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Autore: Framboise    04/07/2014    7 recensioni
Italia, anno domini 1381: Eufemia ha diciotto anni ed è figlia di un macellaio piuttosto importante nella Corporazione dei Beccai. Non è come la vorrebbe suo padre, remissiva e pronta ad un buon matrimonio, ma gestisce la bottega di famiglia con pugno di ferro, proprio come un uomo. Quando però arriva un matrimonio combinato ad intralciare i suoi piani, la ragazza non ha che una soluzione: fuggire, nonostante la guerra che da anni insanguina la sua città ed il Comune vicino sia appena ricominciata...
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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CAPITOLO 8:


Dopo alcuni giorni di viaggio, i mercenari entrarono finalmente nella città, che si aprì davanti a loro come un altro mondo. Le persone, dirette al mercato, camminavano tranquille per le strade e nell’aria risuonavano le loro voci: al posto del clangore delle armi a cui erano abituati, udivano i richiami dei venditori ambulanti, le esclamazioni concitate dei clienti che trattavano sul prezzo e gli strilli allegri dei bambini che giocavano nelle strade. Sembrava un mondo a parte, non contaminato dalla guerra: così vicino al campo di battaglia, eppure così lontano. Le mura spesse e l’esercito lo avevano protetto da ogni tentativo di incursione nemica, infatti la vita degli abitanti non era molto diversa da quella che vivevano in tempo di pace.
Durante il cammino, Eufemia aveva pensato molto alla sua città. Nonostante fosse piuttosto sicura che nessuno l’avrebbe scoperta, non voleva rischiare di venire riconosciuta, quindi aveva deciso che si sarebbe mantenuta lontana dalle zone che frequentava abitualmente, a meno che non fossero state molto affollate: d’altronde, chi avrebbe fatto caso all’ennesimo mercenario in licenza, tra tutte le altre persone? Nonostante ciò, voleva riuscire a rivedere la sua famiglia e Balduino, in un modo o nell’altro, perciò aveva deciso che li avrebbe seguiti di nascosto per vedere come se la cavavano senza di lei.
Appena arrivata in città, la ragazza si immerse nella folla del mercato, inebriandosi del senso di tranquillità che le infondeva uno scenario a lei tanto familiare. Inizialmente si teneva a distanza dalle bancarelle, ma poi si rese conto che anche lei godeva di quell’invisibilità che da sempre caratterizzava i mercenari: sembrava che gli abitanti della città, pur di non venire in contatto con quelle persone di cui avevano bisogno ma di cui non si fidavano, evitassero persino di incrociare il loro sguardo. A questo punto si allontanò dai suoi commilitoni e si avvicinò ad esse, osservando le merci esposte: ad un tratto si sorprese a valutare con aria critica i prezzi di alcuni tranci di carne in vendita ad un banco, “decisamente troppo alti per una carne di bassa qualità”. Era un gesto tanto consueto da non aver bisogno di essere pensato, ma al tempo stesso le sembrava incredibilmente fuori luogo rispetto alla realtà a cui si era abituata nell’ultimo anno. Nonostante l’iniziale impressione di familiarità, infatti, cominciava a farsi strada dentro di lei un profondo senso di estraneità verso ciò che un tempo le appariva normale, come la vita da mercante: ormai non apparteneva più a quel mondo e questa consapevolezza la colpì con una violenza quasi tangibile.
Femia vagò per la città fino al tramonto, parlando con i suoi compagni d’arme per supplire all’indifferenza delle altre persone. Ad un tratto, mentre stava camminando in una delle vie principali, da un vicolo laterale sbucò una giovane donna dall’aria familiare. Indossava un lungo vestito rosso dalla scollatura rotonda ed i suoi capelli color miele erano acconciati in una pettinatura dall’aria piuttosto elaborata. Quando la ragazza si voltò, per un attimo i suoi occhi incontrarono quelli di Eufemia, che trasalì e rimase per qualche attimo a guardarla allontanarsi a bocca aperta.
“Ma... è Maria! È mia sorella!”
Gli altri mercenari, notando la sua reazione, cominciarono a ridere sguaiatamente, canzonandola.
«Lodovico, hai trovato la tua bella?»
«Vola più in basso, ragazzo: quella è una signora, non è roba per te!»

Sentendoli, la ragazza si riscosse. Fece per avvicinarsi alla sorella ma Wiligelmo, che si stava lentamente riprendendo dalla ferita dell’ultima battaglia e le camminava accanto, la afferrò repentinamente per un braccio.
«Lasciami!» sibilò lei, divincolandosi, gli occhi sempre fissi sulla sagoma che si stava allontanando.
«Che cosa vuoi fare?» le domandò gravemente l’uomo, costringendola a voltarsi verso di lui. Era evidente che non credeva che un giovane mercenario potesse conoscere una donna di una classe sociale piuttosto elevata e temeva che potesse compiere qualche gesto sconsiderato.
«Devo... parlarle. Dopo ti spiegherò. Davvero» mormorò Femia, liberandosi dalla sua presa con uno strattone ed incamminandosi in fretta verso la direzione imboccata da Maria. Il falconiere cercò di fermarla di nuovo, ma il suo tono urgente ed il suo sguardo quasi disperato lo convinsero a lasciarla andare, infatti dopo pochi passi rinunciò e si unì nuovamente agli altri soldati, seguendola con sguardo preoccupato fino a quando non scomparve in una stradina laterale.

Eufemia seguiva sua sorella tra le vie strette della città, tenendosi sempre a distanza di sicurezza per non essere vista. Le persone che affollavano le strade diminuivano sempre di più man mano che si allontanavano dalla piazza, fino a quando in un vicolo stretto e deserto non rimasero soltanto loro due. Maria affrettò il passo e sua sorella, dimenticandosi di tutti i suoi precedenti propositi, accelerò a sua volta. Le sembrava che la sua mente fosse divisa a metà: una parte di lei sapeva che non doveva farsi notare, che doveva mantenersi nell’ombra e accontentarsi di averla vista, ma nonostante ciò un’altra voce nella sua testa la spingeva ad avvicinarsi, a verificare che sua sorella stesse bene. Era passato un anno da quando l’aveva vista per l’ultima volta: allora aveva quindici anni e sembrava ancora una ragazzina, con i capelli dorati che le cadevano in morbide onde sulle spalle. Ora ne aveva quasi diciassette ed era diventata una giovane donna dal portamento altero e dalle vesti eleganti, una vera bellezza. Aveva sempre saputo che sarebbe diventata così: fin da quando era piccola i ragazzi la notavano e si giravano a guardarla quando usciva di casa per raggiungere la sorella o il padre alla macelleria, infatti i pretendenti non le erano mai mancati.
Ad un tratto Maria si voltò di scatto verso di lei, lanciandole un’occhiata al contempo furiosa e spaventata.
«Smettila di seguirmi! Stammi lontano!» gridò, allungando una mano dietro di sé alla ricerca di un oggetto da usare come arma.
La ragazza si fermò per un attimo, interdetta, poi si lasciò sfuggire un sospiro: «Ti ho sempre detto di portare con te un coltello, quando esci».
La sorella la guardò senza capire.
«Cosa?»
«Maria... non mi riconosci?» le domandò Eufemia in tono sorprendentemente dolce, allungando una mano verso di lei.
L’altra la osservò più attentamente, perplessa, poi un lampo di comprensione le attraversò il viso e spalancò di colpo gli occhi.
«F... Femia
«Ciao, sorellina» la salutò la maggiore, con un sorriso storto.
«Non posso crederci. Sei... sei sparita senza una parola, hai lasciato solo un biglietto di due frasi! Nessuno di noi sapeva cosa pensare. Le comari del paese ne hanno parlato per mesi, dicevano che la morte “dell’unico uomo disposto a sposarti” ti aveva gettato nella disperazione, tanto da fuggire...  ma io e papà sapevamo che si sbagliavano» esalò Maria, sconvolta. «Un mercenario... non posso crederci. Ti sei unita all’esercito».
Eufemia annuì, senza parlare. Ora che se la trovava di fronte, notava ancora di più l’enorme differenza tra lei e sua sorella, tra le forme piene di Maria che sembravano invitare chi la guardava a toccarla ed il suo viso scavato e smagrito dalle battaglie e dalla fame. Il contrasto tra i begli abiti della sorella minore e la sua vecchia armatura sembrava grottesco, quasi ridicolo. Erano sempre state molto diverse sia nell’aspetto che nel carattere e crescendo si erano allontanate l’una dall’altra, ma adesso il distacco tra loro sembrava essere aumentato tanto da diventare incolmabile. Maria la fissava ad occhi spalancati, pallida come se avesse visto uno spettro: non le si era avvicinata, neanche dopo averla riconosciuta, ma si era appoggiata pesantemente al muro di una casa alle sue spalle.
«Ma perché l’hai fatto? Perché?» riprese. «Sapevamo che non poteva essere stata la morte di Giangaleazzo a farti fuggire, visto che lo odiavi. Ma allora cosa?»
Mentre sua sorella parlava, Femia ragionava velocemente. Se Maria diceva che nessuno aveva capito la ragione della sua scomparsa, allora significava che nessuno aveva collegato a lei l’omicidio. Ma allora, perché mastro Malaspina le aveva fatto capire che sospettava di lei? Si era immaginata tutto?
 Vedendo che l’altra aspettava una sua risposta, si schiarì la voce.
«È una storia lunga, lascia perdere. Me ne sono andata per non mettervi tutti in pericolo, è meglio che tu non sappia nulla. Tu... come stai? Cos’è successo mentre... mentre non c’ero?» borbottò.
«La tua scomparsa ha lasciato papà ad occuparsi da solo della macelleria, ma aveva bisogno di aiuto. Questo ha accelerato i preparativi per il mio matrimonio, quindi dopo pochi mesi ho sposato Lodovico. Ora le nostre botteghe si sono unite e lui gli dà una mano a gestirle. Siamo anche diventati più ricchi».
Sentendola parlare delle nozze, Eufemia restò per un attimo interdetta, poi ricordò che il nome che aveva scelto per sé era anche quello del promesso sposo di sua sorella.
«Capisco. Lui ti tratta bene?»
«Certo! È un ottimo marito, è dolce e...» Maria si interruppe, arrossendo, poi riprese.
«Sono incinta. Di quattro mesi, credo... lui lo sa già, è felice. » spiegò,
portandosi una mano alla pancia in un gesto strano, quasi protettivo, senza fare caso allo sguardo stupito della sorella maggiore. In effetti, notò quest’ultima, la ragazza sembrava più rotondetta dell’ultima volta che l’aveva vista, ma inizialmente non ci aveva fatto caso.
«Santo cielo» mormorò, guardandola. Poi si rimproverò: avrebbe dovuto mostrarsi felice, congratularsi con lei, o magari abbracciarla, ma nonostante questi pensieri non riuscì a muoversi.
«E nostro padre? Sta bene?» domandò invece.
«Sì. Era sconvolto quando sei scappata, sai? Ti ha cercato ovunque, ha chiesto tue notizie a tutti. A volte diceva che avrebbe preferito non avere mai firmato il tuo contratto di matrimonio» le rispose Maria, incamminandosi di nuovo, seguita dalla sorella. Dopo qualche minuto, arrivarono davanti alla bottega. Da una finestra illuminata Eufemia vide il padre, intento a pulire il bancone. Era tanto affaccendato che non le aveva notate avvicinarsi. In quel momento capì che non voleva entrare, non voleva parlargli. Certo, avrebbe potuto tornare a casa, l’avrebbero accolta... ma poi, cosa avrebbe fatto? Avrebbe dovuto sopportare i pettegolezzi degli altri cittadini, poi sarebbe venuto il momento di un nuovo matrimonio. E che cosa sarebbe successo, a quel punto?
«Ora devo andare» disse alla sorella minore. «Non dirgli che mi hai visto, che mi sono unita ai mercenari. Se vuoi, digli che qualcuno ti ha portato mie notizie, o che sai che sto bene, ma comportati come se non mi avessi mai incontrato».
«Ma...» protestò l’altra.
«Fai come ti dico. Per favore. E se vedi in giro quel mendicante che abita nel vecchio pollaio, quello anziano che zoppica, digli che lo saluto e dagli questi da parte mia, va bene?» continuò, porgendole alcune monete d’argento.
Maria annuì, prendendole. Fece per entrare nel negozio, ma appena prima di aprire la porta si fermò.
«Femia...»
«Sì?»
«Non voglio che un giorno sia mio figlio a dover andare a combattere. Per favore, vincete questa guerra» mormorò la ragazza, poi entrò nella macelleria e chiuse la porta dietro di sé.
Eufemia rimase per pochi secondi accanto alla finestra, guardandola salutare il padre e dirgli qualcosa che lo fece sorridere, poi voltò le spalle alla bottega e si allontanò nella notte.

Quando tornò sulla strada principale, incontrò un gruppo di suoi commilitoni, già piuttosto alticci.
«Lodovico, cosa ci fai lì? Vieni con noi!» esclamarono.
Uno di loro la prese sottobraccio, trascinandola verso i bassifondi della città. Dopo aver camminato per un po’ tra strette stradine buie infestate dai topi, ad un tratto si fermarono davanti ad una vecchia osteria da cui provenivano voci, canti rochi e risate. Riconoscendola, Eufemia sollevò un sopracciglio: era il bordello della Mara.
«Ti è andata male con la tua dama, eh? Non preoccupati, qui sì che ci sono le donne per noi!»
Naturalmente aveva sempre evitato quella zona, quando viveva in città, ma conosceva quel posto per la sua pessima fama. Ufficialmente era una taverna dove gli uomini si ritrovavano la sera per bere, ma tutti sapevano che in realtà chi pagava qualcosa in più vi poteva trovare il brivido del gioco d’azzardo e molte ragazze compiacenti. Nonostante nelle osterie fosse proibito praticare dedicarsi ad entrambi i piaceri e la legge prevedesse pene molto severe per i trasgressori, le autorità tolleravano quel posto: forse, come sussurravano le malelingue, anche loro talvolta avevano avuto occasione di godere dei servigi di Mara, la proprietaria. Quest’ultima era una donna la cui fama rasentava la leggenda. C’era chi diceva che in passato fosse stata la bellissima amante di un signore locale, altri pensavano che fosse esperta di filtri per legare a sé gli uomini; in realtà era una donnina bassa e tarchiata dall’umorismo pungente, la lingua svelta ed un innato senso degli affari. Ridendo, i mercenari entrarono nel locale.
Eufemia si guardò intorno. Si trovavano in una grande stanza buia, rischiarata da qualche torcia appesa al muro e da un grande camino. Al bancone sedevano uomini di tutte le età e di ogni condizione sociale: c’erano studenti, commercianti e contadini, tutti con davanti un bicchiere di vino o sidro. Alcuni erano coinvolti in accese discussioni, i volti arrossati dall’alcool contorti in smorfie, altri erano riuniti in gruppi rumorosi attorno ai tavoli dove erano in corso partite a carte o a dadi e scommettevano animatamente su chi avrebbe vinto la mano. Tra i tavoli si aggiravano ragazze che indossavano abiti gialli e scollati. A volte alcune di loro, seguite da un cliente, salivano al piano superiore sotto lo sguardo vigile di Mara, che serviva al bancone e chiacchierava con gli avventori.
La ragazza notò che poco lontano erano seduti alcuni soldati che combattevano nel suo plotone: tra loro vi erano anche Wiligelmo, Alois e Ruggero. Li raggiunse e si sedette accanto a loro, sentendosi leggermente a disagio per trovarsi in quel posto, uno dei peggiori covi di lussuria del Comune, contro il quale aveva più volte sentito inveire il padre. Qualcuno ordinò da bere per tutti, quindi poco dopo una ragazza le posò davanti un boccale di sidro. Ne bevve un sorso, poi lo vuotò tutto in una volta, asciugandosi la bocca con una mano. Cominciò a parlare con i suoi amici, mentre le veniva versato del vino, che bevve subito. Dopo qualche minuto l’atmosfera sembrò riscaldarsi: alcune ragazze erano andate a sedersi in braccio ai soldati, ridendo ed ammiccando.
«Avete scelto la compagnia migliore del locale, belle» disse loro un mercenario, con voce strascicata. «Abbiamo molti bei ragazzi, qui. Guardate che giovanotti» continuò ridendo, indicando con un cenno tutti i suoi compagni d’arme.
«Non c’è qualche tua amica che verrebbe qui con noi? Chiamane qualcuna, ci sono dei baldi giovani che le aspettano» esclamò un altro, seduto accanto a Femia.
«Vero, Lodovico, che ci piacerebbe conoscere qualcuna delle sue colleghe?» le domandò poi, assestandole una pacca sulla spalla. Senza aspettare la sua risposta, fece un cenno ad una ragazza, che si avvicinò. Era giovane, sui diciotto anni, con i capelli castano scuro scompigliati ed un sorriso sfacciato che esponeva denti bianchissimi. Il vestito dalla generosa scollatura le scivolò su una spalla, mentre si avvicinava a loro. Quando li raggiunse si guardò intorno, osservando uno per uno i volti degli uomini, poi, sembrando trovarla di suo gradimento, si sedette sulle ginocchia di Eufemia scatenando un coro di fischi ed esclamazioni.
«Io sono la Bice. Ci verresti di sopra con me, bello?» mormorò, passandole le mani attorno al collo.
«Io... veramente...» balbettò lei, arrossendo. Come poteva tirarsi fuori da quell’impiccio?
«Andiamo, mica ti mangio. Cos’è, non ti piaccio?» rise la prostituta, avvicinando un po’ di più il suo volto al suo.
«Forza, ragazzo, non fare il timido!» esclamò qualcuno.
«Avanti, Lodovico, hai una bella ragazza sulle ginocchia e fai il prezioso? Qualcuno potrebbe pensare male...» mormorò mellifluo Ruggero, schernendola.
«Non preoccuparti, tu non devi vergognare. Qui lo fanno tutti, a nessuno importa se anche tu vai» le disse Alois, rassicurante.
La ragazza ragionò velocemente. Se non avesse seguito la ragazza avrebbe destato dei sospetti. Sarebbe andata con lei in una stanza e l’avrebbe pagata per comprare il suo silenzio, oppure avrebbe approfittato di un suo momento di distrazione per uscire dalla finestra e andarsene... pensando a ciò che avrebbe fatto, si alzò dalla sedia e seguì Bice su per la scala accompagnata dalle risate degli altri soldati, con passo leggermente malfermo a causa dell’alcool. Fece in tempo a vedere uno di loro lanciarle un sorriso incoraggiante, poi si voltò e raggiunse la sua accompagnatrice, che la aspettava davanti ad una porta.

Entrarono in una camera buia, rischiarata solo da una candela consumata. Era piuttosto spoglia: al suo interno si trovavano solo un letto, un piccolo comò di legno scuro ed un armadio. In un angolo si trovava un catino, ed appeso al muro uno specchio sbeccato rifletteva il resto della stanza.
La ragazza si voltò verso Eufemia con un sorriso lascivo, poi si sfilò il vestito e lo lasciò cadere accanto a sé. Sotto non indossava nulla.
«Andiamo, come mai sei così imbarazzato? Sei il primo uomo che incontro che fa così» rise, poi le si avvicinò e cominciò a toglierle la tunica.
«No...» cercò di replicare lei, appoggiandole le mani sulle spalle per spingerla via e maledicendosi per i troppi bicchieri di vino bevuti in precedenza: avrebbe dovuto rimanere lucida. Ignorando le sue proteste, Bice le si avvicinò ancora di più, spingendola contro il muro e tappandole la bocca con un bacio.
Femia trasalì, arrossendo e dimenticando i suoi tentativi di respingere la prostituta. Non aveva mai baciato nessuno, prima, e si sorprese quando si accorse che le dava una sensazione davvero piacevole e che stava ricambiando il bacio. Le labbra di Bice, calde e morbide, sapevano vagamente di vino. Ad un tratto si rese conto che la ragazza le aveva tolto la camicia, rivelando così la fascia che aveva usato per bendarsi il seno, quindi la allontanò bruscamente da sé.
«Cosa succede?» domandò l’altra, perplessa. «Ti ho fatto male? Sei ferito?» le chiese, notando la benda.
«No, no... è che... non posso venire a letto con te. Sono una ragazza. Non dirlo a nessuno, altrimenti finirò in prigione. Ti pagherò lo stesso, ma tu non parlarne ad altri!» le confessò Eufemia, disperata.  
«Cosa?»
«Sono una ragazza. Mi sono unita ai mercenari perché ho avuto dei... problemi. Dovevo scomparire, quindi sono andata dove non mi avrebbero mai cercato» le spiegò in fretta l’altra.
La prostituta la guardò sconcertata, poi, con un gesto rapido ed inaspettato, afferrò la fasciatura sul petto della ragazza e la tirò verso il basso.
«Ma cosa fai?»
«Santo cielo! Sei davvero una donna... non l’avrei mai detto» esclamò, spalancando gli occhi.
“Se non altro, non sembra particolarmente scandalizzata” pensò Femia, ancora spaventata. “Adesso non mi resta che convincerla a stare zitta”.
«Non mi credevi?» borbottò imbarazzata, rivestendosi.
«Volevo solo esserne sicura. Non si sa mai, poteva essere solo un tentativo di distrarmi per poi derubarmi. A volte succede, sai? Anche se è Mara che tiene tutti i soldi, alcuni pensano che li abbiamo noi» spiegò l’altra. «Non preoccuparti, non dirò niente. Anzi, se i tuoi compagni mi chiederanno qualcosa, dirò che ti sei fatta... o meglio, fatto onore» aggiunse poi con un sorriso malizioso, notando l’espressione ansiosa della sua interlocutrice.
«Grazie. Ti pagherò lo stesso, non preoccuparti» sospirò Eufemia, porgendole alcune monete.
«Gentile da pare tua. Mentre aspettiamo, raccontami qualcosa di quello che hai visto là fuori: io non sono mai uscita da questa città, ho cominciato a lavorare qui a quattordici anni. Non possiamo andarcene subito, dovremo pur fingere di aver fatto qualcosa in questa stanza... tanto vale parlare un po’» rise Bice, accomodandosi sul letto e facendole segno di sedersi accanto a lei.
«Va bene. Allora, cosa posso dire? Devi sapere che tutto quello che hai sentito finora sulla guerra è assolutamente sbagliato, soprattutto se lo hanno raccontato i menestrelli...» incominciò a raccontare la ragazza, osservando distrattamente la sua ascoltatrice. Anche se non la conosceva, sentiva che poteva fidarsi di lei: dopotutto, perché avrebbe dovuto denunciarla? Farlo non le avrebbe fruttato alcun beneficio.
Scacciando questi pensieri, continuò a raccontare, ascoltando i rumori della taverna che giungevano ovattati dal piano di sotto.

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
Eccomi con il nuovo capitolo: è un po' più lungo del solito... spero che vi sia piaciuto!
Dovrei riuscire ad aggiornare prima della fine di luglio, ma credo che sarà verso gli ultimi giorni, causa vacanze.

  
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