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Autore: Neal C_    01/07/2014    0 recensioni
Jean Marc de Ponthieu o Ian Maayrkas?
Più che mai questo interrogativo assilla la mente di Ian quando si vede costretto ad onorare i suoi obblighi di vassallaggio, “condannando” un figlio ad un matrimonio di interesse.
Il feudatario deve rassegnarsi ma può farlo l’americano che fa della libertà il suo stendardo?
Nel desiderio di schiarirsi le idee, Ian tornerà nel ventunesimo secolo da Daniel sfruttando ancora una volta la tecnologia di Hyperversum.
Ma gli eventi precipitano e il diabolico Hyperversum strapperà a Ian la sua famiglia, trascinando con se anche Geoffrey Martewall, da sempre propenso a credere che Ian non è mai stato il cadetto dei Ponthieu.
Il Falco e il Leone, in lotta fra loro, ancora una volta.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daniel Freeland, Geoffrey Martewall, Ian Maayrkas aka Jean Marc de Ponthieu, Un po' tutti | Coppie: Daniel/Jodie, Ian/Isabeau
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Absit iniuria verbis*


ATTENZIONE

in questo capitolo sono riportate delle “nozioni”  di scherma tradizionale/medievale.
Avviso lettori e lettrici che non sono ferrata in materia, l’unica esperienza che ho è quella dei Gdr online e non, dunque vi lascio la mia fonte principale di informazioni.
http://maestrodarmi.altervista.org/colpi.htm
Se qualcuno più esperto di me avesse qualcosa da farmi notare, non esiti a farlo.
Buona lettura



Quella sera quando IanMaayrkas rientrò a casa, per la prima volta dopo dieci giorni,  rimase a bocca aperta dalla sorpresa, davanti allo spettacolo quasi surreale che si stava  svolgendo nel suo salotto.
Davanti a lui c’era Daniel che giocava ad Hyperversum e nel frattempo sembrava spiegarne il funzionamento ad un Geoffrey  insolitamente mansueto.
Entrambi erano seduti sul tappeto, Daniel in jeans e maglietta e Geoffrey in tuta.
Accanto a loro giacevano i resti di due confezioni di nudols con pezzetti di pollo fritti, una coca cola e una birra, poggiati alla ben e meglio su due buste di plastica con l’indirizzo del take away più vicino.
Daniel dovette aver finito la spiegazione perché si lasciò cadere sul divano sconsolato mentre Geoffrey guardava lo schermo del computer come se si stesse specchiando nel monitor luminoso.
Ian posò il borsone da viaggio per terra davanti alla porta d’ingresso e fece il suo ingresso nel salotto, annunciandosi con una lieve schiarita di voce.
I due uomini si girarono a guardarlo,  Daniel con un sorriso di ben tornato, Martewall con un’espressione indecifrabile sul volto: certo non gioia del suo ritorno,  constatò dispiaciuto l’americano.
“Gli hai spiegato il funzionamento di Hyperversum?” esordì, lasciandosi cadere sulla poltroncina accanto al divano, spostando lo sguardo da un amico all’altro, quasi volesse controllare, di sottecchi le reazioni di entrambi.
Stavolta fu Geoffrey a rispondere, in tono aspro e accusatorio:
“Si. E ho capito tante cose. ” 
Se Ian era rimasto colpito dall’ acidità dell’inglese, non lo dette a vedere, bensì si mise più comodo sulla poltrona e scalzò le converse rimanendo a piedi nudi.
“Cosa intendi dire?” chiese quasi noncurante.
”Intendo dire che ho sempre avuto ragione su tutto.  O meglio ho sempre avuto ottime ragioni di credere in Jerome e nelle sue ‘menzogne’ , come le hai sempre definite. ”
A sentire il nome di Derengale, Ian sollevò lo sguardo da terra, quasi digrignando i denti.
“Derengale era un crimale.”
“Almeno non mentiva.  Non era un impostore che ha ingannato tutto il mondo…” poi aggiunse, sottolineando “… allora conosciuto.”
“Gli hai detto proprio tutto eh?” si rivolse Ian a Daniel, quasi seccato.
Daniel non sapeva dove guardare. Come un idiota non aveva neppure pensato che avrebbe messo in pericolo l’identità del suo migliore amico. Che avrebbe dovuto omettere qualche dettaglio, che avrebbe dovuto fingere o almeno in qualche modo dissimulare il coinvolgimento di Ian in qualche modo.
Tentò la via della mediazione:
“Ehm… Geoff,  forse un tempo è stato così, ma adesso Ian è francese, ha una casa, una famiglia…”
“Ha una posizione che non è sua. Ha una moglie che non era destinata a lui. È solo un impostore!”
fu la risposta spazientita dell’inglese e Ian si sentì costretto a ribattere violentemente, gli occhi iniettati di sangue, nel tentativo di controllare la rabbia.
“Sai a chi era destinata Isabeau?! A Dammartin! Uno schifoso bastardo che l’avrebbe disonorata per poi costringere la MIA famiglia a sposarli!”
“Non è la TUA famiglia! Non hai nessun legame di sangue con i Ponthieu, non avresti neppure il diritto di rivolgermi la parola! Sei un patetico ladro di identità, probabilmente un plebeo, figlio di chissà quale razza in questa caotica mescolanza che chiamate America! ” lo liquidò con rabbia Martewall.
“Questa caotica mescolanza è un paese libero! È un paese dove chiunque può diventare ciò che vuole!
Quanto a me… mi è stata offerta l’opportunità di divenire dapprima un famiglio e poi un membro a tutti gli effetti del casato dei Ponthieu. Oseresti discutere la decisione di Sua altezza reale Filippo Augusto  e mio fratello Guillaume de Ponthieu, CONTE di Francia?!”
Ian si costrinse a riprendere fiato dopo quell’arringa sfiancante ma Martewall fu pronto a ribattere:
“Oserei discuterne anche con il Padreterno… perché so di avere ragione!”
“E allora finiresti sulla forca per aver offeso un sovrano per diritto divino! Come tuo padre, per tradimento!”
Vide l’inglese impallidire dalla rabbia e stringere i pugni spasmodicamente come se si stesse controllando dal saltare addosso all’americano.
“NON OSARE PARLARE DI MIO PADRE IN QUESTO MODO, LURIDO PEZZENTE BASTARDO!”
Gli urlò infine contro mentre Daniel li guardava sconvolto e balbettava i loro nomi, come se questo bastasse a richiamarli all’ordine.
“Come ci si sente a perdere ogni cosa? Totalmente sradicato e in un mondo ostile?  Bene, io così mi sentii all’epoca! Poi entrai nella famiglia di Guillaume che mi protesse come un fratello. E adesso SONO suo fratello, SONO un Conte di Francia e dunque devi portarmi il rispetto che merito, soprattutto tu,  BARONE*!”  affermò quasi altezzoso, Ian, sottolineando il titolo dell’amico con cattiveria.
“Non ti devo nulla! Dovrei sputarti addosso come sul più sudicio dei vagabondi!”
“Allora esci pure di qui!  Esci da quella porta e sparisci! Perché adesso stai godendo della sontuosa ospitalità del più sudicio dei vagabondi, qui presente!”
Ian si alzò di scatto indicando la porta perentorio, come si trovasse davanti ad un bambino o un cane disubbidiente.
“IAN! GEOFFREY! Adesso basta! Calmatevi! “ Ordinò  esasperato Daniel, preoccupato della deriva a cui quel litigio furioso stava portando.
Forse sarebbe dovuto intervenire prima, aveva pensato poi quando un silenzio carico di tensione era sceso sui due litiganti.
Ian aveva ancora il braccio spiegato mentre Geoffrey lo guardava con odio feroce, quasi disprezzo.
Dopo anche un minuto di stallo, estremamente imbarazzante per Daniel,  Ian annunciò stizzito:
“Vado a farmi una doccia!”
Daniel tirò un sospiro di sollievo e stirò persino le labbra in un sorriso davanti a quell’uscita comica, ma non osò guardare in faccia l’inglese che trasudava collera e odio.

Daniel bussò alla porta di camera di Ian e si schiarì la voce prima di rispondere all’imperioso “chi è” dell’amico, oltre la porta, annunciandosi.
Quindi fece il suo ingresso timidamente ma dovette attendere che Ian uscisse dal bagno, in accappatoio e con un asciugamano in testa che gli dava un’aria buffa, quasi innocua.
Lo scienziato fece un mezzo sorriso, finalmente rilassato,  come se quella commedia casalinga gli togliesse un peso dal cuore.
“Ehi, man, are you on a date?” * scherzò, fischiando impressionato mentre Ian usciva dall’accappatoio  e si infilava i pantaloni di un tuta stravecchia e dal bordo slabbrato, fulminandolo con lo sguardo.
“Ok, era pessima” ammise poi l’amico, andandosi a sedere sul letto, nuovamente inquieto dal momento che Ian non rispondeva alle provocazioni e a stento sembrava aver notato la sua presenza.
“Come va fra te e Geoffrey, eh? Ormai siete amiconi.” Constatò Ian e terminò di vestirsi infilandosi un magliettone XXL, apparendo più scaciato che mai, i capelli neri ancora avvolti nell’asciugamano che colava acqua sulla tuta dei pantaloni, andando a formare piccole pozzanghere sul pavimento.
“Beh, è quasi divertente. All’inizio era letteralmente terrorizzato…” cominciò Daniel, cauto e fu subito interrotto e giustificato dall’amico “naturale che lo fosse” gli ricordò Ian ma il tono era tutt’altro che comprensivo.
“Chi meglio di te lo sa” riflettè a voce alta Daniel, evitando però lo sguardo di Ian.
Questi, nel frattempo, era impegnato a strizzarsi i capelli e a pettinarli con un pettine color tartaruga, abbandonando l’asciugamano sulla sedia girevole della scrivania.
”Dovresti… essere meno duro con lui, Ian. Sta passando un momentaccio. E ce la sta mettendo tutta”
lo avvertì Daniel, suonando un po’ paternalistico, come se invitasse il figlio quindicenne ad essere più tollerante con il fratellino di appena quattro anni.
“Impara in fretta. Sta familiarizzando con tutti i vari ordigni di casa, si sta lentamente ambientando.
E ogni giorno devo tentare di rispondere alle sue curiosità. E non è mica facile!” scherzò il ragazzo, fingendosi terrorizzato all’idea.  “Mi sembra di essere tornato ai tempi di Johnny.  ‘Papà cos’è questo?’ , ‘Papà, perché?’.  È strano dovergli spiegare sempre tutto.”
“Mi fa piacere che ti diverti”  lo interruppe scocciato Ian, mostrandosi scontroso e insofferente.
“Senti, Ian, devi capirlo. Solo in questo momento Geoffrey sta scoprendo che tutto quello per cui è morto il suo migliore amico, tutto quello per cui la sua vita è cambiata è falso! Pensaci! Se, una volta rilasciato dalla prigionia fosse tornato in Inghilterra, senza perdere tempo a catturarti, senza altro pensiero che quello del folle eroismo di  suo padre a cui far fronte magari sarebbe stato tutto diverso.”
In quel momento Ian realizzò che era stanco:  stanco di essere forte, di dover capire gli altri e reprimere i suoi sentimenti, la sua disperazione per non complicare ulteriormente una situazione che lui stesso aveva causato.
“Daniel” gli ruggì contro, lentamente, come se volesse trapanargli il cervello imprimendovi le proprie parole a forza  “la storia non si fa con i se e con i ma. E non può sempre essere colpa mia.”
come se volesse, per la prima volta, scaricare quelle responsabilità che, disgraziatamente, solo lui avrebbe potuto prendere a carico.
Daniel capì rapidamente come girava il vento e si affrettò a scuotere il capo in segno di diniego, quasi a volerlo rassicurare.  Attese ancora qualche secondo nella stanza, come se volesse convincere sé stesso a dire qualcosa ma Ian gli aveva già girato le spalle, e si affannava a rovistare nei cassetti, alla ricerca di un paio di calzini puliti.

**************

Da quel momento i contatti fra i due cavalieri si fecero freddi e ostili ogni volta che erano costretti ad incontrarsi.
In seguito ad una settimana di convivenza Ian annunciò che aveva trovato una stanza per studenti di fronte all’università e si trattava di pochi soldi, tanto più che avrebbe condiviso la stanza con un ragazzetto, il più delle volte assente. Dopo un animato discorso con Daniel,  lo scienziato era stato costretto a cedere e a lasciarlo andare. Aveva ancora tentato di obiettare in extremis mentre Ian radunava le ultime cose da caricare nel portabagagli, inclusa la sua lampada da comodino verde menta, comprata in Francia e lasciata accesa notti intere di studio.
“Ian, non posso credere che te ne stia andando. È casa tua! Non puoi lasciarla a lui! ” gli gridava contro Daniel con voce indignata ma Ian non distolse lo sguardo dagli oggetti radunati nel portabagagli.
“Domani ti telefono per i documenti di Geoffrey. Ho trovato qualcuno che me li può procurare senza troppe difficoltà.”
“Ian, mi hai sentito?”
“Mi sono anche informato per l’assicurazione sanitaria. Un mio collega mi ha consigliato un’ ottima polizza assicurativa. ”
“Ian?”  lo richiamò Daniel, incredulo all’idea di non riuscire a distoglierlo neanche per un attimo dal suo parlare distaccato    “Il problema è che non possiamo mentire su tutta la linea. La sua copertura salta.”
 Lo ammutolì di nuovo il ragazzo con un che di imperioso e autoritario e lo scienziato pensò per un attimo che quelle parole suonassero molto alla James Bond   “è inglese? Che sia inglese allora, se ci tiene.
Ma questo vuol dire che saremo costretti a fargli anche un permesso di soggiorno falso fra i vari documenti.
Oppure dovremmo sostenere che ha preso la cittadinanza?  Impossibile. 
A meno che non è già terza generazione… ”
“Ian, cazzo mi stai ascoltando?!” fu allora che il bruno esplose, sbattendo il portellone della macchina violentemente e pestando i piedi per terra
“No ascoltami tu, cazzo! Abbiamo un problema da risolvere in un mondo  dove anche una buona copertura può saltare in niente! Lui non lo capisce perché, giustamente come mi ripeti da settimane, non sa un cazzo di niente. Ma tu quando ti svegli?!”
Lasciò Daniel annichilito e non gli dette neppure il tempo di riprendersi.  Il biondo sentì la portiera del guidatore sbattere a sua volta e il motore mettersi in moto ruggendo più del solito.
“Ti chiamo stasera” annunciò perentorio Ian prima di partire a marcia indietro, congedandosi imperioso e sparendo per il vialetto che portava verso il centro.

Ma Ian non chiamò né quella sera né il giorno dopo e Daniel, dal canto suo, si chiese se cercarlo ma rimase a guardare il telefono della sua scrivania inquieto come se dovesse squillare da un momento all’altro.
Davanti a lui volteggiava sul monitor lo screensaver che era subentrato ai grafici con le ultime ricerche che Ricardo gli aveva mandato.
Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a lavorare mentre, l’orecchio teso, poteva sentire il  volume della tv che dava un documentario sulla storia della guerra di secessione americana.
Da quando Martewall aveva scoperto la televisione ne era rimasto dapprima insospettito e poi affascinato.
Aveva imparato ad andare su History Channel e Nat Geo* e passava le ore a guardare documentari al punto che ogni tanto lo osservava strofinarsi gli occhi un po’ arrossati.
Geoffrey non se ne lamentava mai ma doveva essere fastidioso il primo impatto con il mondo dei pixel.
Daniel si passò una mano sugli occhi socchiudendoli per un istante, esausto di guardare quel fastidioso screensaver che lo stava facendo ammattire.
Il giorno dopo era sabato ma era indietro da una settimana sul lavoro e quella sera avrebbe dovuto darsi una mossa. Dovette realizzare che era passato più di un mese dall’arrivo disperato di Geoffrey, un mese che non usciva di casa, un mese che non respirava aria “pulita” . Certo, non erano messi male come New York e Washington ma certo Phoenix non era il polmone verde d’America.
Se il barone non era ancora impazzito lo sarebbe diventato a breve, concluse, tirandosi su, pigramente.
Doveva rinnovare gli ingressi in palestra oppure avrebbe perso il fisico del cavaliere di cui tanto amava vantarsi Jodie con le colleghe.
Fu allora che gli balenò un’idea strabiliante.
Frank! Frank Lloyd Wright! 
Non l’architetto*. L’istruttore di scherma di Ian era la soluzione ai suoi problemi.  
Geoffrey era un maestro della scherma medievale e certo Frank non si sarebbe annoiato.
Magari avrebbe imparato anche qualche cosa.
Lasciò la scrivania, passando un attimo per la cucina per recuperare un bicchiere d’acqua, e mentre si informava se l’amico volesse qualcosa da bere, finalmente squillò il telefono.
Daniel atterrò sul cordless come una furia ma dall’altra parte gli rispose Jodie:
“Amore, domani Johnny è in uscita libera con la scuola, passerà tutta la giornata fuori.
Vogliamo pranzare insieme?”
“Hai pausa pranzo?”
“No, domani comincio alle quattro e finisco a mezzanotte.
Potresti prendere tu Johnny, a proposito?”
“Non c’è problema.”
Jodie sembrò esitare prima di chiedere e quei secondi di silenzio a telefono rimbombarono nelle orecchie del marito come se l’apparecchio dovesse tacere per sempre
“Ha chiamato Ian?”
“No.”
“Tutto bene lì?” chiese lei speranzosa davanti alla voce indecifrabile di lui.
“Si. Mi è venuta un’idea. Domani potremmo andare in palestra da Frank.”
“Che cosa?! Scordatelo, Dan, non puoi esporlo così al mondo senza nessuna preparazione!”
“Ma è un mese che si prepara psicologicamente! Gli faremo venire una psicosi! Già assomiglia ad un sociopatico!”
“Anche tu saresti stato un sociopatico se Ian non ci avesse costretto a metterci in gioco allora.”
“E io sono contento che lo abbia fatto. E voglio che sia così anche per Geoffrey.”
“Potresti traumatizzarlo!”
“Potrei anche svegliarlo. E questo sarebbe già qualcosa. E poi prima o poi dovrò tornare alla mia vita normale! Al lavoro cominciano a chiedersi quanto ci metto a sbrigare il lavoro a casa, hanno bisogno di me in laboratorio.”
“Daniel… io non credo che sia una buona idea” terminò Jodie, esasperata, per poi aggiungere con un sospiro “poi fa quel che ti pare.”
“Ci vediamo per un sandwich da David, all’angolo, sotto casa?”
“Ok. Domani Jhonny finisce alle sette. Devi essere a scuola per quell’ora.”
“Ok… Jod… Ti amo.”
ma la moglie aveva già chiuso la comunicazione per allora.
Daniel rimase con la cornetta in mano, ad ascoltare il martellante ticchettio che segnalava “occupato” finchè non si riscosse riattaccando alla ben e meglio.
Sentiva uno strano vuoto. Avrebbe voluto che Jodie lo rassicurasse invece di rompergli le uova nel paniere.
Si ripeté che quella era la cosa migliore da fare per tutti e si rassegnò a tornare alla scrivania, di nuovo prigioniero delle statistiche sulla diffusione del bacillo X nell’organismo Y.


**********************

Verso le quattro in tv cominciavano i documentari di David Attenborough sulla BBC e come al solito Geoffrey si era accoccolato su una poltrona, le gambe incrociate e la schiena abbandonata all’indietro mentre attendeva la fine dell’ennesimo stacco pubblicitario.
Accanto alla sua sedia c’era il sussidiario di storia della terza classe di scuola superiore di Jhonny, aperto agli ultimi capitoli, sul patto Molotov Ribbentrop* fra la Russia stalinista e la Germania nazista, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Il barone si era incuriosito e vi aveva dato un’occhiata per poi ritrarsi, scoraggiato dalle innumerevoli complicazioni che il testo comportava. Gli era ancora estraneo infatti il concetto di “inflazione”, tanto meno i concetti di “revanscismo francese”, “crisi di Wall Street” o ancora “guerra-lampo”.
Aveva persino visto un famoso film su questa benedetta seconda guerra mondiale e aveva scoperto che un pazzo austriaco provvisto di baffetti, un’aria truce e una voce suadente che aveva sedotto una nazione intera, aveva programmato lo sterminio di sei milioni di ebrei.
Neanche le persecuzioni nei villaggi spagnoli o in quelli della Bretagna o dell’alta Inghilterra, le regioni più  selvagge, erano state così sanguinose e orribili -  aveva avuto occasione di commentare con Daniel, quel giorno a pranzo.
In effetti gli imperiali* erano sempre stati dei barbari, o almeno lui aveva conosciuto solo ottusi mercenari in cerca di ricchezze più che di gloria, troppo concentrati sul guadagno personale per avere un minimo di onore. Erano bravi combattenti e temibili avversari ma anche ingiustificatamente crudeli in battaglia.
A detta di Daniel le cose erano parecchio cambiate e adesso, al posto dell’impero c’erano dei piccoli stati.
Inoltre proprio questa Germania sanguinaria era diventata tra le prime potenze d’Europa.
Ma nessuno sospetta nulla? – aveva chiesto Geoffrey, con un sopracciglio inarcato, segno della sua scettica perplessità.
 Daniel aveva dichiarato di capirne poco di politica, troppo poco per pensare di poter dire la sua.
aveva solo ribadito, da buon patriota, che non vi era forza politica, economica o militare che potesse superare in potenza il colosso americano.
Geoffrey aveva replicato, punto sul vivo, che gli americani dovevano molto alla loro patria, l’Inghilterra ma una risata franca di Daniel aveva chiuso il discorso ancora una volta.
Dopo la pubblicità di un nuovo farmaco anti-asma seguì quella di uno zaino e una collezione scuola per bambini, quindi quella di una nuova serie tv.
Ma proprio quando la sigla familiare del documentario esplodeva dagli altoparlanti  lo schermo si spense di botto, senza vita.
Dietro di lui Daniel aveva appena azionato il telecomando e stava riempiendo il borsone della palestra.
“Che diavolo fai?”
“Vestiti sportivo. Andiamo in palestra”
“In palestra? Cioè dove ci si allena?”
“Si. Voglio vedere se sai tirare di scherma come un tempo o ti sei rammollito del tutto”
Bastò questo a fare avvampare il leone che si tirò in piedi precipitosamente sbottando che non era mai stato più in forma e che lo avrebbe stracciato, in qualunque disciplina, ancora di più in un confronto di spade.
“Vedremo” sorrise sotto i baffi Daniel mentre richiudeva la zip del borsone con aria furbetta.

La palestra era vicina, appena un isolato da casa di Daniel e si faceva tranquillamente a piedi.
Oltrepassare la soglia del portone del palazzo era sembrato piuttosto naturale per entrambi ma l’americano percepiva chiaramente che il barone aveva i nervi a fior di pelle.
Si guardava intorno quasi ossessivo, cose se ogni cosa potesse improvvisamente cambiare, crollargli addosso o , peggio ancora, aggredirlo.
Le rare auto che passavano sull’asfalto della strada che gli correva di fianco, apparivano meno spaventose ma ancora più incredibili dopo averle viste in tanti film moderni.
Forse quello che Geoffrey trovava più strano era l’assenza di animali, di vita, di natura.
L’enorme parco, oltre la carreggiata principale gli appariva come una ricostruzione, un giardinetto che abbelliva il grigiore di una terra cementata, come se questa fosse, col tempo invecchiata e diventata grigia e stempiata.
Lui stesso, per un attimo si sentì vecchissimo, ridicolmente obsoleto,  quasi un matusalemme che ha visto decisamente troppo in vita sua.
Daniel sapeva di non poter sconfiggere quello stato di disagio e angoscia che l’amico aveva riflesso negli occhi;  pensava ancora che prima o poi si sarebbe abituato almeno quanto basta per ignorarlo, fino al giorno in cui lui e Ian sarebbero tornati a casa.
La palestra era piccola, affiliata ad un noto centro sportivo di pallanuoto.
Lo stesso Frank prima di cominciare la scherma aveva giocato nella pallanuoto e aveva persino vinto un paio di premi a livello regionale.
Lo trovò come al solito nell’ampia palestra- campo da gioco che allenava un giovanotto volenteroso ma evidentemente non particolarmente portato  vista la totale mancanza di coordinazione oltre ai riflessi un po’ lenti. Doveva essere un principiante.
“No No No! Non ci siamo proprio!”
Geoffrey osservava sulla porta un nero dal fisico imponente e le spalle da nuotatore che scuoteva il capo violentemente, con profonda riprovazione mentre impugnava a martello una finta spada ad una mano e mezzo, forse in plastica o in qualche altro materiale plastico color ferro.
“Che cazzo affondi a fare ragazzino?! Ma chi ti ha insegnato ad attaccare? Attila, il re degli unni?
Ragiona! Quanto ci metto a schivarti e ad attaccare il fianco scoperto, eh? Cristo!
Tutti e incompetenti e senza cervello dovevano capitarmi!”
Daniel sorrise sotto i baffi davanti all’espressione smarrita dello sbarbatello che lasciava penzolare la spada abbandonata sul fianco che tirava giù il braccio, inclinandola di taglio.
“E non affettarti una gamba Cristo! Qual è la posizione di attesa? Qual è la regola fondamentale? Tieni le posizioni o ti tagli una mano!”
Stavolta il principiante sembrò voler protestare che avevano interrotto il duello e non si aspettava certo un attacco a sorpresa dal suo maestro di scherma in una palestra alla quale versava ogni mese 80 dollari al mese.  Ma mentre si risentiva degli insulti dell’allenatore e dei suoi rimproveri poco ortodossi già Frank non lo ascoltava più.
Lo mollò di punto in bianco non appena vide Daniel e, appoggiata di piatto la spada sul pavimento, gli corse incontro per un abbraccio e una pacca sulla spalla,  cameratesco e quasi opprimente nel suo genere, mentre sovrastava la figura di Daniel, minuta al confronto.
“Ehi amico, come andiamo? Sei tornato per due colpetti?”
“Tutto bene. Ma oggi non sono io che ti farò sudare”  insinuò Daniel, certo che bastava anche meno per insinuare la pulce nell’orecchio del vecchio Frank.
Questi saltò ogni cerimonia, con una risata soffocata, come volesse deriderlo dopo aver ascoltato una balla colossale.
“E allora chi sarebbe questo… campione?” chiese, sogghignando “perché ho davvero voglia di mettere qualcuno a tappeto.”
“Ti avverto, esce da una brutta malattia. ”
“Potrebbe non sopravvivere allora. Sicuro che sia pronto a rischiare la sua vita?” scherzò mentre si guardava intorno, ormai decisamente impaziente di conoscere il suo prossimo sfidante e gli occhi subito si puntarono sull’unico candidato possibile : Geoffrey Martewall.
Questi osservava la scena in silenzio, ancora sulla porta, intento a studiare l’ambiente quanto mai curioso, domandandosi quale potesse mai essere l’uso di complicate strutture di legno aderenti alle pareti, dette anche spalliere, o della trave in posizione decentrata. Sull’altro lato dello stanzone poi erano messe in fila, macchine per glutei, tapis roulant,  macchine per trazioni addominali e un buon assortimento di pesi, tutte spaventosamente simili all’assortimento di una sala di tortura.
“Ehi amico, che cazzo fai laggiù? Hai visto un fantasma?” lo apostrofò quasi con un latrato Frank, squadrando il suo avversario da capo a piedi,  pensieroso.
“Allora? Accetti?”  Daniel suonò troppo impaziente per i suoi gusti, l’istruttore di scherma era quanto mai sospettoso. Che l’amico gli stress giocando un brutto scherzo in qualche modo?
“Ma lui ce l’ha la lingua? ” ribatté e con fare gradasso, impettito come un pavone, mosse qualche passo mentre Geoffrey sembrava finalmente voler dedicare attenzione a Daniel e al suo amico grande e grosso.
“Siete uno sportivo ,sir?” ** chiese l’inglese, poco lontano dai due uomini, quanto basta per inserirsi nella conversazione.
Frank fece una risata sonora che non piacque all’inglese. Daniel osservò il barone irrigidirsi, il volto grave e accigliato di chi ha ricevuto un’offesa gratuita e pretende delle scuse.
“Ma dove cazzo lo hai pescato questo, da un romanzo storico? ” infierì Frank, facendo cenno di asciugarsi le lacrime come se avesse riso con la pancia in mano per ore.
“Ehi nonnetto, hai fatto la guerra del Vietnam e hai deciso di tornare in forma?” si rivolse stavolta direttamente a Geoffrey che spalancò gli occhi, tra il confuso e l’oltraggiato.
In quel momento non aveva neppure idea di cosa fosse il Vietnam, doveva essere un posto esotico, americano o comunque del mondo contemporaneo allargato, in cui c’era stata una guerra.
Ma ciò che lo sconvolse era l’atteggiamento di Frank oltre che la sua pelle bronzea, mulatta che avrebbero dovuto farlo umile, consapevole delle sue basse origini e della sua natura di barbaro, meritevole solo di una vita da schiavo. Ricordava di aver letto da qualche parte che lì non funzionava così.
Le genti erano di tutti i colori, ciascuno rivendicava i propri diritti e rifuggiva dai doveri, ormai le classi sociali erano innanzitutto una questione di censo e sicuramente non di nascita o sangue blu.
La cosa, letta su di un libro suonava estremamente affascinante, quasi impensabile, forse addirittura positiva eppure se quella villania spinta era il risultato di ciò allora era da considerarsi negativa, dannosa, controproducente.
Inoltre quel suo modo di spostare un peso dal piede all’altro, le braccia incrociate, sicuro di se mentre ciondolava a mento alto con un sorrisetto stampato in faccia lo urtava, quel’aria da boss solo perché proprietario di quella baracca era una condotta inammissibile alla presenza di un barone d’Inghilterra.
“Non so chi vi crediate di essere, ma datemi pure una lama e rimpiangerete di avermi dato del nonno”
rispose serio e tetro Martewall, le labbra incurvate in un’espressione ostile, quasi di disprezzo.
Daniel temette che questo avrebbe scatenato l’anima iraconda di Frank ma questi non sembrava essersene neppure accorto mentre procurava un’arma al suo avversario.
Geoffrey ricevette da Daniel  la spada e una pacca di incoraggiamento, controllò il bilanciamento di quel manufatto in alluminio constatandone la leggerezza, insolita, persino più leggera dei bastoni di legno con cui era solito allenarsi da quando era bambino.
Provò un affondo e un paio di fendenti facendo roteare la spada con forza e Frank sollevò un sopracciglio sorpreso, quasi come se si aspettasse di trovarsi di fronte ad uno sprovveduto e sorrise di gusto.
Si sarebbe divertito, pensò Daniel, mentre l’istruttore intercettava la lama di Martewall con una stoccata a tradimento.
L’inglese si accigliò mostrandosi irritato di quell’interferenza, quasi si trattasse di un attacco, e premette la lama di piatto su quella dell’avversario facendo scivolare la spada di Frank verso il basso.
Questi fu costretto ad incurvare la schiena e quasi a piegarsi e prese ad indietreggiare per prevenire l’affondo di Martewall.
Ma l’inglese rimase fermo mentre il rivale si raddrizzava, i lineamenti del volto induriti e la determinazione negli occhi.
L’istruttore non gli dette neppure il tempo di  assumere la posizione di guardia, ma attaccò rapido con un fendente dritto, mirando alla spalla destra di Geoffrey ma questi parò il colpo forzando la mano e rispose con un fendente diretto alla testa del rivale. Parato il colpo, Frank cominciò ad attaccare pesantemente, costringendo Geoffrey ad indietreggiare.
All’inglese cominciavano a dolere le braccia e le spalle, le lame cozzavano fra di loro con un aspro clangore metallico e il barone non riusciva né a mantenere la posizione nonostante si sforzasse di parare i colpi gravando sulle gambe, né ad avanzare.
L’istruttore infatti non solo era più allenato ma era un avversario massiccio e possente e sapeva ben adattare queste caratteristiche fisiche al suo stile brutale di combattimento.
Entrambi ansimavano, stringendo le lame e abbattendole sull’avversario con veemenza, mirando alle spalle e alla testa, troppo vicini per tentare un affondo senza lasciare la guardia scoperta.
Geoffrey notò con la coda nell’occhio che la loro posizione non era più centrale e si avvicinavano pericolosamente alla porta della palestra.
Erano in stallo da troppo tempo, entrambi forti nella tecnica, cosa che Geoffrey non si aspettava da un avversario di quel tempo.
Eppure l'allenatore era troppo regolare, impedito nei movimenti veloci dalla sua corporatura grossa e muscolosa, preferiva parare e affondare senza pietà piuttosto che  schivare conservando le energie.
Doveva giocare d'azzardo, si disse, mentre schivava un colpo e l'avversario guadagnava un altro metro.
Sbuffò, dando segni di stanchezza, e finse un affondo mirando al fianco destro, la guardia scoperta quasi ammiccante all'avversario. Frank affondò trionfante, con tutto il fianco mancando l'inglese per un soffio.
Questi invece si spostò di lato e lo colpì sulla scapola, infierendo sulla schiena ormai alla sua mercé.
Daniel vide Frank barcollare in avanti, in difficoltà, ansimando per la sorpresa. Geoffrey ne approfittò per colpirgli un polpaccio, e l'allenatore inciampò nei propri piedi, con una smorfia di dolore.

"Cavolo Geoffrey! Lo hai messo a tappeto!" Esclamò Daniel con una risata simile ad un latrato.
Si avvicinò dandogli una pacca fraterna sulla spalla mentre Frank si rialzava lentamente scuro in volto.
Le rughe di concentrazione sul volto dell'inglese si erano spianate e questi aveva persino sorriso a Daniel quando Frank attirò l su attenzione con un mugugno contrariato.

"Daniel, Brutto figlio di puttana che non sei altro!
Potevi dirmelo che il tuo amico era uno serio. Mi sarei impegnato di più e l'avrei steso una volta per tutte."

L'americano gli rise in faccia di gusto, e fece l'occhiolino all'inglese  che si era fatto serio e pensoso.

"È stato un onore per me combattere contro un avversario come voi... Signore"

Gli tese la mano tremante, un po' storta quasi non fosse padrone di quel gesto.
Frank non ci fece caso e  la afferrò stritolandola con una presa di ferro.

"Amico, sei un fenomeno ma sei veramente suonato. Quando apri bocca sembri il mio trisavolo".

Geoffrey tirò un sospiro di sollievo quando Daniel si tirò il nero da parte e rimasero a confabulare per un po'.
Aveva la bocca secca, impastata, e improvvisamente tornava a galla la stanchezza.
Quando uscirono da lì Martewall era spossato e desiderava solo vegetare sul divano almeno fino al giorno dopo.


"Ho proposto a Frank di prenderti come assistente."
"Assistente?" Sbadigliò Geoffrey.
"Ha bisogno di una mano paziente che alleni i novellini.
Dice che le iscrizioni sono in aumento da quando il Signore degli Anelli è tornato di moda"
"Chi?"
"Non conosci... ? No giusto.
Adesso che arriviamo a casa lo mettiamo"



**************************

 

COLONNA SONORA  

Note

* Titolo : “non vi sia offesa nelle parole”  
* Il rango di “barone” è più basso in graduatoria rispetto a quello di “conte”.
* “Ehi, amico, hai un appuntamento?”
*  Nat Geo, abbreviazione di National Geographic Channel
* Frank Lloyd Wright,  famoso architetto, pietra miliare dell’architettura moderna e contemporanea 
* Patto Molotov- Ribbentrop , Patto di non aggressione fra Stalin e Hitler (26 agosto 1939) e spartizione della Polonia dopo un’eventuale invasione (che avverrà pochi giorni dopo, 1 settembre del ‘39) 
* L’impero, istituzione che ha origini con il “Sacro Romano Impero” di Carlo Magno (800 d.c ), comprende tutta la “Mitteleuropa”, la zona dell’Europa Centrale, in particolare Germania, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Repubblica Ceca, parte della Polonia, dell'Austria, della Francia, della Croazia e tutta l'Italia settentrionale.

** NOTA IMPORTANTE: In inglese ovviamente non c’è alcuna differenza fra il Voi, il Tu e il Lei.
Forma di cortesia e linguaggio informale dipendono dal lessico, dall’uso di determinate espressioni invece che altre, insomma è una questione di registro. Quindi considerate comunque che quando uso il voi intendo semplicemente sottolineare il carattere anacronistico del linguaggio di Geoffrey (tanto più che in genere ci aggiungo parole come “sir”, “signore” ecc. )



Angolo dell’autrice


Spenderò due parole sul titolo di questo capitolo che è chiaramente ironico.
Infatti non si può certo dire che Ian e Geoff vadano d’amore e d’accordo e di “iniuria” se ne sono dette parecchie, in realtà. Ma la frase, nel significato inteso dal povero Tito Livio , è  più attinente al comportamento di Daniel che cerca disperatamente di mediare fra i due senza riuscirci;
 è costretto a difendere Geoffrey e lo fa con tutta la franchezza possibile ma Ian non ne vuole sapere;
allo stesso tempo non se la sente di litigare con l’amico che è anche lui in un momento di difficoltà dopo aver perso per una seconda volta casa e famiglia.
Un altro appunto: Hyperversum è anche troppo politically correct per quanto riguarda il turpiloquio e le così dette “parolacce” e anche io devo attenermi a termini abbastanza tiepidi come “bastardo” nei dialoghi fra medievali ma non transigo su quelli moderni e contemporanei.
Infatti non penso che due attempati giovanotti che sfiorano i trentacinque-quaranta siano così “puritani”.
Mi scuso terribilmente per i tempi giurassici di pubblicazione e spero che nonostante la mia incostanza qualcuno legga ancora questa fiction,

Neal C.
  
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