Fanfic su attori > Josh Hutcherson
Segui la storia  |       
Autore: catniss    03/07/2014    3 recensioni
Stati Uniti, Kentucky.
Alaska Hurst. Diciassettenne.
Josh Hutcherson. Ventunenne.

Un passato lasciato alle spalle ma con dei conti ancora insospesi.
Un'amicizia spaccata, troncata a metà, che conserverà per sempre le crepe.
Ricordi assordanti, mancanze implacabili, uragani devastanti, demoni distruttivi. Due vite incomplete.
Due sconosciuti che si conoscono a memoria.
Vi presento Broken Strings.
"La strana intimità di quelle due rotaie. La certezza di non incontrarsi mai. L’ostinazione con cui continuano a corrersi di fianco."
-Alessandro Baricco
Siete pregati di non plagiare.
©atniss .
Genere: Drammatico, Fluff, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Broken Strings
Capitolo quarto.

 
E pensavo: forse mi ci abituerò. Non mi ci abituai mai.”
- Charles Bukowski
 
 
 
Per altri tre giorni Alaska era rimasta a letto, digiunando e passando le notti in bianco. Lo stomaco continuava ad attorcigliarsi su se stesso e le occhiaie le scavavano gli occhi, ma non ci badava nemmeno. Michelle, la madre dei due fratelli, la supplicava di ingoiare anche un solo boccone, ma lei rifiutava educatamente, riprendendo a fissare il vuoto con gli occhi assenti di chi si è ormai rassegnato a vivere.        Nella stanza in cui soggiornava Alaska, c’era un fetore di chiuso e di sudore dovuto agli incubi e alle lenzuola che non venivano cambiate da un pezzo.
Quando si varcava la porta, un fetido e umido calore invadeva i sensi del visitatore, lasciandolo senza ossigeno e con gli occhi ridotti a due fessure per distinguere i vari mobili che ornavano la stanza attraverso la sottile nebbia che avvolgeva e rendeva quel posto quasi misterioso ed impenetrabile.
 
Ed anche quella notte Alaska si risvegliò brutalmente, sussultando e spalancando gli occhi nell’oscurità. Gocce di sudore le scorrevano lungo la pallida fronte, seguendo i tratti spigolosi del suo volto. Rimase immobile per qualche secondo aspettando che le pupille fossero abbastanza dilatate per distinguere i diversi oggetti che confusamente posati sul comodino di Josh e con la mano ancora tremolante accese l’abajour. Socchiuse gli occhi, abbagliata da quella fioca luce e quando essi si furono abituati, si alzò faticosamente dal caldo e umido letto, assicurandosi di essere in grado di reggere in piedi dopo quattro giorni distesa.
Infilò silenziosamente le solite Converse nere e aprì la finestra. L’aria notturna di fine novembre la travolse facendola oscillare. Insicura, scrutò davanti a sé, verso est; una cerea luce affiorava all’orizzonte. I dintorni erano ancora terribilmente scuri e notturni, ma Alaska parve non curarsene quando, con una sicurezza che non le apparteneva, passò con entrambe la gambe dall’altro lato del vetro, ritrovandosi allo scoperto. Scese cautamente dal poggiolo e si stupì quando si accorse che le sue gambe ressero l’impatto del salto.
Rimase qualche minuto ferma, ad osservare il vento piegare gli alberi ed a cercare di tener fermi i suoi capelli ribelli e annodati con le mani ghiacciate, per poi iniziare a correre, d’un tratto, forse d’istinto, verso la sua casa.
 
Josh l’aveva sentita. La sentiva ogni notte, rimanendo sveglio e dormendo di giorno, quando era sicuro che qualcuno la potesse controllare.
Perché Josh non si fidava. Sapeva quanto fosse imprevedibile Alaska. La conosceva bene. La conosceva più di quanto lei stessa non si conoscesse. Se solo le avesse potuto parlare, allora avrebbe saputo
 come stupirla. Anche se Alaska lo avrebbe respinto, perché lui sapeva quanto lei odiasse farsi trovare impreparata. Ma non le poteva parlare. Lei non glielo permetteva, non più.
            Si morse il labbro a lungo, indeciso sul da farsi. Infine, dopo aver assaporato il sapore metallico del sangue, si mise a sedere e si strofinò il viso con le sue grandi mani. Sbuffò e si alzò.
Silenziosamente uscì dalla camera di Connor (che dormiva con la mamma finché il padre non sarebbe tornato dal suo viaggio lavorativo) e si avviò verso la sua, nella quale avrebbe dovuto tranquillamente dormire Alaska, con cui condivideva il muro della testiera del letto. Quando aprì la porta, una vista agghiacciante gli si presentò davanti.
 
Le chiavi, tipicamente nascoste sotto lo zerbino, le permisero di entrare.
Non appena mise un piede all’interno della dimora, gli occhi cominciarono a pizzicarle e le guance a riscaldarsi. Salì velocemente la grande scalinata sulla destra e piombò in camera sua.
Afferrò con entrambe le mani la sua reflex e s’infilò in tasca un nuovo rullino fotografico. Si mise la macchinetta attorno al collo e scese di corsa le scale, aggrappandosi al corrimano di scuro legno per non cadere. Ci mise un paio di istanti a recuperare tutto il materiale necessario per il suo progetto a cui aveva avuto modo di riflettere durante quei giorni solitari dove solo i pensieri le fecero compagnia.
 
Senza pensarci due volte, s’infilò il primo paio di scarpe trovate nell’armadio e prese il suo giubbino di cuoio ed uscì ugualmente dalla finestra come aveva precedentemente fatto Alaska. L’impatto al suolo non lo disorientò sicché era ben allenato, così iniziò a correre ad un ritmo costante poiché non era sicuro di dove fosse scappata Alaska.
 
Installò la macchinetta sul piedistallo posizionato a circa dieci metri dalla casa. Impostò l’autoscatto e si posizionò nel luogo prestabilito pochi istanti prima.
Fortunatamente il sole stava iniziando a sorgere di fronte e lei, cosicché la fotografia non sarebbe stata contro sole. Era pronta, tutto era pronto. Pronto a scattare.
3… 2… 1… Click!
Nessun sorriso, un’espressione enigmatica, misteriosa quasi. Alaska non aveva la possibilità di vedere la foto, così, per sicurezza, ne volle riscattare una seconda. Proprio mentre stava impostando l’autoscatto, un minuto essere le si intrufolò fra le gambe, facendola sorridere.
«Gatto!» Alaska si accucciò e prese ad accarezzarlo dolcemente. Gatto impiegò due secondi per emettere delle fusa; gli era mancata. Così Alaska lo prese in braccio, costui si lasciò fare e, anzi, aumentò il ritmo del suo nobile verso, e terminò di impostare i secondi. Poi, con estrema attenzione avviò il conto alla rovescia dell’apparecchio e si allontanò, rimettendosi precisamente sulla croce che aveva disegnato con la terra sul terreno poco prima.
In quel momento, Alaska non s’immaginava minimamente che lo sguardo di Josh era fissato su di lei, quasi come una calamita; non aveva sentito nessun rumore, forse per colpa delle fusa, forse per colpa dell’eccessiva concentrazione…
3… 2… 1… Click!
Stesse espressioni. Stessi pensieri. Stessi scopi.
Aprì le braccia che erano diventate ormai troppo pesanti per portare Gatto. Rilasciò le gambe, diventate troppo deboli per sopportare il suo peso. Crollò a terra, distrutta. Aveva fame, sete, sonno. Il suo corpo pareva spegnersi dolcemente, quasi come una ninna nanna a per scopo di far addormentare un bambino. In modo sicuro e quasi incontrollabile.
Avvicinò le ginocchia al busto, appoggiandoci sopra la fronte e posizionando le braccia attorno alla testa, come per creare una barriera. Si era fatta male, cadendo a terra. Tratteneva i gemiti di dolore e scacciò Gatto quando cercò di intrufolarsi fra il suo ventre e le sue gambe dove effettivamente c’era una specie di nicchia dove lui poteva riscaldarsi un pochino. Perché il clima era, esagerando un minimo, artico; Alaska non se n’era accorta, ma il vento aggressivo e pungente le aveva screpolato la pelle e seccato occhi e bocca. Alaska non se n’era accorta, ma ora stava tremando, di freddo e, anche se non lo voleva ammettere, di paura. Cosa ne sarà di me? Della casa? Dei cavalli? E, senza accorgersene, iniziò a piangere, silenziosamente. Quel tipo di pianto che se non vedi la schiena sussultare non t’accorgi nemmeno che c’è.
            Improvvisamente, una calda mano le si poggiò sulla magra schiena, delicatamente, ma Alaska sussultò ugualmente. La scacciò via, ignorando le lacrime che le scendevano a fiotti dagli occhi.
«Non ho bisogno di te! Vai via!» urlò con rabbia. Ma era poco credibile. Le labbra viola, gli occhi rossi e le dita cadaveriche ne erano la prova. «Smettila.» disse soltanto Josh, «sei ghiacciata.»
            Le avvolse attorno il suo giubbino di cuoio e le passò una mano sulle spalle per trasmetterle un po’ del suo calore.
Quando Alaska riacquistò il controllo di sé stessa, si rese conto che erano fin troppo vicini e che quel contatto fisico andava immediatamente eliminato. Si scostò di scatto, facendo sussultare Josh.
«Che hai?» le chiese.
«Non ho bisogno di te.»
«Mi pare di averti appena dimostrato il contrario.» sospirò, creando una nuvoletta di vapore, «Non potresti semplicemente smettere di essere te stessa per dieci minuti e ringraziarmi per averti aiutata?»
«No. Io non ti ho chiesto nulla.»
            Piombò il silenzio, quando Josh si alzò e la lasciò da sola per terra. Lei lo osservò, diffidente, soprattutto quando si avvicinò alla sua macchinetta fotografica, ancora sul piedistallo in metallo. «Non toccarla.» sputò.
E invece Josh la toccò; una mano inesperta e maldestra. Impostò per l’ennesima volta l’autoscatto, con le dita intorpidite a causa dal freddo. Tornò in seguito sui suoi passi
Inaspettatamente sollevò Alaska e la prese in braccio, come fanno i principi nelle favole. Lei, un po’ stordita reagì al rallentatore; 3… strabuzzò gli occhi.
2… fece opposizione al busto di Josh con entrambe le mani.
1… dimenò le gambe per aria.
Click! Si immobilizzò, sorpresa. Non si era resa conto. Era troppo stanca, troppo infreddolita e troppo triste per arrabbiarsi. Così si lasciò riposare a terra e si fece accompagnare senza discutere all’interno della sua dimora.
Dopo tutto quel tempo, non lo volle ammettere, ma il familiare tocco di Josh parve risvegliare, nel profondo di Alaska, una sensazione di pura sicurezza che sembrava ormai averla definitivamente abbandonata.

 



 Salve a tutti.
Mi scuso immediatamente pr la mia lunga assenza, ma temo che ve ne dovrete fare una ragione...
Non riesco proprio ad essere regolare come vorrei.
Oltretutto questo capitolo ce l'avevo pronto da circa un mese quindi... scusate ancora se sono sparita.
Ma spero che il capitolo sia di vostro gradimento e di non essermi troppo soffermata su dettagli, agli occhi di alcuni, inutili (che magari si riveleranno in seguito importanti poiché sono sempre i dettagli che racchiudono l'importanza di un qualunque gesto).
Ad ogni modo... Consigli? Osservazioni? Imprecisioni? Domande? Errori?

Ditemi tutto in una recensione!

Al prossimo capitolo!

catniss.

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Josh Hutcherson / Vai alla pagina dell'autore: catniss