4. Absit iniuria verbis*
ATTENZIONE
in questo capitolo sono riportate delle “nozioni” di scherma
tradizionale/medievale.
Avviso lettori e lettrici che non sono ferrata in materia,
l’unica esperienza
che ho è quella dei Gdr online e non, dunque vi lascio la
mia fonte principale
di informazioni.
http://maestrodarmi.altervista.org/colpi.htm
Se qualcuno più esperto di me avesse qualcosa da farmi
notare, non esiti a
farlo.
Buona lettura
Quella sera quando IanMaayrkas rientrò a casa, per la prima
volta dopo dieci
giorni, rimase a
bocca aperta dalla
sorpresa, davanti allo spettacolo quasi surreale che si stava svolgendo nel suo salotto.
Davanti a lui c’era Daniel che giocava ad Hyperversum e nel
frattempo sembrava
spiegarne il funzionamento ad un Geoffrey insolitamente
mansueto.
Entrambi erano seduti sul tappeto, Daniel in jeans e maglietta e
Geoffrey in
tuta.
Accanto a loro giacevano i resti di due confezioni di nudols con
pezzetti di
pollo fritti, una coca cola e una birra, poggiati alla ben e meglio su
due
buste di plastica con l’indirizzo del take away
più vicino.
Daniel dovette aver finito la spiegazione perché si
lasciò cadere sul divano
sconsolato mentre Geoffrey guardava lo schermo del computer come se si
stesse
specchiando nel monitor luminoso.
Ian posò il borsone da viaggio per terra davanti alla porta
d’ingresso e fece
il suo ingresso nel salotto, annunciandosi con una lieve schiarita di
voce.
I due uomini si girarono a guardarlo,
Daniel con un sorriso di ben tornato, Martewall con
un’espressione
indecifrabile sul volto: certo non gioia del suo ritorno, constatò
dispiaciuto l’americano.
“Gli hai spiegato il funzionamento di Hyperversum?”
esordì, lasciandosi cadere
sulla poltroncina accanto al divano, spostando lo sguardo da un amico
all’altro, quasi volesse controllare, di sottecchi le
reazioni di entrambi.
Stavolta fu Geoffrey a rispondere, in tono aspro e accusatorio:
“Si. E ho capito tante cose. ”
Se Ian era rimasto colpito dall’ acidità
dell’inglese, non lo dette a vedere,
bensì si mise più comodo sulla poltrona e
scalzò le converse rimanendo a piedi
nudi.
“Cosa intendi dire?” chiese quasi noncurante.
”Intendo dire che ho sempre avuto ragione su tutto. O meglio ho sempre avuto
ottime ragioni di
credere in Jerome e nelle sue ‘menzogne’ , come le
hai sempre definite. ”
A sentire il nome di Derengale, Ian sollevò lo sguardo da
terra, quasi
digrignando i denti.
“Derengale era un crimale.”
“Almeno non mentiva. Non
era un
impostore che ha ingannato tutto il mondo…” poi
aggiunse, sottolineando “…
allora conosciuto.”
“Gli hai detto proprio tutto eh?” si rivolse Ian a
Daniel, quasi seccato.
Daniel non sapeva dove guardare. Come un idiota non aveva neppure
pensato che
avrebbe messo in pericolo l’identità del suo
migliore amico. Che avrebbe dovuto
omettere qualche dettaglio, che avrebbe dovuto fingere o almeno in
qualche modo
dissimulare il coinvolgimento di Ian in qualche modo.
Tentò la via della mediazione:
“Ehm… Geoff,
forse un tempo è stato
così, ma adesso Ian è francese, ha una casa, una
famiglia…”
“Ha una posizione che non è sua. Ha una moglie che
non era destinata a lui. È
solo un impostore!”
fu la risposta spazientita dell’inglese e Ian si
sentì costretto a ribattere
violentemente, gli occhi iniettati di sangue, nel tentativo di
controllare la
rabbia.
“Sai a chi era destinata Isabeau?! A Dammartin! Uno schifoso
bastardo che
l’avrebbe disonorata per poi costringere la MIA famiglia a
sposarli!”
“Non è la TUA famiglia! Non hai nessun legame di
sangue con i Ponthieu, non
avresti neppure il diritto di rivolgermi la parola! Sei un patetico
ladro di
identità, probabilmente un plebeo, figlio di
chissà quale razza in questa
caotica mescolanza che chiamate America! ” lo
liquidò con rabbia Martewall.
“Questa caotica mescolanza è un paese libero!
È un paese dove chiunque può
diventare ciò che vuole!
Quanto a me… mi è stata offerta
l’opportunità di divenire dapprima un famiglio
e poi un membro a tutti gli effetti del casato dei Ponthieu. Oseresti
discutere
la decisione di Sua altezza reale Filippo Augusto
e mio fratello Guillaume de Ponthieu, CONTE
di Francia?!”
Ian si costrinse a riprendere fiato dopo quell’arringa
sfiancante ma Martewall
fu pronto a ribattere:
“Oserei discuterne anche con il Padreterno…
perché so di avere ragione!”
“E allora finiresti sulla forca per aver offeso un sovrano
per diritto divino!
Come tuo padre, per tradimento!”
Vide l’inglese impallidire dalla rabbia e stringere i pugni
spasmodicamente
come se si stesse controllando dal saltare addosso
all’americano.
“NON OSARE PARLARE DI MIO PADRE IN QUESTO MODO, LURIDO
PEZZENTE BASTARDO!”
Gli urlò infine contro mentre Daniel li guardava sconvolto e
balbettava i loro
nomi, come se questo bastasse a richiamarli all’ordine.
“Come ci si sente a perdere ogni cosa? Totalmente sradicato e
in un mondo
ostile? Bene, io
così mi sentii
all’epoca! Poi entrai nella famiglia di Guillaume che mi
protesse come un
fratello. E adesso SONO suo fratello, SONO un Conte di Francia e dunque
devi
portarmi il rispetto che merito, soprattutto tu,
BARONE*!”
affermò quasi altezzoso, Ian, sottolineando il
titolo dell’amico con
cattiveria.
“Non ti devo nulla! Dovrei sputarti addosso come sul
più sudicio dei vagabondi!”
“Allora esci pure di qui!
Esci da quella
porta e sparisci! Perché adesso stai godendo della sontuosa
ospitalità del più
sudicio dei vagabondi, qui presente!”
Ian si alzò di scatto indicando la porta perentorio, come si
trovasse davanti
ad un bambino o un cane disubbidiente.
“IAN! GEOFFREY! Adesso basta! Calmatevi! “
Ordinò esasperato
Daniel, preoccupato della deriva a
cui quel litigio furioso stava portando.
Forse sarebbe dovuto intervenire prima, aveva pensato poi quando un
silenzio
carico di tensione era sceso sui due litiganti.
Ian aveva ancora il braccio spiegato mentre Geoffrey lo guardava con
odio
feroce, quasi disprezzo.
Dopo anche un minuto di stallo, estremamente imbarazzante per Daniel, Ian annunciò
stizzito:
“Vado a farmi una doccia!”
Daniel tirò un sospiro di sollievo e stirò
persino le labbra in un sorriso
davanti a quell’uscita comica, ma non osò guardare
in faccia l’inglese che
trasudava collera e odio.
Daniel bussò alla porta di camera di Ian e si
schiarì la voce prima di
rispondere all’imperioso “chi
è” dell’amico, oltre la porta,
annunciandosi.
Quindi fece il suo ingresso timidamente ma dovette attendere che Ian
uscisse
dal bagno, in accappatoio e con un asciugamano in testa che gli dava
un’aria
buffa, quasi innocua.
Lo scienziato fece un mezzo sorriso, finalmente rilassato, come se quella commedia
casalinga gli
togliesse un peso dal cuore.
“Ehi, man, are you on a date?” *
scherzò, fischiando impressionato mentre Ian
usciva dall’accappatoio
e si infilava i
pantaloni di un tuta stravecchia e dal bordo slabbrato, fulminandolo
con lo
sguardo.
“Ok, era pessima” ammise poi l’amico,
andandosi a sedere sul letto, nuovamente
inquieto dal momento che Ian non rispondeva alle provocazioni e a
stento
sembrava aver notato la sua presenza.
“Come va fra te e Geoffrey, eh? Ormai siete
amiconi.” Constatò Ian e terminò di
vestirsi infilandosi un magliettone XXL, apparendo più
scaciato che mai, i
capelli neri ancora avvolti nell’asciugamano che colava acqua
sulla tuta dei
pantaloni, andando a formare piccole pozzanghere sul pavimento.
“Beh, è quasi divertente. All’inizio era
letteralmente terrorizzato…” cominciò
Daniel, cauto e fu subito interrotto e giustificato
dall’amico “naturale che lo
fosse” gli ricordò Ian ma il tono era
tutt’altro che comprensivo.
“Chi meglio di te lo sa” riflettè a voce
alta Daniel, evitando però lo sguardo
di Ian.
Questi, nel frattempo, era impegnato a strizzarsi i capelli e a
pettinarli con
un pettine color tartaruga, abbandonando l’asciugamano sulla
sedia girevole
della scrivania.
”Dovresti… essere meno duro con lui, Ian. Sta
passando un momentaccio. E ce la
sta mettendo tutta”
lo avvertì Daniel, suonando un po’ paternalistico,
come se invitasse il figlio
quindicenne ad essere più tollerante con il fratellino di
appena quattro anni.
“Impara in fretta. Sta familiarizzando con tutti i vari
ordigni di casa, si sta
lentamente ambientando.
E ogni giorno devo tentare di rispondere alle sue curiosità.
E non è mica
facile!” scherzò il ragazzo, fingendosi
terrorizzato all’idea. “Mi
sembra di essere tornato ai tempi di Johnny.
‘Papà cos’è
questo?’ , ‘Papà,
perché?’. È
strano dovergli spiegare sempre tutto.”
“Mi fa piacere che ti diverti”
lo interruppe
scocciato Ian, mostrandosi scontroso e insofferente.
“Senti, Ian, devi capirlo. Solo in questo momento Geoffrey
sta scoprendo che
tutto quello per cui è morto il suo migliore amico, tutto
quello per cui la sua
vita è cambiata è falso! Pensaci! Se, una volta
rilasciato dalla prigionia
fosse tornato in Inghilterra, senza perdere tempo a catturarti, senza
altro
pensiero che quello del folle eroismo di
suo padre a cui far fronte magari sarebbe stato tutto
diverso.”
In quel momento Ian realizzò che era stanco:
stanco di essere forte, di dover capire gli altri e
reprimere i suoi
sentimenti, la sua disperazione per non complicare ulteriormente una
situazione
che lui stesso aveva causato.
“Daniel” gli ruggì contro, lentamente,
come se volesse trapanargli il cervello
imprimendovi le proprie parole a forza
“la storia non si fa con i se e con i ma. E non
può sempre essere colpa
mia.”
come se volesse, per la prima volta, scaricare quelle
responsabilità che,
disgraziatamente, solo lui avrebbe potuto prendere a carico.
Daniel capì rapidamente come girava il vento e si
affrettò a scuotere il capo
in segno di diniego, quasi a volerlo rassicurare.
Attese ancora qualche secondo nella stanza,
come se volesse convincere sé stesso a dire qualcosa ma Ian
gli aveva già
girato le spalle, e si affannava a rovistare nei cassetti, alla ricerca
di un
paio di calzini puliti.
**************
Da quel momento i contatti fra i due cavalieri si fecero freddi e
ostili ogni volta
che erano costretti ad incontrarsi.
In seguito ad una settimana di convivenza Ian annunciò che
aveva trovato una
stanza per studenti di fronte all’università e si
trattava di pochi soldi,
tanto più che avrebbe condiviso la stanza con un ragazzetto,
il più delle volte
assente. Dopo un animato discorso con Daniel,
lo scienziato era stato costretto a cedere e a lasciarlo
andare. Aveva
ancora tentato di obiettare in extremis mentre Ian radunava le ultime
cose da
caricare nel portabagagli, inclusa la sua lampada da comodino verde
menta,
comprata in Francia e lasciata accesa notti intere di studio.
“Ian, non posso credere che te ne stia andando. È
casa tua! Non puoi lasciarla
a lui! ” gli gridava contro Daniel con voce indignata ma Ian
non distolse lo
sguardo dagli oggetti radunati nel portabagagli.
“Domani ti telefono per i documenti di Geoffrey. Ho trovato
qualcuno che me li
può procurare senza troppe difficoltà.”
“Ian, mi hai sentito?”
“Mi sono anche informato per l’assicurazione
sanitaria. Un mio collega mi ha
consigliato un’ ottima polizza assicurativa. ”
“Ian?” lo
richiamò Daniel, incredulo
all’idea di non riuscire a distoglierlo neanche per un attimo
dal suo parlare
distaccato “Il
problema è che non
possiamo mentire su tutta la linea. La sua copertura salta.”
Lo
ammutolì di nuovo il ragazzo con un
che di imperioso e autoritario e lo scienziato pensò per un
attimo che quelle
parole suonassero molto alla James Bond
“è inglese? Che sia inglese allora,
se ci tiene.
Ma questo vuol dire che saremo costretti a fargli anche un permesso di
soggiorno falso fra i vari documenti.
Oppure dovremmo sostenere che ha preso la cittadinanza?
Impossibile.
A meno che non è già terza
generazione… ”
“Ian, cazzo mi stai ascoltando?!” fu allora che il
bruno esplose, sbattendo il
portellone della macchina violentemente e pestando i piedi per terra
“No ascoltami tu, cazzo! Abbiamo un problema da risolvere in
un mondo dove anche
una buona copertura può saltare in
niente! Lui non lo capisce perché, giustamente come mi
ripeti da settimane, non
sa un cazzo di niente. Ma tu quando ti svegli?!”
Lasciò Daniel annichilito e non gli dette neppure il tempo
di riprendersi. Il
biondo sentì la portiera del guidatore
sbattere a sua volta e il motore mettersi in moto ruggendo
più del solito.
“Ti chiamo stasera” annunciò perentorio
Ian prima di partire a marcia indietro,
congedandosi imperioso e sparendo per il vialetto che portava verso il
centro.
Ma Ian non chiamò né quella sera né il
giorno dopo e Daniel, dal canto suo, si
chiese se cercarlo ma rimase a guardare il telefono della sua scrivania
inquieto come se dovesse squillare da un momento all’altro.
Davanti a lui volteggiava sul monitor lo screensaver che era subentrato
ai
grafici con le ultime ricerche che Ricardo gli aveva mandato.
Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a lavorare mentre,
l’orecchio teso,
poteva sentire il volume
della tv che
dava un documentario sulla storia della guerra di secessione americana.
Da quando Martewall aveva scoperto la televisione ne era rimasto
dapprima
insospettito e poi affascinato.
Aveva imparato ad andare su History Channel e Nat Geo* e passava le ore
a
guardare documentari al punto che ogni tanto lo osservava strofinarsi
gli occhi
un po’ arrossati.
Geoffrey non se ne lamentava mai ma doveva essere fastidioso il primo
impatto
con il mondo dei pixel.
Daniel si passò una mano sugli occhi socchiudendoli per un
istante, esausto di
guardare quel fastidioso screensaver che lo stava facendo ammattire.
Il giorno dopo era sabato ma era indietro da una settimana sul lavoro e
quella
sera avrebbe dovuto darsi una mossa. Dovette realizzare che era passato
più di
un mese dall’arrivo disperato di Geoffrey, un mese che non
usciva di casa, un
mese che non respirava aria “pulita” . Certo, non
erano messi male come New
York e Washington ma certo Phoenix non era il polmone verde
d’America.
Se il barone non era ancora impazzito lo sarebbe diventato a breve,
concluse,
tirandosi su, pigramente.
Doveva rinnovare gli ingressi in palestra oppure avrebbe perso il
fisico del
cavaliere di cui tanto amava vantarsi Jodie con le colleghe.
Fu allora che gli balenò un’idea strabiliante.
Frank! Frank Lloyd Wright!
Non l’architetto*. L’istruttore di scherma di Ian
era la soluzione ai suoi
problemi.
Geoffrey era un maestro della scherma medievale e certo Frank non si
sarebbe
annoiato.
Magari avrebbe imparato anche qualche cosa.
Lasciò la scrivania, passando un attimo per la cucina per
recuperare un bicchiere
d’acqua, e mentre si informava se l’amico volesse
qualcosa da bere, finalmente
squillò il telefono.
Daniel atterrò sul cordless come una furia ma
dall’altra parte gli rispose
Jodie:
“Amore, domani Johnny è in uscita libera con la
scuola, passerà tutta la
giornata fuori.
Vogliamo pranzare insieme?”
“Hai pausa pranzo?”
“No, domani comincio alle quattro e finisco a mezzanotte.
Potresti prendere tu Johnny, a proposito?”
“Non c’è problema.”
Jodie sembrò esitare prima di chiedere e quei secondi di
silenzio a telefono
rimbombarono nelle orecchie del marito come se l’apparecchio
dovesse tacere per
sempre
“Ha chiamato Ian?”
“No.”
“Tutto bene lì?” chiese lei speranzosa
davanti alla voce indecifrabile di lui.
“Si. Mi è venuta un’idea. Domani
potremmo andare in palestra da Frank.”
“Che cosa?! Scordatelo, Dan, non puoi esporlo così
al mondo senza nessuna
preparazione!”
“Ma è un mese che si prepara psicologicamente! Gli
faremo venire una psicosi!
Già assomiglia ad un sociopatico!”
“Anche tu saresti stato un sociopatico se Ian non ci avesse
costretto a
metterci in gioco allora.”
“E io sono contento che lo abbia fatto. E voglio che sia
così anche per
Geoffrey.”
“Potresti traumatizzarlo!”
“Potrei anche svegliarlo. E questo sarebbe già
qualcosa. E poi prima o poi
dovrò tornare alla mia vita normale! Al lavoro cominciano a
chiedersi quanto ci
metto a sbrigare il lavoro a casa, hanno bisogno di me in
laboratorio.”
“Daniel… io non credo che sia una buona
idea” terminò Jodie, esasperata, per
poi aggiungere con un sospiro “poi fa quel che ti
pare.”
“Ci vediamo per un sandwich da David, all’angolo,
sotto casa?”
“Ok. Domani Jhonny finisce alle sette. Devi essere a scuola
per quell’ora.”
“Ok… Jod… Ti amo.”
ma la moglie aveva già chiuso la comunicazione per allora.
Daniel rimase con la cornetta in mano, ad ascoltare il martellante
ticchettio
che segnalava “occupato” finchè non si
riscosse riattaccando alla ben e meglio.
Sentiva uno strano vuoto. Avrebbe voluto che Jodie lo rassicurasse
invece di
rompergli le uova nel paniere.
Si ripeté che quella era la cosa migliore da fare per tutti
e si rassegnò a
tornare alla scrivania, di nuovo prigioniero delle statistiche sulla
diffusione
del bacillo X nell’organismo Y.
**********************
Verso le quattro in tv cominciavano i documentari di David Attenborough
sulla
BBC e come al solito Geoffrey si era accoccolato su una poltrona, le
gambe
incrociate e la schiena abbandonata all’indietro mentre
attendeva la fine
dell’ennesimo stacco pubblicitario.
Accanto alla sua sedia c’era il sussidiario di storia della
terza classe di
scuola superiore di Jhonny, aperto agli ultimi capitoli, sul patto
Molotov
Ribbentrop* fra la Russia stalinista e la Germania nazista, prima dello
scoppio
della seconda guerra mondiale.
Il barone si era incuriosito e vi aveva dato un’occhiata per
poi ritrarsi,
scoraggiato dalle innumerevoli complicazioni che il testo comportava.
Gli era
ancora estraneo infatti il concetto di
“inflazione”, tanto meno i concetti di
“revanscismo francese”, “crisi di Wall
Street” o ancora “guerra-lampo”.
Aveva persino visto un famoso film su questa benedetta seconda guerra
mondiale
e aveva scoperto che un pazzo austriaco provvisto di baffetti,
un’aria truce e
una voce suadente che aveva sedotto una nazione intera, aveva
programmato lo
sterminio di sei milioni di ebrei.
Neanche le persecuzioni nei villaggi spagnoli o in quelli della
Bretagna o
dell’alta Inghilterra, le regioni più
selvagge, erano state così sanguinose e
orribili - aveva
avuto occasione di commentare con
Daniel, quel giorno a pranzo.
In effetti gli imperiali* erano sempre stati dei barbari, o almeno lui
aveva
conosciuto solo ottusi mercenari in cerca di ricchezze più
che di gloria,
troppo concentrati sul guadagno personale per avere un minimo di onore.
Erano
bravi combattenti e temibili avversari ma anche ingiustificatamente
crudeli in
battaglia.
A detta di Daniel le cose erano parecchio cambiate e adesso, al posto
dell’impero c’erano dei piccoli stati.
Inoltre proprio questa Germania sanguinaria era diventata tra le prime
potenze
d’Europa.
Ma nessuno sospetta nulla? – aveva chiesto Geoffrey, con un
sopracciglio
inarcato, segno della sua scettica perplessità.
Daniel aveva
dichiarato di capirne poco
di politica, troppo poco per pensare di poter dire la sua.
aveva solo ribadito, da buon patriota, che non vi era forza politica,
economica
o militare che potesse superare in potenza il colosso americano.
Geoffrey aveva replicato, punto sul vivo, che gli americani dovevano
molto alla
loro patria, l’Inghilterra ma una risata franca di Daniel
aveva chiuso il
discorso ancora una volta.
Dopo la pubblicità di un nuovo farmaco anti-asma
seguì quella di uno zaino e
una collezione scuola per bambini, quindi quella di una nuova serie tv.
Ma proprio quando la sigla familiare del documentario esplodeva dagli
altoparlanti lo
schermo si spense di botto, senza vita.
Dietro di lui Daniel aveva appena azionato il telecomando e stava
riempiendo il
borsone della palestra.
“Che diavolo fai?”
“Vestiti sportivo. Andiamo in palestra”
“In palestra? Cioè dove ci si allena?”
“Si. Voglio vedere se sai tirare di scherma come un tempo o
ti sei rammollito
del tutto”
Bastò questo a fare avvampare il leone che si
tirò in piedi precipitosamente
sbottando che non era mai stato più in forma e che lo
avrebbe stracciato, in
qualunque disciplina, ancora di più in un confronto di spade.
“Vedremo” sorrise sotto i baffi Daniel mentre
richiudeva la zip del borsone con
aria furbetta.
La palestra era vicina, appena un isolato da casa di Daniel e si faceva
tranquillamente a piedi.
Oltrepassare la soglia del portone del palazzo era sembrato piuttosto
naturale
per entrambi ma l’americano percepiva chiaramente che il
barone aveva i nervi a
fior di pelle.
Si guardava intorno quasi ossessivo, cose se ogni cosa potesse
improvvisamente
cambiare, crollargli addosso o , peggio ancora, aggredirlo.
Le rare auto che passavano sull’asfalto della strada che gli
correva di fianco,
apparivano meno spaventose ma ancora più incredibili dopo
averle viste in tanti
film moderni.
Forse quello che Geoffrey trovava più strano era
l’assenza di animali, di vita,
di natura.
L’enorme parco, oltre la carreggiata principale gli appariva
come una
ricostruzione, un giardinetto che abbelliva il grigiore di una terra
cementata,
come se questa fosse, col tempo invecchiata e diventata grigia e
stempiata.
Lui stesso, per un attimo si sentì vecchissimo, ridicolmente
obsoleto, quasi un
matusalemme che ha visto decisamente
troppo in vita sua.
Daniel sapeva di non poter sconfiggere quello stato di disagio e
angoscia che
l’amico aveva riflesso negli occhi;
pensava ancora che prima o poi si sarebbe abituato almeno
quanto basta
per ignorarlo, fino al giorno in cui lui e Ian sarebbero tornati a casa.
La palestra era piccola, affiliata ad un noto centro sportivo di
pallanuoto.
Lo stesso Frank prima di cominciare la scherma aveva giocato nella
pallanuoto e
aveva persino vinto un paio di premi a livello regionale.
Lo trovò come al solito nell’ampia palestra- campo
da gioco che allenava un
giovanotto volenteroso ma evidentemente non particolarmente portato vista la totale mancanza
di coordinazione
oltre ai riflessi un po’ lenti. Doveva essere un principiante.
“No No No! Non ci siamo proprio!”
Geoffrey osservava sulla porta un nero dal fisico imponente e le spalle
da
nuotatore che scuoteva il capo violentemente, con profonda riprovazione
mentre
impugnava a martello una finta spada ad una mano e mezzo, forse in
plastica o
in qualche altro materiale plastico color ferro.
“Che cazzo affondi a fare ragazzino?! Ma chi ti ha insegnato
ad attaccare?
Attila, il re degli unni?
Ragiona! Quanto ci metto a schivarti e ad attaccare il fianco scoperto,
eh?
Cristo!
Tutti e incompetenti e senza cervello dovevano capitarmi!”
Daniel sorrise sotto i baffi davanti all’espressione smarrita
dello sbarbatello
che lasciava penzolare la spada abbandonata sul fianco che tirava
giù il
braccio, inclinandola di taglio.
“E non affettarti una gamba Cristo! Qual è la
posizione di attesa? Qual è la
regola fondamentale? Tieni le posizioni o ti tagli una mano!”
Stavolta il principiante sembrò voler protestare che avevano
interrotto il
duello e non si aspettava certo un attacco a sorpresa dal suo maestro
di
scherma in una palestra alla quale versava ogni mese 80 dollari al mese. Ma mentre si risentiva
degli insulti dell’allenatore
e dei suoi rimproveri poco ortodossi già Frank non lo
ascoltava più.
Lo mollò di punto in bianco non appena vide Daniel e,
appoggiata di piatto la
spada sul pavimento, gli corse incontro per un abbraccio e una pacca
sulla
spalla, cameratesco
e quasi opprimente
nel suo genere, mentre sovrastava la figura di Daniel, minuta al
confronto.
“Ehi amico, come andiamo? Sei tornato per due
colpetti?”
“Tutto bene. Ma oggi non sono io che ti farò
sudare” insinuò
Daniel, certo che bastava anche meno
per insinuare la pulce nell’orecchio del vecchio Frank.
Questi saltò ogni cerimonia, con una risata soffocata, come
volesse deriderlo
dopo aver ascoltato una balla colossale.
“E allora chi sarebbe questo… campione?”
chiese, sogghignando “perché ho
davvero voglia di mettere qualcuno a tappeto.”
“Ti avverto, esce da una brutta malattia. ”
“Potrebbe non sopravvivere allora. Sicuro che sia pronto a
rischiare la sua
vita?” scherzò mentre si guardava intorno, ormai
decisamente impaziente di
conoscere il suo prossimo sfidante e gli occhi subito si puntarono
sull’unico
candidato possibile : Geoffrey Martewall.
Questi osservava la scena in silenzio, ancora sulla porta, intento a
studiare
l’ambiente quanto mai curioso, domandandosi quale potesse mai
essere l’uso di
complicate strutture di legno aderenti alle pareti, dette anche
spalliere, o
della trave in posizione decentrata. Sull’altro lato dello
stanzone poi erano
messe in fila, macchine per glutei, tapis roulant,
macchine per trazioni addominali e un buon
assortimento di pesi, tutte spaventosamente simili
all’assortimento di una sala
di tortura.
“Ehi amico, che cazzo fai laggiù? Hai visto un
fantasma?” lo apostrofò quasi
con un latrato Frank, squadrando il suo avversario da capo a piedi, pensieroso.
“Allora? Accetti?”
Daniel suonò troppo
impaziente per i suoi gusti, l’istruttore di scherma era
quanto mai sospettoso.
Che l’amico gli stress giocando un brutto scherzo in qualche
modo?
“Ma lui ce l’ha la lingua? ”
ribatté e con fare gradasso, impettito come un
pavone, mosse qualche passo mentre Geoffrey sembrava finalmente voler
dedicare
attenzione a Daniel e al suo amico grande e grosso.
“Siete uno sportivo ,sir?” ** chiese
l’inglese, poco lontano dai due uomini,
quanto basta per inserirsi nella conversazione.
Frank fece una risata sonora che non piacque all’inglese.
Daniel osservò il
barone irrigidirsi, il volto grave e accigliato di chi ha ricevuto
un’offesa
gratuita e pretende delle scuse.
“Ma dove cazzo lo hai pescato questo, da un romanzo storico?
” infierì Frank,
facendo cenno di asciugarsi le lacrime come se avesse riso con la
pancia in
mano per ore.
“Ehi nonnetto, hai fatto la guerra del Vietnam e hai deciso
di tornare in
forma?” si rivolse stavolta direttamente a Geoffrey che
spalancò gli occhi, tra
il confuso e l’oltraggiato.
In quel momento non aveva neppure idea di cosa fosse il Vietnam, doveva
essere
un posto esotico, americano o comunque del mondo contemporaneo
allargato, in
cui c’era stata una guerra.
Ma ciò che lo sconvolse era l’atteggiamento di
Frank oltre che la sua pelle
bronzea, mulatta che avrebbero dovuto farlo umile, consapevole delle
sue basse
origini e della sua natura di barbaro, meritevole solo di una vita da
schiavo.
Ricordava di aver letto da qualche parte che lì non
funzionava così.
Le genti erano di tutti i colori, ciascuno rivendicava i propri diritti
e
rifuggiva dai doveri, ormai le classi sociali erano innanzitutto una
questione
di censo e sicuramente non di nascita o sangue blu.
La cosa, letta su di un libro suonava estremamente affascinante, quasi
impensabile, forse addirittura positiva eppure se quella villania
spinta era il
risultato di ciò allora era da considerarsi negativa,
dannosa,
controproducente.
Inoltre quel suo modo di spostare un peso dal piede
all’altro, le braccia
incrociate, sicuro di se mentre ciondolava a mento alto con un
sorrisetto
stampato in faccia lo urtava, quel’aria da boss solo
perché proprietario di
quella baracca era una condotta inammissibile alla presenza di un
barone
d’Inghilterra.
“Non so chi vi
crediate di essere, ma datemi pure una
lama e rimpiangerete di avermi dato del nonno”
rispose serio e tetro Martewall, le labbra incurvate in
un’espressione ostile,
quasi di disprezzo.
Daniel temette che questo avrebbe scatenato l’anima iraconda
di Frank ma questi
non sembrava essersene neppure accorto mentre procurava
un’arma al suo
avversario.
Geoffrey ricevette da Daniel la
spada e
una pacca di incoraggiamento, controllò il bilanciamento di
quel manufatto in
alluminio constatandone la leggerezza, insolita, persino più
leggera dei
bastoni di legno con cui era solito allenarsi da quando era bambino.
Provò un affondo e un paio di fendenti facendo roteare la
spada con forza e
Frank sollevò un sopracciglio sorpreso, quasi come se si
aspettasse di trovarsi
di fronte ad uno sprovveduto e sorrise di gusto.
Si sarebbe divertito, pensò Daniel, mentre
l’istruttore intercettava la lama di
Martewall con una stoccata a tradimento.
L’inglese si accigliò mostrandosi irritato di
quell’interferenza, quasi si
trattasse di un attacco, e premette la lama di piatto su quella
dell’avversario
facendo scivolare la spada di Frank verso il basso.
Questi fu costretto ad incurvare la schiena e quasi a piegarsi e prese
ad
indietreggiare per prevenire l’affondo di Martewall.
Ma l’inglese rimase fermo mentre il rivale si raddrizzava, i
lineamenti del
volto induriti e la determinazione negli occhi.
L’istruttore non gli dette neppure il tempo di
assumere la posizione di guardia, ma attaccò
rapido con un fendente dritto,
mirando alla spalla destra di Geoffrey ma questi parò il
colpo forzando la mano
e rispose con un fendente diretto alla testa del rivale. Parato il
colpo, Frank
cominciò ad attaccare pesantemente, costringendo Geoffrey ad
indietreggiare.
All’inglese cominciavano a dolere le braccia e le spalle, le
lame cozzavano fra
di loro con un aspro clangore metallico e il barone non riusciva
né a mantenere
la posizione nonostante si sforzasse di parare i colpi gravando sulle
gambe, né
ad avanzare.
L’istruttore infatti non solo era più allenato ma
era un avversario massiccio e
possente e sapeva ben adattare queste caratteristiche fisiche al suo
stile
brutale di combattimento.
Entrambi ansimavano, stringendo le lame e abbattendole
sull’avversario con
veemenza, mirando alle spalle e alla testa, troppo vicini per tentare
un
affondo senza lasciare la guardia scoperta.
Geoffrey notò con
la coda
nell’occhio che la loro posizione non era più
centrale e si avvicinavano
pericolosamente alla porta della palestra.
Erano in stallo da troppo
tempo, entrambi forti nella tecnica, cosa che Geoffrey non si aspettava
da un
avversario di quel tempo.
Eppure l'allenatore era
troppo regolare, impedito nei movimenti veloci dalla sua corporatura
grossa e
muscolosa, preferiva parare e affondare senza pietà
piuttosto che schivare
conservando le energie.
Doveva giocare d'azzardo, si
disse, mentre schivava un colpo e l'avversario guadagnava un altro
metro.
Sbuffò, dando segni
di
stanchezza, e finse un affondo mirando al fianco destro, la guardia
scoperta
quasi ammiccante all'avversario. Frank affondò trionfante,
con tutto il fianco
mancando l'inglese per un soffio.
Questi invece si spostò di lato e lo colpì
sulla scapola, infierendo sulla schiena ormai alla sua mercé.
Daniel vide Frank barcollare in avanti, in
difficoltà, ansimando per la sorpresa. Geoffrey ne
approfittò per colpirgli un
polpaccio, e l'allenatore inciampò nei propri piedi, con una
smorfia di dolore.
"Cavolo Geoffrey! Lo hai messo a
tappeto!" Esclamò Daniel con una risata simile ad un latrato.
Si avvicinò dandogli una pacca fraterna
sulla spalla mentre Frank si rialzava lentamente scuro in volto.
Le rughe di concentrazione sul volto
dell'inglese si erano spianate e questi aveva persino sorriso a Daniel
quando
Frank attirò l su attenzione con un mugugno contrariato.
"Daniel, Brutto figlio di puttana che
non sei altro!
Potevi dirmelo che il tuo amico era uno
serio. Mi sarei impegnato di più e l'avrei steso una volta
per tutte."
L'americano gli rise in faccia di
gusto, e
fece l'occhiolino all'inglese che
si era
fatto serio e pensoso.
"È stato un onore per me
combattere
contro un avversario come voi... Signore"
Gli tese la mano tremante, un po'
storta
quasi non fosse padrone di quel gesto.
Frank non ci fece caso e la
afferrò stritolandola con una presa di
ferro.
"Amico, sei un fenomeno ma sei
veramente suonato. Quando apri bocca sembri il mio trisavolo".
Geoffrey tirò un sospiro di
sollievo
quando Daniel si tirò il nero da parte e rimasero a
confabulare per un po'.
Aveva la bocca secca, impastata, e
improvvisamente tornava a galla la stanchezza.
Quando uscirono da lì Martewall era spossato e desiderava
solo vegetare sul
divano almeno fino al giorno dopo.
"Ho proposto a Frank
di prenderti come assistente."
"Assistente?"
Sbadigliò
Geoffrey.
"Ha bisogno di una
mano paziente che
alleni i novellini.
Dice che le iscrizioni
sono in aumento da quando il Signore degli Anelli è tornato di moda"
"Chi?"
"Non conosci... ? No
giusto.
Adesso che arriviamo a casa lo
mettiamo"
**************************
COLONNA SONORA
Note
* Titolo
: “non vi sia offesa nelle parole”
* Il rango di “barone” è più
basso in graduatoria rispetto a quello di “conte”.
* “Ehi, amico, hai un appuntamento?”
* Nat Geo,
abbreviazione di National
Geographic Channel
* Frank
Lloyd Wright, famoso
architetto,
pietra miliare dell’architettura moderna e
contemporanea
* Patto
Molotov- Ribbentrop , Patto di non aggressione fra Stalin e
Hitler (26
agosto 1939) e spartizione della Polonia dopo un’eventuale
invasione (che
avverrà pochi giorni dopo, 1 settembre del
‘39)
* L’impero,
istituzione che ha origini con il “Sacro Romano
Impero” di Carlo
Magno (800 d.c ), comprende tutta la
“Mitteleuropa”, la zona dell’Europa
Centrale, in particolare Germania,
Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Repubblica Ceca,
parte della Polonia, dell'Austria, della Francia, della Croazia e tutta
l'Italia settentrionale.
** NOTA IMPORTANTE:
In inglese ovviamente non c’è alcuna differenza
fra il Voi,
il Tu e il Lei.
Forma di cortesia e linguaggio informale dipendono dal lessico,
dall’uso di
determinate espressioni invece che altre, insomma è una
questione di registro.
Quindi considerate comunque che quando uso il voi intendo semplicemente
sottolineare il carattere anacronistico del linguaggio di Geoffrey
(tanto più
che in genere ci aggiungo parole come “sir”,
“signore” ecc. )
Angolo dell’autrice
Spenderò due parole sul titolo di questo capitolo che è chiaramente ironico.
Infatti non si può certo dire che Ian e Geoff vadano d’amore e d’accordo e di “iniuria” se ne sono dette parecchie, in realtà. Ma la frase, nel significato inteso dal povero Tito Livio , è più attinente al comportamento di Daniel che cerca disperatamente di mediare fra i due senza riuscirci;
è costretto a difendere Geoffrey e lo fa con tutta la franchezza possibile ma Ian non ne vuole sapere;
allo stesso tempo non se la sente di litigare con l’amico che è anche lui in un momento di difficoltà dopo aver perso per una seconda volta casa e famiglia.
Un altro appunto: Hyperversum è anche troppo politically correct per quanto riguarda il turpiloquio e le così dette “parolacce” e anche io devo attenermi a termini abbastanza tiepidi come “bastardo” nei dialoghi fra medievali ma non transigo su quelli moderni e contemporanei.
Infatti non penso che due attempati giovanotti che sfiorano i trentacinque-quaranta siano così “puritani”.
Mi scuso terribilmente per i tempi giurassici di pubblicazione e spero che nonostante la mia incostanza qualcuno legga ancora questa fiction,
Neal C.