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Autore: blackissuchanhappycolor    24/06/2014    1 recensioni
(Voleva la perfezione. Voleva lasciare tutti senza fiato. Voleva affascinarli, irretirli, spaventarli. E voleva divertirsi, soprattutto.)
Evi non è una semplice umana. E' una creatura particolare, con particolari abilità, tra cui quella principale: rendersi invisibile.
Andrew vorrebbe tanto non credere nel soprannaturale, ma ha i suoi buoni motivi per farlo. E' l'unico che riesce a vedere Evi, anche quand'è invisibile.
Due ragazzi, un mistero, un amore che non poteva non nascere.
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CONFESSIONS

Quando si trattava di Evi, James diventava un ragazzino timoroso di dire la sua. La cosa gli dava fastidio, ma non poteva farne a meno: se sulle altre persone riusciva ad imporsi in un modo pacato, cortese ma efficace, con Evi perdeva questa capacità. Pesava bene le parole prima di dirle, cercando in tutti i modi di apparire interessante ed intelligente ai suoi occhi e, soprattutto, di non deluderla.
Per questo, si grattava la nuca e guardava verso il basso mentre diceva, incerto: ­─ Non credo che sia una buona idea…
Il grattarsi la nuca era un segnale della sua insicurezza, del suo nervosismo e della sua disapprovazione. Però, doveva dirlo. Non approvava il fatto che la sua migliore amica accettasse di rivelare la verità sulla sua (sulla loro) natura ad uno sconosciuto. Era stupido, rischioso, l’ideale per vincere un biglietto di sola andata per il manicomio.
─ Jay ─ disse Evi, sbuffando ─ glielo devo. Gli ho vomitato sulle scarpe!
Era sdraiata a pancia in giù sul divano, leggeva Orgoglio e Pregiudizio per l’ennesima volta. Anche questo era un sintomo di nervosismo: prima degli esami, leggeva Orgoglio e Pregiudizio; lo faceva quando litigava con qualcuno, o quando aveva troppi pensieri per la testa. Quel libro (in particolare il personaggio di Fitzwilliam Darcy) riusciva a distrarla dai suoi problemi.
Perché era nervosa?
Perché Andrew, il ragazzo con lo skate, quello che l’aveva snobbata rifiutando il suo numero di telefono, il ragazzo che l’aveva accompagnata a casa la sera prima con le scarpe ancora sporche di vomito, stava per arrivare.
L’aveva invitato per dirgli, finalmente, tutta la verità. Gli sembrava inevitabile farlo: lui la vedeva quand’era invisibile, sapeva resistere al suo fascino e l’aveva vista accecare un barista e far muovere bottiglie di whiskey con gli occhi, ma aveva accettato comunque l’invito.
Forse era pazzo, o forse era solo curioso. Forse, un pochino, le piaceva.
Ma sicuramente, anche lui aveva segreti nascosti. Come può un ragazzo non spaventarsi davanti alla vista di una bottiglia che fluttua verso di lui? Un ragazzo normale, dopo aver sentito dire una ragazza: “mia madre è un fantasma”, avrebbe risposto: “si, certo, bevi meno la prossima volta”.
Le sue reazioni, invece, erano state diverse.
Si diventa sempre fantasmi?
Sono tutti in grado di vedere i fantasmi?
Come se la prendesse sul serio… come se fosse un problema anche suo.
Andrew Thompson aveva buoni motivi per credere nei fantasmi. Tutta quella scenata al castello, tutto quel cinismo: una facciata.
Andrew ha paura dei suoi fantasmi.
Intanto, James continuava a parlare.
─ … e mi sembra una cosa rischiosa, Evi-Evi. Ormai l’hai invitato, okay, ma scusati per il vomito e basta, okay? Non dirgli niente.
Anche se non aveva sentito gran parte del suo discorso, Evi serrò gli occhi.
─ No, James. Ho preso la mia decisione. Adesso sarebbe meglio che tu andassi a metterti la lente a contatto, se vuoi far credere a tutti di essere un ragazzino stupido e basta.
James la guardò negli occhi, supplicandola in silenzio. Fidati di me, non di lui, le disse telepaticamente, andando contro i suoi principi. Dammi retta.
Evi sentì la sua voce, chiara e profonda, si stupì. Poi però scosse semplicemente la testa, liquidando la questione.
─ Vado a mettermi la lente ─ borbottò il ragazzo, lasciando la stanza.
─ Lascialo perdere, tesoro ─ disse sua madre ─ è solo geloso.
Susan era arrivata quella mattina e aveva voluto rimanere per conoscere Andrew. Era curiosa di sapere se era in grado di vedere anche lei. In quel caso la trama si sarebbe infittita e Susan, annoiata dalla sua esistenza di fantasma, adorava le trame fitte.
La donna aveva avuto il buon senso di tacere durante la discussione dei due ragazzi, ma espresse comunque il suo pensiero, con la voce carica di ovvietà.
─ Non è quello, mamma. È solo che lui odia ciò che siamo e non vuole che la gente lo venga a sapere. Se potesse, mi risucchierebbe tutti i poteri e li getterebbe nel cesso.
─ Sai cosa ti risucchierebbe?
─ Mamma! ─ urlò Evi, indignata, ma poi scoppiò a ridere. In vita, sua madre doveva essere stata davvero uno spasso.
─ Sono seria! Quel ragazzo è innamorato di te da quando eravate bambini, è solo geloso perché tu sei così eccitata che questo Andrew venga qui… ti piace, vero?
Susan aveva accantonato per un attimo l’ipotesi di loro due sposati con figli, rivelandosi seria con quell’ultima domanda.
Evi non sapeva cosa rispondere. Non era abituata a parlare con la sua mamma-fantasma di ragazzi, la cosa l’imbarazzava.
Decise di dirle una mezza verità.
─ Mi incuriosisce il fatto che possa vedermi e che sia immune a quasi tutti i miei poteri, e voglio scoprire a tutti i costi il perché.
Susan rimase in silenzio.
Poi, qualche minuto dopo, disse: ─ adesso suona al campanello.
E, due secondi più tardi, suonò il campanello.


Andrew suonò il campanello, impaziente. Di sapere la verità, ma anche di dire la sua verità. Ormai l’aveva capito: Evi era qualcosa e sua madre era un fantasma. Di sicuro loro avrebbero potuto spiegargli che cos’erano le voci che l’avevano tormentato da quand’era bambino, erano sparite quand’aveva otto anni e stavano tornando adesso. Forse c’era un modo, un rituale, un incantesimo (perfetto, sono davvero impazzito) per fare in modo che sparissero.
Era nervoso, perché per la prima volta avrebbe detto la verità a qualcuno, ed era impaziente, perché voleva sentirsi dire: “Oh, non ti preoccupare. C’è una soluzione!”
─ Sì? ─ disse la voce di Evi al citofono.
─ Sono Andrew ─ fece lui.
─ Secondo piano.
Entrò, si chiuse la porta alle spalle e prese le scale, contando mentalmente gli scalini.
Ancora sei, e potrò dormire con la luce spenta.
Ancora cinque e avrò la soluzione.
Ancora quattro e ciao ciao, voci del cazzo.
Ancora tre, solo tre.
Ancora due, poi uno, e vedrò Evi. Così potrò dirle che quelle scarpe erano le mie preferite, e che ora è in debito con me.

Evi l’aspettava alla porta con un enorme sorriso che l’incantò per un attimo. Era in tenuta casalinga, com’è normale che sia: un paio di pantaloncini corti, una maglietta enorme con su scritto “Basildon High School”, capelli sciolti e arruffati e viso apparentemente (per quanto Andrew potesse capirne) senza trucco. Era più bella che mai, ma Andrew non si fece abbindolare.
Sorrise, incerto, e la seguì nell’appartamento.
Vide subito il divano, enorme, che sembrava il centro vitale del soggiorno. Poi vide tutto il resto, i mobili, i quadri, le finestre con le tende azzurre, due figure sedute intente a fissarlo.
La prima era quella di un ragazzo, appoggiato al frigorifero con le braccia conserte. Aveva i capelli marroni, gli occhi castani ed uno sguardo ostile.
La seconda era quella di una ragazza che sembrava poco più grande di lui. Il suo sguardo non era ostile, ma amichevole ed educatamente curioso.
─ Okay, Drew, iniziamo con una domanda importante: quante persone vedi nella stanza, noi esclusi? ─ chiese Evi, già sicura della risposta.
─ Ehm, due? Quel ragazzo ─ fece cenno con il mento ad un incredulo James ─ e quella ragazza ─ indicò Susan ─ che mi sta salutando con la mano.
─ Risposta esatta! ─ cinguettò Evi, battendo le mani.
─ Ho vinto un mappamondo? ─ chiese Andrew, perplesso.
Quasi tutti risero alla battuta; poi, Evi lo accompagnò al divano dove anche lei si sedette. Solo James rimase in piedi, in silenzio.
─ Allora ─ cominciò Evi ─ quel ragazzo lì è James, il mio coinquilino nonché migliore amico. Lui sa cosa sono.
James le mandò un bacio.
─ Lei è mia madre, Susan. È un fantasma, ma tu la vedi.
Andrew non seppe bene cosa rispondere.
─ Adesso ti racconteremo cosa sono, ma quando finiremo, vorrei che tu provassi a dire a noi se c’è qualcosa di strano nella tua vita. Se capitano cose strane. Non è normale che tu veda me, ancora meno mia madre… capisci?
Andrew annuì, sollevato. ─ Anche io ho delle cose da dirvi, e lo farò. Prima le signore, però.
Susan sorrise: il ragazzo le piaceva.
Insieme, raccontarono tutta la storia, dall’inizio.
Susan Grace Wetmore era morta all’età di ventisei anni. Aveva appena finito di dare il bianco nel suo nuovo appartamento. Era un buco e l’affitto era troppo alto per un buco del genere, ma ci teneva a fare le cose per bene. Ad iniziare una nuova vita con un appartamento dalle pareti di colori vivaci.
Era rimasta sola al mondo: dopo la morte di sua madre (già vedova) era scoppiato una stupida faida tra lei ed i suoi fratelli per l’eredità. Anche se non l’avrebbe mai ammesso, Susie era la figlia che sua madre apprezzava di più, e per questo con lei era stata più generosa.
Susan non aveva sopportato quella situazione ed aveva rinunciato a tutto, trasferendosi in un’altra città e lasciandosi alle spalle i suoi fratelli.
Susan era anche al terzo mese di gravidanza, ma era l’unica a saperlo. Il padre della creatura che portava in grembo era un uomo orribile e lei se ne era accorta troppo tardi.
Però, come si suol dire, meglio tardi che mai.
Stava attraversando la strada sulle strisce pedonali quando venne investita, morendo sul colpo.
─ Ti chiederai, Andrew ─ disse Susan, a questo punto della narrazione ─ com’è possibile che mia figlia sia qui?
─ Sono qui perché esiste un aldilà, esiste un Dio. È diverso da come lo dipingono i cristiani, ma è misericordioso ─ disse Evi.
─ Dio non sopporta che bambini che dovrebbero nascere non nascono. È una cosa che gli dà tremendamente fastidio. È come se facesse una torta e nessuno potesse assaggiarla. È ingiusto. Così, quando una donna incinta muore, il suo bambino puro e innocente nasce ugualmente. Non so come funzioni esattamente, so solo che quand’ho riaperto gli occhi, avevo Evi tra le braccia. E’ stato l’unico momento in cui ho potuto toccarla. Quando l’ho riportata sulla terra sono diventata a tutti gli effetti un fantasma e non ho più potuto farlo.
Andrew disse: ─ Mi dispiace. Ma… non potevi…tenerla con te?
Susan rispose che no, non poteva: la bambina, anche se dotata di poteri e capacità straordinarie, era pur sempre umana. Non poteva crescere in un luogo diverso dalla terra. Era crudele, il fatto che sua figlia fosse stata riportata in vita solo per passare diciotto anni chiusa in un orfanotrofio. Era crudele il fatto che sua madre potesse solo farle visita e parlarle, addestrarla, metterla in guardia sulle sue abilità, ma niente di più.
Era diventata fantasma per poter crescere sua figlia, senza poterlo fare davvero.
Evi si asciugò una lacrima che sperò nessuno avesse visto, ma che tutti videro. Susan si morse il labbro, sconsolata; Andrew, a sorpresa le strinse la mano.
─ E’ la storia più incredibile e triste che abbia mai sentito. Se può farti sentire meglio, però… sei la “quasi-fantasma” più adorabile che io abbia conosciuto.
Seguirono altre domande da parte di Andrew (quindi, avere gli occhi di un colore diverso è una caratteristica dei bambini nati come te? Si; Esistono Paradiso e Inferno? Si; Ma scommetto che non potete parlarne, vero? Vero), poi il ragazzo fece un respiro profondo e prese la parola.
─ Io… sento delle voci ─  disse. Così, diretto: via il dente, via il dolore.
─ Quand’ero piccolo mi tormentavano ogni notte. Aspettavano che fossi solo e mi invadevano la testa, mi spaventavano, mi facevano vedere immagini orribili. Credo che cercassero di uccidermi, o qualcosa del genere. Quando lo dissi a mia madre, lei non mi credette, ma cominciò a dormire insieme a me tutte le notti. Non mi perdeva di vista un attimo. Non mi mandò da nessuno psichiatra e continuò sempre a dirmi che erano brutti sogni, fantasie, eccetera, eccetera. Non ho mai capito bene che cosa pensasse veramente.
─ Da come lo racconti, sembra quasi che volesse proteggerti ─ disse Evi.
─ Lo so. Ho provato a chiederle spiegazioni, ma ha sempre evitato il discorso. Ad ogni modo…
Quando Andrew aveva otto anni, le voci sparirono nel nulla.
─ Da un momento all’altro. Non ricordo bene il giorno preciso.
─  Ma adesso sono tornate, giusto? ─ chiese Evi. All’improvviso si ricordò quelle voci attutite che non era riuscita a distinguere bene.
─  Giusto ─ rispose Andrew, senza sprecarsi a chiedersi perché la ragazza lo sapesse. ─ Io vi chiedo, anzi vi imploro, di aiutarmi, se potete.
Evi si alzò, raggiunse il frigorifero e prese due birre. Ne diede una a James, che era rimasto lì vicino. L’altra la diede ad Andrew, che era turbato per il racconto.
─ Tieni ─  gli sorrise ─ inizio ad aiutarti così.
─ Tu non bevi, spero.
─ No, tranquillo ─  rise la ragazza.
Entrambi si sentivano tranquilli, più leggeri. Ed entrambi cominciavano a guardarsi come se non fossero una ragazza stronza che prendeva in giro la gente ed un ragazzo che semplicemente non avrebbe dovuto vederla.
No, si guardavano come se volessero solo essere sé stessi.
Susan, invece, fissava il ragazzo, con due o tre teorie in testa su che cosa avesse di tanto speciale, una meno valida dell’altra.

 
  
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