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Autore: Mary P_Stark    30/06/2014    1 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 11
 
 
 
 
 
L’ufficio di Big Mama era come lo ricordava.

Ordinato, pulito, efficiente… e ti metteva addosso una strizza da paura.

Ogni mobile, la loro disposizione, il modo in cui la luce penetrava dalla finestra per posarsi sulle spalle ampie di Magdaleine Bennett, tutto cospirava contro coloro che avevano la sfortuna di essere convocati lì.

Ma Summer, quel giorno, neppure se ne accorse.

Lei aveva già incontrato le ombre più oscure e terrificanti perciò, penetrare nella tana di Big Mama, non era che un corollario insignificante.

Quando la donna la invitò ad accomodarsi su una confortevole poltrona di pelle, accavallò le lunghe gambe, abbracciate da jeans scuri, e scrutò dubbiosa la cartella che Magdaleine teneva aperta sulla scrivania.

Le mani fresche di manicure sostavano apparentemente pazienti sul sottomano di pelle scura, ma gli occhi della donna lasciavano trasparire un’ansia feroce, forse molto vicina alla rabbia.

Accanto alla cartella, infatti, si trovava la sua lettera di licenziamento.

“Ho letto il rapporto preliminare sul Kilauea. Come sempre, ottimo lavoro” esordì Big Mama, fissandola con attenzione nei brillanti occhi da gatta.

Summer accettò il complimento con un cenno del capo – quel giorno, le onde ramate erano rigorosamente strette in una treccia – e mormorò: “Tendo sempre a pensare che il meglio sia la scelta giusta.”

“E questo fa di te la più giovane leader che io abbia mai spedito in giro per il mondo, ragazza, ma proprio non capisco cosa ti sia saltato in mente, stavolta” brontolò Magdaleine, prendendo finalmente in mano la busta. “Cosa vorrebbe dire che intendi andartene di qui?!”

Le ottave salirono di parola in parola, ma Summer non vi fece caso.

Ormai, era diventata cieca e sorda a qualsiasi cosa.

Anzi, gli scoppi d’ira le piacevano ancor più del solito, perché se ne abbeverava spudoratamente.

“Esigenze lavorative mi spingono ad allontanarmi da Washington” asserì laconica la vulcanologa, spallucciando.

“Posso spedirti in uno qualsiasi dei nostri uffici sparsi per gli States, se è solo un problema di spazi” precisò il suo capo. “Ma vorrei sapere il perché.”

“Divergenze comunicative. Non me la sento più di lavorare qui” si limitò a dire la giovane, imperturbabile in viso.

Aggrottando la fronte, Magdaleine borbottò contrariata.

“Quel farfallone di Brenton ti ha fatto delle avances non gradite?”

“Mike è a posto, e così pure John. Nessun problema simile, ma ho divergenze d’opinione con una persona e, in tutta onestà, non me la sento di lavorarci assieme. Il mio lavoro non ne trarrebbe alcun profitto” le spiegò un poco meglio, preferendo però non dire con chi avesse dei problemi.

Big Mama sospirò pesantemente, scosse il capo e infine disse: “Senti, facciamo così. Ti respingo la richiesta di dimissioni, perché per nulla al mondo ti lascerò a quei cervelloni del MIT, e ti spedisco nel nostro Centro Studi a Hilo, va bene? Vai d’accordo con il dottor Kaneda e soci, no?”

“Certo” assentì Summer, ripensando ai giorni trascorsi sull’isola hawaiiana.

Il  Centro NOAA sulle pendici del Kilauea le era sempre piaciuto e forse, a conti fatti, trovarsi così vicino a una sua fonte di energia era la scelta più giusta.

“Allora ti faccio trasferire lì, ma non ti sognare mai più di chiedermi di lasciarti andare, perché piuttosto ti faccio legare nello scantinato” borbottò Magdaleine, portandola a sfoderare un timido sorriso.

“Va bene” assentì allora l’altra, reclinando appena il capo.

Un attimo di silenzio e Big Mama, con tono stranamente gentile, le domandò: “Non vuoi davvero dirmi dov’è il problema?”

“Non è risolvibile, e preferisco far venire il mal di pancia solo alla sottoscritta” dichiarò Summer, levandosi in piedi sugli eleganti stivali Jimmy Choo che indossava quel giorno.

“Posso almeno offrirti  un antiacido?” ironizzò allora la donna, imitandola.

La vulcanologa ridacchiò brevemente, prima di oltrepassare la barriera composta dalla scrivania e, a sorpresa, abbracciare il suo capo.

“Mi mancherà… davvero” sussurrò lei, stringendola con forza.

“Un posto per te ci sarà sempre, qui. E poi, in ogni caso, sarai solo lontano da casa, non del tutto fuori dal mio raggio d’azione. Saprò come romperti le scatole anche là” si divertì a dire Magdaleine, battendole affettuosamente le mani sulla schiena.

Summer rise sommessamente e, nello scostarsi, mormorò: “Lo faccia, la prego.”

“Sai che esiste il detto ‘attento a ciò che chiedi perché sarai esaudito’, vero? Non mancherò di farlo, stai tranquilla” ghignò la donna, prima di allontanarla con un gesto della mano. “E ora sciò, ragazza. Ho altro da fare.”

La vulcanologa si mise sull’attenti e Magdaleine, dopo averla vista uscire, borbottò tra sé: “Ma che diavolo ha combinato, John, per farla fuggire così? Possibile che si sia risvegliato dinanzi a lei, perdendo il controllo?”

 
¤¤¤

“Hawaii?!” esclamarono all’unisono i suoi familiari.

Summer si limitò ad annuire e, nel sorseggiare del buon the ghiacciato alla luce altalenante del falò, che avevano acceso nel braciere dietro casa, borbottò: “Non ho detto che andrò a Timbuctù. Con un aereo posso andare e tornare quando voglio, e in poche ore.”

“E… e il MIT?” tentennò Winter, non sapendo bene se fosse o meno  una bella notizia, quella appena propinata dalla gemella.

“Big Mama mi avrebbe scotennato, piuttosto che darmi il consenso a licenziarmi, così mi ha offerto di andare in una delle sedi distaccate dicendomi che, quando e se avessi voluto tornare, avrei trovato la mia scrivania ad attendermi” spiegò loro la sorella, levando una mano in direzione del fuoco.

Le fiammelle giocarono leziose al suo tocco leggero e Sean, seduto sull’erba – le braccia poggiate sulle ginocchia – la fissò spiacente dicendo per contro: “Non sarà troppo, per te, tornare proprio là?”

“Sean ha ragione. Perché non un altro distaccamento?” assentì Spring, tenendo le mani sulla pancia arrotondata.

“Hilo va bene. Non sarà un problema. E poi, ho un buon rapporto con quel vulcano” sorrise la vulcanologa, cercando di convincere in primo luogo se stessa, prima ancora che la sua famiglia.

Si era detta rinfrancata all’idea di non rinunciare del tutto al NOAA – aveva lottato, per entrarvi – e la proposta di andare alle Hawaii l’aveva resa felice.

Ma sapeva benissimo che nessun posto al mondo avrebbe potuto restituirle la serenità perduta perché, ormai, lei aveva perso il suo Fulcro, la sua luce, il suo faro nell’oscurità.

Un luogo valeva l’altro, per lei, e nascondersi dietro false certezze era l’unico modo per non impazzire e tirare pugni al muro.
Quando era uscita dal NOAA, quella mattina, aveva salutato tutti coloro che aveva incontrato come se nulla fosse, come se ciò che era stato detto nell’ufficio di Big Mama se lo fosse solo immaginato.

Invece sapeva che era la realtà, e non il suo incubo più brutto.

Se ne andava, e non aveva voglia di dirlo a nessuno dei suoi colleghi.

Non voleva la loro compassione, il loro conforto, né tanto meno le loro vuote parole.

Certo, alcuni sarebbero stati realmente infelici per la sua partenza, ma altri avrebbero trovato solo pane per i loro denti, e le illazioni si sarebbero sprecate.

No, meglio evitare.

Finendo il suo the ghiacciato, Summer si allungò per prelevare una Sam Adams dal frigorifero da campeggio pieno di ghiaccio, che avevano piazzato nel mezzo del loro party improvvisato.

Con una tranquillità che non provava, sentenziò: “Meglio così. Mi farà bene cambiare aria.”

“Tornerai almeno per il nostro matrimonio?” le domandò Max, fissandola con il dispiacere negli occhi.

“Non potrei mai mancare, bráthair… ho visto come ti sta lo smoking, ed è uno spettacolo da non perdere” ironizzò maliziosa Summer, levando la bottiglia di Sam Adams come a brindare in suo onore.

Quella battuta scatenò una risata generale, ma nessuno mise veramente il cuore in essa.

L’atmosfera non avrebbe potuto essere più triste, e Summ lo sapeva benissimo, ma davvero non trovava la forza per rimanere.

E questo le mise la pulce nell’orecchio.

Dopotutto, prima di andare a Hilo, avrebbe anche potuto fare scalo in un altro posto. E chiedere spiegazioni.

“Ci permetterai di venire con te all’aeroporto per salutarti?” le domandò Winter, strappandola ai suoi pensieri.

Scuotendo il capo, la sorella replicò: “Non ho intenzione di farmi vedere da tutti a piangere come una fontana, e sicuramente succederebbe, se foste tutti lì. Lunedì partirò per Hilo, e sarò da sola. Noi ci saluteremo qui stasera, dopodiché non fatevi vedere alla mia porta, perché vi darò fuoco. Desidero essere lasciata sola coi miei demoni.”

Win ridacchiò, per nulla intimorito dal suo tono minaccioso.

Si allungò per darle un bacio sulla guancia e annuì.

“Non c’è bisogno di minacciarci, tesoro. Non è facile per nessuno, perciò capiamo perfettamente il tuo desiderio di estraniarti. Solo, ricordati che per qualsiasi cosa noi siamo qui.”

“Questo non potrei mai dimenticarlo” asserì la gemella, sorridendogli.

Il fratello le restituì il sorriso prima di accigliarsi leggermente, annuire tra sé e infine afferrare una bottiglietta d’acqua dal frigorifero.

Apertala senza però servirsene, spiegò poi alla famiglia: “C’è qualcun altro che vuole salutare Summer e, al momento, la più vicina fonte di acqua è questa.”

La vulcanologa capì immediatamente e, quando il liquido incolore mutò in vapore e prese le sembianze di una donna, si ritrovò ad avere le lacrime agli occhi.

Erin.

Sean sgranò gli occhi di fronte a quell’evocazione spirituale e, quando la fata di bruma si avvicinò a Summ per abbracciarla, l’uomo esalò: “Cugina?”

Lo spettro si strinse alla cognata prima di volgere lo sguardo verso il giovane e, annuendo, mormorò: “Sono io, sì. E’ un piacere rivederti, Sean.”

L’uomo si allargò in un sorriso ma, nel notare l’espressione perplessa di alcuni di loro, replicò: “Oh… voi non potete sentirla?”

“Siamo solo in quattro a poterla ascoltare” gli spiegò Winter, sorridendo ad Erin, che stava stringendo Summer in un abbraccio familiare. “Tu, io, Mal e Kim. Gli altri non sono in grado di sentirla, purtroppo.”

“A me basta questo abbraccio” sentenziò la fulva gemella, dando un bacio sulla guancia alla cognata, formata di particelle infinitesimali d’acqua.

Subito, Erin svaporò e la vulcanologa, scoppiando a ridere assieme agli altri, esalò: “Oh, cielo, è vero! Dopotutto, io sono il fuoco!”

“Sei sempre la solita” ridacchiò Win, scuotendo il capo.

Erin si ricompose ad un passo da Malcolm, che le sorrise divertito e, nello scrollare le spalle, lo spirito disse ancora qualcosa.

Fu Kim a tradurre.

“Dice che, come sempre, i tuoi sono baci focosi, e che le è piaciuto molto.”

Summ ammiccò alla cognata in forma di spirito e replicò: “Sapevo che eri una fata che amava le emozioni forti!”

Erin rise e svaporò, dopo una bacio sul capo a Mal e una pacca sulla spalla a Kim.

A quel punto, la vulcanologa si alzò in piedi, subito seguita a ruota da Sean e, dopo aver abbracciato calorosamente tutti, si avviò verso la sua moto, tallonata dall’irlandese.

Soli alla luce dei lampioni, mentre le rade auto in strada sfrecciavano solitarie, incuranti del centauro sulla Ducati e dell’uomo al suo fianco, i due si guardarono senza sapere bene cosa dire.

Di una cosa, Summer era certa. Senza la presenza di Sean, sarebbe sicuramente crollata, a Hilo. E anche in seguito.

Gli doveva molto ma, al tempo stesso, non se la sentiva di andare oltre a quel sentimento, perché avrebbe voluto dire mettere in piedi una bugia scomoda quanto inutile.

A parte un’amicizia che avrebbe potuto progredire nel tempo, e diventare più profonda, da lui non avrebbe desiderato altro. Né ora, né tra cento anni.

E non perché non lo meritasse; Sean non era solo un bell’uomo, ma anche una persona interessante, intelligente e sensibile. Proprio per questo, mentirgli sarebbe stato sciocco.

“Verrai a trovarmi?” gli domandò comunque Summ, tenendo il casco poggiato sul serbatoio della moto.

“Lo vuoi?” le ritorse per contro lui, sorridendo a mezzo.

La donna annuì e Sean, con un assenso lieve, mormorò: “Allora verrò. Quanto al resto…”

“Non so davvero cosa provare, adesso. Ma di una cosa sono sicura. Anche se ora sono confusa e spaesata, scaricare su di te le mie ansie e il mio desiderio di affetto, sarebbe sciocco. Meriti di più di una donna spezzata” si affrettò a dire la donna, scuotendo il capo.

Il sorriso dell’irlandese si allargò, e una lieve risatina scaturì dalle sue labbra.

“Quando tornerò, chiederò di poter parlare con il Consiglio, perché sia chiaro a tutti che la legge dei Prescelti è inesistente, quanto crudele. Colin e Miranda mi daranno man forte, e spero che questo basti a fermare una volta per tutte quest’insulsa pratica” le promise Sean, afferrando le chiavi dell’auto a noleggio che aveva preso per tornarsene al suo albergo. “Quanto all’essere spezzata… dubito che esista una sola creatura, in tutti gli universi conosciuti, capace di spezzarti. Sei triste, arrabbiata, ma non spezzata. Credimi, Summy, non lo sei. Hai la forza di riemergere e, se vorrai una mano da un amico, la mia ci sarà sempre.”

Summer lo fermò all’improvviso, quando lo vide allontanarsi da lei e, afferratolo a un polso, lo trascinò verso di sé, lo abbassò fino alla sua altezza e lo baciò.

Quando le loro labbra si incontrarono, Sean spalancò gli occhi, sorpreso ma, un attimo dopo, si lasciò andare a quell’incontro breve e sentito, pieno della gratitudine che la donna non riuscì a mettere a parole.

Nel momento stesso in cui lei lo lasciò, l’uomo si risollevò lappandosi le labbra e, nello scrutarla con espressione vagamente confusa, esalò: “E’ il ‘grazie’ migliore che mi abbiano mai rivolto.”

“Bene” dichiarò lei, infilandosi il casco in testa per poi accendere la Ducati.

Il rombo della due cilindri riverberò nella strada di quartiere, facendo scappare un gattino dietro il riparo sicuro di un’auto parcheggiata.

Sean si premurò di dirle di andare piano e Summer, dopo averlo salutato, ingranò la marcia e diede gas.

Ma non si diresse verso casa. La sua idea era ben altra.

Lasciando correre la moto lungo le vie frenetiche e piene di vita, la donna si infilò in una delle tante tangenziali della capitale con un intento ben preciso.

Lì, spingendo sulla manopola dell’acceleratore, spinse il contachilometri ad aumentare, e aumentare, e aumentare ancora.

Una dopo l’altra, le varie uscite si susseguirono dinanzi ai suoi occhi attenti, mentre frammenti di ricordi si incuneavano nella sua mente come colpi i maglio ben assestati.

Il primo bacio di John, la prima volta che aveva diviso il letto con lui, la loro prima doccia assieme.

Quei giorni a Hilo erano stati costellati di prime volte… ma anche di ultime.

L’ultima volta in cui aveva visto il suo sorriso, l’ultima volta che l’aveva sentito dire il suo nome con amore, l’ultima volta che aveva scorto la passione nei suoi occhi di pece.

Tutto era svanito in una voluta di fumo, nelle braci incandescenti del vulcano, e nulla di tutto ciò sarebbe più tornato.

Accelerò ancora e, forte del suo potere, avvertì lo scoppio della benzina nelle camere metalliche dei cilindri, spinta al loro interno dalle valvole di aspirazione.

La fiamma sprigionata creò corroborante ulteriore per la sua Ducati che, come una saetta, serpeggiò con agilità tra le auto, portandola sulle sponde dell’oceano, fino alla Chesapeake Bay.

Lì, bloccò la moto su un molo isolato e buio.

Spento il motore, si tolse il casco per inspirare l’aria salmastra della notte, l’uggiolio lontano di un cane, il fruscio delle onde contro le travi di sostegno.

Tutto era quieto, pacifico e tranquillo.

Ma dentro di sé rombava la guerra.

Il suo Fuoco cercava sostentamento, gridava furioso per la mancanza del suo Fulcro, strepitava e graffiava e strideva.

Nulla lo chetava, e Summer non aveva nessunissima intenzione di calmarlo.

Voleva ardere.

E distruggere. Ma sapeva che entrambe le cose le erano negate.

Sospirando, afferrò il telefono e, digitato un numero di telefono, attese paziente che qualcuno rispondesse.

Quando udì una voce a lei famigliare, sorrise nell’oscurità. “Scusa l’orario infame, ma puoi darmi una mano?”

“Summer! Ma non stare neanche a dirlo! Dimmi pure” replicò la donna all’altro capo, la voce squillante e lieta.

“Dovresti prenotarmi un volo per Tulsa, il prima possibile.”

“Tutto qui? Pensavo peggio” ridacchiò l’altra, portando Summ a sorridere.

“Non è un caso se ho chiamato te, Jillian.”

Un ticchettare furioso in sottofondo fece comprendere a Summer che la donna si stava mettendo all’opera su internet con la sua solita bravura e velocità.

Se c’era una persona che ci sapeva fare, coi computer, era Jillian.

Dopo circa un minuto di attesa, la donna le disse: “Allora… sei prenotata sul volo di domattina alle sei, con la United Airlines, dal Dulles. Il biglietto lo troverai allo sportello della compagnia aerea… ed è già pagato.”

“Come?” esalò l’altra, sorpresa e commossa assieme.

“Tesoro, per venti dollari posso benissimo permettermelo. E poi, se proprio vorrai sdebitarti, sai dove abito” ridacchiò Jillian.

“Go raibh míle maith agat” mormorò la giovane, sorridendo nell’oscurità.

“Grazie? E di che? Per la Dominatrice del Fuoco, questo ed altro” ridacchiò la donna all’altro capo del telefono. “Sappi anche un’altra cosa, oltre al fatto che farei molto di più, per te e i tuoi fratelli. Colin e Miranda hanno parlato con Sean, e tutti e tre sono d’accordo per presentare al Consiglio una petizione per fare abolire la legge di successione dinastica.”

“Sean me ne ha parlato, e mi ha anche detto che, fino ad ora, avevano mantenuto il silenzio sulle sue ricerche per non darci false speranze” le confessò Summer, sorridendo nella notte.

“Oh... bene. Non sapevo ne fossi già al corrente. Comunque, Anthony e Camille, con il loro esempio, hanno cominciato a smuovere parecchie coscienze, e pare che ci siano dei malumori, nel Clan. C’è chi pensa sia ormai tempo di smetterla con queste credenze medievali, e permettere ai Guardiani di vivere la loro vita come meglio credono, senza interferenze” le spiegò Jillian, tutta contenta.

“Sarebbe ora!” sospirò sollevata la vulcanologa.

“Non so come andrà a finire, perché Shaina ha ancora parecchio potere e, come ben sai, gli interessi economici sono altissimi, ma credo che il tempo del cambiamento sia arrivato. Sarete ben presto liberi dal giogo del Clan, te lo prometto, e prima dell’avvento dell’Apice. Ormai, ciò che abbiamo portato avanti dalla partenza dei vostri genitori, sta giungendo al termine.”

L’Apice. Il loro trentaseiesimo compleanno. Il giorno in cui il fulgore dei loro poteri sarebbe stato massimo, la potenza al climax… e il loro autocontrollo ridotto al lumicino.

Il giorno ideale per creare una nuova dinastia, o almeno così era stato fino a quel momento.

Non faceva specie che la nonna tentasse, con ogni mezzo lecito e illecito, di accasarli prima di quella data, neanche fossero stati delle mucche alla fiera del bestiame.

Il solo pensarlo la fece fremere.

In un modo o nell’altro, quella follia avrebbe avuto fine e, con quello che aveva scoperto Sean, avevano tutte le armi legittime per poter spodestare Consiglio e Guardiani Anziani.

Il tono sicuro e forte con cui Jillian le parlò rincuorò Summer, facendole finalmente credere che, almeno quella Spada di Damocle, sarebbe svanita da sopra le loro teste.

“Grazie, zia” mormorò alla fine Summ, con tono grato.

“Tesorino, ci sarò sempre, per voi. Non ho mai accettato ciò che i nonni hanno fatto a Tony e Cam, e la morte di mio fratello non ha che inasprito gli animi, in casa. Non posso parlare per tutti, ma avete degli alleati anche in Irlanda, non solo lì” la rincuorò la donna.

“Lo so. Lo so” assentì più volte la nipote.

“Ora scappo. Tocca a me controllare lo Specchio. Buonanotte, cara” mormorò Jill, chiudendo la comunicazione.

Summer la salutò con un bacio.

Il Calderone d’argento, lo specchio ricurvo, e ricolmo d’acqua santificata, che le accolite di Arianrhod usavano per scrutare il mondo degli Spiriti, era un impegno gravoso e duraturo.

Zia Jillian era una delle Sacerdotesse della Tessitrice, servitrici devote di colei che teneva tra le mani la Ruota del Tempo, loro Signora e amata dea.

Rivolgendo uno sguardo verso le stelle alte in cielo, ammiccanti diamanti freddi e lontani, Summ mormorò all’oscurità fresca e umida: “E’ dunque questo che hai tessuto per me, mia Dolce Signora?”

Naturalmente non ebbe in risposta nulla, se non il lontano stridio delle sirene di alcuni pescherecci.

Arianrhod non le avrebbe mai risposto. Non era lì per elargire nozioni o sapere. Il suo compito era ben altro.

E tutti si dovevano sottomettere al suo volere, al colpo netto della sua cesoia.

“Già, proprio tutti” mormorò Summer, ripensando a ciò che le era balenato alla mente in casa del gemello.

Era mai possibile che la furia di Autumn avesse una radice profonda quanto antica, e che essa dipendesse da un amore non corrisposto come il suo?

Di certo, se questo era il punto focale di ogni cosa, lei doveva scoprirlo.

Perché mai avrebbe accettato che questa inutile separazione continuasse in eterno.

Se realmente Sean e gli altri fossero riusciti a portare gli Anziani a più miti consigli, non aveva senso che, all’alba di una ritrovata serenità, mancasse un equilibrio familiare.

“Scoprirò cosa mi nascondi, Autumn, te lo giuro” mormorò tra sé Summer, infilandosi nuovamente il casco per tornare finalmente a casa.

 
¤¤¤

 L'aria tersa e calda del mattino le arruffava i capelli rilasciati sulle spalle. 

Mentre curiosava con lo sguardo alla ricerca del numero civico giusto, Summer scrutò curiosa il luogo in cui aveva abitato il gemello fino a quel giorno.

Il quartiere era modesto ma tranquillo, i giardini ben tenuti e le persone – poche, a quell'ora del mattino – parevano essere laboriose e cortesi.

Nessuno la squadrò diffidente, mentre passava a velocità ridotta per controllare i numeri sulle case e, anzi, un signore, armato di zappetta e guanti, le fece un cenno e un sorriso.

Levatosi in piedi, le sorrise cordiale non appena Summer bloccò l'auto vicino al marciapiede e, avvicinatosi all'auto, le disse: “E' evidente che sta cercando qualcuno. Posso esserle d'aiuto?”

La donna lo ringraziò con un cenno del capo e un sorriso gradevole.

“E' molto gentile, grazie. Stavo cercando l'abitazione di Autumn Hamilton. Sono la sorella.”

La notizia parve sorprendere l'uomo dai capelli sale e pepe che, grattandosi una guancia con espressione confusa, esalò: “E chi lo sapeva che quel ragazzo aveva una sorella?!”

Summ ridacchiò e ammise: “E' sempre stato un tipo discreto.”

“Già” assentì l'uomo. “Comunque, è in fondo alla via, dove la strada fa una lieve curva. La casa in sassi bianchi e le mura color pesca, con la palma in giardino. Non può sbagliare.”

“Grazie infinite” mormorò lei, rimettendo in moto l'auto per dirigersi dove il cortese vicino di casa del fratello le aveva indicato.

Non dovette percorrere che mezzo miglio e lì, dinanzi a lei, trovò ciò che cercava.

A torso nudo, indaffarato a spostare qualcosa di apparentemente molto pesante su un pick-up pieno di bozze e graffi, Autumn si volse a mezzo non appena sentì il rumore di un'auto.

Quello che aveva tutta l’aria di essere un lupo grigio americano, la fissò curioso dal prato, ma non fece il minimo cenno di alzarsi dall’erba sulla quale era sdraiato.

Lo sguardo che però le lanciò il gemello da sopra lo scatolone, che reggeva a fatica, la preoccupò più di quello del lupo.

Diceva a chiare lettere quanto fosse sorpreso di vederla e, più che altro, scocciato di trovarsela lì senza un apparente motivo.

Evidentemente, non aveva controllato i suoi spostamenti nelle ultime ore.

Poggiando lo scatolone sul ripiano del pick-up, Autumn si deterse la fronte con il dorso di una mano.

Con la sua camminata feroce ed elegante, si avvicinò all'auto mentre Summer usciva per appoggiarvisi.

Il lupo li degnò di un’altra occhiata, dopodiché tornò alla sua pennichella.

Quando infine si ritrovarono l'uno dinanzi all'altra, la giovane non poté fare a meno di provare un groppo in gola.

Gli era mancato, dannazione a lui!

Incurante della sua pelle sudata e delle macchie di sporco che lo ricoprivano, la gemella gli gettò le braccia al collo.

Scoppiando in lacrime, si strinse a lui mentre Autumn, avvolgendola con le sue forti braccia, le baciò i capelli con affetto.

“Ah, mo chrói...” mormorò ruvido lui, cullandola contro di sé mentre gli anni di separazione venivano cancellati da quell'abbraccio soffocante.

“Stupido, stupido, stupido idiota...” singhiozzò lei, affondando il viso nella sua spalla mentre le lacrime continuavano a scendere copiose.

Abbozzando una risatina, l'uomo esalò: “Bel modo di salutarmi dopo cinque anni di lontananza!”

Summer mugugnò un insulto prima di scostarsi dal fratello e, nel tergersi le guance accaldate e gli occhi gonfi, bofonchiò: “Meriteresti di peggio, razza di deficiente!”

Autumn scoppiò in una calda risata di gola e, nell'avvolgerle le spalle con un braccio, la accompagnò verso la sua casa a pianterreno. 

“E' un piacere anche per me vederti, Summy.”

La gemella lanciò un’altra occhiata all’indirizzo del lupo, che si limitò ad aprire un occhio per curiosare la coppia, dopodiché sbadigliò, mettendo in mostra un arsenale di zanne davvero di prima categoria.

Il fratello ghignò di fronte all’apparente confusione della donna al suo fianco e, serafico, mormorò: “Storm, Summer. Summer, Storm.”

“Hai chiamato quel lupo… Storm? E da dove salta fuori, poi?” borbottò confusa la gemella.

Dopo aver oltrepassato la porta d'ingresso, il fratello le spiegò succintamente: “Ho incontrato Storm sulle Montagne Rocciose, durante una tempesta di neve. Ero ad Aspen per un viaggetto invernale, e lui era là, in mezzo a quel casino di vento e neve, a guaire accanto al cadavere ancora caldo della madre. Non me la sono sentita di lasciarlo lì a morire, così l’ho preso con me.”

“E un lupo, pur se cucciolo, ti ha seguito così, senza battere ciglio?” replicò la sorella, scettica.

Autumn sorrise a quel ricordo.

“Mi abbaiò contro fino a perdere quasi la voce, incurante della tempesta, del freddo e della fame. Un vero combattente. Alla fine, crollò a terra stremato ed io lo raccolsi, lo portai con me nella baita, dove soggiornavo con un amico, e ci prendemmo cura di lui. Quando tornammo qui, lui venne con me.”

“Oh… per questo lo chiamasti Storm, allora. Perché è forte come una tempesta” annuì Summer, sorridendogli. “Non ti facevo così romantico e dolce, sai?”

Autumn le rispose con un grugnito e il dito medio sollevato in bella mostra, e la sorella ridacchiò.

Curiosa, Summ lasciò perdere il fratello e curiosò il salotto d'ingresso, dove un basso divano color nocciola era ricoperto di fogli sparsi, tomi, grafici di isobare e quant'altro.

Sul tavolino di fronte al caminetto spento, un cestino di caramelle recava i segni di una propensione al consumo di parecchi dolciumi e, sorridendo, lanciò un'occhiata divertita al gemello.

“La passione per le gommose non ti è mai passata, vedo.”

Scrollando le spalle, Autumn si staccò da lei e, nel raccogliere sommariamente le sue carte, le appoggiò sul tavolino in vetro e borbottò: “Scusa il casino. Non aspettavo visite, e prima di risistemare casa, volevo riporre le mie attrezzature.”
Lei non vi fece caso e, nel sedersi su una poltrona in alcantara chiara dalle forme arrotondate, intrecciò le gambe e disse: “E' un bel posticino. Ti rispecchia bene.”

Alle pareti, Autumn aveva sistemato dei ripiani in legno liscio e scuro, su cui aveva sistemato orpelli di ogni genere e forma.

Le finestre, incorniciate da lamine di legno chiaro, si affacciavano sul giardino all’esterno, circondando da un’alta palizzata di tronchi.

Poco a lato della rimessa, che riusciva a intravedere dalle finestre, la donna riuscì a scorgere un pozzo e un gazebo in ferro.

Ai muri, fotografie di tornado si alternavano a quelle di alcuni uomini e donne, dinanzi a quello che Summer identificò come un fronte temporalesco.

La sua troupe, probabilmente.

Della laurea in Climatologia di Autumn, neanche l'ombra, così come del suo PhD in Meteorologia.

Evidentemente, sbandierare la sua intelligenza ad eventuali ospiti non gli interessava.

Sulle mensole della libreria, però, le foto dei genitori, sue, di Spring e Malcolm erano sistemate in bella vista. Questo rincuorò Summer, nonostante tutto.

“Ti posso offrire qualcosa?” le domandò lui, le braccia conserte e il fianco poggiato contro il divano.

“Se hai un po' di the freddo, lo prendo volentieri” assentì la donna, vedendolo prendere la via di una porta da saloon, che dondolò al suo passaggio per poi fermarsi con un lievissimo cigolio.

Mentre il fratello era indaffarato in cucina, Summer si prese il suo tempo per studiare ulteriormente quello scampolo di casa.

A parte le scartoffie lavorative di Autumn, tutto ciò che si trovava sui mobili in legno di noce era ordinato e pulito, e denotava un amore profondo per la cultura meso-americana.

Piccoli manufatti aztechi si alternavano a stampe miniate di città peruviane, così come pregiate statuine raffiguranti gli dèi maya si combinavano con riproduzioni artistiche delle piramidi tolteche.

La porta da saloon cigolò nuovamente e la donna, volgendosi per scrutare il fratello, lo vide tornare con un vassoio, due bicchieri e una caraffa colma di the e cubetti di ghiaccio.

Dopo avergliene servito un bicchiere, Autumn glielo allungò e servì se stesso prima di accomodarsi sul divano.

“Ebbene, Summy, come mai questa visita dopo tanti anni?” esordì l'uomo, un braccio rilasciato sullo schienale e le gambe leggermente divaricate, in posizione rilassata.

“E' per Erin, vero? Ci hai lasciati per Erin” mormorò lei, giocherellando con il bicchiere che teneva tra le mani.

Silenzio.

Di tomba.

Summer levò lesta il capo e, a occhi sgranati, fissò il viso del gemello senza più riuscire a parlare.

Di secondo in secondo, il suo volto si frantumò dinanzi a lei, mostrando un dolore e un'angoscia pari soltanto a quelli che aveva scorto sul viso di Winter, il giorno della morte della moglie.

La leggera barba incolta non riuscì a nascondere i profondi segni lasciati dalla rabbia e dalla frustrazione che, il ricordo della dipartita di Erin, tornarono a galla al solo nominare il nome della donna.

La giovane non ebbe bisogno di altre conferme.

Era tutto così chiaro, ora.

I litigi, l'aspra determinazione di Autumn ad andarsene lontano da tutto e da tutti, il silenzio ostinato nei confronti di Winter. Ogni cosa.

“Come...?” gracchiò alla fine lui, sbattendo freneticamente le palpebre prima di ingollare in un sol colpo tutto il the che si era servito.

“Mi sono ritrovata in una situazione simile con J.C. e Sean” sospirò Summer, scrollando le spalle. “Ho fatto qualche collegamento, ed è saltata fuori Erin.”

“Beh, tieni le tue scoperte per te” le ringhiò contro lui, la maschera di invulnerabilità già riposizionata sul suo viso abbronzato.

“Pensi che Win non capirebbe?”

“Non mi interessa cosa pensa Winter” sibilò Autumn, accigliandosi. “Non la meritava. Punto. E l'ha lasciata morire senza far nulla per salvarla.”

“Ohhh, per l'amor di Dio, Autumn! Quella barriera è invalicabile persino per noi!” sbottò la gemella, aggrottando la fronte. “E poi, scusa, perché dici che non la meritava?”

“Winter ha sempre e solo amato Kimberly. Il matrimonio con Erin è stato semplicemente una farsa. Lei meritava molto di più!” sbottò l'uomo, sbattendo il bicchiere sul vassoio, che tintinnò pericolosamente.

“Meritava te?” gli ritorse contro Summ, vedendolo irrigidirsi immediatamente al suo dire.

“Non ho detto questo” borbottò il fratello, sulle sue. “Ma stare con lei, mentre era innamorato di un'altra, non è stato giusto.”

“Hai mai chiesto a Erin, o a Winter, come la pensassero, prima di infuriarti tanto e dare di matto?” brontolò la gemella, tamburellando nervosamente le dita su un ginocchio, il the ormai finito anche nel suo bicchiere.

“Non ce n'è stato bisogno. Erin mi disse che Win teneva un diario con tutti gli articoli di giornale di Kimberly. Ti sembra giusto?!” sbraitò a quel punto Autumn, alzandosi lesto dal divano per camminare nervosamente in lungo e in largo.

“Se proprio lo vuoi sapere, tutti sapevamo di quel quaderno, ed Erin era felice che Win lo tenesse. Lei era la sua migliore amica, oltre che sua moglie, e capiva perfettamente quanto quel legame imposto avesse legato indissolubilmente tutti e due. Vivevano al meglio delle loro possibilità, e hanno dato alla luce un bimbo adorabile. Come puoi dire che il loro matrimonio è stato una farsa?!” gli sbatté in faccia Summer, levandosi a sua volta in piedi.

Furioso e con gli occhi che sprizzavano scintille, Autumn le si parò innanzi e ringhiò: “Se sei venuta qui solo per questo, puoi andartene anche adesso. Non sei persona gradita.”

Le mani poggiate sui fianchi, la gemella sostenne quello sguardo livido e che nascondeva un oceano di dolore.

Con tono più dolce, mormorò: “Non sono venuta per farti soffrire, ma per farti capire che noi ci siamo! Il dolore va condiviso, così come la gioia. Tu l'amavi? Bene! Anche noi l'amavamo, a modo nostro. Anche noi l'abbiamo persa. Sapere che ora è una fata della bruma grazie a Winter non può che riempirmi di gioia, perché può continuare a veder crescere suo figlio, oltre a vedere Win e Kimmy insieme.”

“Già, bella scena davvero!” ringhiò lui, sprezzante.

“Idiota! Quelle due vanno d'amore e d'accordo!” sbottò a quel punto la gemella, perdendo di colpo il controllo.

A volte, con Autumn, bisognava usare il piede di porco per ficcargli le cose in testa.

“Kim era addirittura restia a lasciarsi andare, dopo aver scoperto di Erin, ma è stata proprio lei a dirle di non farsi scrupoli, che lei voleva solo la felicità sua e di Winter!”

“Non ti credo!” sibilò l'uomo, allontanandosi di un passo dalla sorella, neanche fosse stata armata di machete, e fosse pronta a farlo a fettine.

“Sei proprio un testardo irlandese senza speranza” borbottò la donna. “Non ti dico bugie. Non avrebbe senso dirle, a questo punto. Io ho perso John per una bugia, e per il suo rifiuto di credere alla verità. Vuoi continuare anche tu a vivere credendo solo a delle bugie che ti sei costruito da solo?”

“Smettila” le intimò lui, livido in viso.

“No che non la smetto, Autumn. Maledizione, io tengo a te. Tutti teniamo a te! Non voglio vederti soffrire a oltranza, e per una cosa che non esiste neppure! Tutto l'odio che provi per Winter è inutile, perché non hai motivi per odiarlo! Erin è stata felice, con lui!”

“HO DETTO DI SMETTERLA!” sbraitò il gemello, avvolgendosi con un turbine d'aria sfrigolante.

Gli oggetti più vicini a lui ruzzolarono a terra, mentre altri dondolarono paurosamente sui loro ripiani, indecisi se cadere o meno.

Summer allora si circonfuse di fuoco e sibilò: “Non sfidarmi con il tuo Elemento, Autumn. Non farlo.”

All’esterno, Storm uggiolò preoccupato, forse presagendo guai.

Il petto danzò frenetico sotto il peso del battito furioso del suo cuore e, solo a stento, l'uomo riuscì a imbrigliare la propria rabbia per richiamare il vento.

Nel giro di un paio di minuti il turbine scemò fino a scomparire e, non avendo più le forze per rimanere in piedi, cadde in ginocchio dinanzi alla gemella.

“Vattene. Vattene via.”

“Non volevo ferirti, Autumn, ma offrirti una lancia di salvataggio. Non vuoi salirci? Scelta tua. Ma non scaricare colpe su chi non ne ha. Se proprio vuoi odiare Winter, fallo per motivazioni serie, non per una cosa che non ha fatto.” Ciò detto, sospirò e aggiunse mestamente: “Non dirò nulla a nessuno della nostra chiacchierata, ma vorrei almeno che spendessi un minuto del tuo tempo per pensarci. Se mi vorrai parlare, mi troverai al Centro NOAA di Hilo.”

Quella notizia lo colse di sorpresa e, risollevando il viso per guardarla, mormorò: “Come, Hilo?”

Sorridendo senza alcuna allegria, Summer scrollò le spalle e dichiarò: “In qualche modo devo andare avanti, no? Perciò, tanto vale ricominciare in un luogo a me benevolo. Poi, vedremo. Ma almeno, io tento di guardarmi avanti. Tu cosa fai?”

Autumn non rispose e la gemella, nel piegarsi in avanti, lo baciò sulla fronte e aggiunse: “Ti amo, fratellino, non dimenticarlo mai. Per te ci sarò sempre, ma ricorda; se continui a soffermarti sul passato e su cose che non esistono, non avrai mai pace, e il futuro rimarrà sempre sbarrato, per te.”

“Non avrò mai un futuro” sussurrò senza forze l'uomo.

“La mamma avrebbe detto che tutti hanno un futuro a cui ambire” gli sorrise Summer, estraendo dalla sua borsa un piccolo involto. “Questo lo lascio a te. E' giusto che lo tenga tu. Ne hai più bisogno di me, al momento.”

Senza parole, Autumn sgranò gli occhi di fronte al carillon della madre e, quando Summ lo poggiò sul tavolino del salotto, esalò: “Da dove... salta fuori?”

“Lo aveva zia Brigidh, poi lo ha passato a me. Ma penso serva più a te, per ora. Me lo ridarai se e quando ne avrai voglia.”

Con un ultimo sorriso, si avviò verso la porta d'ingresso e lì afferrò la maniglia della porta.

“Summer...” gracchiò Autumn, facendola voltare a mezzo. “Mi spiace... per John.”

Il lampo di un sorriso balenò sul suo volto prima di scomparire dietro un 'grazie' appena sussurrato.

Un attimo dopo, Summ era sparita, lasciando dietro di sé solo il suo profumo fiorato e il carillon della mamma.







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N.d.A: ed ecco che finalmente fa la sua prima "vera" apparizione l'ultimo dei gemelli Hamilton. Siamo ormai agli sgoccioli, con la storia di Summer, per cui il momento di Autumn è quasi arrivato.
  
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