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Autore: _Riddle    27/06/2014    8 recensioni
{ ispirata vagamente a "Mad father" e a "Coraline"| Horror| probabilmete Splatter| AU | Contenuti forti | long }
§
Una famiglia trasferita_
Una bambola inquietante_
Una scoperta terribile_
§
“Quella è solo una bambola, un pezzo di
stoffa cucito male”
“Non è solamente una bambola, guarda i
suoi occhi: sono reali”
§
Creepy doll: la bambola dell'altro mondo
§
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Claude Beacons/Nagumo Haruya
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Oscure presenze

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Immobile, tornò a fissare il soffitto.
Era rivestito da una carta da parati estremamente regale: il rosso vivo che troneggia nel centro risultava abbellito da una decorazione floreale, rappresentata da rose crema che si snodavano nel midollo.
L’intera immagine veniva racchiusa in una cornice dorata, impreziosita da guglie piuttosto irregolari che svettavano verso l’alto.
 
Sbuffò. Ormai se ne stava lì senza far nulla da più di tre ore e la noia gli stava pervadendo il corpo. Non poteva alzarsi a causa della febbre, abbastanza alta per costringerlo a letto. Il ticchettio dell’orologio a pendolo, divenuto ormai “assordante”, riempiva la stanza, scandendo il tempo, che scorreva lentissimo.
 
Distolse per un attimo lo sguardo dal soffitto, per poi posarlo su una semplice bambola.
La bambola giaceva immobile su uno dei tanti scaffali. Delineava un sorriso alquanto inquietante, uno di quelli che raggelano il sangue della gente. La testa pendeva da un lato del collo, spostando le morbide trecce more.
Incuteva ansia poiché, dall’espressione così “viva” sembrava capace di muoversi, e quindi, magari, di “piombarti” addosso.
 
Nagumo si rannicchiò nella coperta, capendo solo dopo l’infantilità di quel gesto assurdo. Infondo, era solo una bambola, di che cosa poteva aver paura?
Ci giocava anche sua sorella poco tempo prima, con le barbie, ma quei volti banalmente finti non attiravano così tanto la sua attenzione, non svegliavano in lui la sensazione di venir osservato perennemente da due occhi di plastica.
 
Era abituato a dover “convivere” con loro, affinché Mako non sentisse la mancanza di papà.
Lei, al contrario di suo fratello, l’aveva presa più che male quella morte: i singhiozzi sommessi che scivolavano via dalla camera, in cui rimase per ben tre giorni, indicavano un profondo senso di smarrimento e di tristezza.
Contemplare per tutti i giorni successivi quelle piccole acquemarine immergersi in un mare sempre più remoto e nero faceva sentir male persino lui, etichettato da tutti come “insensibile”.
 
In quel momento così delicato il suo cuore si era intenerito parecchio, così, per fare una bella sorpresa alla piccola, le regalò con i soldi risparmiati una favolosa casa delle bambole, provvista di tutti gli accessori che possiede una vera e propria abitazione e di alcune bambole incluse nell’acquisto.
 
Questo dono la rallegrò parecchio, riempiendole le giornate in modo positivo e facendole scordare parzialmente il brutto avvenimento.
Le sparpagliava dappertutto, prendeva di pomeriggio il the insieme a loro e intraprendeva viaggi immaginari verso mondi fantastici, sguazzando nelle pozzanghere o rifugiandosi sotto il letto.
 
Quel bel sorriso radioso che la caratterizzava da sempre ricomparve, colmando di allegria ogni animo, compreso quello di Nagumo.
Si sentiva più tranquillo, anche se costretto, ogni qual volta scoccassero le cinque, a fingere di mangiare biscottini di plastica e a dialogare con stupidi oggetti.
Da quel che aveva imparato dalla situazione, più cose sceme e senza senso pronunciava, dando buffetti agli altri “ospiti”, prima se la poteva svignare.
 
Comunque sia, quella bambola che adesso lo fissava in silenzio non era come le altre, assolutamente. La luce tetra che quelle ametiste emanavano si fondeva appena all’aria, rendendola pesante, in qualche modo, tossica.
 
A spezzar il filo logico di pensieri fu la porta che si spalancò, pian piano, cigolando.
Una figura spingeva con la mano sinistra la  ruota, mentre con la destra teneva, a palmo aperto, una ciotola fumante.
- Cosa ci fai qui? - sbuffò il rosso irritato per la presenza di Suzuno.
- Premetto che mi hanno costretto a incontrarti – disse superiore, chiudendo gli occhi e alzando il capo.
Il profumo proveniente da quel contenitore risultava delizioso: odorava da minestra calda, bollente, alle verdure.
 
- Comunque – continuò – mi hanno obbligato a portarti la cena -.
Il ghiacciolo porse la ciotola al rosso, che la prese saldamente con tutte e due le mani.
La trangugiò avidamente, senza l’utilizzo di utensili vari.
Fuusuke si lasciò scappare un grugnito di disapprovazione, arricciando il naso.
- Che hai ancora – borbottò il rosso con la bocca piena.
- Pensavo di trovarmi in casa, non in un porcile – sentenziò inarcando il sopracciglio.
 
Nagumo, che non seppe come controbattere, non rispose, meditando vendetta.
Quel fanciullo lo rendeva nervoso. Parecchio nervoso.
- Senti – iniziò l’albino – Io me ne vado. Tua madre mi ha detto di riferiti di prendere tre dei quelle pillole sul comodino, dopo ogni pasto – e così si congedò, dando un’ultima occhiata al rosso e chiudendosi la porta alle spalle.
 
“Che smorfioso” sospirò Nagumo, annuendo con il capo.
In breve tempo, sentì gli arti rilassarsi, la mente affievolirsi e, tutti i pensieri riguardanti il ghiacciolo, sparire. Si addormentò dolcemente, con le testa appoggiata alla federa di cotone fresca, e il corpo leggero, come se fluttuasse nell’aria.
 
§
 
 
“Bum”!
Il rumore assordante di un tuono rimbombò di schianto nella villa. Le pareti trasmettevano un lieve tremolio, scosse da quel tuono tremendo. Nagumo riprese conoscenza di scatto, trovandosi, senza nemmeno accorgersene, in piedi accanto al letto.
 
Scrutò rabbuiato il cielo dalla finestra che si affacciava sul bosco: un buco nero onice, ammorbidito dalle sagome delle nubi inconsistenti e illuminato, di frequente, da scintille d’energia pura.
 
Uno dei suoni fastidiosi, che si fondeva con quello dei tuoni, risultava il gorgogliare proveniente dallo stomaco del rosso. Probabilmente era notte, e nessuno sarebbe venuto a portargli del cibo. Quindi decise di sgattaiolare fino alla cucina, prendere qualcosa di sfizioso dal frigo e di tornarsene, lesto lesto, nella camera da letto.
 
Quando aprì l’uscio, si rese conto dell’oscurità che lo avvolgeva. Non riusciva a vedere niente: tutto era immerso in quelle tenebre, dal gingillo più piccolo fino all’intero mobilio. Solo il flash intermittente dei lampi spezzava quel buio così denso.
 
Rientrato nella camera, illuminata da sempre da un lampadario di cristallo, cercò qualche fonte di luce da poter utilizzare. I cassetti erano vuoti, come gli armadi e le casse-panche. Controllò le mensole, accorgendosi così di un particolare piuttosto bizzarro: la bambola mancava.
 
“Probabilmente se la sarà presa Mako” rifletté noncurante, mentre con le mani tastava dentro le rientranze della scrivania.
La pioggia feroce scendeva battente, posandosi sui vetri della finestra e lasciando una scia d’acqua. Finalmente, dopo minuti di ricerca, trovò, nascosta sotto il termosifone, una torcia elettrica.
 
Aperta la porta si diresse verso la fine di quello stretto e inquietante corridoio: alle pareti erano appesi quadri stilizzati, raffiguranti alcune scene.
 
Nella prima era rappresentata una famiglia benestante, felice, composta dal padre e da piccola bambina nelle braccia della madre. La piccola e la mamma si assomigliavano moltissimo, erano proprio due gocce d’acqua. Gli sguardi carichi di affetto si concentravano sulla torta che giaceva sopra a un tavolino di legno. Forse qualcuno della famiglia stava compiendo gli anni.
 
Nella seconda l’atmosfera mutava drasticamente: in primo piano una donna dall’aspetto consumato e deteriorato respirava a fatica, distesa su un letto e circondata da dottori dalle espressioni disperate. Forse era malata. La pelle verde risultava raggrinzita e sotto agli occhi si delineavano profonde occhiaie. Nello sfondo, da una porticina appena spalancata, penetrava un fantasma funesto, circondato da minuscoli teschi che gli roteavano attorno in cerchio. Forse simboleggiava la morte, forse la signora stava per morire.
 
Nella terza, l’unico elemento che regnava nel quadro era una bara color legno, circondata da un nebbia cinerea.
Dopo questa, non c’erano quadri visibili, solo un’ombra che segnalava l’antica presenza di qualche dipinto.
 
Nagumo, curioso di osservare la quinta e ultima scena, spostò il fascio di luce prodotto dalla torcia nella direzione desiderata.
Si pentì ardentemente di averlo fatto.
Una stanza, una stanza dalle pareti sbiadite, gremita di quegli esserini minacciosi.
Piena di bambole.
 
Deglutì debolmente, convinto che la saliva gli si fosse fermata in gola. Infondo, quelli erano solamente dei quadri, di che cosa poteva aver paura?
Nagumo avvertita che quelle rappresentazioni erano collegate alla realtà, ma non comprendeva in che modo.
 
Comunque, decise che il momento migliore per investigare su quelle faccende non era certo quello. I perpetui brontolii della fame lo ricondussero alla realtà. Il motivo che lo aveva spinto ad avventurarsi in giro per la villa, di notte, era la fame.
 
Quindi doveva porvi rimedio. Continuò la camminata verso la cucina.
 “Un momento” si disse a bassa voce “ Ma dove diamine si trova la cucina?”.
Lui non era mai uscito dalla sua camera da letto, pertanto non conosceva
minimamente l’interno della “reggia”.
 
Ad un certo punto, però, il silenzio che incombeva su di lui venne infranto dallo scricchiolare delle travi di legno ai suoi piedi.
Qualcuno era nel suo stesso piano.
Qualcuno si dirigeva verso di lui.
Qualcuno lo stava cercando.
 
Restò immobile, come paralizzato. I muscoli si rifiutavano di muoversi, ma la coscienza sussurrava un flebile “Aiutami”. Puntò la torcia verso il rumore, e una figura remota e minacciosa faceva capolino tra le tenebre.
 
Il viso madido di sudore si voltò meccanicamente dalla parte opposta, la parte “sicura”. Il rosso intraprese una delle corse più veloci che avesse mai spiccato. Le gambe spingevano sempre di più, aumentando la velocità.
 
Nagumo rimase incredulo quando, dinanzi a lui, si ergeva un muro, un vicolo cieco.
“Game over” pensò atterrito, mentre lo scricchiolio diveniva sempre più vicino.
Analizzando meglio il suono, appariva come un “qualcosa” che, strisciando o roteando, “pestava” pesantemente il pavimento.
 
Chiuse gli occhi: non aveva alcun’intenzione di contemplare la sua morte. Ripensò ai momenti fausti della sua vita, quelli meno fausti, quelli brutti e quelli bruttissimi.
Tutto appariva più frammentato del solito, assumendo uno spessore sentimentale ben maggiore.
 
La creatura si avvicinava rapidamente. “Forse” si ripetè “ forse è meglio che io sappia chi sia il mio assassino”.
Di conseguenza, raccolse quel poco di coraggio che gli rimaneva in corpo, alzò la mano tremolante, quella dove teneva stretta la torcia, e…

 
 
 
 
 
Angolo dei sussurri(?) –wtf-
Il nome del mio corner sta degenerando, lo so u.u
Bella a tutti ragazzi! * da leggere in stile favijiano u.u(?) *
È da una vita che non pubblico più niente ( ben una settimana ewe )!
Premetto che questo capitolo è stato un parto per moi -.-
Purtroppo l’immaginazione era andata a farsi fottere un giretto, e quando succede ogni scrittore è spacciato >.>
Ma sorvoliamo u.u Tutto è bene quel che finisce bene!
Midorikawa: mi hai rubato il proverbio u.u
Io: per tua informazione i proverbi non sono solo di tua proprietà, tiè.
* il pistacchietto sparisce e lascia il posto alle palle di cactus che rotolano *
Ok, torniamo alla fic ^c^
In questo cappy vediamo i primissimi segni del nostro arcano mistero: i quadri.
Cosa vorranno mai comunicare? Perché sono disposti in quell’ordine? Ma soprattutto, chi è la figura minacciosa che insegue il nostro sventurato ( stavo scrivendo “sventrato” xD ) amico?* Se non siete ancora iscritti, iscrivetevi(?) e noi ci rivediamo nel prossimo cappy, bella a tutti ragazzi * ( da leggere in modo favijiano )
  
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