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Autore: Atlantislux    23/08/2008    5 recensioni
Gli universi di Earl ed Earth collidono, mentre qualcosa di oscuro li minaccia entrambi.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Earth' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Coerenza


Deserto dell'Al-Saher, 24 marzo, ore 07.30

C'avevano messo a trovarlo meno tempo di quanto la Direttrice del Garderobe aveva preventivato. Solo qualche ora, in effetti; era bastato incrociare le vecchie mappe di Earl con i racconti tramandati dai vecchi della tribù, per avere la più o meno esatta localizzazione del principale centro di ricerca di Chartago. Midori non se ne era stupita. Il suo popolo era l'unico, a parte gli Schwarz, ad aver mantenuto il ricordo di come era il mondo prima che la guerra di trecento anni prima lo riducesse ad un deserto, e lei era certa che almeno uno dei precedenti capi degli Asward fosse già stato in quel luogo. Lo testimoniavano le tracce lasciate nei livelli superiori del complesso; quei visitatori, però, non sembravano essersi spinti molto avanti nelle proprie ricerche.
'Sarebbero stati incoscienti se l'avessero fatto' pensò la donna guardando il caos di macerie che bloccava al suo gruppo l'accesso ai piani inferiori. Eppure era proprio da quella parte che dovevano andare, come una veloce occhiata alla nuova, e più precisa, mappa fornita dal Garderobe, le confermò.
“Quando le bombe colpirono questo posto i livelli collassarono uno sull'altro, ma quelli interrati dovrebbero essere stati più o meno risparmiati.”
Midori guardò la sagoma imponente di Rad, ritto accanto a lei.
“Speriamo, non vorrei aver fatto questo viaggio per niente. Senza contare che molto di quello che sta là sotto potrebbe tornarci estremamente utile.”
“Io vado avanti.”
Il tono monocorde di Miyu fece, per una volta, alzare un sopracciglio a Midori. L'androide aveva insistito ad accompagnarli, e il capo degli Asward aveva dovuto accettare suo malgrado. Miyu non era una di loro, e le sue alleanze erano decisamente incerte, ma Midori non aveva voluto rifiutare un aiuto di quel genere. Il luogo sembrava parecchio pericoloso, e preferiva rischiare la vita di un estraneo piuttosto che quella dei suoi compagni.
“E come?” chiese all'androide. Miyu alzò un dito, indicando uno stretto pertugio che si apriva al di sotto delle macerie.
“Dei cyborg qui presenti sono l'unica sottile abbastanza da infilarsi là dentro. E a te sconsiglio di farlo. La Direttrice ci ha detto di fare il prima possibile, ma ci vorrebbero giorni per spostare quei detriti mentre io, da dentro, potrei trovare un altro accesso più agevole per tutti voi.”
Midori annuì. Miyu non aveva tutti i torti.
Si inginocchiò, spiegando davanti a lei la mappa del Garderobe. Era strana. Tracciata a mano da qualcuno che sembrava avere solo una minima idea delle proporzioni architettoniche, e che pareva averla disegnata sotto dettatura. Era però abbastanza chiara per quello che gli serviva.
Indicò un punto su di essa.
“Ecco qui. Il luogo dove custodivano la copia dell'Harmonium. A dieci livelli al di sotto della superficie. Otto dal punto dove siamo noi. Dal sesto in poi era dove compivano gli esperimenti più importanti. Suppongo quindi che quei livelli siano tutti blindati, e dovrebbero essere sostanzialmente intatti.”
Miyu annuì rigidamente. “Un'analisi accurata.”
“Cos'è questa?”
Il dito di Rad si posò su un abbozzo di cerchio, che era indicato come 'Sala del Bifröst (1)'.
“Non so...”
“È uno dei nodi della rete di porte spazio-temporali” la interruppe Miyu.
“Proprio qui? Non credo sia una coincidenza.”
L'androide scosse la testa, rizzandosi in piedi “No. Tutti i luoghi che avevano una certa importanza per i tuoi antenati furono costruiti attorno ai portali. Come se ne intuissero il potere, ma non sapessero come sfruttarlo.”
“Tu non ne hai mai saputo proprio nulla?” Midori le chiese, sospettosa.
Miyu scosse la testa. “Quando fui assemblata il mondo aveva già perso la cognizione di cosa fossero, e a cosa servissero le porte, semmai l'abbia avuta. Earth sembra l'unico mondo in questo multiverso che le ha sfruttate estensivamente.”
Midori strinse i pugni. Quelli non le piacevano. Malgrado avesse intuito che i loro fini fossero gli stessi che gli Asward avevano avuto in passato, smantellare il Garderobe e acquisirne la tecnologia, non poteva dimenticare che lo facevano soprattutto a loro vantaggio. E, per quanto li capisse, era dopotutto il suo mondo quello che avevano deciso di depredare. Avrebbe fatto tutto il possibile per impedirglielo.
Guardò Miyu che spariva tra le macerie, sperando di rivederla presto; l'Harmonium era l'unico asso nella manica che avevano, non si potevano permettere di lasciarlo inutilizzato là sotto.


Garderobe, 24 marzo, ore 11.30

Gli occhi di Takeda scorsero di nuovo lo schermo, fitto di stringhe di caratteri. Le aveva ricontrollate più volte, e tutto tornava. Una volta aggiornato lo Shinso con quel programma, la possibilità di utilizzare le nanomacchine dei Master per qualcosa di diverso dalla loro iniziale programmazione sarebbe divenuta realtà.
Si strofinò gli occhi arrossati. Era da quasi dodici ora davanti a quel computer, ed era stato difficile lavorare sotto controllo e con solo le informazioni strettamente necessarie, ma reputava di aver fatto grandi passi avanti nella comprensione di quella macchina, pur nella totale impossibilità di poter copiare qualunque dato.
Sentì qualcuno che si lamentava dietro di lui e dovette sopprimere un sorrisetto. I suoi compatrioti, che odiavano il Colonnello De Artai quanto l’ex Generale Viola, avrebbero pagato per assistere a quella scena.

“Smettila di fare il bambino. Le nanomacchine che avevi in corpo erano oramai inutilizzabili, dopo tanti anni di stasi. Una nuova somministrazione era necessaria.”
“A parte che non mi ricordo quando mi avete fatto la prima. E poi non mi pare che mi fosse venuto un mal di testa del genere.”
Yokho sorrise soavemente all'obiezione di Nagi, seduto davanti a lei e molto più pallido del solito.
“Forse non te ne sei dato pensiero perché avevi altro da fare. O forse eri troppo piccolo per ricordartene.”
Una risatina sottolineò le sue parole. Yokho si girò verso la sua omonima, che sembrava aver capito tutto. Non poteva dire che la donna le piacesse, era troppo spietata per i suoi gusti, ma l'avere lì finalmente qualcuno con cui parlare liberamente di scienza era entusiasmante. Anche se stava ben attenta a non lasciarsi scappare nulla.
“Alle ragazze fate una trasfusione, ma ai Master sarebbe impossibile senza farli sospettare qualcosa. D'altronde la quantità di nanomacchine iniettata dovrebbe essere minima, tanto si autoreplicano, o sbaglio? Dove le nascondete? Nell'anello?”
Yokho scosse la testa. “Qualcosa del genere...” le rispose evasivamente.
“In ogni caso è un ottimo metodo. Nessuno di loro sospetterebbe mai di essere sotto controllo.”
“Non è per questo che furono create.”
“Ma l'effetto è quello, se mi permetti” tagliò corto la donna di Earth.
Yokho non ribatté, preferendo volgere la sua attenzione su Nagi che sembrava stesse per svenire. Dietro di lui, il Maggiore Wang fissava alternativamente le due donne come per decidere chi picchiare prima.
La Dottoressa del Garderobe appoggiò due dita sul collo dell'albino. “Hai il battito leggermente accelerato e qualche grado di febbre. Ma è tutto nella norma. Considera che quelle nanomacchine dovrebbero essere settate sull'organismo ospite, ma non abbiamo avuto tempo di farti un check up genico completo. E dopo tutti i trattamenti che ti hanno fatto su Earth i dati conservati qui non erano più attendibili.”
“Brava, dai la colpa ai medici dall'altra parte” ribatté Nagi confusamente.
Yokho sorrise leggermente. “Per niente. Il lavoro che hanno fatto è esemplare, considerate quante imperfezioni c'erano nel tuo DNA originario. Ma è inutile parlartene adesso che non sei in te. In una delle stanze qui accanto c'è una brandina. Vai a sdraiarti, tra un paio d'ore le nanomacchine dovrebbero essere stabilizzate, e potremo cominciare l'altra parte dell'esperimento.”

Lo guardò mentre si rimetteva la corta giacca dell'uniforme, facendo in tempo a notare il codice a barre che gli era stato tatuato alla base del collo, e che spuntava dal bordo della maglietta. Ne aveva già visto uno simile su Takeda e sullo stesso Generale De Windbloom. Aspettò che Nagi fosse uscito, aiutato da Nina, prima di girarsi verso la sua omonima.
“Quel tatuaggio l’avete tutti?”
“Sì, è il nostro numero di matricola. Tutti i cittadini hanno diritto ad averne uno.”
Yokho fece una smorfia alla parola diritto, ma non aggiunse nulla. Sollevò solo un foglio denso di dati. “Come le micromolecole sintetiche simili alle nostre nanomacchine che abbiamo rilevato nel suo organismo?”
“No. Quelle sono state inoculate solo ai componenti di questa missione, anch’io le ho. Si tratta di catomi traccianti. Quando ci spostiamo attraverso le porte dimensionali servono ad un computer in patria per agganciare il nostro segnale, e riportarci esattamente al luogo e tempo selezionato. É così che abbiamo risolto il problema dello shift temporale tra i nostri piani.”
“Ingegnoso. Funziona come un radiofaro personalizzato, quindi?”
“In un certo senso.”
“E quelli che non l'hanno non possono viaggiare attraverso i portali?”
Shinigami Helene sorrise. “Certo che sì. Basta essere in compagnia di qualcuno che ne è dotato. Comunque, mi hai fatto una strana domanda, Yokho. Ne sei interessata a livello personale?”
La scienziata di Earl liquidò l'allusione con una leggera alzata di spalle. “Perché dovrei? In ogni caso è interessante. Ma spero che quegli affari non vadano in conflitto con le nostre nanomacchine.”
“Ne dubito. I catomi sono configurati per avere il minimo impatto possibile sull'organismo ospite. Non sono invasivi come i vostri sistemi.”
“Ma nemmeno hanno le stesse potenzialità” terminò Yokho con un sorrisetto di superiorità. Quelli di Earth non avevano la minima idea di cosa fosse la tecnologia della materializzazione pur possedendo delle conoscenze mediche superiori alle loro. Glielo disse senza mezzi termini, anche perché era curiosa di verificare un certo sospetto.
“D'altra parte ciò che i vostri medici riescono a fare a livello cellulare è impressionante” disse all'altra non celando l'ammirazione nella voce. Tornò a sventolare il foglio che aveva in mano. “Il profilo genetico di Nagi, che effettuammo quando aveva dieci anni, evidenziava alterazioni abbastanza severe, dalle quali sarebbero potute scaturire malattie anche letali. Ma ora, a parte l'albinismo, il suo genoma è perfetto. Anche troppo” aggiunse scagliando un'occhiata significativa alla controparte. Che, come si era aspettata, annuì fiera.
“Sì. Possiamo risolvere alla radice la maggior parte delle malattie e delle imperfezioni geneticamente trasmesse. Ma perché mi fai quel sorrisetto?”
Yokho ci mise un attimo a rispondere, e lo fece solo dopo aver preso un profondo respiro. Aveva immaginato che quelli di Earth non avessero remore nell'utilizzare estensivamente tutti i ritrovati scientifici a loro disposizione e, non appena aveva visto i dati vomitati dal computer, aveva anche avuto la quasi certezza che ne applicassero le tecniche sulla loro stessa popolazione. “Dimmi una cosa, su Earth si utilizza l'eugenetica come mezzo per migliorare la razza umana?”
Shinigami Helene ebbe solo un brevissimo accenno di sorpresa, ma si riprese immediatamente. “Certo. Sapevo che una cosa del genere ti avrebbe sconvolta, ma sappi che noi non abbiamo nulla di cui vergognarci, anzi. Grazie alle nostre tecniche di selezione, perfezionate nel corso dei decenni, abbiamo debellato tare ereditarie come la talassemia, l'anemia falciforme, la Sindrome di Down...”
Yokho alzò una mano per interromperla. “Ed in cosa consisterebbero queste tecniche di selezione?”
L'altra le fece un sorrisetto. “Lo so che non sarai d'accordo ma te lo dico lo stesso. I feti vengono sottoposti a diagnosi prenatale, per individuare eventuali irregolarità e procedere alla loro correzione. Sono scartati se presentano anomalie troppo pronunciate o incurabili. E un altro test di conformità viene eseguito tre giorni dopo la nascita. Chi mostra aberrazioni sfuggite ai controlli precedenti viene eliminato.”
“Tu mi stai parlando di aborto selettivo e infanticidio.”
La voce di Yokho non riuscì a nascondere il disgusto, ma la sua omonima non sembrò dar troppo peso al suo turbamento. “Affatto. L’eugenetica, nella sua accezione più alta, non è affatto una perversione, ma un modo per rafforzare i caratteri positivi della specie umana rimuovendo quelli negativi. Aiutiamo semplicemente la selezione naturale.”
“C'è ben poco di naturale in quello che fate.”
“Chiamala artificiale se ti piace di più, allora. Ciò non toglie che tutti i soggetti scartati avrebbero avuto una vita breve in ogni caso. O avrebbero passato le alterazione ai propri figli. Mentre a quelli che sopravvivono è garantita una vita lunga, piena e soddisfacente. Guardami.”
Shinigami Helene allargò le braccia. “Cronologicamente più di dieci anni ci dividono, ma biologicamente il mio organismo non è di un giorno più vecchio del tuo. E si manterrà così per molto più tempo. La vostra vita media è di un’ottantina d’anni, mentre la nostra sfiora i centoventi, non gravata da malattie debilitanti.”
“Sempre che una pallottola o una granata non vi ammazzi prima.”
“Certo. Vedo che ti ricordi che il nostro è un mondo in guerra. Medita anche sul fatto che non ci siamo mai potuti permettere di avere unità difformi tra le nostre fila, perché è l’anello debole quello che permette che la catena venga spezzata.”
La smorfia di scetticismo di Yokho si accentuò. Non poteva negare che quel ragionamento avesse una sua innegabile e perversa logica, ma non riusciva a non trovarlo comunque eticamente sbagliato.
“Come la mettiamo con Nagi? Le sue anomalie erano di certo gravissime per i vostri standard, perché l'avete curato?”
L'altra Yokho scrollò le spalle. “Non stai parlando di un neonato, ma di un quindicenne. Posso solo supporre che, una volta accertati i meriti del soggetto, i miei colleghi della Repubblica Occidentale abbiano deciso che valeva la pena di sanare quelle alterazioni.”
“Il vostro ragionamento è illogico. È ovvio che nessun neonato potrebbe mai dimostrare eventuali doti, nemmeno se le avesse.”
“È una questione statistica. Ci possiamo permettere di perdere quell'uno su mille che in età adulta avrebbe sviluppato un quoziente intellettivo superiore alla media, se ci possiamo risparmiare di portarci dietro tutti gli altri.”
La dottoressa del Garderobe abbassò la testa. “Sembra che tu stia parlando di animali.”
“Non lo nego. La procedura di selezione è simile ma, in fin dei conti, non siamo anche noi niente altro che mammiferi?” Shinigami Helene distolse lo sguardo per fissarlo sullo Shinso. “Vedi, la compassione noi non abbiamo mai potuto esercitarla, perché nessuno si è mai accollato il prezzo di difenderci tutti, come è successo da voi. Noi, come intera umanità, siamo stati costretti a prendere quella strada che voi, al riparo di questa macchina, vi siete potuti risparmiare. Però abbiamo qualcosa in comune. Come i nostri figli, nemmeno le vostre ragazze hanno mai potuto scegliere.”
“Non è la stessa cosa. Voi siete costretti a crescere come militari perché dalle vostre parti la cosiddetta società civile non esiste. Non è forse vero che la cittadinanza è subordinata all'arruolamento nell'esercito? Le nostre ragazze, invece, vengono qui di propria libera scelta, perché per loro è un onore servire la propria famiglia come Otome.”
Una risata sottilmente derisoria interruppe la scienziata del Garderobe.
“Ci credi davvero? Chissà perché mi ero fatta l'idea che per la maggior parte fossero figlie cadette, destinate a diventare scudi umani per i padri, i fratelli, o le madri sul trono. E comunque il perché sono qui non cambia l'essenza delle cose. Su Earth la popolazione è selezionata per accollarsi grandi responsabilità. Qui non lo fate, ma caricate il futuro del vostro mondo sulle spalle di ragazze poco più che bambine. Se lo meritano davvero? E, soprattutto, ne sono in grado?”
Yokho scrollò le spalle. “Per trecento anni ha funzionato. E comunque mi stai chiedendo una risposta da politico, che io non ti posso dare. Come scienziata, però, posso solo dirti che anch'io penso che il nostro sistema sia perfezionabile, ma non certo perché diventi come il vostro, che trovo aberrante.”
La donna di Earth abbassò la voce, avvicinandosi all'omonima. “Allora lavoriamo per migliorare entrambi. La collaborazione tra noi potrebbe dare risultati insperati di cui tutti e due i nostri mondi godrebbero. Il vostro per risolvere le falle dello Shinso, il nostro per sacrificare meno cittadini alla causa comune. E per aprirci la strada verso un brillante futuro.”
“Non prendermi in giro. Sappiamo entrambe che siete qui solo per prendervi quello che vi interessa...”
“Era quello che pensavo prima di vedere questo” la dottoressa Helene disse indicando lo Shinso dietro di lei. “E quello che i nostri vertici militari mi ordinarono. Ma ciò che è sepolto nelle viscere di questo posto rappresenta molto di più del computer a base organica che mi aspettavo, Yokho. Tu mi hai detto che la Fondatrice è in qualche modo viva laggiù, non è vero? Non dirmi che non hai mai pensato che quel sistema potrebbe rappresentare la nostra sola speranza di sopravvivere alla morte. E la tecnologia delle nanomacchine la chiave per guarire ogni malattia del genere umano, superando le nostre tecniche di eugenetica.”
Per tutta la conversazione il viso di Yokho non aveva mai perso una certa aria soave che, solo in quel momento, si spense per assumere un'espressione addolorata.
“Può essere. Anche se dubito che qualcuno sano di mente si augurerebbe per sé un'eternità sepolto vivo dentro un cilindro di vetroceramica. E, comunque, la collaborazione di cui parli è purtroppo gravemente compromessa proprio dal vostro apparato militare. Dubito che siano interessati alla ricerca scientifica, quanto più a trovare un mezzo qualunque per difendere il vostro pianeta. Anche sacrificando questo.”
La sua interlocutrice si irrigidì. “Cosa vuoi insinuare?”
“Niente, solo una sensazione.”
Yokho liquidò l'altra con un laconico cenno della mano. “Lasciamo perdere la filosofia, e i buoni propositi che non valgono comunque nulla senza l'avvallo del vostro Generale. Controlliamo piuttosto che il tuo amico stia mettendo le mani al posto giusto. Se dovesse fare un errore il sistema surrogato non potrebbe sostituire completamente, e per un periodo sufficientemente lungo, quello principale.”
“E questo è un altro dei vostri problemi...” fu l'ultima, annoiata replica di Shinigami Helene.

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“Vuoi un succo di frutta o qualcosa d'altro da bere?”
Cercando di non lasciare trasparire l'apprensione il Maggiore Wang appoggiò una mano sulla fronte di Nagi.
“No. Io... sto meglio” le rispose lui.
“Davvero?”
“Sì, mamma.”
Nina si morse la lingua per soffocare un'imprecazione, mentre accarezzava i capelli del suo amante. “Giuro che se qualcuno ha fatto un errore su questa cosa lo strangolerò con le mie mani” sibilò.
Nagi sorrise debolmente, seppur tenendo gli occhi chiusi.
“Non chiedermi di non preoccuparmi” riprese lei. “Lo so cosa pensa di te questa gente. E...” non avrebbe voluto, ma la voce le si incrinò. “... io dovrei abbandonarti qui?”
“Ne abbiamo già parlato. È necessario.”
“Lo so. È un ordine ed io obbedirò. Ma lasciami dire che non sono assolutamente d'accordo.”
Questa volta, il Colonnello socchiuse gli occhi. “Mi dispiace, ma sei l'unica di cui ci possiamo fidare.”
Prima che Nina potesse rispondere, qualcuno bussò leggermente alla porta. “Sono la dottoressa Yokho.”
Nina scivolò giù dal bordo del letto dov'era appollaiata, prima di invitarla ad entrare.
La scienziata, notò, aveva in faccia uno sguardo perplesso che sperò non fosse collegato a Nagi.
Yokho si avvicinò a lui e gli accostò un termometro all'orecchio, sorridendo nel leggere il risultato. “La temperatura sta ritornando velocemente normale.”
Nina non poté che sospirare di sollievo, attirando l'attenzione della scienziata. La donna le concesse un cenno del capo ed un'occhiata benevola. “Non ti preoccupare, starà benissimo tra qualche minuto. Ora, potresti uscire un attimo? Dovrei discutere con lui di una cosa.”
Nina non si mosse fino a quando Nagi non le sfiorò il dorso della mano con la propria, mormorandole che tutto andava bene, e non uscì prima di aver gelato la scienziata con una raccomandazione sferzante. “Che non gli capiti niente.”
Poi si girò sui tacchi e se ne andò sbattendo la porta, sotto lo sguardo perplesso di Yokho.
“Vedo che non hai perso il gusto per le fanatiche. La ragazza mi ricorda tantissimo la nostra Nina di qualche anno fa” fu il suo unico commento.
“L'ho scelta apposta.”
“Contento tu. Volevo comunicarti che lo Shinso ha accettato la modifica. Tra mezz'ora proveremo ad attivare le tue nanomacchine in modalità schermo.”
“Eccitante. Cosa provi a veder smantellato tutto quello in cui credevi, dottoressa?”
Yokho Helene, in barba a tutti i giuramenti che aveva fatto, provò per una frazione di secondo la tentazione di piantargli uno degli appuntiti strumenti chirurgici in un occhio.“Non è piacevole, se è questo che volevi sapere. E nemmeno il dover rivelare i nostri segreti proprio a voi.”
“Da queste parti ci giudicate proprio male...”
“Non vi conosco abbastanza bene per poter emettere una sentenza definitiva. Certo che, da quello che ho sentito, hai scelto il pianeta più adatto a te.”
Nagi sorrise sornione.
“Lo puoi ben dire” le rispose con ancora un'ombra di sonnolenza nella voce. “Se fossi rimasto qui avrei passato il resto della mia vita in quella vostra orribile prigione.”
Yokho si mise a trafficare con alcune provette, senza guardarlo direttamente.
“E sarebbe stato solo per colpa tua” gli disse quasi casualmente. “Ma lo sai che sei proprio un ingrato? Dovresti reputarti fortunato di non essere nato là. Con tutte le imperfezioni che avevi, saresti stato sicuramente abortito.”
Il Colonnello non diede segno di turbamento. Al contrario, si rizzò a sedere con l'aria più divertita del mondo appiccicata in viso. “Yokho, guarda che l'unico motivo per cui sono vivo è perché il mio corrispettivo su Earth non è nemmeno nato.”
Stavolta Yokho si girò per scoccargli un'occhiata sorpresa, davanti alla quale Nagi si mise a ridere. “Credi che non abbia fatto delle ricerche, quando ho scoperto come stavano le cose? Quelli che sono i miei genitori, dall'altra parte, hanno avuto una bambina nata sana e un aborto programmato ventisette anni fa. Fai tu due più due.”
“E ne sei felice?”
“Perché non dovrei esserlo? L'esistenza di qualcuno con il mio nome ed il mio aspetto su Earth mi avrebbe causato un bel po' di problemi.”
Nagi finalmente si alzò, non degnandola di uno sguardo. “Invece è andato tutto benissimo. Ma io non ne ho mai dubitato. Sai, sono sempre stato veramente fortunato nella mia vita. Bene, mi sento meglio, continuiamo?”
“Non possiamo fare altro...” disse lentamente la donna, sospirando sconsolata. “Non solo allevati come cani di razza ma anche marchiati come tali. E ne siete pure orgogliosi. Io mi domando come tu faccia a dirti fortunato.”
“Dettagli. Sono io che non capisco come, con una mente brillante come la tua, tu possa accontentarti di stare qui. In un posto dove...”
“La tecnologia è controllata e la verità distorta” concluse Yokho. “Parli come gli Asward.”
“Perché hanno ragione. E tu lo sai benissimo visto che ne facevi parte.”
“È stato tanti anni fa. E in ogni caso preferisco di gran lunga questo pianeta, piuttosto di uno in mano a tecnocrati che la scienza la usano solo per distruggere e sottomettere il prossimo. E te l'assicuro, anche noi faremo di tutto per proteggere la nostra casa. Esattamente come voi per la vostra” terminò cupa.
L'albino, che aveva già una mano sulla maniglia, si girò lentamente verso di lei, fissandola negli occhi. Sembrò che stesse cercando un significato nascosto in quello che Yokho aveva appena detto. Poi le fece una smorfia, arricciando il naso. “Hai paura, Yokho?”
Lei scosse la testa. “Chi non ne avrebbe, sapendo quello che avete in mente? Non ci vuole molto a capire che fareste saltare in aria questo pianeta, se quello fosse l'unico modo per fermare quegli esseri.”
L'unica reazione di Nagi fu uno sguardo di candida meraviglia. Si mise a ridere esibendo l'aria innocente che gli era così tipica quando cercava di ingannare qualcuno.
“Oh, ma noi non abbiamo assolutamente in mente di minare Earl, se è questo che tu e Natsuki temete. Oltretutto, tu non hai nulla di cui preoccuparti. Se le cose dovessero andare male sarai la prima ad essere evacuata. Il Capitano Masashi è qui per questo.”
L'espressione sul volto di Yokho fu di pura sorpresa. “Mi rifiuto.”
“Non puoi. Tu sei l'unica a sapere come funziona quell'affare.”
“Non lascerò mai i miei amici qui a morire.”
Nagi indietreggiò fino alla porta, spalancandola. “Non dire certe cose, che stanno bene solo sulla bocca degli Asward. Tu li hai lasciati perché non volevi finire i tuoi giorni in miseria nel deserto, non è vero? O per le possibilità offerte qui dentro? Hai rinnegato la tua gente già una volta, Yokho.” Il sorriso del Colonnello divenne malizioso. “E non dicono tutti che la seconda volta è sempre più facile? Mettiti il cuore in pace, Dottoressa. A differenza di quello che pensano i tuoi compatrioti, per noi gli scienziati sono le persone più importanti. E, che tu lo voglia o no, sopravvivrai. Ti piacerà Earth...”
Il suono della porta che si chiudeva rumorosamente dietro l'albino le suonò come una campana a morto. Yokho, maledicendosi per non aver trovato parole per ribattere, si sedette immergendo una mano nella tasca del camice, ed estraendone la foto che per anni le aveva fatto compagnia sulla scrivania. Una più giovane sé stessa la guardava, felice accanto agli amati compagni, con i quali aveva riallacciato negli ultimi anni rapporti almeno cortesi.
Le dita accarezzarono la foto. “Midori, Reito... Io dovrei abbandonarvi, come ho fatto tanti anni fa?”
Abbassò la testa e le sue dita affondarono nei capelli. Le sentì gelide. “Ma, d'altronde, in nome di cosa dovrei trovare il coraggio di rimanere? O anche solo di difendere fino alla morte quello che avevamo imparato a disprezzare? Però, io ho giurato di essere fedele al Garderobe.”
Nel silenzio della stanza, Yokho prese una decisione.

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Il Maggiore Wang osservò con sollievo il suo compagno che sembrava tornato perfettamente normale. Poi fece un cenno alla silenziosa guardia che li accompagnava ovunque. Era uno dei loro, e non dovevano temere di parlare in sua presenza.
“Ho sentito tutto. Pensi davvero che li tradirà?”
Nagi scosse la testa. “Impossibile. Ma intanto ci penserà sopra. Sia lei che Natsuki, sotto sotto, sono sconvolte per quello che hanno intuito. Immagino che quando verrà il momento la cara Yokho non disdegnerà una scialuppa di salvataggio. Lei ci potrebbe davvero essere utilissima.”
Presero a camminare lungo corridoi luminescenti che mettevano Nina leggermente a disagio. Malgrado l’apparenza elegante della struttura, e l’aria asettica del laboratorio, la donna non riusciva a dimenticare che quel posto era soprattutto una tomba. E il disgusto le chiudeva la bocca dello stomaco tutte le volte che pensava che quelle Otome traevano la loro forza da una sepolta viva. O in qualunque stato fosse la donna che chiamavano ‘Fondatrice’ .
“Certo che sei stato il solito mascalzone. Perché negare che abbiamo davvero in mente di spazzare via Earl?”
Nina sperò che il leggero tono ironico mascherasse l’insofferenza nella sua voce. Odiava apparire debole, soprattutto davanti a lui. La risposta fu laconica.
“Non ho affatto negato. Ha insinuato che avremmo fatto saltare in aria questo pianeta, cosa che non è affatto vera.”
“Come se trasformare il loro sole in una supernova non avesse lo stesso effetto.”
La quieta risata del Colonnello le fece girare la testa verso di lui. Lo osservò mettersi le mani dietro la nuca, stiracchiandosi piacevolmente, dandole così l’impressione di avere davanti un gatto albino troppo cresciuto. Al pensiero, un debole sorriso le reclamò le labbra. Come a tutti i felini anche a Nagi piaceva giovare con i suoi topolini, e Nina non si scordava mai di essere una di loro. L’intimità non aveva cancellato del tutto la paura di lui, ma la donna non se ne vergognava. Dopotutto, era fermamente convinta che chi non ne avesse fosse solo uno stupido e, su Earth, anche già finito da un pezzo sottoterra.
“Sai” le mormorò lui, dandole una divertita occhiata obliqua. “Non è colpa mia se la gente non è capace di porre le domande nel modo giusto. E poi non potevo certo rischiare che quelli controllassero lo spazio attorno al pianeta, non ti pare?”
La donna annuì compiaciuta. Nagi e Mashiro avevano davvero pensato a tutto. Una volta di più, fu consapevole che difficilmente gli abitanti di quel pianeta avrebbero festeggiato un altro solstizio d’estate.


Castello di Fuuka, 24 marzo, ore 21.30

Nina fissò la sua tazza di tisana, intonsa. Era riuscita a berne solo un sorso ma, anche se zuccherata, le era sembrata amarissima. E non l'aveva più toccata.
“Non devi fare quella faccia, io non ce l'ho con te.”
La ragazza dai capelli neri alzò lo sguardo verso la sua Regina, che sedeva composta davanti a lei, con accanto Arika. L'amica esibiva un'aria angosciata che Nina non le aveva mai visto in viso, e che le faceva venire voglia di scavalcare il basso tavolino tra loro per stringerla tra le braccia. Arika poteva anche comportarsi come una sciocca immatura, di tanto in tanto, ma Nina sapeva quanto le volesse bene.
“Siamo solo preoccupate, ti stanno caricando di troppe responsabilità, e tu non ti confidi più con noi” le disse Mashiro.
“L'ho mai fatto?” rispose lei, più brusca di quanto avrebbe voluto. Poi, davanti allo sguardo ferito delle amiche, scosse la testa e intrecciò strettamente le dita tra loro. “Scusatemi. È che non mi è consentito rivelarvi nulla, per il momento. Nemmeno se lo volessi.”
Nina vide Arika prendere un bel respiro, e appoggiare entrambi le mani sul tavolino sporgendosi verso di lei.
“Di', Nina, promettimi che non farai nulla di pericoloso.”
La sua espressione era così buffa, a dispetto del tono deciso, che Nina sorrise nonostante la tensione.
“Non posso. Potrei esserne costretta. Ma voi dovete essere certe che sarà solo per salvare voi, che lo farò.”
“Non devi!” urlò Arika balzando in piedi. “Sono stanca di questa storia. Perché tu? Non hai già sofferto abbastanza nella tua vita? Mashiro, dille qualcosa.”
La Regina fissò Nina in silenzio, prima di allungare una mano e prendere quella della Otome.
“Io non ti odio, Nina. Se è questo il punto che volevi chiarire venendo qui. Tu non hai chiesto di essere chi sei, come io non ho chiesto di essere messa su questo trono come tua sostituta. Ero nervosa dopo la rivelazione di Mikoto, te lo devo confessare. Ma poi ho realizzato che tu eri solo chiamata a fare il tuo dovere e che io...” la ragazza dai capelli ametista le strinse la mano più forte. “Io non avevo nessun diritto di invidiarti. Anzi, potevo solo avere pietà di te.”
La mano della Regina era più piccola della sua, e più delicata. Ma aveva una forza che fece sorridere Nina. Era così cambiata da quando era solo una capricciosa principessa che a volte la ragazza stentava a riconoscerla.
“Lo so. Io... sono certa che mi capisci. Come tu hai trovato la forza per sopravvivere nel deserto, e guidare la riconquista di Windbloom, così io devo trovare il coraggio per compiere il mio destino, ora che forse comincio a capire qual è. Vi chiedo solo di avere fiducia in me.” Guardò entrambe negli occhi. “Io non vi tradirò” disse loro con tutta la convinzione che riuscì a esibire.
'Voglio solo che mi venga data la possibilità di rimediare davvero a quello che ho fatto...'
Le altre annuirono e Nina, finalmente, sentì come se l'assoluzione che aveva tanto cercato fosse un passo più vicina.

Congedatasi dalle amiche, Nina si affrettò verso la sua stanza, cercando di non far assomigliare la sua camminata veloce ad una fuga. Era stanca, e aveva bisogno di rimanere un po' da sola a pensare, anche se era grata che si fossero chiarite e, soprattutto, che non avessero tirato fuori un certo argomento. Aveva temuto il momento in cui una delle due le avesse chiesto ancora di Nagi.
La compagnia del Colonnello non le era sgradevole, e sapeva perché. Parlare con lui di quegli avvenimenti era catartico, un po' come se stesse raccontando cose successe ad altri, anche se la prima volta l'aveva cercato solo per buttargli in faccia le sue responsabilità. Ma era stato invece Nagi a farle palesemente capire che anche chi aveva compiuto inenarrabili misfatti poteva vivere benissimo, come faceva lui, a differenza di lei che aveva passato anni a macerarsi nel dolore.
Nina si infilò nel suo appartamento, non accendendo nemmeno la luce e attraversando il piccolo soggiorno velocemente per buttarsi sul letto completamente vestita. Affondò la faccia nel cuscino.
'Ne avevo dubbi? È bastato vedere la sua espressione soddisfatta quando è giunto qui per capire che aveva completamente archiviato quegli avvenimenti. E ora? Lo odio forse? Lui che è riuscito a scappare e si è rifatto una vita su quel mondo alieno, prendendosi tutto quello che qui gli era stato tolto. E guadagnando qualcosa di più.'
Nina si girò sulla schiena, incapace di trovare pace e, per una volta, infischiandosene dell'uniforme che si stava sgualcendo sotto di lei.
'Lo invidio allora? Sono gelosa del fatto che sappia vivere senza rimorsi o sensi di colpa? E che riesca a convincere tutte le volte qualcuno a seguirlo, proprio come ha fatto con me?'
Il pensiero di Nina e Sergay, gli altri Nina e Sergay, la fece arrossire.
'Anche loro, niente altro che sue marionette, da sfruttare e gettare quando non servono più.' Sospirò profondamente, in preda ad un’angoscia che non provava da tempo. Tutta quella situazione la stava destabilizzando, lo sapeva. E proprio la presenza di Nagi non faceva che ricordarle di come era andata l’ultima volta che era successa una cosa del genere. ‘Non ho neppure il sostegno di Sergay. E non posso chiedere aiuto alle ragazze, non quando loro si aspettano che sia io a risolvere il problema.'
Aprì gli occhi e nella penombra si guardò le mani, così forti rispetto a quelle di Mashiro. ‘Stavolta tocca a me. Io sono la Regina. Io sono grande abbastanza. Io farò quello che è giusto. Io non avrò paura. E, quanto a Nagi... io gli servo, perché solo attraverso di me può accedere ai file della Biblioteca Proibita, lo so bene. Ma voglio proprio vedere fino a che punto è disposto a spingersi per avermi.’
Le mani che stava guardando così intensamente le tremarono. Con esse si coprì gli occhi, comprimendoseli. 'È l’unico modo che ho per perdonare me stessa completamente.'


Deserto dell'Al-Saher, 25 marzo, ore 1.30

Solo in serata erano finalmente riusciti a trovare un modo per superare le macerie, e c’avevano messo altre interminabili ore per scendere tutti e otto i piani che li dividevano dall’Harmonium, avendo dovuto scardinare le pesanti porte blindate una ad una.
Midori, il viso parzialmente nascosto da un respiratore, si appoggiò pesantemente allo stipite dell'entrata della sala del Bifröst, osservando pensosamente la mole delle dodici colonne illuminate dalla sua torcia. Avvertiva in loro qualcosa di strano, che non riusciva ad attribuire alla stanchezza, ma che tuttavia non era capace di spiegarsi razionalmente. Rad, il quieto gigante, sembrava condividere la sua stessa incertezza. Era entrato con lei ed era avanzato fino a raggiungere la base della piattaforma, senza però toccare le colonne.
La donna si stropicciò svogliatamente gli occhi.
“Quando questo posto è stato bombardato le porte si devono essere chiuse automaticamente, sigillando il complesso al mondo esterno. Poi probabilmente ha ceduto il gruppo elettrogeno, rendendo impossibile l’apertura dall’interno. Se avessero avuto un generatore autonomo non avrebbero avuto problemi ma, malgrado si progettassero armi, questo era un centro scientifico e non militare, forse non si aspettavano un bombardamento così massiccio.” Non avrebbe voluto, ma gli occhi le caddero di nuovo sui resti mummificati di un gruppo di persone che giacevano ammassate contro il muro. “Devono aver aspettato per giorni che qualcuno li venisse a salvare ma su Earl, quelli che rimanevano, erano tutti molto più impegnati a salvare sé stessi.”
Moltissimi li avevano trovati ancora aggrappati alle porte, con le dita spezzate nel vano tentativo di aprirle. Altri appoggiati ai muri, con in mano le armi, o gli strumenti appuntiti, con i quali si erano dati una misericordiosa morte. A giudicare dal numero di ossa separate dai corpi sparse in giro, quelli che avevano tentato di sopravvivere, nei giorni successivi al disastro, e fino all’esaurimento dell’ossigeno, dovevano essere scesi a parecchi compromessi con la propria coscienza, ma Midori non aveva nessuna intenzione di giudicarli. Lei trovava quelle antiche morti solo inumanamente inutili.
Fissò le colonne. “E pensare hanno sempre avuto sotto gli occhi il mezzo per fuggire, ma non hanno mai imparato ad usarlo” disse a voce alta.
“Ti rammarichi per loro?”
“No. Perché se questo posto fosse stato scoperto prima, probabilmente anche questo Harmonium sarebbe stato distrutto. Ma sai che detesto le perdite senza uno scopo.”
Si girò, scavalcando altri resti ed emergendo nel corridoio principale. Due cyborg Asward la superarono portando con sé pesanti macchinari; i suoi uomini avevano già cominciato i lavori per ripristinare le funzionalità dell’arma.
Incamminandosi verso il padiglione dov’era alloggiata controllò il livello di ossigeno. Stavano pompando aria per permettere ai tecnici di lavorare senza respiratore, ma ci sarebbe voluto probabilmente fino al mattino.
Rad la affiancò. “Cosa ne facciamo dei cadaveri?”
“Liberate velocemente i corridoi principali, quelli ci servono per trasportare il materiale. Non abbiamo tempo ora per dargli una degna sepoltura.”
“Midori...”
Lei si girò verso il compagno. Nulla si poteva decifrare dall'armatura inespressiva del cyborg, ma Rad aveva modulato la sua voce per esprimere una profonda preoccupazione.
“Tutto questo posto, e quell'affare, non mi convincono. Sei certa che dobbiamo davvero rimetterlo in funzione?”
“Sì. È necessario. Non ha senso rinunciarvi quando abbiamo davanti nemici che useranno ogni mezzo a loro disposizione per annientarci, e infidi alleati” rispose netta senza aggiungere altro. Non ne aveva il coraggio. Le sue parole dovevano sempre mostrare la risolutezza di un capo per la sua gente; tra tutti, lei era quella che non si poteva permettere nessun dubbio. O quantomeno di palesarlo.
Anche se davanti all'Harmonium, e a quello che l'arma era in grado di fare, ogni sua certezza vacillava.
Sbucò nella sala, e i suoi occhi ne furono attratti. Le linee spigolose non ricordavano affatto l'elegante strumento che aveva trovato casa sotto il Castello di Fuuka ma, molto più spartano, era solo un complesso macchinario, dove una normale tastiera di computer aveva sostituito il piano con i tasti in avorio; solo la serie di tubi che svettavano verso l'alto, e che sparivano nel soffitto, riportava alla mente il progetto dal quale era originato.
Midori ne guardò i circuiti bui che si intravedevano tra le lastre di copertura asportate, e mai rimesse a posto, e i grassi tubi che gli avevano portato il nutrimento.
Inginocchiato davanti alla tastiera, con le mani scheletriche ancora avvinghiate ad essa, un cadavere era riuscito a rimanere intatto attraverso i decenni.
Anche la prosaica Midori non riuscì a non considerarlo un bruttissimo segno.
“Dobbiamo farlo sparire” sibilò senza riuscire, stavolta, a mitigare il turbamento. “Con attenzione” aggiunse un attimo dopo, meno brusca.
“È giusto mostrare rispetto verso chi non si è mai dato per vinto” mormorò Rad accanto a lei.
“Hanno cercato fino alla fine di farlo funzionare, forse per mandare un segnale all'esterno, ma con il generatore inattivo non hanno potuto fare nulla.”
“In ogni caso, senza un componente della famiglia reale di Windbloom tutti i loro sforzi sarebbero falliti comunque” aggiunse nel suo solito tono piatto Miyu, che li aveva raggiunti.
La leader degli Asward incrociò le braccia al petto, indicando con un cenno il groviglio di materiali che giacevano sparsi intorno all'arma. “Ma ci hanno risparmiato un bel po' di lavoro.”
“Sì. Ho compiuto una rapida scansione e ti confermo che erano riusciti a completarlo quasi totalmente. Il suo ripristino non dovrebbe essere un problema.”
“Miyu, la tua analisi ha evidenziato qualche anomalia?”
“No. Non ha i meccanismi di protezione dell'Harmonium di Windbloom, ma non sembrano esserci state altre modifiche all'arma originaria. Controllerò insieme ai tuoi uomini i database di questo posto e i progetti. Insieme riusciremo a farlo funzionare. Anche se, alla fine, ci servirà comunque un Conduttore.”
Midori distolse lo sguardo dall'androide. Prima o poi, Nina Wang sarebbe dovuta venire in quella stessa sala, e avrebbe dovuto appoggiare le mani dove qualcuno prima di lei era morto. Conoscendo la ragazza, il pensiero era preoccupante. Come l'Harmonium in sé, che Midori non riusciva a considerare come una macchina e basta.
'Se n'è stato qui per trecento anni, seduto su una montagna di cadaveri, in attesa solo che qualcuno lo riattivasse. L'arma della fine del mondo, così la chiamò nelle vecchie leggende il mio popolo, dopo che devastò le nostre terre. Ma hanno voluto proprio noi per rimetterla in funzione. I miei uomini non sono tranquilli, lo so che non vorrebbero essere qui.'
Ancora una volta, doveva dare il buon esempio.
Avanzò, e gli occhi dei presenti nella sala si focalizzarono su di lei. Con ampie, sicure falcate raggiunse l'Harmonium e salì i pochi gradini che portavano alla postazione del Conduttore. Non era mai stata superstiziosa in vita sua ma, prima di toccare il cadavere, alzò una brevissima preghiera ai capi Asward che l’avevano preceduta, e agli spiriti di quelli che erano morti in quel posto. ‘Che le stelle ci assistano e ci perdonino tutti...’
I tessuti disidratati si frantumarono sotto il suo tocco, seppure gentile, e fu solo con estrema difficoltà che riuscì a spostare la mummia senza mandarla totalmente in pezzi. Poi, si voltò verso la sua gente.
“Il popolo di Earl ci ha chiamati. E noi non ci dimostreremo vili codardi, ma li aiuteremo come promesso.”
Memore di tutte le volte che gli Asward avevano combattuto contro il Garderobe, un ghigno ferale increspò le labbra di Midori. La tregua tra di loro non aveva, nel suo cuore, cancellato del tutto gli anni di sofferenza per mano delle eredi di Fumi Himeno. “Sarà un credito in più per noi. Ora, mettiamoci al lavoro.”


Note:
(1) Bifröst: nella mitologia norrena è il ponte dell'arcobaleno, che unisce la terra alla dimora degli dei, Asgard.



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Abbraccio e ringraziamenti di rito alle mie socie Shainareth e Solitaire, per varie consulenze e betaggi.
E altri grazie, per i sempre interessanti commenti, a Hinata, Frozen, NicoDevil (LOL, l'immagine di Shainareth SuperSayan che prende a calci i Nobody per aver osato torcere un capello a AkuTaki è impagabile ^^) e Chiarucciapuccia. Ringrazio di qua anche Justice Gundam, per la recensione che mi ha lasciato a "Anniversario". Spaziare tra generi diversi mi piace tantissimo, anche se è il drammone epico e "fantascienzioso" la mia specialità. Galeotto fu Asimov in gioventù ;-)

  
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