059. Gift
Dono
“This is a gift, it comes with a price | Who is the lamb and who is the knife? | Midas is king and he holds me so tight | And turns me to gold in the sunlight”, Rabbit Heart, Florence + the machine
Riza era tornata a casa, o per essere precisi, nel
luogo che era abituata a chiamare casa prima di arruolarsi. Erano anni che non
precorreva quelle strade un tempo familiari. La quiete del suo paesino l’aveva
turbata e annoiata di tanto in tanto quando era ancora una ragazzina e già
sognava di andarsene per sempre. Ora, invece, avrebbe barattato tutto ciò di
materiale che possedeva per un paio di giorni di ferma e stantia noia.
Nel paese si festeggiava la vendemmia: era
praticamente impossibile riuscire a rimanere sobri e non farsi contagiare
dall’allegria che vibrava in ogni via, in ogni casa e angolo. E lei se ne era
completamente dimenticata: aveva ricevuto un paio di giorni di licenza (i primi
dopo essere stata riassegnata come assistente personale del Fuhrer) e aveva
deciso di tornare nel primo luogo in cui si era sentita al sicuro, felice.
«Riza? Riza Hawkeye? Santo cielo, ma sei proprio
tu! Io sono Clara. Eravamo a scuola insieme».
Il tenente non aveva nemmeno fatto in tempo a
posare la valigia nell’unica locanda del paese, che già era stata fagocitata
dal clima di festa. «Assolutamente no! Non ti lascerò mettere piede in quella
topaia. Sarai ospite a casa mia, Riza!».
Ogni tanto Riza ci pensava, alla legge dello
scambio equivalente. Poteva valere per l’alchimia, ma, più passavano gli anni
più ne era convinta, con le persone era tutto un altro discorso. Gli esseri
umani potevano essere equi, ma anche terribilmente egoisti e incredibilmente
generosi. Lei non aveva nulla da dare alla cara Clara, solo un sorriso e un
paio di complimenti, e tanto bastava.
«Finalmente ti sei decisa a farti crescere i
capelli. Ma sai che sei proprio bella con i capelli lunghi!». Dopo queste
parole Riza si era ritrovata con una coroncina di fiori in testa e il bicchiere
di nuovo pieno di vino. Aveva ringraziato e sorriso.
«Sai Riza, nessuno di noi avrebbe mai detto che ti
saresti arruolata. Ci hai sorpreso tutti quanti. Raccontaci un po’ cosa fai». E
il tenente cominciò a raccontare, non la verità. Non poteva dire che il capo
dello Stato non era umano, così come suo figlio. Non poteva dire cosa era stato
Ishbar, che aveva ucciso un numero indefinito di persone. Erano molte le cose
che non poteva dire, quindi si limitava ai racconti di come l’esercito avesse
tirato fuori il suo coraggio, racconti di cameratismo, del Colonnello e della
sua pigrizia, perché sì, Roy Mustang, l’affascinante allievo di suo padre che
aveva infranto il cuore di tutte le ragazzine del paese, ora era colonnello.
«Ma poi, per quale motivo ti sei arruolata?».
Riza ripensò alla prima volta che aveva incontrato
Winry Rockbell. Anche lei le aveva fatto la stessa domanda, con la differenza
che quella volta il tenente si era trovata di fronte a una ragazzina
amareggiata e spaventata, ora, invece, era in compagnia di vecchi compagni di
scuola allegri per il vino e per il clima di festa.
Riza ripensò anche a Ishbar, quando aveva visto
Roy per la prima volta, quando aveva ucciso per la prima volta. Poi ripensò al
giorno in cui era stata convocata nell’ufficio di Mustang:
«Alla
fine, dopo tutto quello che è successo a Ishbar, hai deciso di percorrere
questa strada, eh?».
«Sì.
Quella di indossare l’uniforme è stata una mia scelta».
«In che
settore te la cavi bene?».
«Armi da
fuoco. Diversamente dalle armi bianche, un’arma da fuoco non ti lascia la
sensazione di aver ucciso qualcuno con le tue mani».
«È un
inganno. Hai intenzione di mentire a te stessa continuando a sporcarti le
mani?».
«Sì, è
così. Noi soldati dovremmo essere gli unici a sporcarci le mani di sangue. I
ricordi come quelli di Ishbar, dovremmo essere solo noi a portarceli dentro.
Come dicono gli alchimisti, se la verità di questo mondo può essere mostrata
attraverso lo scambio equivalente, allora la nuova generazione che nascerà
potrà godersi la felicità. Per pagare quel prezzo, noi dovremo caricarci
addosso corpi senza vita e attraversare un fiume di sangue».
«Penso
che proporrò di farti lavorare come mia assistente. Voglio che tu sia dietro di
me, che mi protegga. Capisci che voglio dire? Lascerò che sia tu a guardarmi le
spalle e ciò significa che potrai spararmi in qualsiasi momento. Se farò
qualcosa che non dovrò fare, uccidimi con le tue mani. Hai la mia
autorizzazione. Mi seguirai?».
«Ho
capito. Se è questo ciò che desidera, sono pronta a seguirla sino all’inferno».
Riza ripensò a quel momento, guardò il pancione di
Clara, che tra un paio di mesi avrebbe messo al mondo il suo primo figlio, e
pensò che lei, Riza Hawkeye, era proprio una donna fortunata. Aveva ricevuto
molti doni, più di quanti si aspettasse: lei era viva, Roy era vivo, le persone
che amava e rispettava erano vive, e forse un giorno, se avesse continuato ad
essere così tanto fortunata, avrebbe potuto accarezzare la sua pancia in cui sarebbe
cresciuta un vita, un bambino della generazione futura. Entrare nell’esercito aveva
richiesto sacrificio, ma aveva anche saputo donarle tanto, come la vicinanza dell’uomo
di cui da sempre era innamorata. Ora sarà pure stata tenuta in ostaggio dal re,
il fuhrer Bradley, ma dentro di sé sentiva che non sarebbe stato così ancora a lungo.
Riza sorrise, si sistemò la coroncina di fiori e rispose
alla domanda di Clara: «Perché c’è qualcuno che devo proteggere».