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Autore: Atticus 182    03/07/2014    2 recensioni
"L'aria bruciava la pelle, il silenzio teneva con cura tutto il Giacimento nelle sue mani e il dente di leone era appassito."
Questa è la storia vista dalla prospettiva di Primrose, e racconta tutto ciò che succede durante l'assenza di Katniss nella vita di Prim. Ricordi, sensazioni, amori, luce e oscurità.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Primrose Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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La mamma alzò le tre dita ed io e Gale la seguimmo all’unisono, lacrime amare si fecero largo nel viso di mia sorella, Peeta con determinazione alzò per primo il braccio sinistro e rispose a quel gesto, Katniss lo seguì. Pochi metri ci dividevano, ma la sentivo già lontana, già nell’arena, di nuovo in pericolo. Non riuscivo a capire come la vita non smettesse di punire la nostra famiglia. Mi feci vedere forte, mentre i Pacificatori trascinavano mia sorella verso le porte del Palazzo di Giustizia. Non ci diedero neppure quei pochi minuti per dirci addio, così lei con la voce spezzata, prima di farsi inghiottire dall’oscurità, pronunciò un : «Addio! » Persino Effie Trinket aveva le lacrime agli occhi e la sua voce squillante si era fatta cupa nel pronunciare “Peeta Mellark e Katniss Everdeen, tributi del distretto 12” per la seconda volta. Nelle ore che seguirono decisi di spegnermi, di buttare via ogni sentimento e finire di piangere tutte le mie lacrime, chiudendomi nella mia stanza e perdendomi  tra le lenzuola, che racchiudevano ancora il profumo di Katniss come a sbattermi in faccia il fatto che avrei potuto non risentirlo piu’. Il giorno seguente evitai ogni attenzione di mia madre, anche Gale, dal carattere duro e glaciale, provò a parlarmi, ma non avevo niente da dire e sentivo di aver perso l’uso della parola, ero diventata come una di quelle senza-voci di cui ci aveva parlato Katniss. Il suono della televisione aperta in salotto si faceva spazio tra le mura e arrivava fino al mio letto, per colpirmi in pieno petto. Mia madre continuava ad informarsi sulle condizioni di lei a Capitol City, ma io buttavo semplicemente la testa sotto il cuscino, per non sentire altro dolore. Nemmeno Ranuncolo riuscì a farmi tornare alla realtà da quella specie di trance, passavo le giornate a fissare il vuoto in attesa che mi inghiottisse. Smisi anche di mangiare, tranne quando mia madre alzava la voce ed ero costretta a ingurgitare quel poco di cibo che il mio stomaco riusciva a contenere. Isaac venne a farmi visita un paio di volte, ma non volevo vederlo, non sarei riuscita a parlare o a dire qualcosa di allegro, e lui nella sua vita aveva bisogno solo di felicità, non di un'altra persona che trasudava dolore.
«Sono entrati nell’arena. » Disse mia madre entrando nella stanza e fermandosi sulla soglia. Così l’addestramento, le prove con gli strateghi e il cibo invitante erano finiti. Adesso potevano andare a morire. Mi guardò per qualche secondo, non vide segni di risposta, richiuse la porta e sentii i suoi passi allontanarsi. L’odore di chiuso si spargeva per tutta la stanza, le mie ossa avevano preso la stessa posizione da giorni, le uniche cose che ero in grado di fare per non rimanere bloccata a letto erano trascinarmi fino al bagno per lavarmi e pulirmi il viso dalle lacrime secche di 2 giorni. Mia madre non si diede per vinta, continuava a portarmi notizie di Katniss pur essendo passato solo 1 giorno dall’inizio dei Giochi. «Peeta ha già rischiato di morire, ma Finnick, il tributo del 4, l’ha rianimato con la manovra che usiamo spesso qui, quando capiamo che non c’è piu’ niente da fare e cerchiamo di riportarlo con noi. Ricordi ? Piccole botte secche sul petto e la respirazione bocca a bocca. Prim, lei è viva e sono morti molti tributi. Sai che può ancora farcela. » Concluse. A passo leggero, stava per chiudersi la porta alle spalle e con un filo di voce, dissi. «Si, può ancora farcela... a morire, mamma. » Quelle parole le fecero mancare il respiro, e sentii dei singhiozzi riecheggiare nel corridoio. Per quanto potesse far male, quella era la verità. Il trucchetto delle bacche sarebbe potuto funzionare ai primi giochi, ma adesso Snow sarà stato previdente e non si farà incantare una seconda volta.
Durante la notte quando la mamma era già a letto, gironzolavo per casa alla ricerca di qualcosa. In realtà dovevo sgranchire le gambe, stare a letto non faceva bene al mio corpo e forse nemmeno alla mia anima. Ma era l’unica cosa che riuscivo a fare, l’unica cosa che mi permetteva di non affrontare direttamente la realtà. E la realtà era che avrei perso mia sorella, e stavolta nessun trucco l’avrebbe salvata. Il secondo giorno passò in fretta, cercai però di scendere dal letto, riuscii ad arrivare alla scrivania dove trovai un pezzo di carta e una matita. Se non riuscivo ad esprimere a parole ciò che stavo attraversando, forse sarei riuscita a farlo mettendo tutto per iscritto, così iniziai a scrivere una lettera rivolta a mia sorella.
«Cara Katniss,
Mi sento muta. Vulnerabile. Uccisa dal potente veleno di Snow. Ti ha mandata lì una seconda volta, per punirti. Per punirci. E io mi sento così vuota adesso. Sai, durante i primi Hunger Games ho reagito diversamente, mi sentivo a pezzi, ma la speranza che tu potessi ritornare si era fatta largo dentro di me e aveva acceso una fiammella ardente che mi faceva sperare in un tuo ritorno. E quando sei tornata, la fiammella ha preso davvero vita dentro di me, e le ho concesso di invadere tutto il mio corpo, per infonderne un po’ anche a te. Ma adesso, adesso è tutto diverso, adesso dentro di me sento il ghiaccio che continua a espandersi per tutti gli organi, ha quasi congelato il mio cuore, che prima batteva solo grazie a te. Il nostro legame non è mai stato solo di sangue, il nostro legame ci ha tenute in vita, ci ha dato la possibilità di sopravvivere alla perdita di nostro padre..... » Un nodo mi comparve di scatto in gola e le mie dita non potevano scioglierlo per far passare la saliva, che con difficoltà riuscii a mandare giù. Deglutire mi veniva difficile. « Ci ha dato la possibilità di riavere nostra madre, ma soprattutto di averci a vicenda. Ad ogni estrazione negli anni precedenti mi sentivo sollevata quando tornavi a casa insieme la mamma e mi sorridevi dicendo ‘Ehi paperella, sono sempre qui, vicino a te’. Quando Effie ha pescato quell’unico foglietto nella boccia, avrei voluto gridare con tutta l’aria che avevo nei polmoni “Mi offro volontaria come tributo” come tu hai fatto con me nei primi giochi. Non ti ho mai ringraziata abbastanza per quello che hai fatto per me, tenermi in vita fino ad oggi e salvarmela quel giorno di fronte a tutta Panem. Katniss, Snow sarà anche riuscito a distruggerci dentro, ma non riuscirà mai a spezzare il nostro legame, perché quella fiammella non bruciava solo dentro di me, quella fiammella sta bruciando ancora nei cuori di tutti i distretti e so che anche i cittadini di Capitol City trovino ingiusto tutto questo. Ti chiedo solo un ultimo favore: tu DEVI vincere. »  Le parole da scrivere venivano giù da sole e nel momento preciso in cui scrissi l’ultima frase, una piccola e insignificante goccia d’acqua salata bagnò il foglio, proprio nel punto in cui era scritta la parola DEVI. Ricacciai le lacrime e lasciai il foglio a giacere, in balia di altri occhi, sulla scrivania. Presi il cuscino, me lo poggia sulla bocca e urlai con tutta la forza che avevo in corpo, cacciando fuori da ogni strato del mio corpo tutto il disprezzo che provavo in quel momento per Capitol City.
Aprii la finestra e un vento pungente mi invase il viso e la pelle, i peli delle braccia si alzarono per qualche secondo, formando piccoli puntini bianchi lungo tutto l’avambraccio. Fuori c’era ancora qualche strato di neve e stava calando la sera. Avevo bisogno di uscire di casa. «Vado a salutare Isaac. Penserà che non voglio piu’ vederlo. Devo farglielo sapere. » Mi rivolsi a mia madre seduta di fronte la televisione spenta, con le gambe premute sul petto e gli occhi persi nel buio. «Va pure, ma torna presto. » Stavo per dirigermi verso la porta quando disse: «Aspetta. » Si avvicinò piano, senza fare rumore, era scalza ed esile, non avrebbe fatto comunque il minimo suono. Mi trascinò vicino allo specchio, senza dire una parola e iniziò a pettinarmi i capelli. «La mattina dei primi giochi tu ti sei rivolta a tua sorella dicendo che volevi essere come lei. » Iniziò a maneggiare con cura delle ciocche e in 5 minuti aveva concluso la sua opera. Guardai a terra per tutto il tempo, quando alzai lo sguardo, ciò che vidi allo specchio, mi procurò un dolore al petto. Le lacrime ondeggiavano nei nostri occhi, la guardai tramite lo specchio e in un leggero gesto, mi girai e l’abbracciai. Mi aveva sistemato i capelli come quelli di Katniss nel giorno della Mietitura, due trecce unite tra loro e poste sul capo a formare quasi un piccolo cappello. Ad un tratto mi risentii giovane. La lontananza di Katniss e ogni avvenimento della mia vita mi aveva portata a crescere troppo in fretta e quelle piccole attenzioni che mia madre mi riservò quella sera, mi riportarono a quando io e mia sorella eravamo molto piccole e insieme ci sistemavamo sul letto dei nostri genitori, vicine, aspettando che nostra madre ci facesse delle acconciature ai capelli, come solo lei riusciva a fare. Ci sciogliemmo da quell’abbraccio e le sussurrai un “Grazie”. Poi uscii di casa e mi diressi da Isaac.
I nostri sguardi si incrociarono poche volte lungo il cammino. Non sapevamo cosa dire, soprattutto in seguito ad alcuni eventi che avevano procurato un certo imbarazzo tra di noi. Non ne parlammo, ci scambiammo solo qualche parola. «Scusa se non sono stata in me in questi due giorni. » Buttai lì, di punto in bianco, per spezzare il silenzio. «Quel bacio....Io, io non me ne pento. » Non capivo le sue parole, ma era in difficoltà, si guardava le punte delle scarpe e un tic che aveva ogni tanto alla bocca si fece piu’ presente quando iniziò a parlare. «Sai pensavo che non volessi vedermi per questo. Per il bacio che ti ho dato. Pensavo di aver fatto un errore, ma mi rendo conto che non me ne pento. » “Nemmeno io” pensai. Cosa potevo dirgli? Non ero brava con le parole, me la cavavo meglio con le cose pratiche, come fasciare una ferita o spalmare una crema per le ustioni, insomma guarire corpi. «Oh, no. Non è stato per il .....» Non riuscivo a pronunciare quella parola, mi si fermò in gola e le guancie presero fuoco. «Davvero. Non pensarci. Tu non c’entri in questa storia. » Si fermò di scatto e intrappolò goffamente le mie dita tra le sue. Portando le nostre mani a intrecciarsi tra loro. Adesso eravamo faccia a faccia e i miei occhi non avevano via d’uscita. «Quindi, cosa intendi fare? » A quelle parole il mio cuore si fermò. Non sapevo cosa fare. Ero sicura di provare qualcosa per lui. Ma non ero mai riuscita a pensare veramente alla nostra situazione, soprattutto in quelle circostanze. «Non ho mai veramente pensato a questo. » La sua espressione cambiò, come se avesse ricevuto un grave colpo. Ripresi subito a parlare «Non ho mai potuto pensare a questo. La mia vita è un vero caos e tu sei la prima cosa bella che mi capita da molto tempo. » Questo lo fece sollevare dalla reazione precedente. Rimanemmo per un attimo in silenzio. Poi le nostre labbra si incontrarono di nuovo. Stavolta era diverso, mi sentivo piu’ sicura. Ero riuscita a esprimere ciò che provavo a questo ragazzo con così tanta facilità che adesso baciarlo mi veniva naturale. Così le mie labbra non erano piu’ rigide e immobili, riuscivano ad accompagnare il movimento delle sue e il nostro piccolo mondo iniziò a prendere forma intorno a noi. Il bacio fu seguito da un caldo abbraccio che sigillò con un tonfo secco tutte le parole non dette in una lettera anonima. «Non voglio dare una definizione a tutto questo. » Biascicò lui, nell’imbarazzo del momento. «Va bene così. » Risposi, con un piccolo sorriso. Ecco che mi entra di nuovo dentro e a poco a poco ricostruisce la mia corazza di ferro, caduta nello scontro. Non mi spiegavo come riusciva a donarmi tutta quella forza, ma non mi importava. Lui era la mia colonna quando Katniss era lontana e andava bene così.  
Tornai a casa, andai in camera e appena varcai la porta, mia madre si trovava di fronte a quella lettera, china su di essa, con le mani sul cuore e la tristezza negli occhi. «Io ...... » Si bloccò di scatto, come se anche a lei un nodo in gola le impediva di finire la frase. «Mamma, calmati. » Le mie parole le diedero la forza necessaria per andare avanti. «Io.. ti chiedo scusa, Prim. » Le presi le mani e le spostai un ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro. «Va tutto bene, supereremo anche questo. » Furono le ultime parole della serata. Ci mettemmo a letto, vicine e superammo la notte insieme. I due giorni seguenti passarono lentamente, tra alcuni feriti da curare e le continue informazioni sugli spostamenti di Katniss in televisione. Stavano preparando un attacco agli altri tributi. Beetee mi sembrava un tipo molto intelligente, infatti il suo piano era parecchio ingegnoso. Katniss era sempre così decisa e intenta a proteggere Peeta. Ma mi dedicai poco a vedere come andavano le cose nell’arena, il mio crollo mentale era in via di guarigione ma ero ancora un po’ instabile.
Il quinto giorno era alle porte, Ranuncolo aveva uno strano atteggiamento e il cielo pareva volesse darci un avvertimento su qualcosa, perché si colorò di un grigio intenso e tutto ciò che riusciva a trasmettermi era la paura di una nuova minaccia. Era tardo pomeriggio, la mamma stava lavorando a maglia e in lontananza il 12 si perdeva in uno stato di silenzio assoluto. Ecco di nuovo, il lutto in onore dei tributi caduti, erano già tutti quasi senza speranza e sembrava che la stessero risucchiando via anche dal mio corpo. Fissai il cielo, sgombro di nuvole, ma sempre carico di angoscia. Mi girai a guardare Ranuncolo saltare cautamente sulle mie ginocchia, lo accarezzai. Rivolsi di nuovo lo sguardo al cielo e lo spettacolo che si aprì dinanzi ai miei occhi era terrificante. File di hovercraft invadevano il cielo, adesso, strizzando gli occhi, riuscii a vedere del fumo nero risalire da alcune case in lontananza e poi il caos. «Mamma! » Gridai. Si precipitò vicino alla finestra e le uniche parole che pronunciò furono. «Siamo sotto attacco. » Aprimmo il televisore per vedere Katniss, un’ultima volta, prima di scappare. Ma era tutto completamente oscurato. Molto strano. Un tonfo fece tremare il portone, poi pugni pesanti bussarono insistentemente. Aprimmo, era Gale insieme alla sua famiglia «Dobbiamo andarcene di qui!. » Urlò. Attraversammo il Distretto di corsa, case quasi totalmente distrutte, urla di dolore riecheggiavano nel cielo, bambini senza genitori in mezzo le strade, corpi morenti lungo i vialetti e vicino le case, corpi bruciati e già senza vita. Mi tappai le orecchie e mi limitai a seguire Gale. Ci dirigemmo nei boschi, portando con noi piu’ gente possibile. Tutte le persone che riuscimmo a trascinare nei boschi. Tra cui anche feriti. Gale ci fece sistemare vicino ad un lago, io e la mamma preparammo immediatamente una zona per i feriti e iniziammo a cercare ogni tipo di foglia curativa per alleviare le bruciature e le ferite dei corpi doloranti che giacevano a terra. Acqua e panni ed erbe erano le uniche cose che potemmo usare. Riuscimmo a medicare qualche ferita, un uomo morì proprio sotto i miei occhi, la ferita al ventre era troppo larga e aveva perso molto sangue, nel giro di 6 minuti, morì dissanguato. Il cuore mi batteva fin troppo veloce e pensai per un attimo che potesse non reggere a tutto quel che stava succedendo. Degli hovercraft stavano distruggendo il nostro distretto, le nostre case, tutti i nostri averi, tutta la nostra vita. E non sapevamo perché. All’improvviso un hovercraft si materializzò sulle nostre teste e iniziò a prelevare gruppi di persone. Eravamo 800 piu’ o meno, tutti gli altri stavano morendo intrappolati nelle case o bombardati nelle strade e le mie mani non potevano fare niente per guarirli o portarli in salvo. Prima di salire, diedi una rapida occhiata a tutto ciò che avevo, vedere il distretto 12 scomparire così, mi diede un senso di totale impotenza, ma poi una fitta di dolore mi trapassò la tempia per fuoriuscire dall’altra parte del capo. Isaac. Non era tra i feriti e non lo avevo visto in mezzo a quella gente. Una volta nell’hovercraft mi iniziai a dimenare, urlando il suo nome. Mia madre lo sapeva, ma lasciò comunque che uomo sulla cinquantina con i capelli bianchi infilasse qualcosa nel mio braccio, facendomi cadere in un sonno profondo. La terra sotto di me si sgretolò per una sola e ultima volta e la corazza di ferro andò in frantumi con un ultimo semplice strattone. La fiammella si spense per sempre e il freddo mi inghiottì, facendomi emanare un ultimo sospiro di speranza.
   
 
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