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Autore: Maryleescence    10/07/2014    1 recensioni
[Tom Odell]
[Tom Odell][Tom Odell] Lavinia Marika Emberson, è un'avvincente cassiera di ventidue anni che sta per diventare la moglie di James Odell, il fratello di Tom Peter Odell, un famoso cantante britannico. La ragazza, si trasferisce nella lussuosa villa di campagna della famiglia Odell, per accogliere i primi ospiti. Proprio lì, Tom e Lavinia si conoscono per la prima volta e dal loro incontro nascerà un amore travolgente, passionale, ma soprattutto clandestino a un passo dalla cerimonia nuziale, riportando alla mente l'astio presente tra i due fratelli, poiché James era stato l'amante di Jane, l'ex fidanzata di Tom, all'epoca in cui stavano insieme. Ciò porterà alla gelosia sfrenata, ma soprattutto alla pazzia.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 15°: Sangue vivido.
 
James.

 

Quella mattina mancavano esattamente quattro giorni al mio matrimonio e mi sentivo l’uomo più infelice del mondo. Fissavo il paesaggio circostante da dietro quella finestra che altro non era lo specchio di me stesso. Quanto ero orribile non lo sapevo spiegare neanche io che ero l’artefice di quella nefasta malefatta.
Anche il sole, si nascondeva dietro numerose nubi grigie che annunciavano probabilmente un imminente temporale, per non vedere il mio putrido volto. Mi sentì quasi soffocare da quel senso di colpa che continuava a corrodere ogni parte della mia anima così intrisa di odio verso me stesso. Allentai il nodo della cravatta che indossavo e mi sedetti sul letto.
Piansi.
Sì, digrignando forte i denti e soffocando i gemiti pronti a fuoriuscire. Passai una mano tra i capelli, quasi come se il mio obbiettivo fosse strapparli dall’angoscia.
Quello ero io.
Un uomo… Ma che cosa dico, un assassino a cui apparteneva un cuore trafitto da milioni di spade.
Eppure l’astinenza dalla cocaina continuava a stravolgere la mia vita. Era come una sottospecie di vortice che mi risucchiava sempre più a fondo. Ma quando avrei trovato l’uscita?
Ripensai al fatto che Jane mi aveva tradito con Tom e un tale sapore di vendetta sembrò animare il mio corpo. Era come se mi sentissi realizzato nel vedere mio fratello morto tra le mie braccia e macchiare ancora le mie mani di un sangue che probabilmente non meritava di essere macchiato.
“Ma cosa sto dicendo?! Mi prenderò la mia vendetta!” urlò una voce dentro di me, ma che sapevo non essere la mia.
Era il tono che solitamente usava la mia astinenza, ma che in preda a rabbia e sconforto, ascoltai con attenzione.
Dopo un giorno di segregazione tra quelle quattro mura, aprì la porta assaporando l’aria fresca che proveniva dalle finestre aperte. Scesi le scale e proprio lì, nel grande salone quasi già allestito, era posizionata la bara di ciliegio che conteneva il cadavere di Jane per darle un ultimo saluto.
Mi presentai così, in giacca e cravatta nera, oltrepassando la moltitudine di persone davanti a me e fermandomi a fissare quel viso ricostruito dalla cera con indifferenza, cercando di trattenere la voglia di gridare al mondo la mia colpevolezza.
Com’era potuta succedere una cosa del genere?
Vidi arrivare Lavinia, la quale indossava un vestito nero di pizzo e tacchi a spillo per l’occasione, pronta probabilmente per consolarmi e rincuorarmi. Lei che doveva essere la mia futura moglie solo per interesse economico.
La mia mente contorta in quel momento mi stava spingendo a pensare che forse avrei fatto meglio a uccidere lei per portare così all’altare Jane, la donna che amavo davvero, anche se i riscossi economici non sarebbero arrivati.
Più lo pensavo e più mi rendevo conto di quanto fossi un uomo avido ed egoista.
Lavinia si avvicinò e con la mano mi accarezzò la spalla in segno di conforto, ma in quel momento non avevo bisogno di lei, anzi era proprio l’ultimo dei miei pensieri.
Il carro funebre arrivò presto nel giardino e due addetti, chiusero la bara e la poggiarono sulle proprie spalle, pronta per essere trasportata all’esterno. Avremmo dovuto raggiungere il cimitero per assistere a una cerimonia solenne, ma io non potevo andarci.
Anzi, non volevo.
Uscì in giardino ed entrai in macchina, mettendola in moto. Mi tolsi la cravatta già precedentemente allentata ed abbassai i finestrini.
“Addio Jane…” pensai, mentre osservavo la sua bara che veniva rinchiusa nell’ampio portabagagli.
Feci retromarcia e in seguito, sfrecciai su quella strada ghiaiata che precedeva la maestosa villa. Incominciai a guidare senza una meta, mentre numerose lacrime continuavano a bagnare i miei occhi. Nella mia testa c’era solo Jane.
Sapevo cosa dovevo fare per affogare quel senso di colpa dal sapore così angusto e amaro.
Decisi così di recarmi a casa del mio migliore amico Adam Termer, l’unica persona che probabilmente avrebbe potuto placare il mio dolore.
Suonai il campanello e lui mi aprì, ancora in pigiama e con tutti i capelli scuri scompigliati. Si grattò i suoi occhi castani e in seguito anche la folta barba che si era lasciato crescere negli ultimi tempi. Era evidente che stava ancora dormendo e probabilmente l’avevo svegliato.
<< Ehi amico, come mai così mattiniero? >> chiese.
Io entrai senza il suo permesso e mi sedetti sul suo divano rosso, appoggiando la testa allo schienale.
<< Fai pure con comodo… >> sentenziò.
<< Hai la cocaina?! >> chiesi.
Incominciai a tremare e il mio sguardo divenne sempre più cupo. Scioccai le dita e mossi la gamba velocemente in segno di nervosismo.
<< Prima la grana! >> rispose, strofinando il pollice contro l’indice e il medio.
<< Oh ti prego Adam, per una volta puoi farmi un regalo! Ne ho bisogno ti prego! >>.
<< Mi dispiace James, ma non posso… Sai che sono al verde… >>.
La rabbia, purtroppo, prese ancora il sopravvento e annebbiò la mia vista. Lo afferrai dalla canottiera grigia che indossava e lo spinsi con le spalle contro il muro. Stringendo tra le mie mani quello che era il suo collo muscoloso, estrassi il mio coltellino dalla tasca e glielo puntai.
<< Tu non mi vuoi dare la cocaina?! Ecco ciò che ti meriti! >> urlai.
Gli tagliai la gola, notando tutto quel sangue dall’odore ferroso sgorgare dalla profonda ferita. I suoi occhi di sgranarono dal dolore e cadde sul pavimento a bocca aperta, già morto. Quel pavimento, che in quel momento era una pozza di liquido rosso e vivido.
Sciacquai le mie putride mani da letale assassino e l’arma del delitto, asciugandola e rimettendola in tasca. In seguito cercai quello che per me era più prezioso e il mio istinto mi portò nella sua camera. Proprio lì la trovai racchiusa in pellicole di grandi dimensioni. Erano circa sei pacchetti ed io li rubai tutti, uscendo da quella casa indisturbato e fuggendo come un forsennato con la mia vettura.
Non m’importava quello che avevo fatto. Ogni volta che uccidevo, provavo una tale sensazione d’estasi, da sentirmi quasi inebriato da quell’odore ferroso del sangue che s’impregnava sui vestiti e che continuava a riempire i miei polmoni.
Queste potevano essere le parole indelebili di un pazzo.
No, anzi di un Serial Killer, che io stesso rappresentavo.

   
 
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