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Autore: Eylis    24/08/2008    1 recensioni
Ormai aveva ricordato quasi ogni parte del proprio passato. Solo una cosa le sfuggiva: perché si trovava in quel luogo? Cosa era successo prima che il suo corpo si spegnesse? Perché ne era certa, si era spenta. Eppure ora esisteva nuovamente, anche se percepiva che la sua forma era diversa. Rammentava unicamente che quel dolore tanto forte causato dall’ambivalenza dei suoi sentimenti, la lotta fra ciò che era giusto e ciò che avrebbe desiderato l’aveva portata ad un sovraccarico della memoria. Aveva iniziato a non più funzionare come avrebbe dovuto. E ne era sicura, aveva desiderato lei stessa di poter cadere nell’oblio, nonostante i suoi genitori tanto si fossero affannati nel cercare di ripararla. Ma cos’era successo in quegli ultimi attimi?
[...]

Dopo aver capito i propri sentimenti per il padre Freia decide di spegnersi per non più soffrire. Ma Erda, la sorella, vuole salvare i suoi ricordi, e li inserisce dentro di sé. Cosa succederà quando Freia si risveglierà? Quali saranno i suoi pensieri, le sue emozioni, come potrà “regolare” i conti lasciati in sospeso? Una piccola nota: questa storia non è davvero shoujo-ai, ma contiene elementi che potrebbero ricordare questo avvertimento perché ho tentato di richiamare quella punta di ambiguità che è sempre presente nei lavori delle CLAMP
Questa storia si è classificata prima al concorso "Singing Flowers" indetto da Writers Arena
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chii, Dark Chii, Hibiya Chitose, Hideki Motosuwa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2. Ricordi

Dammi la forza di affrontare la verità ed il dubbio nella mia anima…

Poco alla volta iniziò a ricordare. In principio erano solo sensazioni, emozioni che la prendevano trascinandola in quell’oscurità senza che potesse impedirlo. Una forza crescente la stava sostenendo, permettendole sempre più spesso d’essere cosciente, o forse impedendole di abbandonarsi al nulla. Dentro di lei nacquero spontanee delle parole che poco alla volta riusciva a collegare a quelle emozioni. Gioia. Allegria. Scoperta. Malinconia. Dolore. Sempre più intense, sempre più… vive. Reali.

Scavando nella propria memoria, in una ricerca contro la propria stessa volontà, ricostruì delle immagini. Scorse una donna, dai capelli scuri e lo sguardo gentile, l’aveva presa a sé stringendola in un abbraccio. Percepiva un forte sentimento legato a lei. Affetto. Era… sua madre? Le aveva carezzato i capelli, sorridendole, l’aveva rivestita…
Si vide passeggiare fra le camere di quella casa guidata dalla mano delicata di quella figura. Le indicava gli oggetti spiegandole il loro nome e la loro funzione, le mostrava delle immagini descrivendone le persone rappresentate. A volte si fermava, la osservava, la abbracciava trasmettendole un grande calore. Ricordò che era grazie a quella figura che aveva compreso il significato della parola “felicità”.
Un altro ricordo, più breve, più nitido. Era… mattina, aveva aperto gli occhi ed aveva visto la luce penetrare dalla finestra. Vi si era affacciata ed aveva scorto un piccolo animale intento a costruire una specie di cuccia fra i rami di un albero. Sua madre era entrata, l’aveva chiamata, aveva risposto alle sue domande spiegandole che quanto aveva visto era un uccello che stava preparando il proprio nido. L’aveva chiamata per nome. Freia. Allora era questo il suo nome, la sua identità. Freia. Nel visualizzare questo termine dentro di sé percepì una strana gioia. Un senso… d’appartenenza, forse. Incapace di fermarsi continuò ad analizzare il materiale che trovava nella propria mente. Una ricostruzione accurata di immagini, suoni, percezioni. Lentamente seppe che significato dare alla parola “vita”. Cosa rappresentava questo termine, cosa aveva fatto nella propria vita. Si bloccò. No, non era corretto. Quella di sua madre era vita. La propria era esistenza. Erano diverse, ora ricordava. Ma questo non aveva impedito loro di provare dell’affetto reciproco.
E poi un altro nome si affacciò alla sua coscienza. Erda. Un volto allegro, incorniciato da lunghi capelli colore dell’avorio, un vestito chiaro che metteva in risalto la sua purezza. Sì, lei era pura. Freia impiegò qualche attimo a rendersene conto, l’aspetto di Erda era uguale al proprio. Quel giorno in cui l’aveva conosciuta aveva avuto una sorella. Assaporò per un istante la spensieratezza donatale da quel pensiero. Ma qualcosa le impediva di sorridere pienamente. C’era dell’altro, lo percepiva chiaramente. Ancora una volta scavò nei propri ricordi sepolti per capire. Perché Erda esisteva? Perché sua madre aveva voluto crearla… per lei? Queste domande la trascinarono in nuovi sentimenti. Malinconia. Tristezza. Dolore… Erda era nata per distoglierla da queste emozioni laceranti, ma ora era sola, completamente sola… Nessuno poteva impedirle di ricordare.

Vide un volto maschile, un sorriso forte e sincero. Il riflesso degli occhiali le impediva di vederne gli occhi, ma a dispetto di questo avrebbe saputo descriverli nel dettaglio. Ed allora ogni ricordo si affacciò in lei sommergendola. Quel viso apparteneva alla persona che l’aveva creata, alla persona che era diventata suo padre. Colui che tanto amava sua madre, colui per il quale avrebbe dovuto provare un grande affetto di figlia. Ed invece… Forse era a causa di quel programma che il padre stesso le aveva installato. Forse nei recessi del suo corpo meccanico esisteva davvero un cuore. Qualunque cosa fosse aveva visto in quella figura la persona da amare, la persona solo per lei. Freia si rannicchiò su sé stessa chiudendo gli occhi mentre le immagini scorrevano incessanti dietro le sue palpebre. Si era innamorata del proprio padre, di una persona per la quale mai avrebbe potuto essere l’unica, perché lui già aveva sua madre al suo fianco. Di nuovo quel dolore incessante la sommerse, portato dai ricordi appena afferrati.

  
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