Disclaimer: I personaggi non
mi appartengono
La storia è scritta senza fine di lucro.
In A Sky
Full Of Stars
I Think I
Saw You
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Loading Soundtrack.
Aprile 2013
A Sky Full Of Stars -
«E quindi cosa vorresti fare?»
C’era il tintinnio delle posate e il
labbro inferiore di Steve umettato di champagne. Cameriere in livrea viola, il
tramonto cremisi sulle cime angolose dei grattacieli, ghirlande di luminescenza
rossa su tutta Manhattan.
«Mi sono reso conto che se avessi la
possibilità di rielaborare tutto…La mia scelta sarebbe molto banale. Il numero
quattro della lista sarebbe un bacino migliore, sai?*»
Il Capitano arricciò la bocca in un
quieto sorriso, strinse il collo del flute tra le dita e avvicinò il bicchiere
alla bocca. Prese tempo con quel gesto e per un po’ non disse nulla, invitando
il compagno a continuare. Sapeva che c’era altro, nella plateale reticenza di
Stark, quindi gli regalò la studiata suspense che lo sguardo irridente
reclamava a gran voce, e attese.
«E ho pensato…Quanto sarebbe piccolo
allora il mio lascito? Solo qualche ritocco pratico?*»
«Non avevamo superato la fase dell’egocentrismo
ipercritico, signor Stark?»
Tony alzò la mano, a chiedere un
tacito minuto di pausa. Steve glielo concesse, appoggiò una minima porzione del
gomito sulla tavola, la nocca dell’indice piegato sulle labbra schiuse;
socchiuse le palpebre, attento, segno che gli stava prestando ascolto ed
orecchio.
«Se è meno di quello che posso fare, non basta. Devo essere ispirato. Devo pensare più in grande, quindi devo trovare il modo di
essere ispirato in maniera più grande ed è per questo che devo…*»
Il magnate lasciò cadere la frase e
gli occhi del Capitano raccolsero il resto spostandosi impercettibilmente oltre
le grandi finestre del ristorante. Lo sguardo si perse all’orizzonte e Tony sorrise,
giacché sapeva cosa stesse osservando, in che luoghi remoti e siderali la sua
mente e i suoi pensieri stessero spaziando.
«Sai.» esordì Steve, un bruscolino di
crepuscolo a balbettare tremulo nelle iridi azzurre «Ho sempre pensato che se
non fossi rimasto intrappolato nel ghiaccio, mi sarebbe piaciuto poter muovere
anche un solo passo sulla Luna.»
Aprile 2014
When I’m With You -
Dovrò essere
diverso dove andrò. Aveva
concluso Tony, ritto sulla pedana sopraelevata del Laboratorio, mentre J.A.R.V.I.S.
lo aiutava ad indossare i pezzi dello scafandro Nuovi orizzonti. Nuove sfide. Nuova armatura. Nuova tecnologia
integrata. Nuove opzioni*.
Tra queste una linea criptata diretta,
ad uso esclusivo di entrambi, ed una postazione di tutto rispetto nel
Laboratorio, da dove il Capitano avrebbe potuto comunicare e rimanere in contatto
con lui ogniqualvolta ne avessero avvertito il bisogno o il desiderio.
Su richiesta di Steve, poi,
J.A.R.V.I.S. aveva impostato quella “corsia preferenziale” in modo da essere
raggiunto anche alla trasmittente che portava all’orecchio. Non sarebbe stato
in grado di vederlo, come invece accadeva grazie allo schermo digitale della
Tower, ma gli era comunque possibile parlargli e tanto bastava.
«J.A.R.V.I.S., sei attivo?»
Steve entrò del Laboratorio proprio
mentre la fedele AI rispondeva con un metallico e professionale Per lei sempre, signore. Una mano sullo
schienale della seggiola girevole e subito il Capitano l’aveva spinta indietro,
vi si era accomodato con il braccio allungato sulla tastiera olografica e aveva
digitato rapidamente alcune cifre ed altri dati per l’accettazione.
«J.A.R.V.I.S., linea criptata
IronCap.» ordinò e l’eccitazione, il vibrante mormorio entusiastico dell’attesa
traspariva nella voce affettata, negli scatti convulsi delle dita, nei colpi
decisi dei polpastrelli «Protocollo di accesso, Capitan America 00008643-34CAP.
Codice di attivazione: IronShield.»
Il sussurrio ronzante della connessione,
il palpito blu e bianco dello schermo, l’istante di sospensione, il fiato
trattenuto…
Buonasera,
Cap.
E Steve non poté trattenersi dal
ridere, come rideva ogni giorno da un anno a quella parte, ogni sera, ogni pomeriggio,
la preoccupazione che si liberava improvvisa dall’agonia dei polmoni contratti,
la tensione che evaporava e scompariva, inutile e impalpabile, non richiesta.
«Sono le dieci del mattino, Tony.»
Il volto digitale di Stark sollevò le
sopracciglia in un genuino moto di sorpresa, la bocca disegnò e modellò una o di perfetto stupore.
E’
difficile tenere il conto delle ore nello spazio, sai com’è.
Il Capitano rilassò le spalle contro
lo schienale e serrò le braccia al petto, il volto piegato di lato. Seguì i
lineamenti netti del compagno, la barba appena incolta che seguiva gli angoli
delle labbra e il declinare degli zigomi, pizzicando elegante la curva del
mento.
A cosa
pensi?
«All’Universo.» mentì Steve, ben
sapendo che l’altro aveva già la risposta in mano ancor prima di formulare la
domanda «A quanto è grande. A quanto è immenso. Sei via da un anno, quanto hai
visto?»
Non
abbastanza gli
occhi di Tony ebbero un guizzo, un bagliore impressionante, incontenibile e
incontentabile Non ho visto nemmeno il
minimo di quel che l’Universo ha da offrirmi. Davanti e dietro di me, ai lati,
sopra e sotto, la via è sconfinata. Non so se sia davvero infinito come dicono,
ma sono seriamente tentato di scoprirlo.
Il sorriso di Steve si ottenebrò un
momento e quello dopo era tornato a sorvolare la bocca, sfumato da un brivido
appena di malinconia. L’esaltazione di Tony gli scorreva nelle vene come sangue
e sfolgorava, esplodeva nella cassa toracica, un virus che si trasmetteva con
le sole parole.
Ma alla stregua un virus, a poco a
poco l’infezione lo stava debilitando, lo stava avvelenando di false promesse
di ritorno e scenari disastrosi di morte, solitudine e tragedia. Il
febbricitante calore ora lo gelava, lo intirizziva, lo sbigottiva di battiti
mancanti e ansia crescente, soffocante.
«Potresti davvero.» ammise e si
chiese se il tono fosse rassegnato come gli era parso di udire nella propria
mente «Dove andrai, adesso?»
Seconda
stella a destra cominciò
Tony, torcendo la bocca in una smorfia che era un po’ invito a continuare e un
po’ presa in giro.
«E poi dritti fino al mattino.»
completò per lui il Capitano, riacquistando un briciolo di contegno «Vorrei
essere lì con te.» confessò, abbassandogli gli occhi sulle mani chiuse a pugno.
Si morse la lingua, per aver dato seguito al pensiero fulmineo del panico.
«Vorrei poterti accompagnare.»
Un ghigno sibilino e mefistofelico
arcuò le labbra sottili del magnate, cosa che portò Steve ad aggrottare la
fronte e arretrare la testa, guardingo e vigile. Il compagno aveva qualcosa in
mente e per esperienza sapeva che non sempre ciò era un bene.
J.A.R.V.I.S.
connettiti al mio visore e attiva il proiettore olografico tridimensionale, per
cortesia.
Ed il Capitano balzò il piedi, la
sedia piombò contro pavimento. Steve compì un incredulo giro su stesso,
incespicò sui piedi e quasi cadde, il respiro franò nella gola improvvisamente
secca. Rantolò per lo stupore, la sorpresa, l’assoluta, totalizzante
meraviglia.
Del Laboratorio non era rimasta che un’ombra
intangibile, un riflesso di sogno: al suo posto crateri e bubboni di terra
argentata, slarghi più o meno profondi, piccoli buchi, inghiottitoi spaventosi,
avvallamenti microscopici e depressioni smisurate, simili al morso di un
animale mastodontico o alle impronte di un gigante.
Non c’era orizzonte, bensì un cielo
nero senza confini, liquido di inchiostro, trapunto di virgole brillanti e
stelle infinitesimali a susseguirsi l’una dietro l’altra come disordinati segni
di punteggiatura.
«Questa è davvero…?»
Benvenuto
sulla Luna, Cap.
Dicembre 2015
Say When –
Non avevamo superato
la fase dell’insonnia, signor Rogers?
Il
ticchettio della pioggia era vacuo e rassicurante.
Cantava
di ricordi vissuti e memoria ancora da costruire, di dolore che si sarebbe
trattenuto come la tempesta e come la tempesta avrebbe tuonato, urlato e
bestemmiato a gran voce prima di rimpicciolire e scomparire per sempre.
Dalle
finestre ombre acquose s’appiccicavano oblunghe alle pareti della camera da
letto, scivolando grottesche sulla schiena nuda di Steve. Girato con le spalle
ai vetri, il braccio sinistro sotto la testa e i fianchi coperti dalle coperte
spiegazzate, guardava il volto di Tony e Tony lo fissava di rimando dal
pannello dello Stark Padd in equilibrio sul materasso.
«Mi
sento come Gatsby che tende la mano alla luce verde del pontile» mormorò il
Capitano «Sei vicino come le stelle, agli occhi della mia immaginazione, ma con
le dita non posso fare altro se non sfiorare la distanza tra me e loro, tra
loro e te, raddoppiando così la lontananza fra di noi.»
Stark
non disse nulla e c’erano nuove rughe incise agli angoli delle palpebre. Il
Capitano le aveva contate e non smetteva di preoccuparsi: ad ogni chiamata ne
trovava sempre una di più. Grinze sottili s’accartocciavano sulla fronte
altrimenti distesa, una cicatrice bianca gli divideva a metà il sopracciglio
sinistro. Su come se l’era procurata, Tony aveva borbottato una scusa
semi-plausibile, senza accennare alla verità tranne che per il minimo
essenziale.
«Mai
come ora ho provato l’ansia e il terrore e il freddo a questo pensiero»
continuò Steve, visto che l’altro si ostinava a restare in silenzio «Mi si
spezza il respiro quando mi rendo conto che ti trovi in un luogo dove non mi è
e non mi sarà mai possibile raggiungerti.»
Una
goccia commossa, scura e densa, macchiò lo sguardo rigido di Stark. La bocca
ebbe un impercettibile tremito ed il cuore di Steve si serrò con un guaito.
Ho visto così tanto e il tono era
stanco, sfibrato, un’eco impossibile da racchiudere, rinchiudere o ripetere. Le
parole si proiettavano dallo schermo alla stanza e crollavano sulle coperte,
perdevano sostanza, divenivano niente più di una vaga imitazione di dialogo e
presenza Abbiamo visto. Ma in realtà…Non
abbastanza*.
Il
Capitano chiuse gli occhi e mantenne le palpebre serrate per un tempo che parve
infinito ad entrambi. Recepiva la distanza, la comprendeva.
Respirava
l’assenza, la faceva propria, la rendeva tangibile –Disperato com’era, l’assenza
di Tony era l’unica cosa che gli permettesse di averlo accanto a sé.
Il
vuoto lo riempiva e nulla era mai stato così desolante.
Infine
fece scivolare la mano destra sullo Stark Padd, i polpastrelli premuti sullo
schermo. Dall’altra parte, il compagno compì il medesimo gesto.
Vedersi,
senza potersi toccare.
Talmente
vicini da sfiorarsi, senza esserne davvero in grado.
Mantieni il mio
equilibrio
bisbigliò Tony e non era una richiesta, non era un ordine, era una preghiera, un appiglio disperato quanto
la pioggia che cercava di rimanere aggrappata alle finestre, sbattuta qua e là
dal vento, per non cadere, franare, frantumarsi e dissolversi per sempre Ricordami di casa*.
E
Steve sorrise un soffuso sorriso di pianto.
«J.A.R.V.I.S.,
sei attivo?»
Per lei sempre,
signore.
Le
ossa gemettero, scricchiolarono e, Dio, da quando l’articolazione della spalla
si era fatta così malandata? Doveva essersi contuso in maniera più grave di
quanto avesse preventivato, durante lo scontro con l’A.I.M.
Quando
era stato? Uno, due mesi prima…? Oh, che importava? Non significava nulla.
Sarebbe passato. Tutto sarebbe passato, come la pioggia e come il dolore.
Steve
entrò nel Laboratorio, strascicando i piedi stanchi e sollevando sbuffi asmatici
di polvere.
Strano.
Eppure era sicuro di aver pulito, di recente, di essersi dedicato al
Laboratorio come al solito, forse tralasciando lì, un angolino un po’ più in ombra
degli altri, e forse quell’altro, un poco relegato, perché la schiena aveva
cominciato a fargli male, oh così male, e dannazione, gli sgherri dell’HYDRA stavano
diventando davvero bravi a menare le mani. Si erano fatti audaci e veloci e
rapidi, lo coglievano di sorpresa troppo spesso, ultimamente, doveva chiedere a
J.A.R.V.I.S. di aumentare il livello di difficoltà nella Sala di Allenamento.
Non
voleva certo farsi trovare impreparato. Era Capitan America, maledizione, che
figura ci avrebbe fatto colpito alle spalle da un pivellino imberbe fresco
fresco di addestramento nazista?
Borbottando
e brancicando e masticando di questi pensieri, Steve serrò faticosamente le
nocche sullo schienale della sedia girevole e la tirò indietro, sfiatò, tossì e
si accomodò, ignorando l’uggiolio di protesta delle ginocchia e del bacino sgangherato.
«J.A.R.V.I.S.,
linea criptata IronCap.» ordinò, la voce arrochita, il tono claudicante «Protocollo
di accesso, Capitan America 00008643-34CAP. Codice di attivazione: IronShield.»
Una
schermata di attesa esplose nel ventre gelido del Laboratorio ed il Capitano fu
costretto a coprirsi gli occhi per non venirne abbagliato.
«J.A.R.V.I.S.,
per l’amor di Dio, abbassa la luminosità, accidenti…!» protestò e la gola si
raschiò di quel grido sgraziato, insozzato di saliva, gemebondo e acido.
Devo iniziare la
registrazione, signor Rogers?
Era
forse compassione, quella dell’AI?
«Sì,
sì» grugnì Steve, pigiando le dita sulle palpebre molli «Fai partire la
registrazione, sì.»
Registrazione
partita, signor Rogers.
Il
Capitano annuì distrattamente col capo un paio di volte, quindi ingoiò una
poderosa sorsata d’aria e si schiarì la gola, succhiò le labbra, Mh, disse, indeciso su come cominciare,
se proseguire, se davvero sussistesse ancora la necessità di finire.
«Credo»
esordì, titubante «Credo che sia giunta l’ora per me di appendere lo scudo di
vibranio al chiodo e prendere finalmente quello olografico. Hai presente, no?
Quella diavoleria che mi hai regalato…Parecchio tempo fa. Insomma. Non c’è
bisogno di…Non importa.» s’affrettò a scuotere la mano, a scacciare una zanzare
fastidiosa «Non fanno più lo Shawarma. Hanno chiuso il locale, pensa un po’.
Non che mi piacesse, a dire il vero, ma per te non era sgradevole, quindi mi è
dispiaciuto. Ho pensato a te, ti dirò. Ad essere sinceri...» una risata rozza e
triste «Tutto quello che vedo mi fa pensare a te. Clint dice che il giorno in
cui scambierò una stella cadente per la tua armatura, allora avrò dato
completamente di matto. Forse ha ragione, però non per questo ho smesso di
alzare gli occhi al cielo ed attendere un tuo segnale. Non ti scambierò per una
stella cadente, lo prometto.»
Steve
tacque, intrecciò le dita sotto il mento, gli occhi grigi e slavati si persero
in lontananza.
«Mia
madre diceva che le stelle erano gli Angeli di Dio. Tanti quanto le persone su
questo mondo, ognuno può riconoscere la propria perché è la più brillante tra
quelle incastonate nella volta celeste. Non so se ci ho mai davvero creduto,
neanche da bambino. Non so nemmeno perché mi è venuto in mente ora, sai? E’
stato un pensiero, così, scardinato e sconclusionato. Mi capita. Penso e parlo
e il più delle volte parlo di te, devo essere venuto a noi a molte persone.
“Comunque.
A volte mi domando se tu sia partito per cercare la tua stella, il tuo Angelo,
per trovare l’astro più splendente dell’Universo. Oppure se sei partito per
capire se esso è davvero infinito come dicono. Per sapere che colore hanno le
nebulose. Ascoltare il canto dei venti siderali. Mille e più voci, reticoli di
popoli e conoscenze al limite dell’umana comprensione. E tu, tu, Tony, a
lacerare il velo della nostra ignoranza. A squarciare il nostro pregiudizio. Ad
aprirci la strada verso nuovi orizzonti. Verso cieli infuocati, oceani di
polvere e diamanti…A volte mi domando se sei partito e basta, perchè era ciò
che volevi e ciò che tu vuoi tu lo prendi, guardi al futuro e non ti volti
indietro, accada quel che accada. Sei partito, ne sono sicuro, perché l’Universo
semplicemente era parte di te ed era giusto che tu avvertissi una buona volta
il tepore dello Spazio sulla pelle. Fin dalla nascita siamo chiamati a
qualcosa. Tu sei stato chiamato ad innalzarti spanne e spanne al di sopra dell’uomo
comune, doveva soltanto arrivare il momento adatto a partire.»
Il
sospiro di Steve mutò in flebile ululato, in gemito e lamento. Portò la mano a
sostenere la fronte, le dita a nascondere gli occhi. Quando le scostò, una
traccia del loro passaggio era ben visibile dalla linea lucida che dall’angolo
delle palpebre solcava la guancia fino al mento.
«Quante,
oh, quante meraviglie.» sussurrò «Più di quante possa immaginare, meno di
quante me ne racconterai. Non tralascerai nulla, dalla notte al mattino
continuerai a narrarmi della vastità e dell’oltre, il pomeriggio ci coglierà ancora
insieme e tu ancora non smetterai, mi porterai con te e vivrò quei giorni
insensati, senza né prima né dopo, né sopra, né sotto, avanti e indietro, come
una presenza fantasma sorvolerò lo spazio della tua memoria e del tuo cuore e
forse, allora, finalmente, troverò il mio posto in esso…»
La
frase sfumò e divenne silenzio.
Un
gesto malandato del polso, un gesto disarticolato della volontà, la
registrazione si involò e partì e trasmise l’agonia ai venti che animano le
frange più lontane dell’Universo.
Non
aveva più la forza di parlare, Steve, curvo su se stesso, incapace persino di
arrendersi.
Non
aveva più speranza, se non per un ultimo, fioco mormorio.
«Io,
tassello mancante sempre a guardia del tuo ritorno.»
In
un angolo remoto e lontano, senza direzione e senza nome, un luce sfolgorò d’azzurro.
Ma
nello Spazio non c’è posto per il suono, l’Universo non è fatto per le parole,
trattiene e vanifica ogni messaggio, assorbe ogni preghiera.
La
spia fluttuò ancora per qualche minuto, riflessa nella concavità scheggiata del
casco.
Poi,
fatto il suo tempo e adempiuto al suo compito, con un singhiozzo si spense.
E
tutto tornò silenzio.
Aprile 2037
For Blue Skies -
Note
Le
frasi di Tony contrassegnate dall’asterisco vengono da MarvelNow!Iron Man #3.
Gli
autori delle canzoni sono, in ordine: Coldplay, Ben Rector, The Fray, Strays
Don’t Sleep.