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Autore: Ayr    01/07/2014    4 recensioni
Arden è un giovane Cacciatore di draghi, uccide queste creature per prelevare il Sospiro del Drago, una sostanza preziosissima altamente infiammabile. Elleboro è una Lingua di Fuoco, una leggenda, lei i draghi li protegge.
Quando la ragazza incontrerà Arden e lo salverà da un attacco di draghi, inizierà per lei una missione: fargli conoscere e cercare di fargli apprezzare queste meravigliose creature, facendogli capire gli orrori che i Cacciatori come lui compiono contro di esse.
Riuscirà Elleboro nella sua missione? O avrà ragione Passiflora e Arden tornerà ad uccidere draghi, come ha sempre fatto?
Dedico questa storia a mio fratello che ne ha trovato il titolo e ad una mia amica, che come me ama i draghi ed è innamorata di un Cacciatore.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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V
 
«Secondo te è una pazzia?» chiese Eilesha al piccolo drago bianco accoccolato ai suoi piedi, questi sollevò la testa e scrutò la ragazza con i suoi occhi verde spento. Fobos era un drago albino, con le squame di un bianco perlaceo là dove avrebbero dovuto essere nere, era anche il più piccolo e fragile e il preferito di Eilesha. Il draghetto albino gracchiò. Da lontano si sentivano i richiami di Tanatos e Nosos usciti per cacciare. Nonostante la gran quantità di Cacciatori presenti i due draghi non avevano rinunciato alla loro caccia serale, anche se l’avevano spostata a dopo il crepuscolo, quando il buio impediva che venissero individuati. Quella notte però una luna piena brillava squarciando il nero del cielo con la sua luce argentata e Elleboro temeva per i suoi draghetti.
Un flebile ruggito e Nosos atterrò sul davanzale della finestra, alcune gocce di sangue luccicavano ancora intorno alla sua bocca. Con l’aumentare del numero dei Cacciatori, il drago si era progressivamente limitato a cacciare all’interno del perimetro sicuro del Rifugio, che non mancava certo di prede. Tanatos, invece, più temerario, si avventurava ancora al di fuori di esso, sfidando la minaccia di Cacciatori notturni e altri draghi. Fobos rispose con un rantolio basso.
«Forse ripongo troppa fiducia in quel Cacciatore» ragionò tra sé la ragazza, tormentandosi un ricio castano tra le dita «Forse ha ragione Leisha, e lui tornerà a uccidere draghi come ha fatto fin’ora.»
Il piccolo drago bianco gorgogliò di nuovo seguito da Nosos, «Avete ragione anche voi, come posso arrendermi ancora prima di aver cominciato? Eppure, più ci penso più mi sembra un’impresa impossibile e assurda.»
Il draghetto bianco si avvicinò alla ragazza e le diede dei colpetti con la testa sulla mano, Eilesha lo accarezzò distrattamente, mentre osservava le evoluzioni di Tanatos nell’aria, un’ombra più scura che spiccava contro il blu profondo del cielo, illuminata dalla luce lunare; Nosos si sposò sulla spalla della ragazzina è iniziò ad emettere un basso gorgoglio che a volte si alzava e si abbassava come se fosse stata una musica. Stava cantando. Poteva sembrare strano, eppure Nosos cantava e il suo canto aveva il potere di calmare la ragazza. Eilesha la accarezzò sulla testa «Grazie piccolina» sussurrò.
In quel momento anche Tanatos fece il suo ingresso nella stanza, era il più grande a anche il più baldanzoso dei tre, nella bocca stingeva un pezzo di carne, la cena di Fobos. Avendo un’ala spezzata non poteva volare, né tanto meno cacciare, erano i suoi fratelli che gli procuravano il cibo.
Eilesha appoggiò il draghetto sul davanzale perché potesse mangiare e ne approfittò per guardare fuori dalla finestra. In basso, davanti alla porta principale del Rifugio distinse due figure, illuminate dalla luce che proveniva dall’interno della casa, stavano parlando e anche animatamente a giudicare dai loro movimenti concitati. Eilesha li riconobbe: erano sua sorella e Anisse, si chiese di cosa stessero parlando, dal punto in cui si trovava non riusciva a distinguere una parola, le loro voci le giungevano lontane e incomprensibili. Tanatos si sporse con lei, incuriosito.
«Staranno organizzando un nuovo attacco» disse, con una nota di rassegnata tristezza nella voce. Sua sorella la preoccupava, la rabbia che aveva da sempre covato nel suo cuore era fermentata in un odio profondo che l’aveva accecata e non la faceva ragionare. Aveva riversato questo sentimento contro i Cacciatori che reputava essere la causa di esso, ma le sue azioni si erano fatte più efferate. Sua zia aveva provato a porre un freno alle sue azioni delittuose e ad arginare quell’odio, ma ci aveva solo rimesso un occhio.
«Non voglio vivere sotto lo stesso tetto di un’assassina che va persino contro il sangue del suo stesso sangue. Sei succube del tuo odio e lo stesso di logorerà e deteriorerà, e quell’odio in nome del quale uccidi ucciderà te.» Erano state le sue ultime parole prima di andarsene. Leisha non ci aveva fatto molto caso, ma le parole della donna avevano spaventato Eilesha, facendola temere ancora di più per la sorella.
Sua zia l’aveva invitata più volte a stare con lei, preoccupata per l’incolumità della nipote, ma Eilesha era sempre rimasta, non aveva mai abbandonato la sorella, sicura che per combattere e vincere quell’odio bastasse solo un po’ di comprensione, buon senso e affetto e a lei non mancava nessuna delle tre. Aveva però capito, a proprie spese, che era difficile ragionare con lei, era testarda, orgogliosa e cieca, eppure non aveva mai rinunciato, perché dunque avrebbe dovuto rinunciare al suo progetto con il Cacciatore?
La ragazza si sdraiò sul letto, le mani dietro la testa. Chiuse gli occhi pensando ad un modo per riuscire a frenare Leisha prima che le parole della zia diventassero davvero realtà e anche ad un modo per far capire ad Arden la bellezza dei draghi. Lei ci aveva sempre vissuto assieme, li conosceva come se fossero stati suoi fratelli, si fidava ciecamente di loro e loro di lei, ma come si poteva ricreare questo rapporto in un ragazzo che i draghi li uccideva?
Con questi pensieri chiuse gli occhi e si addormentò.
 
*
 
Era passata quasi una settimana. Il veleno aveva perso il suo effetto, la febbre era passata e Arden riusciva a muoversi liberamente e a mangiare senza l’aiuto di Elleboro, evitandogli così un enorme imbarazzo. Era, però, sempre rimasto chiuso in quella stanza, la ragazza gli aveva detto che lì era più al sicuro, ma da che cosa, si era sempre rifiutata di rivelarglielo. Qualcuno bussò alla porta e Arden seppe che era lei. Non aveva visto ancora nessuno al di fuori di Elleboro e dei suoi draghi.
«Avanti» rispose allegro, non vedeva l’ora di uscire di nuovo, il suo elemento era l’aria e odiava starsene segregato al chiuso come un animale in gabbia o un carcerato.
Arden stava cercando di vestirsi, ma l’ustione lo rendeva impacciato e dolorante.
«Aspetta ti do una mano» si offrì la ragazza, quel giorno indossava quello che pareva un vestito, anche se la gonna verde chiaro si apriva lasciando intravedere i pantaloni di pelle sottostanti. Elleboro aiutò il ragazzo ad infilarsi la camicia e la giubba, erano nuovi dal momento che i suoi vestiti si erano rivelati talmente rovinati da non poter far altro, se non gettarli via.
«Grazie» sussurrò il ragazzo, la ragazza gli sorrise in risposta, sulla sua spalla sinistra stava appollaiato un piccolo drago bianco che pareva sonnecchiare.
«Lui è Fobos» lo presentò la ragazza mentre uscivano dalla stanza, il draghetto, sentendosi chiamare aprì un occhio, di un verde livido e spento, ben diverso da quello brillante degli altri draghi della ragazza «è albino» spiegò lei dandogli una pacca sulla testa e il drago tornò a sonnecchiare. Arden si accorse di quanto fosse grande il Rifugio e interamente fatto di legno.
«Ma non è pericoloso, con tutti questi draghi in giro?» chiese.
«Il legno è stato trattato perché resista al fuoco» gli spiegò la fanciulla mentre scendevano le scale. Quel luogo era pieno di stanze e corridoi, un vero labirinto.
«Chi vive qui?» domandò Arden.
«Io, mia sorella e altre Lingue di fuoco, ma sono visitatori occasionali che passano qui una o due notti, a volte pernottano anche altri viaggiatori. Un tempo questo era un punto di snodo per le carovane dei mercanti e il Rifugio fungeva da locanda, poi le rotte sono cambiate e nessun mercante passa più da queste parti.» rispose la ragazza.
«E quante altre Lingue di fuoco ci sono e cosa fanno?» chiese Arden curioso, più volte gli erano frullate queste domane per la testa ma non aveva mai avuto il coraggio di dare voce ai propri pensieri.
«Non lo so» replicò lei «Io, oltre a mai sorella e mia zia, ne conosco ancora tre o quattro, ma perché vengono spesso qui. Noi ci occupiamo principalmente dei draghi, portando avanti il lavoro iniziato da mia zia. Li cerchiamo, li troviamo e se sono feriti li curiamo» spiegò.
«E cosa usate per curarli?» chiese Arden.
«La magia curativa, ma io sono ancora inesperta» rispose la ragazza.
Intanto erano giunti al pianterreno dove si apriva un grande atrio dalle pareti e il pavimento in legno scuro, nella stanza c’erano altre due persone: una ragazza che era uguale a Elleboro solo più alta e decisa, e un ragazzo dai capelli ricci castano chiaro e gli occhi azzurri. Quando passarono li gettarono uno sguardo pieno di disprezzo e la ragazza iniziò a sibilare qualcosa nella lingua dei draghi. 
«Non farci caso.» gli sussurrò Elleboro passando oltre.
«Chi erano?» domandò Arden una volta usciti. Era una bellissima giornata di sole anche se l’aria fredda che soffiava tra  rami li costrinse a stingersi nei cappotti di lana.
«Mia sorella Passiflora e il suo adepto Biancospino» rispose lei «Per di qua» aggiunse facendo strada lungo lo spiazzo che si apriva davanti al rifugio. Da fuori aveva l’aspetto di una baita strutturata su quattro piani, un edificio molto alto tutto interamente costruito con un legno dalla tonalità calda e rassicurante.
«Sono Lingue di fuoco anche loro?» chiese il ragazzo, Elleboro annuì.
«E tutte le Lingue di fuoco hanno nomi di piante?» domandò ancora, la ragazza sorrise.
«Non è una regola, ma di solito abbiamo nomi di fiori o piante per far sì che poSsano essere tradotti anche nella Lingua dei draghi. In questo modo possiamo dialogare e relazionarci con loro.» spiegò la ragazza.
«E come sarebbe il tuo nome nella Lingua dei draghi?» domandò ancora il ragazzo.
«Eilesha» rispose lei, il modo in cui l’aveva pronunciato lo faceva somigliare ad una specie di sussurro, come un alito di vento che fa frusciare le fronde. Arden lo ripeté sottovoce, la sua lingua però si inciampava e non riusciva a dare quel tocco di leggerezza che il nome faceva intuire.
«Preferisco Elleboro» disse infine rinunciando a chiamarla nella Lingua dei draghi.
«Anche io» rispose la ragazza, sorridendo di nuovo. Quel giorno ad accompagnarla c’era solo il piccolo drago bianco «Ha bisogno anche lui di uscire un po’ all’aria aperta, anche se preferisce di gran lunga poltrire sui cuscini della mia stanza, vero principino?» continuò la ragazza dando uno sbuffetto al drago che per tutta risposta sbadigliò, aprendo la bocca e mostrando una serie di piccoli dentini appuntiti e una lunga lingua rosa, anche Arden si ritrovò a sorridere.
Si stavano addentrando in un bosco di sempreverdi, alti pini che svettavano fino al cielo e parevano voler fare a gara con le montagne che si distinguevano sullo sfondo grigio-argento del cielo. Arden non era mai stato in quella parte di foresta e non sapeva neanche dire con sicurezza dove si trovassero, lo chiese alla ragazza.
«Il rifugio si trova a nord-ovest rispetto alla città in cui vivi, è molto spostato verso nord, tanto che siamo quasi vicini alle montagne. Questo è il bosco di Sherinoot che nella lingua dei draghi significa aghi verdi. Nessun Cacciatore si è mai avventurato sin qui, tu sei il primo. Credo che abbiano paura dei draghi del gelo, sono ancora gli unici che dominano incontrastati senza mai aver subito attacchi.» spiegò lei «Anche perché è molto difficile scalare queste montagne dove si trovano i loro nidi, sono ripide, impervie e il clima è rigidissimo» continuò. Arden alzò lo sguardo verso le montagne, rispetto a quei colossi quelle dell’Ovest parevano quasi colline, la punta della maggior parte di esse era nascosta da banchi di nubi e il sole faceva risplendere la neve che spolverava i loro pendii tanto da farla quasi sembrare vetro.
«Non so come le chiamiate voi, ma per me queste sono sempre state le Sidernan Naiel, i Giganti di Cristallo» rivelò la ragazza.
«Nome molto appropriato. E quelle dell’Ovest come le chiamate?» replicò il ragazzo, stava iniziando a trovare la Lingua dei draghi molto affascinante.
«Solernahan Mateizen, le Sentinelle del crepuscolo» rispose lei.
Intanto erano giunti in una piana tranquilla, circondata da pini, su di essa era adagiata una casupola in legno chiaro dal tetto spiovente, aveva l’aspetto di una comunissima casetta tipica di qualche villaggio, ma sorgeva nel bel mezzo del bosco. La casa era circondata da piantine d’erica e sui davanzali delle piccole finestre erano appoggiati vasi di camelie dai toni rosa decisi alternati a fiori di elleboro dai petali candidi o neri come la notte.
«La zia ha sempre adorato questi fiori» disse la ragazza accarezzandone i petali. Arden notò come quei fiori rispecchiassero molto la ragazza che ne portava il nome: all’apparenza delicati e fragili, erano capaci di resistere al freddo e alle intemperie invernali, erano tenaci e coraggiosi, come quella ragazza ma nel contempo non mancavano di grazia e bellezza che, però, nascondevano un’alta velenosità, il ragazzo sorrise pensando che anche la ragazza nascondesse qualcosa di letale dietro l’apparente maschera di indifesa fragilità, i suoi pugnali o le fiamme stesse che era capace di sprigionare dalle proprie mani. Elleboro intanto aveva bussato alla porta in legno di betulla, questa venne aperta da una donna slanciata e molto magra, nonostante fosse ancora giovane, il tempo aveva lasciato dei segni sul suo viso asciutto e si riusciva a distinguere qualche filo d’argento fare capolino dalla matassa di ricci castani, lasciati sciolti sulle spalle.
«Eilesha!» esclamò la donna abbracciando la ragazza «è da molto che non vieni a trovarmi.»
«Ti chiedo scusa, ma ho avuto molto da fare» si scusò la ragazza, la donna si discostò dalla nipote e  sollevò lo sguardo verso Arden che rimase inchiodato dai suoi occhi: uno era di un castano chiarissimo quasi ambrato, l’altro invece era bianco, vuoto e attraversato da una cicatrice biancastra, se non fosse stato per quello, la zia di Elleboro sarebbe stata sicuramente una bellissima donna.
«Mi devi presentare il tuo amico» disse la donna studiando il ragazzo, Arden sentì un brivido attraversargli la schiena.
«Zia lui è Arden; Arden lei è mia zia Baccaneve» fece le presentazioni la ragazza.
«Ma tu puoi chiamarmi Ailea» rispose la donna porgendogli una mano, il ragazzo gliela strinse, esitante, aveva una presa salda ma non stritolante.
«Prego entrate» li invitò la donna «Se avessi saputo che saresti venuta avrei già preparato qualcosa da bere, dovrete aspettare un po’» continuò sparendo in cucina. La casa di Ailea era piccola ma accogliente, nella stanza aleggiava un buon profumo di resina e legno di pino tanto da dare l’impressione di essere ancora immersi nella foresta.
«Avanti siediti» gli fece cenno la ragazza prendendo posto su un divano inondato di cuscini, Arden si sedette accanto a lei titubante.
«Che novità mi porti?» chiese la zia dalla cucina.
«Abbiamo trovato un drago ferito una settimana fa, un Drago delle pianure. Aveva le ali lacerate, ma stranamente la gola non era dilaniata come al solito, solo un piccolo graffio in corrispondenza della sacca del Sospiro più altre ferite più profonde ma che sono riuscita a curare io stessa. Le ferite davvero gravi sono quelle alle ali.» rispose la ragazza.
«Strano che abbiate trovato un drago delle pianure, dovrebbero essersene andati tutti» commentò la zia rientrando in salotto e prendendo posto su una poltrona sgangherata rosso fuoco.
«E l’altra mia nipotina?» continuò la donna «Dà ancora la caccia ai Cacciatori?», Arden sussultò.
«È stato proprio durante il suo ultimo attacco che abbiamo trovato il drago e…lui» rispose Elleboro indicando Arden, lo sguardo della donna si posò su di lui, Ailea chiese qualcosa alla nipote nella lingua dei draghi e questa annuì.
«Sai che non approvo quello che fa tua sorella» disse la donna accomodandosi meglio sulla poltrona e prendendo una lunga pipa giallo senape da un tavolo lì vicino.
«Ti dà fastidio se fumo ragazzo?» gli chiese e Arden ci impiegò qualche secondo per capire che stava parlando con lui, fece segno di no con la testa e la donna si accese la pipa, un forte profumo di anice si diffuse nella stanza; Ailea tirò una o due boccate poi tornò a parlare «E questa volta ha davvero esagerato. Lei e il suo amichetto Cale.»
Arden sussultò un’altra volta, allora aveva intuito giusto, Cale era davvero una Lingua di drago!
«Lasciare in fin di vita un povero ragazzo. Per fortuna che c’eri tu o a quest’ora questo baldo giovine non sarebbe qui.» commentò la zia e uno sbuffo di fumo azzurrognolo seguì le sue parole disperdendosi nell’aria.
«È proprio di questo che ti volevo parlare zia» disse la ragazza sistemandosi meglio sul divano «Ho bisogno del tuo aiuto. Vedi, Arden durante l’attacco è stato ferito: ha una bruttissima ustione che gli ricopre l’intera parte sinistra del corpo. Io ho provato a curargliela con la magia curativa ma non ci sono riuscita.»
«E vuoi che lo faccia io.» concluse la donna tirando un’altra boccata alla pipa. Un silenzio tombale calò sulla stanza, si sentiva solo il vento e lo scorrere lontano di un ruscello.
«Allora?» incalzò la ragazza rompendo il silenzio «Lo aiuterai?» ma a risponderle fu il fischio del bollitore. 
   
 
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