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Autore: Letz    09/07/2014    3 recensioni
Grantaire non è esattamente quello che si definirebbe un ragazzo facile. I suoi zii, decisamente esasperati dai suoi comportamenti da ribelle, decidono di mandarlo a studiare al prestigioso collegio Valjean nella speranza che un po' di disciplina riesca a raddrizzarlo. Ce la farà Grantaire a sopravvivere all'anno scolastico? Ma soprattutto, riuscirà a sopravvivere ai suoi assurdi compagni di scuola che lo obbligheranno a unirsi al club di teatro e a recitare in "Romeo e Giulietta"?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cinque anni dopo.
 
Grantaire era mortalmente stanco. Quel lavoro alla Chapelle, nonostante fosse manna dal cielo per i suoi conti, era distruttivo per il suo fisico, soprattutto ora che si stavano avvicinando i suoi esami finali e la sua prima esposizione di quadri di una certa importanza. Cercando di non pensare alle tre ore di sonno che lo attendevano – prima che la sveglia, quella stronza, suonasse per ricordargli che l’università chiamava – si concesse un minuto per contemplare Enjolras che dormiva pacificamente nel suo lato del letto. Ancora non gli sembrava vero di convivere con Apollo, il suo Apollo che lo svegliava ogni mattina con un bacio sul naso perché le persone starebbero meglio se la mattina ricevessero un bacio sul naso.
Grantaire ricordava ancora le infinite discussioni sulla zona della città dove abitare, le infinte visite a immobili fatiscenti e monolocali spacciati come “graziosi loft parigini”. Fino a che un giorno, esausti dalle continue litigate e dal caldo asfissiante che colpisce sempre le grandi città nei mesi estivi, si erano ritrovati in una stradina del Quartiere Latino poco lontano dalla Senna, ed eccolo, il loro futuro appartamento, al secondo piano di una palazzina abitata da gente piuttosto strana – Jehan li avrebbe definiti bohemien – ma molto accogliente, che li aveva aiutati durante i primi, tragici giorni del trasloco lasciando davanti alla porta del cibo vero. Enjolras aveva quasi pianto alla vista delle due grosse quiches lorraine che aveva preparato Sven – un metallaro finlandese venuto a Parigi per scrivere il suo primo album – che li avevano salvati dall’ennesimo pasto di cinese take away.
Allora le cose erano facili, erano spensierati e vivere insieme sembrava un gioco. Ma Grantaire non voleva essere mantenuto dai genitori di Enjolras e si era trovato un lavoro e poi un altro, sempre impieghi precari come cameriere o barman che lo lasciavano in debito di sonno e diminuivano il suo tempo con Enjolras. Con un improvviso colpo di testa Enjolras si era iscritto a Giurisprudenza e si era appena laureato con il massimo dei voti e con più di sei mesi di anticipo sugli amici Marius e Bossuet. Quando non era in università era in biblioteca, o alle riunioni del circolo politico del candidato sindaco Lamarque. I loro orari raramente coincidevano e Grantaire sentiva che la loro storia stava lentamente scivolando nella routine, o peggio nell’indifferenza tipica di una vecchia coppia sposata. Enjolras era sempre irritabile e se prima discutevano raramente, ora non passava giorno senza che litigassero per qualche piccola sciocchezza. Come quella sera, quando Enjolras si era lamentato del disordine di Grantaire e da lì era iniziata una discussione senza fine che era terminata con una porta sbattuta e un “vado al lavoro, perché le bollette arrivano ogni mese e fosse per te vivremmo per strada”. Probabilmente aveva esagerato, ma Grantaire non era bravo con le situazioni critiche. Più Enjolras si allontanava, più lui faceva di tutto per allontanarlo ancora di più, in un assurdo comportamento di difesa che lo spingeva a ferire prima di essere ferito.
 
~
 
Ovviamente era stata un’idea di Jehan e nonostante Grantaire non si illudesse che potesse essere la soluzione ai problemi suoi e di Enjolras, di certo passare più tempo con i loro amici li avrebbe aiutati. Riportare in scena Romeo e Giulietta cinque anni dopo il diploma avrebbe rinsaldato i vincoli tra di loro che, dopo tutto quello che era successo, si erano un po’ allentati.
Peccato che Enjolras non fosse per nulla d’accordo.
“Non credo proprio di avere tempo per questo. La campagna di Lamarque è agli sgoccioli e…”.
“Lasciami tradurre. Non hai tempo per vedere i tuoi amici una sera alla settimana?”.
“Grantaire sai quanto sono impegnato”.
“Impegnato a stare lontano il più possibile da questa casa”. Non riusciva a dire da me, ma era implicito.
“Non siamo più dei ragazzini Taire, e rifare lo spettacolo non ci riporterà indietro di cinque anni. Siamo cambiati”.
“Io invece vorrei tornare a cinque anni fa, perché cinque anni fa tu eri ancora innamorato di me”.
Per mesi quel dubbio era rimasto sopito in un angolo della sua mente, ma era la prima volta che lo esternava così chiaramente e rabbiosamente. Amava Enjolras, non poteva fare a meno di amarlo, come non poteva impedirsi di respirare. Otto mesi prima aveva comprato un anello dicendosi “quando sarà il momento giusto glielo darò, quando sarà una buona giornata, quando farà qualcosa di dolce e spontaneo”. Erano otto mesi che la scatola di velluto blu prendeva polvere in una scatola insieme ai suoi pennelli vecchi.
Lo sguardo di Enjolras era a metà tra lo stupito e il ferito, come se non potesse credere a quello che il suo fidanzato aveva appena detto. In un secondo gettò le braccia al collo di Grantaire e stringendolo forte iniziò a posare baci su ogni angolo di pelle che riusciva a raggiungere.
“Amore mio”, sospirava tra un bacio e l’altro. E poi, fissandolo direttamente negli occhi. “Oh mio Dio, sono stato orribile negli ultimi mesi e lo sapevo ma tu mi sembravi così distante ed ero furioso perché pensavo ti fossi stancato di me e invece io ti amo così tanto che…”. Grantaire lo zittì con un bacio e lo trascinò a letto. Ci sarebbe stato tempo al mattino per le scuse e le spiegazioni, per il momento voleva solo fare l’amore con il suo stupido e bellissimo fidanzato che lo amava ancora.
 
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Dietro le quinte l’agitazione era al massimo, nemmeno al loro primo spettacolo erano stati così nervosi. Grantaire fissò i suoi amici uno per uno e ripensò a come erano solo cinque anni prima, e a quanta acqua era passata sotto i ponti, per tutti loro.
All’anulare sinistro di Marius ora c’era una fede d’oro, e in prima fila anche Cosette ne sfoggiava una identica. Si erano sposati quasi un anno prima, una cerimonia sfarzosa in una villa in campagna fuori Parigi. Nessuno – nemmeno Courf, l’amante delle scommesse – avrebbe puntato un euro sulla possibilità che Marius riconquistasse Cosette. E infatti per due anni Pontmercy aveva continuato a struggersi per la sua ex, che non lo considerava minimamente.Stanca di tutto questo balletto Eponine – santa Eponine l’aveva rinominata Marius – gli aveva organizzato un appuntamento con sua sorella Azelma, affermando che in meno di due settimane di frequentazione avrebbe sistemato per sempre Marius. Ovviamente tutti credevano che Azelma avrebbe fatto innamorare perdutamente il ragazzo, ma non avevano fatto i conti con le manovre delle sorelle Thenardier. Per due settimane Azelma aveva trascinato Marius nei posti che Cosette frequentava e si era messa a fare la gatta morta con lui che, rosso come un peperone, accettava imbarazzato le sue avances e i suoi baci umidicci. Cosette sulle prime aveva fatto l’indifferente, ma una sera – la dodicesima o la tredicesima, non riuscivano proprio a ricordarlo – si era accostata al tavolo dei due presunti piccioncini per lanciare occhiatacce ad Azelma e invitare Marius fuori per un caffè. La gelosia era stata un’arma efficace ed eccoli lì, tre anni dopo, sposati e in cerca del primo figlio.
In quanto a figli però Combeferre ed Eponine li avevano battuti sul tempo. Non erano state rose e fiori come per Marius e Cosette, ma pianti isterici e notti insonni per decidere cosa fare di questo bambino capitato per caso. Grantaire ricordava ancora il campanello che aveva trillato alle due di notte ed Eponine, pallida come un cencio che proprio lì nell’androne gli aveva detto di essere incinta. Erano giovani, 22 anni Combeferre e 23 Eponine, e non si sentivano pronti per un impegno gravoso come un figlio. Stavano ancora finendo la scuola, non avevano uno straccio di lavoro ed erano entrambe persone di buonsenso, che si rendevano perfettamente conto che con l’amore non si mangia né si mantiene un figlio. Ma in qualche modo ci erano riusciti e ora Amanda – letteralmente “colei che deve essere amata” - stava per compiere due anni e i suoi genitori erano le persone più felici del mondo.
Le cose non erano state facili nemmeno per Courfeyrac e Jehan, e Grantaire sospettava che i suoi amici attirassero i peggiori problemi del mondo. Per farla breve Jehan aveva sorpreso Courf a tradirlo ed ora erano in quella fase di studio circospetto di due persone che si amano ancora ma che si sono fatte male a vicenda. Jehan aveva vissuto per un po’ con lui ed Enjolras, poi con Joly e Bossuet – gli unici che, a dispetto della sfortuna di quest’ultimo, vivevano serenamente e in pace –e da quando avevano iniziato a provare, circa cinque mesi prima, era tornato al vecchio appartamento che divideva con Courf. Forse era stato il suo spirito romantico o la filosofia buddista che lo invitava al perdono, fatto sta che i due si erano riconciliati, anche se stavano tentando di non forzare le cose.
 
~
 
Grantaire non aveva preparato un discorso, sapeva che nel tentativo maniacale di impararlo a memoria si sarebbe impappinato. Le cose con Enjolras si erano sistemate, discutevano ancora me con meno acredine e non andavano mai a letto senza essersi chiariti. Continuavano a vedersi poco, ma anziché lamentarsi cercavano di ritagliarsi degli spazi, anche solo per una mezz’ora, per potersi vedere. E quando Enjolras lo aveva rapito dal suo studio per portarlo nel loro ristorante preferito Grantaire aveva tirato fuori la scatola di velluto, l’aveva spolverata e aveva iniziato a pensare a come chiedere al suo fidanzato di sposarlo.
Gli tremavano le ginocchia e probabilmente era la cosa più stupida che avesse mai fatto, perché essere rifiutati davanti a cinquecento persone non era decisamente il sogno della sua vita. Aspettò che gli applausi si calmassero, prese un bel respiro e cominciò.
“Grazie a tutti per essere venuti. Dai vostri applausi capisco che avete gradito la nostra piccola versione di Romeo e Giulietta. Sono passati cinque anni dalla nostra prima, e finora unica rappresentazione, e da quel giorno sono cambiate molte cose. Siamo cresciuti e maturati e ora dobbiamo pensare a pagare le bollette, portare i figli all’asilo nido e lavorare per mantenerci. Molte cose sono cambiate, ma come vedete i legami che abbiamo stretto in questa scuola sono ancora forti e nonostante le nuove responsabilità dell’essere adulti riusciamo ancora ad essere amici”.
Se non era svenuto fino ad ora poteva farcela, si ripetè nella sua mente.
“La storia di Romeo e Giulietta è una storia d’amore, di un amore che sfida ogni convenzione e buonsenso. Per mia fortuna, ho potuto anche io fare esperienza di un amore del genere”, e lanciò un’occhiata ad Enjolras che arrossì lievemente, “Ma la storia di Romeo e Giulietta non finisce con due figli e una graziosa villetta a Verona. E quando penso che in ogni secondo si può perdere coloro che si amano, beh, mi rendo conto che se ami qualcuno devi dirglielo, anzi gridarglielo affinchè ti senta sempre”.
Si inginocchiò davanti ad Enjolras mentre un mormorio si diffondeva nella sala gremita.
“Enjolras, tu mi rendi immensamente felice e non voglio far passare nemmeno un giorno senza farti altrettanto felice. Sposami Enjolras”.
E d’improvviso si ritrovò per terra, con il suo fidanzato che lo abbracciava e baciava e lo prendeva a pugni. Perché lo stava prendendo a pugni?
“Idiota di un Grantaire, sempre a rubarmi la scena. Come al nostro primo appuntamento, dovevo essere io a chiedertelo e invece tu hai dovuto fare quella scena alla festa di Natale”.
lo sguardo di Grantaire doveva essere perplesso perché Enjolras, dopo averlo baciato a lungo disse: “Ti sposo idiota, anche se per una volta volevo essere io a fare la prima mossa”.
E dal taschino tirò fuori una scatola di velluto blu.
“Anche io oggi volevo chiederti di sposarmi”.
 
 
 




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Ed eccomi qui, in cronico ritardo come sempre ma decisamente soddisfatta. È il mio primo lavoro di una certa consistenza e pubblicare l’ultimo capitolo è come lasciare andare un figlio *si asciuga una lacrimuccia*
GRAZIE a chi ha letto, sopportando le mie lunghe attese, improbabili accoppiamenti di personaggi, frasi melense, angst come se piovesse, figli, matrimoni, tradimenti, litigate, riappacificazioni e l’immancabile, scontatissimo ma comunque apprezzabile lieto fine (e annessa cavalcata verso il tramonto).
La frase sul bacio-sul-naso è dei Peanuts, la amo alla follia e fidatevi, è estremamente vera. Grantaire che compra l’anello e attende tempi migliori è una citazione di un film che secondo me tutti dovrebbero vedere e che è Erin Brokovic.
Tutti gli errori di battitura, i verbi sbagliati e le cose che non hanno funzionato sono interamente colpa mia. I fantastici personaggi invece non sono nemmeno vagamente mia proprietà, dio benedica Hugo per averceli regalati.
La scena finale della proposta è stata una delle prime cose che ho pensato quando ho iniziato questa storia perché sono un inguaribile romantica e vorrei un lieto fine per tutti quelli che amo.
Un ringraziamento speciale a Catcher, commentatrice assidua e futura stella del teatro, questa storia sarebbe andata diversamente se tu non ci fossi inciampata dentro.
Lots of love, e un lieto fine per tutti voi,
 
Letz
  
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