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Autore: ladyRahl    08/07/2014    2 recensioni
Cosa si prova ad essere diversi dagli altri? Cosa significa essere circondato da persone cieche che non vedono ciò che tu puoi vedere e per questo non ti capiscono?
Viaggio nella mente di Sherlock Holmes che, dopo il suo primo litigio con Watson a causa del suo comportamento arrogante con cui ha riportato alla luce il suo passato, riflette sul suo rapporto conflittuale con il resto del mondo, sempre un passo indietro rispetto alla sua genialità.
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La scena del litigio si riferisce alla puntata 1x01 di Elementary
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joan Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Davvero incredibile il modo in cui risolvi le persone solo guardandole. Ho notato che non ci sono specchi qui dentro”

“E che cosa dovrebbe dire?”

“Che sai riconoscere una causa persa a prima vista”

(Elementary 1x01)

 

Una causa persa. Tre parole che rimbombavano nella testa di Sherlock da sempre, come una voce che gli ricordava quanto fosse diverso da quel mondo superficiale in cui era costretto a vivere.

Bel modo di cominciare la convivenza con la propria babysitter post riabilitazione, proprio un ottimo inizio.

Aveva perso le staffe: del resto era sempre stato un tipo piuttosto irrequieto. Era stata lei, Watson, a provocarlo. Era lei che insinuava che la mente di Sherlock fosse caduta in errore almeno una volta, riguardo il suo passato da chirurgo. Cosa pensava? Di avere a che fare con un uomo come tutti gli altri? No, Sherlock non sbaglia mai. Aveva travisato i fatti di proposito, non voleva riportare alla luce un fatto doloroso come la morte del paziente della donna, sapeva che era un tasto dolente. Conosceva benissimo come erano andate le cose, erano così evidenti! Perché mai un chirurgo, dopo anni di studio, avrebbe lasciato la propria carriera se non a causa di un grave provvedimento disciplinare dal quale non si era più ripresa? In pochi secondi aveva raccolto indizi sufficienti perché i fatti venissero a galla. Ma per una rarissima volta che sacrificava la verità per salvaguardare i sentimenti di qualcuno, tra l’altro di una perfetta sconosciuta, la sua genialità veniva sminuita come se niente fosse. No, erano in gioco la sua credibilità e il suo onore, non poteva dargliela vinta. La donna doveva sapere che lui sapeva, non voleva fare la figura dello stupido. Naturalmente lei l’aveva presa male.

 

Era sempre colpa sua. Sempre.

Cosa ci poteva fare se i suoi occhi e la sua mente viaggiavano più veloci di quelli degli altri? Watson, come tutti, pensava che lui lo trovasse divertente?

Se solo sapessero cosa vuol dire vedere tutto, ogni singola cosa, ogni singolo e impercettibile movimento.

È  forse un dono? Probabile, con esso aveva incastrato già decine di assassini che probabilmente sarebbero ancora a piede libero. Peccato che questo dono possa trasformarsi altrettanto velocemente in una condanna.

Sì certo, è incredibile vedere un uomo leggere una persona come un libro aperto, è sbalorditivo. Le persone non sono altro che ombre, ombre scure che una volta sottoposte al suo sguardo indagatore si dissolvono tra i raggi di quella luce chiamata verità. Una luce pulsante che non aspetta altro che esplodere e purificare gli occhi delle persone da quella fuliggine fastidiosa delle menzogne e degli inganni.

 

No, non possono capire. Non sono in grado neanche d’immaginare cosa voglia dire avere la mente stracolma di nozioni, di dettagli che cercano di farsi spazio in quella che lui chiama la “soffitta” del suo cervello. Non comprendono quanto faccia male tenere questo peso per sé.

Nessuno che condivida questi sentimenti, nessuno che provi la stessa curiosità e fame di verità che gli opprime lo stomaco e che ha bisogno di essere continuamente saziata.

Sì, la verità è la sua ossessione. È impossibile mentire a Sherlock. Oh no, neanche il più grande attore riuscirebbe a risultare abbastanza credibile perché lui possa abboccare ad una sceneggiata ben architettata.

Un impercettibile movimento della mano, occhi sfuggenti, un leggero tremolio, un rivolo di sudore nascosto da una ciocca di capelli, labbra secche. Dettagli? No, elementi essenziali che ogni volta tradivano le persone.

Con questo metodo era riuscito a smascherare presunti innocenti insospettabili, ma la stessa cinica analisi entrava in azione automaticamente, anche sulle persone a lui vicine.

Le cosiddette bugie bianche non hanno mai sortito nessun effetto su di lui. Probabilmente la diffidenza verso gli altri è nata proprio da questo. In particolare verso il padre. Aveva smesso di credere alle sue menzogne a otto anni. Tutte quelle storielle sul lavoro, sui viaggi che lo tenevano lontano da lui, promesse mai mantenute.

“Figliolo, tornerò presto, ti voglio bene” sì certo, come no. Bugiardo. Era talmente evidente che in realtà non poteva sopportarlo!  Troppo saccente, troppo testardo, troppo sveglio per un ragazzo della sua età. Troppo. I rapporti tra loro si erano incrinati totalmente,  la sua personalità autoritaria e orgogliosa non ha mai smesso di fare a pugni con la presunzione del figlio. Povero, ingenuo papà. Neanche lui capisce.

 

E poi osano definirlo un misantropo. Come ci si può fidare di persone che non fanno altro che mentire? Ah già, le persone guardano, ma non osservano. Si costruiscono la realtà che vogliono vedere, non quella che effettivamente esiste. Sherlock no: osserva, deduce, capisce.

Niente sogni, niente falsi compiacimenti, niente lusinghe o false promesse a cui solo un idiota crederebbe e che nonostante ciò sono causa dell’apparente felicità degli uomini. In Sherlock c’è spazio solo per la pura, fredda e suadente razionalità, il meccanismo perfetto della logica, gli eventi nella loro nuda e cruda realtà. Niente di più maledettamente semplice e tagliente, perché si sa che la verità fa male. Un dolore sopportabile, quasi inebriante, come la sensazione mistica d’oblio che gli appannava la mente quando si faceva d’eroina, a differenza di quello dilaniante provocato dalla consapevolezza di vivere in un mondo d’ingiustizia e di inganni.

Un dolore che vale la pena di provare, che lascia cicatrici inguaribili, ma che elevano lo spirito un gradino sopra il mondo, come trofei di una lucidità che sai gli altri uomini non raggiungeranno mai.

 

Watson quella sera stava intralciando il suo cammino  verso la verità, non capiva che le cose non quadravano. Non aveva avuto fiducia in lui, lui che vede sempre tutto, che odia l’incompletezza. Tutto ciò lo aveva fatto infuriare.

Ma come si poteva incolparla? Non ce l’aveva con lei. È lui quello strano, quello che legge le persone, che sa tutto di te prima ancora che tu apra bocca. È lui che ha bisogno di risolvere i misteri, di scoprire la soluzione così come si ha bisogno dell’aria per respirare, non lei. Del resto, i suoi occhi sono ancora coperti di fuliggine. Perché arrabbiarsi quando si è parte della minoranza e nessuno può capire? Tanto è del tutto inutile.

Eppure quel giorno in Watson non aveva scorto solo ammirazione per il suo lavoro e per i suoi metodi, ma anche interesse. Un interesse sincero per quel mondo di dettagli a cui nessuno faceva mai caso e di cui Sherlock le aveva mostrato solo un piccolo scorcio.

Cos’era quella che stava provando? Speranza?

Forse un giorno avrebbe davvero purificato gli occhi di quella donna e lei avrebbe capito. Lui sarebbe stato capito. Per la prima volta in tutta la sua vita.

Forse.

Magari, sussurra il cuore. Scarse probabilità di riuscita, urla la ragione.  

 

Bene, il discorso per le scuse a Watson è pronto, tanto alla fine è sempre lui quello che deve farlo.

Sempre e solo lui.

Contro tutti.

Contro la superficialità della maggioranza.

Contro la mediocrità degli uomini.

Contro l’effimera e ingannevole felicità che incatena le persone.

 

Il resto del mondo è schiavo della menzogna.

Lui è schiavo della verità.

 

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Ciao a tutti!

Questa è la mia prima fan fiction, quindi mi scuso per eventuali errori o mancanze.

Sono bene accette critiche e suggerimenti che possano aiutarmi a migliorare, data la mia inesperienza! :)

 

  
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