Sachiko si chinò in avanti per chiudere la bicicletta, e i capelli le caddero sugli occhi. Sbuffò, mentre cercava di infilarli dentro al cappuccio della felpa bianca e nera che indossava.
Li aveva tagliati parecchio, lasciando un po' più lunga solo la frangia. Era stato un tentativo di renderli un po' più gestibili, ma era stato inutile: ora che non avevano il peso della lunghezza a tenerlì giù, sembravano ancora di più un cespuglio.
Buttò un'occhiata alla propria immagine riflessa nel vetro della porta. A ventun anni compiuti forse avrebbe dovuto cominciare a vestire un po' meno da ragazzina, ma in fondo il lavoro di barista le concedeva qualche libertà in più.
Si sprimacciò la gonna rosa e azzurra a balze, tirò su uno dei due calzini che si era arrotolato di propria volontà attorno alla caviglia, ed entrò nel bar.
Il titolare era già lì, e stava sistemando dietro al bancone le bottiglie appena scaricate dal camion.
“Buongiorno, Sachiko.”
“Buongiorno. Tutto a posto?”
L'uomo mugugnò una risposta affermativa, impegnato a cercare l'apribottiglia: ne spariva almeno uno a settimana, ed era un mistero inspiegabile. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa.
“E' passato un ragazzo, stamattina presto, faceva footing. Si è affacciato al bar, e ha chiesto di te.”
“Cercava me?”
“Beh, ha chiesto se c'era la ragazza del bar, quindi cercava te.”
“Non ha detto il suo nome?”
“Gliel'ho chiesto, ma ha detto che tanto non vi eravate presentati. Però mi ha lasciato questo.”
Le porse un foglietto piegato in due. Sachiko lo aprì.
C'era appena una manciata di Kanji: Sono Tornati.
Sorrise, mentre ripiegava il biglietto e lo infilava in tasca.
“Ne sono felice...” Mormorò.