Fanfic su artisti musicali > Altri
Segui la storia  |       
Autore: kuutamo    29/06/2014    1 recensioni
[David Garrett]
[David Garrett]Infondo eravamo tutti dei poveri esserini rotti, bambole di porcellana con le guance in cocci e il cuore strappato, ognuno che combatteva contro il suo demone, il suo male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





                                                                                            --3 years later--

 

 

 

 

La stanza era piena di gente; persone con cui ero cresciuta, familiari e altre persone che non avevo mai visto. Tra di loro un uomo con i capelli chiari sfogliava un libro antico, con fare disinvolto: sembrava assorbito del tutto da quello che stava facendo, ma in qualche strano modo si accorse che i miei occhi aleggiavano curiosi su di lui come le ali di un corvo. Prima alzò lo sguardo dalle pagine e poi levò il capo verso di me, scostandosi alcune ciocche ribelli che gli erano finite davanti agli occhi. 

Non riuscivo a ricordare dove avevo visto quel ragazzo. Mi era talmente familiare, che avrei giurato di conoscerlo.

Quando incrociammo gli sguardi la sua espressione si distese in un sorriso: allora mi conosceva. Forse.

Tornò alle sue letture e io m'impegnai per scuotermi e muovere in avanti quei piedi.

 

Andai alla finestra, alla destra del  divano color verde scuro, e mi affacciai.

Faceva caldo quel giorno e c'era talmente tanta luce, che non riuscivo a veder nulla al di là del mio naso. Era tutto colorato e pervaso da un bianco spettrale. 

 

All'improvviso mi sentii afferrare per i fianchi e quando mi voltai di scatto scoprii con sorpresa che era lui: il ragazzo che leggeva.

Mi rivolse un'espressione dolce, la più dolce che avessi mai visto. Sembrava conoscermi, ed io sentivo la stessa identica impressione dentro di me.

Qualcosa mi attirava verso di lui, una forza magnetica, ma non sapevo cosa. Non riuscivo davvero a capirlo.

Mi prese le mani e mi condusse sul divano verde, dove mi fece sedere per prima, e poi mi seguì, posandosi vicino a me, cingendomi delicatamente le spalle con il suo braccio.

Aveva una t-shirt viola, consunta ormai, ma mi piaceva così com'era infondo.

La cosa che mi colpì di più fu il suo odore : era come se profumasse di un fiore sconosciuto, misto ad un olio di vaniglia, che si avvertiva appena dopo la prima inalazione.

Sembrava straniero, o meglio, aveva i tratti somatici diversi da quelli della gente che vedevo tutti i giorni. Il suo viso sembrava appartenere ad alti tempi, un viso rilassato, dai tratti gentili. La barba ricopriva quasi completamente le mascelle e contrassegnava ancor di più il contrasto con il collo, incorniciandone la forma squadrata. 

Gli occhi allungati, scuri e caldi; le ciglia foltissime che allungavano lo sguardo e lo rendevano ancor più profondo. Le sopracciglia scure disegnavano un arco attorno.

Mi guardò e mi sorprese con le mani nel sacco, e con gli occhi letteralmente intrappolati nei meandri del suo volto.

Mi sorrise, e vidi per la prima volta i suoi canini, che sporgevano un po', toccando il labbro inferiore. La bocca carnosa , impegnata a sfoderare un sorriso mozzafiato.

Improvvisamente mi baciò sulla fronte e io chiusi gli occhi, sentendomi in pace.

Poi, come se fosse stata la cosa più naturale e spontanea sulla faccia della terra, mi appoggiai al suo petto, inspirando a fondo. 

Lui si sistemò meglio e mi strinse ancor più forte.

Sentivo il calore del suo corpo avvolgermi totalmente: ero come chiusa in un bozzolo di calore e felicità, al sicuro da tutto e tutti. E maledettamente in estasi.

Tenevo la mano sinistra appoggiata anch'essa al petto: sentivo il suo cuore battere regolare e poi accelerare, forte, sempre più forte.

Gli rivolsi un altro sguardo di nascosto notando il suo collo da un'altra angolatura. Abbassai di nuovo lo sguardo verso l'addome e mi accorsi in quel momento della sua cintura. 

Era una catena a cui erano legate più catene, con dei ciondoli verdi e altri color argento. Ne presi in mano uno per vedere meglio e mi accorsi che erano piccoli teschietti. 

Lui se ne accorse e mi guardò stupito: gli feci segno toccandomi attorno alla vita prendendo la mia cintura; anch'io ne avevo una simile alla sua, quasi totalmente uguale a dir la verità. 

Mi sorrise di nuovo e poi si alzò prendendomi delicatamente per la mano, portandomi con se.

 

 

 

 

 

 

 

Mi ritrovai in un corridoio buio, da sola, da dove riuscivo a vedere una luce relativamente lontana. Ma cos'era?

Mi avvicinai, di più e ancora: una porta. Una porta antica, con delle tende ai lati, una porta di un palazzo.

Quando fui abbastanza vicina alla luce, uno strano luccichio proveniente dalle mie gambe catturò la mia attenzione: un vestito.

Man mano che mi avvicinavo alla famigerata porta da dove filtrava la luce, il vestito si svelava a me : era nero, o blu, forse. Velato, e dalla pesantezza doveva avere diversi strati in tulle e raso. Sulla superficie riuscivo a sentire la grana dei brillantini della stoffa. Mi cinsi la vita e mi accorsi che era molto avvitato, e da quel punto in poi era arricciato , per permettere alle pieghe lunghe e profonde di ondeggiare ad ogni passo. Aveva una scollatura a cuore, dai tratti morbidi e non molto accentuati, e dalle spalle partivano delle maniche a tre quarti, molto ampie e larghe, ariose, fatte di un velo trasparente tendente al blu. Avevo i capelli raccolti e qualcosa incastonato tra essi. Solo due ciocche rosse scendevano giù dalle tempie.

 

Finalmente raggiunsi la porta, e varcai quella soglia: appena misi piede nella stanza per poco non svenni. Era davvero un palazzo: tempestato di tappeti, con lunghi drappeggi che si calavano dalle alte finestre in vetro colorato. Nell'aria si distinguevano bene l'odore del legno e quello dei colori ad olio. Feci qualche passo in avanti e mi accorsi di trovarmi al piano superiore: da lì infatti potevo affacciarmi dalla balconata e vedere la meraviglia. Una lunga e grande scala di marmo bianco portava ad una sala da ballo, lunga e infinita, il pavimento lucido in legno chiaro: gli immensi dipinti dei discendenti di una famiglia che sembrava molto importante si alternavano alle enormi finestre colorate e costeggiavano entrambe le pareti opposte della sala. Dai soffitti alti pendevano lampadari maestosi, frutto delle mani di artigiani esperti e maestri ; le gocce di cristallo brillavano come goccioline d'acqua al sole, anche quelli più minuti, emanando una luce che andava dalle tonalità del blu al verde.E infine, infondo alla stanza c'erano delle sedie, poltrone tappezzate dalle stoffe più pregiate, dai velluti più morbidi. Avevano l'aria di essere dei troni.

 

All'improvviso delle deboli note pervasero l'aria, invadendola  con dolcezza. Una dolcezza che avevo già assaggiato prima.

Ci vollero poche note perché mi accorgessi che conoscevo quella strana e dolce melodia. 

Man mano che la musica si fece più forte riuscii a capire da dove venisse e guardai dritto davanti a me: infondo alla sala da ballo c'era una figura in piedi che porgeva in collo verso sinistra, cullato dalle note che le sue dita percorrevano con perfetta maestria premendo dolcemente le corde del suo violino. Con passione. 

Quando si voltò, mostrandosi a me, mi resi conto che nel profondo sapevo fin dall'inizio chi fosse. 

Era lui, quell'uomo misterioso con cui attimi prima mi ero sentita perfettamente a mio agio.

 

Ma cosa ci facevo lì? Dov'ero?

Quel luogo d'altri tempi era spuntato dal nulla, semplicemente venendo fuori alla fine di un corridoio buio. Guardavo il pavimento lucido oltre la scala da cui stavo ammirando quel miracolo di bellezza, e mi accorsi che David stava venendo verso di me.

-David?-

La mia mente era molto confusa, come se fosse stata annebbiata da nuvole di luce.

David continuava a suonare mentre attraversava l'immensa sala deserta, i suoi passi scanditi sul pavimento in legno. 

Vestito di tutto punto, in nero, sembrava quasi un miraggio, mentre una rosa blu scintillava, sbucando fuori dal taschino.

Mi guardava, continuava a guardarmi in maniera fissa e costante, quasi come se suonare fosse totalmente superfluo.

Quando arrivò ai piedi della scala vi posò con delicatezza il violino, e solo allora mi accorsi magicamente dell'orchestra che continuava a suonare al suo posto la canzone dimenticata. Arrivò e mi baciò la mano, come facevano i gentiluomini che erano vissuti secoli e secoli prima, appartenuti ad un'altra epoca, un altro mondo, assolutamente lontano, ma che in quel momento, in quel palazzo, mi sembrò così vicino. Talmente vicino da portello toccare e respirare.

Al suo contatto un brivido si sprigionò in tutto il mio corpo, raggiungendo gli angoli più remoti e segreti della mia anima. Le sue mani erano esattamente come piacevano a me, perfette in ogni loro venatura ed ombra. La musica le aveva modellate per me.

Mi prese dalle mani e mi studiò per bene: pregai di sembrare almeno decente, anche se avevo un vestito fantastico, cosa che doveva sicuramente stonare sul mio corpo imperfetto. Invece a lui parve piacere, toccò la stoffa blu all'altezza della coscia, verificandone la consistenza, ma sembrava più interessato a capire se fossi vera, o soltanto un'allucinazione. O almeno così mi parve.

Mi guidò verso la balconata marmorea, diafana, e mi ci appoggiò contro: continuava a studiarmi, a guardarmi, ad imprimersi ogni particolare, come se avesse il timore di dimenticarli troppo in fretta.

Poi mi guardò negli occhi, con determinazione, cingendomi la vita e il busto con le braccia possenti in cerca di complicità.

Ed era semplice, era così naturale abbandonarsi a quelle braccia che quasi mi stupì. Non avevo idea di chi fosse, eppure mi sentivo al sicuro. Eppure mi sentivo legata a lui, come se lo conoscessi da sempre, come se facesse parte della mia vita, come se fosse totalmente mio.

Appoggiò la sua fronte sulla mia e rimase a guardarmi, non perdendo mai quel sorriso dolce che permeava le sue labbra. Sfiorava il mio naso, inalava il mio odore socchiudendo gli occhi, cercava il mio sguardo e adulava la mia bocca.

I cuori battevano più forte, e intanto la musica si agitava, riflettendo ogni fibra dei nostri corpi, che stavano entrando in collisione, pericolosamente.

I nostri nasi si accarezzarono e le bocche iniziarono  a  sfiorarsi in una danza infinita, fatta di sospiri e sguardi ammiccanti.

Le labbra si accarezzarono lasciando la propria essenza sulle altre. David assaggiò il mio sapore guardandomi dritto nell'anima, sciogliendomi. 

Entrambi sentivamo l'altro che riusciva sempre meno a reprimere l'istinto. 

Così ci avvicinammo di più, e bastò un centimetro perché le nostre bocche s'incontrassero, ricongiungendosi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai lentamente e ripresi coscienza dell'ambiente intorno a me. Ero tornata alla realtà, come si fa dopo ogni sogno: ci si sveglia e il torpore diminuisce ogni minuto che passa, il tepore delle coperte sembra svanire come lo stato di dormiveglia e d'un tratto, tra uno sbadiglio e l'altro, cominci a renderti conto che sei sveglia.

 

Mi alzai dal letto e le dita dei piedi nudi si scontrarono con il pavimento freddo.

 

 

… The road is long we carry on..

 

Vienna al mattino sembrava risvegliarsi lentamente dal suo torpore. Dai vetri si vedevano i suoi profili spigolosi e antichi, ma rassicuranti.

Tutte le mattine mi perdevo ad osservarla, ed arrivavo a fantasticare sino alla linea dell'orizzonte. Pensavo che fissandolo intensamente, li avrei rivisti. 

 

...Sometimes love is not enough, the road gets tough I don't know why…

 

Li avevo lasciati lì, dietro di me, rinchiusi sotto chiave in uno scrigno, lontani dal cuore, perché per il momento non volevo rivederli.

 

..Can you make it feel like home?

 

Qui avevo iniziato una piccola nuova vita, che per quanto fosse vuota, era comunque diversa. Avevo preso in affitto una mansarda che si trovava vicina al centro: c'erano ampie vetrate, uno dei motivi per cui la scelsi, da cui mi fermavo ad osservare il panorama, la silenziosa città di notte. D'inverno faceva freddo, ma non più di quanto ne facesse a Parigi. Il parquet scuro scricchiolava, c'erano otto piani di scale da salire a piedi, ma in compenso, a quell'altezza, tutto giaceva, e non c'era alcun rumore, solo il cielo. Era abbastanza spazioso per me e non avrei saputo trovare di meglio. Mi ero innamorata di quel posto istantaneamente e lo avrei lasciato difficilmente.

 

Mi ero laureata in Letterature e Lingue, e seguito un corso di pittura come attività extracurriculare. Avevo trovato lavoro in una libreria, e per quanto la paga fosse minima, mi piaceva davvero quello che facevo. Oltre a questo, ricevevo degli incarichi da parte della casa editrice con la quale avevo dei contatti: così, grazie al lavoro di traduttrice freelance riuscivo a mantenermi più che bene. 

 

Nonostante tutti gli anni che erano passati, mi piaceva ancora molto andare all'opera: di solito ogni due mesi ci trascinavo la mia amica Jaqueline, un'inguaribile anima rock che tentava di convertirmi. 

L'avevo conosciuta al secondo anno, era più piccola di me, quindi per lei ero e mi sentivo come una sorella più grande. Un giorno si era presentata alla mia porta con un quarto dei suoi "CD più belli di sempre", dicendo che dovevo farmi una cultura musicale più ampia, e non fermarmi soltanto a Chopin e qualche altro parruccone. In effetti fu una bella esperienza, liberatoria, e non fu una cosa totalmente nuova: infatti molte di quelle canzoni le avevo già sentite, in una circostanza o l'altra. 

Presto però iniziai a sviluppare un forte senso critico verso il materiale che mi portava e iniziai a manifestare gusti musicali personali. Jaqueline era felice di avermi smossa dalla mia antichità, ma non condivideva il mio << nuovo genere musicale depresso >>. 

Era una ragazza simpatica, ma completamente pazza. Era stata sempre lei ad iniziarmi ai concerti e quando sul palco saliva la sua band preferita si trasformava in una pazza furiosa urlante. Ma nonostante ciò le volevo bene, ed era stata l'unica che non mi avesse rivolto la parola solo per chiedermi informazioni riguardo alle aule.

 

La mia vita ormai era qui, e non sentivo alcun bisogno di tornare indietro. Per quanto mi mancassero a volte, di notte, non avevo la forza per tornare indietro, per avere la fermezza di rivederli. Mi feriva, ma ogni parte di me mi diceva che dovevo rimanere dov'ero. 

Ci tenevamo in contatto, mamma mi chiamava almeno una volta al mese e ci raccontavamo in lunghe telefonate come andavano le cose, il lavoro, com'era il tempo. Nonostante la nostra costanza era evidente che le cose erano diverse, che i rapporti si erano raffreddati. Le volte con cui avevo parlato con mio padre da quando me ne ero andata si potevano contare sulle dita di una mano: ogni volta me lo immaginavo che dalla poltrona intimasse a mia madre che non desiderava parlarmi, con un gesto lento, di rassegnazione. 

Lo immaginavo in tutta la sua testardaggine, nei suoi silenzi, al suo piano. Immagini dolorose che si susseguivano. E a volte mi sentivo più colpevole di quanto fossi in realtà.

 

..but I'm still doing all I can to try and get me some redemption…

 

 

Ero diventata quasi una ragazza normale, che usciva e aveva amici. Ma quando ero in compagnia notavo quanto gli altri fossero profondamente diversi; mi sentivo fuori posto, differente, perché mi ero persa tutto ed ora quel training velocizzato ed intensivo per diventare una persona normale della mia età, mi faceva notare che non serviva un semplice upgrade per recuperare ciò che non avevo vissuto. 

Ero inesperta, e lo ero in tutto. Ma proprio in tutto. 

Quando ero da sola invece tutta questa pressione e diversità non la percepivo, forse semplicemente perché rimaneva assopita sotto lo strato di pelle. Di sicuro l'unica che non mi facesse sentire totalmente a disagio e Jaqueline, e le ero segretamente grata per questo.

 

 

 

 

 

 

A lavoro l'atmosfera era molto più pacata, anche perché non c'era alcun bisogno di lavorare sul rapporto venditore-cliente, dovevo semplicemente cercare, catalogare ed organizzare libri. La cosa che mi piaceva di più era il forte odore cartaceo che permeava l'ambiente e l'aria. Era un ampio spazio con un mobilio interamente in legno in ciliegio: gli scaffali profondi e altissimi, inoltre la libreria si sviluppava anche su un altro piano a cui si accedeva con due scale, e circondava l'intero perimetro del negozio con le sue librerie disposte in fila una dopo l'altra. 

Il capo mi lasciava leggere un libro al mese dalla sezione usato senza pagare nulla, giusto perché a volte capitavano intere giornate vuote. Purtroppo in questo settore la crisi si era fatta sentire, e non poco. Insomma poi, con le diavolerie ed il formato e-book si era quasi totalmente perduta quella magia che sta nello sfogliare ed accarezzare le pagine dei libri, e soprattutto nel comprarli. Dall'altro lato però vendevamo molto tramite internet, dal momento che avevamo molte edizioni rare o cimeli che ormai in giro non si trovavano più, neanche a pagarli oro. Naturalmente quelli che m'interessavano di più li acquistavo sottobanco per non farmeli sfuggire; guai se non li avessi avuti, me ne sarei pentita di lì a subito. I libri per me erano come pezzi di anima: in ognuno c'era un po' di me, qualche tratto, un pensiero, un gesto che mi rappresentava. 

 

Quel giorno, inaspettatamente arrivò una folla di turisti che si riparò dalla pioggia e poi fece qualche acquisto per ammazzare il tempo ed aspettare che spiovesse. 

Alla cassa c'era molta fila quindi il capo aprì anche l'altra alla mia destra, che di solito era perennemente chiusa e in disuso. Mentre passavo da un cliente all'altro entrò Jaqueline dalla porta d'ingresso facendo un gran baccano con il campanellino al di sopra della sua testa.

" Ehi! Avevo ragione, sei ancora qui"

" C'è molto da fare, come vedi "

Le feci segno con gli occhi che non era il momento per uno dei suoi sfoghi isterici: di solito arrivava tutta sparata e scoppiava in lacrime parlando dei problemi con il suo ragazzo, Joseph, con il quale aveva molti alti e bassi ( e molti era riduttivo ), quindi ogni volta che il mio capo, il signor Christiensen, la vedeva arrivare si faceva il segno della croce, sperando in cuor suo che se ne andasse presto. Pover'uomo! Provavo quasi pena per lui.

Pregai che non fosse venuta a lamentarsi come il suo solito, e fortunatamente era solo passata per riferirmi dei programmi della serata. Si mise in fila ed aspettò che tutti i clienti se ne fossero andati; poi venne il suo turno.

" Io e Joseph abbiamo litigato " esordì. ' Eccoci, ci risiamo' pensai.

" Ma non voglio stare qui a parlare di quell'idiota, stavolta non mi faccio rovinare la serata. Il fatto è che dovevamo andare ad un concerto insieme e lui mi ha fatto largamente girare le scatole con quella Babette - accentuò il nome con una smorfia buffa - quindi che vada al diavolo. I biglietti sono ormai introvabili e mi rode andarci da sola, quindi mi chiedevo…."

" Si, va bene"

" Oh, davvero?" fece gli occhi dolci.

" A che ora è?"

" Tra un'ora "

" Mhm. Devo passare a casa farmi una doccia, non posso in queste condizioni. Il cambio che ho di là può andare , ma.."

" Eh no cara, stasera si cambia! Non siamo mai andate a vedere nulla di questo genere; è una serata un po' più elegante. Il tizio è un solista, uno sofisticato, quindi ci vuole qualcosa di più mia cara. "

Rimasi perplessa. Da quando ci voleva lo smoking per andare a un concerto rock? Decisi di non fare domande e di mettermi completamente nelle sue mani.

" Ok, mi fido. Qualche indicazione però me la potresti anche dare, sei perfida!"

" No no. Stavolta sarà una sorta di concerto al buio"

S'incamminò verso l'uscita e prima di andar via si voltò.

" Vedrai, sarà tutta un'altra musica, ragazza. Ci vediamo tra quaranta minuti sotto casa tua, ti passo a prendere come al solito. Mi raccomando, non sono il tuo ragazzo, quindi non farmi aspettare "

'Il mio ragazzo', si, come no. 

" Trust me sister "

Si voltò e uscì dalla porta a vetri.

 

 

 

Quando arrivai a casa mi spogliai gettando i vestiti sporchi atterra e m'immersi nel vapore della vasca da bagno. Asciugai i capelli fermandoli con un fermaglio e andai davanti all'armadio: cosa poteva fare al caso mio quella sera? Non volevo vestirmi molto elegante, infondo non era un matrimonio, ma nemmeno con troppa semplicità. Avrei potuto accendere il laptop e scoprire chi diavolo sarei andata a vedere, ma volevo preservare la sorpresa; infondo era solo un concerto.

 

 

 

"Siamo in ritardo, accidenti ! "

" Stavolta io ero in orario "  sorrisi a trentadue denti verso Jaqueline.

" Comunque non preoccuparti, il posto non ce lo rubano. A proposito, hai pagato molto i biglietti? Devo darti ancora la mia parte "

Spense l'auto dopo aver fatto la sua lunga e precisa manovra e scendemmo dall'auto.

" Non dire scemenze, sono felice che tu abbia accettato, è già troppo considerando che ti ho informata solo un'ora prima"

" Questo non vuol dire nulla. Ma ho l'impressione che se continuo mi sbranerai.. Almeno li hai pagati poco?"

" Si, non preoccuparti. Dai, affrettiamoci, starà quasi per iniziare ".

 

 

 

 

Il Wiener Konzerthaus era molto suggestivo, era il classico posto in cui vagavi con la mente e ti sentivi in altri tempi; ampi lampadari appesi al soffitto, luminosi, scale ricoperte da tappeti rossi, statue. Ma non era il mio preferito tuttavia.

Prendemmo posto nella sala e girandomi vidi Jaqueline che sollevava i pollici, in segno di vittoria. Che matta.

Le luci erano basse e da un momento all'altro si sarebbe alzato il sipario.

Eravamo in sesta fila ed io ero lato corridoio, un posto che praticamente odiavo, ma che era strategico se volevi andartene indisturbata. Per un momento considerai quella sciocca idea perché ero davvero esausta e stanca di quella giornata che non sembrava finir mai, ma poi mi dissi che prima di darmela a gambe avrei dovuto vedere di cosa si trattava perlomeno.

 

Le luci si spensero e notai l' impercettibile ondeggiare della tenda bordeaux del sipario. D'un tratto la luce bianca si volatilizzò al centro del palco e una figura si materializzò sul palco.

Un uomo alto, vestito di nero con una t shirt chiara: la testa in posizione chinata, un violino sotto il mento. Barba, capelli biondi raccolti in una coda.

' David ' urlai in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

 

 

Salve !

 

So che nel primo capitolo può sembrare tutto molto confuso e misterioso, ma tutto ha un senso e comincerete a capirlo presto. 

Tutto nasce da un sogno che ho fatto giorni fa e oltre ad aver visto qualche foto di questo fantomatico personaggio, non sapevo davvero chi fosse, ne tantomeno avevo ascoltato qualcosa di suo. Il sogno è davvero avvenuto ed è lo stesso della one-shot che ho pubblicato praticamente l'altro giorno. Purtroppo la garrettite, o come si chiama, ha infettato anche me, e ringrazio DarkYuna per questo !

Il motivo per cui ho deciso d'impelagarmi in un'altra storia è che dopo aver scritto la one-shot non ero totalmente soddisfatta ed inoltre la mia mente aveva già iniziato a mettersi in moto e a sviluppare la storia.

Come sempre, sto cercando di attenermi e mantenermi il più fedele possibile alla realtà, anche se sarà difficile XD

 

Il Wiener Konzerthaus di Vienna esiste davvero e qualche anno fa David Garrett vi ha realmente tenuto un concerto.

 

I versi che ho inserito tra la fine del 1 capitolo e l'inizio del 2, sono di Born to Die di Lana del Rey. Di solito non ascolto questo genere di musica, ma in alcune canzoni ho notato che questa cantante ha una vena piuttosto depressa e malinconica, quindi che dire, siamo sulle frequenze giuste! 

Un altro verso invece, è tratto da Hold on to me dei Placebo.

 

Spero che quest'inizio abbia stuzzicato il vostro appetito e che arriveranno tante recensioni e pareri/commenti o quello che volete. Come dico sempre, fanno molto molto piacere**.

Inoltre si accettano scommesse sul nome. Chissà, forse potreste indovinare: dopo averlo deciso l'ho poi cambiato, perché ho trovato finalmente il nome perfetto per la protagonista, o almeno così credo.

 

Buon proseguimento.

 

Kiitos.

 

 

-fachiluna

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Altri / Vai alla pagina dell'autore: kuutamo