi la prossima volta ti lascio una radiografia.” Bella capì che andava più che bene. Se Edward aveva avuto quella reazione, il suo appuntamento a quattro non sarebbe andato per niente male.

“Stai bene.”

“WOW! Ti prego zia Bella, regalami quelle scarpe!” Emma si scapicollò per raggiungerla, ammirando i tacchi laccati di rosso.

“Ti prometto che quando crescerai saranno tuoi.” Si abbassò, per scoccarle un bacio sulla fronte.

“Non lo fare.” Disse Edward, deglutendo rumorosamente.

“Non devo regalarle le scarpe?”

“No. Non abbassarti così davanti ad un uomo, Isabella. Indico il punto in cui si era abbassata proprio davanti a lui.

Bella aprì e richiuse la bocca, come un pesce fuor d’acqua. Finché il suo di un clacson la fece sobbalzare.

“Deve essere Laurent.” Edward annuì, prendendo Emma in braccio e portandola sul divano. Era arrivata l’ora dei cartoni animati. “Tesoro, fai la brava. E Edward, per ogni cosa, chiamami. Qualsiasi.” Posò un bacio sulla guancia di Emma, uno sulla fronte di Mia che era crollata sul divano, e prima di uscire scompigliò i capelli di Edward, regalandogli il sorriso più bello che lui avesse mai visto.

 

 

 

“Dimmi che è una persona come si deve. Non posso perdere tempo con i coglioni.” Laurent rise rumorosamente, sfrecciando per le strade di New York.

“Tesoro, è un uomo fantastico. Sarà amore a prima vista.” Se l’omosessualità di James era quasi invisibile ad occhio umano, quella di Laurent invece si vedeva persino da Marte. Bella gli diceva spesso che era impossibile uscire con lui, perché lei si ritrovava ad essere l’uomo scaricatore di porto, e lui la perfettina della situazione.

“Perfetto. Fra mezz’ora tornerò a casa.”

“Dal tuo Edward?”

“Non ricominciare. Non riesco ancora a capire come abbiamo fatto a non ammazzarci fino ad ora.

“Amore, Dio li fa e poi li accoppia. Ho sempre pensato che tu e Edward siete perfetti insieme. Già avete la famigliola felice. Manca soltanto quella spinta in più.”

“Stai zitto.” Bella lo liquidò con un gesto della mano, mentre Laurent parcheggiava accanto all’enorme villa Nomadi.

“Dici che andrò bene vestita così?”

“Stai zitta.” Laurent ripeté lo stesso gesto di prima, imitandola ed uscendo dalla macchina. Bella lo seguì, ed insieme aspettarono che James andasse ad aprire loro la porta.

“Sto per diventare etero.” James nemmeno la salutò, ma la squadrò da testa a piedi. “Mi chiedo per quale motivo Edward ti abbia lasciata uscire di casa.”

“Io già non vi sopporto più.” Si tolse la giacca e l’appese all’appendiabiti, proprio come se fosse a casa sua.

Bella conosceva Laurent dal college, ed era stata proprio lei a presentarlo a James.

“Dai, andiamo nel salone.” Seduto sul divano, di spalle, c’era un uomo con corti capelli biondo cenere.

“Isabella,” James pronunciò il suo nome a voce alta, così da far voltare quell’uomo. “Ti presento Mike Newton. Mike, ti presento Isabella Swan.”

Bella lo esaminò attentamente, pensando che il colpo di fulmine non era proprio arrivato, anzi. Allungò lo stesso la mano, stringendola nella sua. “Puoi chiamarmi Bella.”

“E’ un piacere conoscerti, Isabella.” Purtroppo sentire il suo nome pronunciato interamente le creò uno strano disagio, cosa che non accadeva mai, quando lo pronunciava Edward. Cioè, tutti i giorni.

 

 

“Allora, che lavoro fai Mike?” Ormai stavano mangiando il secondo, e gli unici che riuscivano a tenere vivo quel tavolo erano i padroni di casa.

“Lavoro alla Cullen Media Group.” Bella si strozzò con l’acqua, tossendo animatamente, mentre Laurent che era seduto accanto a lei le diede qualche colpetto sulla schiena. “Tutto bene?”

“Alla grande.”

“Tu invece di cosa ti occupi?”

“Avevo una galleria d’arte. Ora lavoro al MoMa.”

“Cavolo, sei Isabella Swan la sterminatrice di artisti?” Bella allargò gli occhi, mentre James e Laurent non fecero nulla per nascondere le loro risatine ilari.

“Come scusa?”

“Niente. Però quando vedevamo qualcuno disperato nell’edificio, sapevamo che era appena uscito dalla tua galleria.

“Fantastico.” Sussurrò Isabella, fissando il suo piatto.

“Cambiamo argomento. Cosa ne pens-” La domanda di Laurent fu interrotta sul nascere dal cellulare di Bella che squillava.

“Scusate. Devo rispondere per forza.” Uscì nell’enorme balcone, aprendo lo sportellino del telefono.

“E’ successo qualcosa? Mia sta bene?” Una risata soffocata arrivò dall’altra parte del ricevitore.

“Calmati. Volevo soltanto dirti che stanno entrambe bene, e dormono da un pezzo.

“Non ci credo.”

“Se vuoi faccio una foto per testimoniare. Sono state bravissime. E a detta di Emma anche io sono stato bravissimo, questa volta.”

Bella sorrise, pensando che sua nipote era un giudice inflessibile. E quindi Edward era stato davvero bravo. “Come procede lì?” Si astené nel raccontare come stava procedendo quella serata.

“Bene, dai. Ci stiamo divertendo.”

“Sono contento. Ti meritavi un po’ di relax.” Il sorriso che fece Bella, era un sorriso amaro. Edward era veramente felice che lei si stesse divertendo, eppure

Perché diamine era così tranquillo?

“Invece tu riposati, Edward. Ci vediamo domattina. E chiamai se succede qualcosa.”

“Promesso.” Disse lui, riattaccando il telefono e lasciando Bella da sola.

Veramente sola.

 

 

 

“E’ stata una serata fantastica.” La cena era stata abbastanza imbarazzante, ma dopo qualche bicchiere di vino e qualche chiacchiera di troppo l’imbarazzo si era sciolto.

“Ci sentiamo domani, tesoro.” Laurent le scoccò un bacio sulla guancia, e poi strinse la mano a Mike.

“Ciao James!” Urlò Bella, cercando di farsi sentire da James, che era in cucina a lavare i piatti.

“Ciao Bells!” Urlò di rimando lui. Bella infilò la giacca, e uscì con Mike.

“Sei sicuro che non devi fare altro?”

Mike scosse la testa. “Non è un problema accompagnarti a casa, Isabella.” Perché continuava ad odiare quando la chiamava così?

“Ti ho detto che puoi chiamarmi semplicemente Bella.” Disse, salendo in macchina.

“Isabella è il tuo nome, e mi piace di più.” Ecco, ora sì che suonava maledettamente male.

Non parlarono per tutto il viaggio, se non per Bella che gli dava le varie indicazioni stradali. Quando arrivarono a destinazione, Mike accostò accanto alla casa.

“E’ bellissima.”

“Grazie.” Non voleva dirgli che quella era la sua casa. Nemmeno che aveva due bambine che dormivano beate lì dentro. E nemmeno che viveva con il suo capo. “Grazie mille, Mike. E’ stata una serata fantastica.”

“Che ne dici di risentirci?” Bella alzò gli occhi senza farsi vedere.

“Sì. Credo che possa andare bene. Perché non chiedi il mio numero a James?” Così dicendo lo liquidò con un breve cenno della mano, avviandosi verso la porta centrale.

Cercò di essere più silenziosa possibile, togliendosi i tacchi sul portico, prima ancora di entrare. I piedi le facevano un male cane, e quella cena era andata liscia soltanto grazie ai suoi amici. Che il giorno dopo avrebbe ucciso lentamente.

“Sei tornata.” Una voce assonnata la fece sobbalzare, mentre nel buio cercò di mettere a fuoco qualsiasi cosa. Finché non vide Edward sul divano.

“Che fai qui?” Sussurrò, indicandolo.

“Guardavo la tv e mi sono addormentato. Com’è andata?” Bella si sedette accanto a lui sul divano, buttando la testa all’indietro.

“Una merda.”

“Addirittura?”

“Forse non ci so fare più con gli uomini.” Annunciò, maledicendosi per aver detto ciò che le passava per la testa.

“Magari ti sbagli. Chi era questo?”

“Mike Newton.” Sentì il cucino accanto al suo alzarsi.

“Come scusa? Quel Mike Newton?” Bella sorrise nel buio.

“Già.”

“Che bastardi.”

“Chi?”

“James e Laurent.”

“Perché?” Chiese Bella, volendolo sapere veramente.

“Niente. Non vai a dormire?”

“Mi stai forse cacciando? E poi non riesco a muovere i piedi, i tacchi me li hanno uccisi.

“Vieni qui.” Edward tirò su la coperta di Barbie e Shelly, cercando di avvolgere le gambe di entrambi. Bella invece ci pensò un po’, prima di posare la testa sulla sua spalla.

Quindi Mike non è il tuo tipo?”

“Secondo me ormai è colpa mia. Inizio io ad non essere il tipo di nessuno.”

“Stai zitta, Isabella.” Lei sistemò meglio la testa fra il collo e la spalla di Edward.

“E a detta tua, stasera stavo bene. Anche tu stai perdendo colpi con i complimenti, Edward. Sbadigliò sonoramente, chiudendo gli occhi.

Infatti hai ragione. Non stavi bene stasera, Isabella.”

“Questo mi rincuora molto.” Sussurrò appena lei, iniziando a cedere al sonno.

“Eri bellissima.” Bella cercò di capire il senso di quelle parole, chiedendosi se con il buio e il sonno che incombevano non avesse sognato tutto. Dopo qualche minuto di silenzio, sbadigliò di nuovo.

“Edward?”

“Sì?”

“Ti voglio bene.”

Anche io, tesoro.” Ma questa volta nessuno dei due era ubriaco, e nel buio della notte quelle parole erano vere come non mai.

 

 

   
 
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