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Autore: LightsTurnOff    13/07/2014    1 recensioni
Infilò il cellulare di nuovo in tasca e poi si affidò totalmente alla musica mettendo le cuffiette e premendo il tasto play senza neanche far caso a quale canzone fosse in riproduzione: qualunque essa fosse avrebbe fatto male in ogni caso.
Stava tornando a casa, tornava da Jimmy.
Love, love will tear us apart... again.
Ecco, quel brano faceva parte del mucchio di stronzate che Matt gli aveva infilato nel lettore portatile, lui e quella fottuta musica di merda.
Love, love will tear us apart... again. [...]
Il dolore della consapevolezza di essere fragile, di potersi rompere da un momento all'altro come una bottiglia di birra.
Tornava il dover dimostrare a se stesso che lui non si sarebbe infranto, voleva sentirsi invincibile e lo faceva così, distruggendosi; si distruggeva perché sapeva che qualcuno l'avrebbe salvato, che Jimmy non l'avrebbe lasciato affondare nel mare della disperazione, lui ci riusciva sempre a tirarlo su.
“Bri, forse dovresti fare una pausa, non per fare il guastafeste ma domani c'è l'anniversario di matrimonio dei tuoi, lo sai come ci tengono.”
“Oh fanculo Jimmy, lo sai che tanto andrà tutto bene.”
|Bratt|AU|Teenage!verse|
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Costanti di equilibrio
Capitolo quattro





James si era trovato davanti all'abitazione dei suoi genitori senza sapere bene neanche il perché, doveva aspettare che la lavatrice lavasse le sue cose e così aveva pensato di farsi un giro nei dintorni; erano state le sue gambe a portarlo fin lì, forse guidate da un subconscio tanto subdolo quanto spicciolo. In ogni caso era lì, davanti alla stessa casa in cui aveva abitato per anni, ma che a vederla in quel momento sembrava totalmente diversa.
Quando non si vive più in posto, la percezione che si ha di esso cambia, tutto ciò che si prova si amplifica e ci si rende conto che non si appartiene mai davvero ad un luogo, è sempre un qualcosa di temporaneo che prima o poi ti viene strappato via.
Erano le tre del pomeriggio e Jimmy era indeciso sul da farsi, i suoi erano in casa perché vedeva le loro ombre muoversi attraverso la finestra della cucina.
“Chi è?”
Dopo aver suonato il campanello, riconobbe subito la voce di sua madre e sorrise subito non appena la udì.
“Ciao ma' sono io, Jim.”
Gli aprì subito e il suo viso piccolo e rassicurante fece capolino dalla porta. Indossava ancora il grembiule con cui aveva cucinato il pranzo della domenica, probabilmente aveva appena finito di sistemare piatti e stoviglie.
“Che bella sorpresa, tesoro.” disse e allargò le braccia per accogliere il suo giovane testardo in un abbraccio; la superava di parecchi centimetri, ma quando Jimmy si trovava vicino a sua madre sembrava farsi piccolo piccolo, sembrava desiderare ancora nascondersi tra le sue braccia e inspirare a pieni polmoni quel profumo dolce che sapeva di casa.
“Dovrei venire più spesso a trovarvi, lo so.” rispose, grattandosi la nuca. “Papà?”
“Di sopra, è andato a riposare una mezz'oretta fa. Va' pure a chiamarlo, sarà felice di vederti.” gli disse mentre si dirigeva in cucina.
“Non fa niente passerò a trovarlo domani, tra poco devo andare a ritirare i panni in lavanderia.”
“Non vuoi neanche un po' di caffè?”
L'espressione della donna si fece preoccupata e, quando Jimmy fece no con la testa, gli occhi piccoli e lucidi, le occhiaie e la pelle più pallida del solito trovarono una spiegazione.
“James Owe-”
“Ma', ti prego!”
Il ragazzo fece roteare gli occhi dopo aver rivolto lo sguardo verso l'alto.
“Sono solo in pensiero per il mio ragazzo.” rispose la signora Sullivan, quasi in un sussurro. “Da quando non suoni più nei Pinkly Smooth ti vedo strano, diverso, per non parlare di Brian. L'ho incontrato l'altro giorno al supermercato con suo fratello Brent e a stenti l'ho riconosciuto.”
Nel frattempo mamma e figlio si erano seduti al tavolo della cucina l'uno di fronte all'altro, Barbara aveva allungato una mano per accarezzare il dorso della mano del più giovane.
“Brian ha superato un po' il limite, lo ammetto, ma lo sto tenendo d'occhio.”
“Il fumo e l'alcol lo stanno mangiando vivo e non voglio che succeda anche a te; avete sempre avuto questo vizio di farvi del male insieme, di tenervi per mano per buttarvi giù da un precipizio e non per aiutarvi vicendevolmente a rialzarvi.”
Sua madre aveva ragione e Jimmy lo sapeva bene, per questo smise di guardare la donna negli occhi e tentò di concentrarsi su qualcos'altro.
“Sto bene, te lo assicuro, e Brian tornerà normale.” disse, continuando però a non alzare lo sguardo. “Ora devo andare, le lenzuola saranno pronte.”
Si era alzato di scatto, come se volesse fuggire dalla madre che, preoccupata, stava soltanto esprimendo ad alta voce quelle verità che lui non voleva accettare. Lei cercò di trattenerlo con lo sguardo supplichevole, voleva farlo ragionare, voleva fargli capire che quel loop in cui era finito era sbagliato, ma lei non capiva! Non capiva il doppio filo che lo legava a Brian, non riusciva a capire che se Brian aveva mollato era soltanto colpa sua; aveva spinto troppo, forse peccando di arroganza e presunzione, verso quel fallimento che aveva segnato entrambi. La differenza fra i due stava nell'assorbire il colpo; Brian era più fragile, i suoi castelli di carta erano stati demoliti dal vento e non riusciva a riprendersi.
Per questo lui l'avrebbe aiutato a rialzarsi, anche se questo significava sprofondare con lui. Jimmy lo sapeva bene: per tirare fuori Brian da quel circolo vizioso doveva essere spinto fuori dall'interno ed era compito suo, del suo migliore amico, dargli lo strattone; anche se aveva la sensazione che qualcuno lo avrebbe potuto aiutare inconsapevolmente, qualcuno che non conosceva affatto quel mondo complicato che era Brian Haner.
"Ci vediamo domani, passerò a salutare Papà," disse semplicemente senza guardare la madre e uscendo di casa, sentendo il bisogno di schiarirsi le idee. Non era stato in quella casa per più di dieci minuti e già vedeva tutto con una diversa angolazione.
Sua madre non disse nulla, continuò semplicemente a guardarlo preoccupata mentre Jimmy si richiudeva la porta d'ingresso alle spalle, sparendo dalla sua viste e lasciandola con un pugno di cenere fra le dita piccole e sottili.
Silenziosamente pregava che tutta quella situazione non portasse sul fondo suo figlio, ancorato a Brian, che stava cadendo di peso verso l'abisso.

La lavanderia era piccola e cupa, c'era solo una finestra, troppo piccola per illuminare decentemente la sala piena di lavatrici bianche tutte uguali, una di fianco all'altra, senza un minimo di spazio che le separasse l'una dalle altre.
Jimmy si diresse verso la cinque con lo sguardo perso in una visione che solo lui poteva vedere , immerso nei ricordi e cercando di capire dove aveva sbagliato, come erano arrivati a quell'epilogo, così diverso da quello che lui aveva sempre sognato, che a furia di raccontarlo sembrava l'unica opzione possibile.
Ed invece, qualche mese prima, lui e il suo amico avevano capito che la strada non è sempre come l'Highway, a volte ci si ritrova catapultati in una stradina sterrata senza rendersene conto, finchè non si fa un bell'incidente di percorso.
Così lo aveva chiamato Jimmy quando la risposta non era arrivata, per lui era un incidente di percorso, ma non lo era per Brian evidentemente. Per lui era stata la fine dei loro sogni.

Oh fanculo Jim, abbiamo sempre pensato di essere i migliori sulla piazza e dove ci ha portato? Ad un demo che non vuole nessuno!” aveva urlato Brian paonazzo, le vene del collo erano ben visibili come quelle sulle tempie, in mano i resti della sua acustica che stava suonando prima che il suo amico facesse irruzione in camera.
Bri, cazzo, cerca di ragionare! Noi siamo i migliori ma evidentemente non basta. Ci rimettiamo a scrivere, a provare, ci faremo sanguinare mani e piedi più del necessario e diventeremo non il meglio in circolazione, ma la perfezione! Incideremo di nuovo se servirà, saliremo sui migliori palchi, lo sai che ce la faremo. Noi meritiamo questa realtà.”
E il moro dagli occhi di cristallo lo pensava davvero, vedeva quelle immagini così vicine, non voleva credere che tutto potesse infrangersi per un rifiuto! Be' tecnicamente più di uno, ma a lui non importava! Sapeva che le notti insonni passate con Brian a fantasticare su come potesse essere suonare su un grande palco, con migliaia di fan che ti acclamano e ti adorano, non erano altro che proiezioni più o meno certe del loro futuro.
Ma evidentemente il chitarrista non la pensava allo stesso modo perchè lo fulminò con i suoi occhi nocciola duri e spietati, segnati dal sangue pulsante nei capillari. Lì per lì James aveva avuto paura che gli potesse prendere qualche attacco.
James, io sto ragionando, sei tu che non hai capito che i Pinkly Smooth sono finiti! L'abbiamo avuta la nostra occasione e l'abbiamo bruciata come se fosse una cartina strappata, così velocemente che neanche ce ne siamo accorti! Io ho chiuso con questo progetto amico, ho volato troppo in alto e le ali di cera si sono sciolte, lasciandomi precipitare nell'oceano. Ora voglio solo annegare, sei con me o contro di me Sullivan?”
Jimmy sospirò chinando lo sguardo e subito i sensi di colpa lo assalirono. Se aveva ragione Brian? Se i Pinkly Smooth non erano mai stati pronti per quel passo che il cantante li aveva spinti a fare, fiducioso che tutto sarebbe andato per il meglio? Se ci fosse stata solo un'occasione e loro l'avevano appena bruciata, come diceva il suo chitarrista?
Sapeva che Brian aveva ragione, nessuno avrebbe ascoltato un secondo demo di una band esordiente che avevano già scartato.
Non chiamarmi Sullivan, Bri,” gli disse aprendo il primo cassetto della scrivania dell'amico e prendendo il tubicino d'inchiostro di una bic ormai smembrata da tempo e infilandolo in un forellino. Alzato il doppio fondo che Bri aveva costruito per nascondere le sue cose ai genitori, ne estrarre il grinder nero e si mise a girare lentamente.

Scosse la testa energicamente, come se questo potesse aiutarlo a far svanire i ricordi di un passato troppo recente e finalmente si decise a togliere i panni dalla lavatrice e a buttarli nella cesta per riportarli a casa.
Fece tutto con eccessiva lentezza, come se tornare a casa sua gli pesasse, probabilmente non se la sentiva di affrontare Brian in quello stato, dove al solo pensiero gli si stringeva lo stomaco per la colpa. Se ci fosse stato l'amico a casa la prima cosa che avrebbe fatto Jimmy sarebbe stata tirare fuori l'erba solo per sentirsi in pace con se stesso, sapendo che Brian non l'avrebbe lasciato solo, mai.
Quando si ritrovava a pensare alla sua amicizia con Brian riusciva a comprendere le parole di chissà quale persona: i parenti non li scegli ma la famiglia te la crei. A James piaceva pensare a lui e Brian come una piccola famiglia, sempre unita, qualsiasi cosa la sorte gli riservasse. Se le cose andavano bene o male a loro non era mai importato, erano pronti a sostenersi a vicenda, quasiasi fossero le intenzioni dell'uno o dell'altro, perchè sapevano che per quanto in basso potessero scivolare, prima o poi si sarebbero rialzati insieme.
Pensava a queste cose quando arrivò davanti la porta di casa e si fermò ad osservarla per qualche istante prima di decidersi ad entrare. Tutto andava bene, era ora di cacciare via quei pensieri dalla testa!
"Sono a casa!" disse senza urlare per paura di svegliare chi dormiva. Non finì però di parlare che subito spuntò Johnny dalla sua stanza e lo raggiunse, prendendo fra le mani la cesta dei panni di Jimmy e lasciandola a terra. Aveva lo sguardo preoccupato, perchè però Jimmy non lo sapeva, come poteva capire che aveva un aspetto orrendo se non si era guardato allo specchio?
"Fosse ora Sullivan, pensavo li stessi lavando a mano questi panni," disse lo gnometto di casa, dando una veloce occhiata alla cesta e alzando un sopracciglio. In realtà la domanda silenziosa di Seward era cosa avesse turbato il suo coinquilino, solitamente così restio a farsi smuovere da qualcosa.
"Perché hai portato a lavare le lenzuola se le hai messe pulite solo ieri?"
"Jo, ma qualcosa di ieri sera te la ricordi? Pure i vicini hanno sentito Matt e Brian che scopavano in camera mia e tu mi chiedi perché lavo le lenzuola?"
Jimmy dedusse che non ricordava un cazzo d
alla faccia che fece Johnny. Prese un lato del lenzuolo e glielo lanciò, prendendo lui l'altro capo e i due iniziarono a piegare il tessuto nero.
"Davvero? Capisco Brian, ma Matt doveva essere proprio sbronzo per farselo, non ripete sempre che non sopporta la sua aria di sufficienza?"
"Sicuro era meno sbronzo di te gnomo," sospirò James portando le lenzuola pulite in camera sua e aprendo la finestra. Sentiva ancora la puzza di sesso di quei due aleggiare nell'aria! Probabilmente quello sarebbe stato un trauma che si sarebbe portato dietro a vita!
Il suo coinquilino lo seguì e si sedette sul materasso, coperto solo dalla spugna che lo difendeva dal tempo e dalla polvere, osservando Jimmy perdersi nel caos della sua camera; si vedeva che voleva sistemare, ma nello stesso tempo prendeva tutto solo con la punta di pollice e indice, borbottando che qualsiasi cosa poteva essere stata toccata da uno dei due la notte prima. L'occhio di Johnny finì sulle manette ancora attaccate al ferro bianco del letto di Jimmy.
“Certo che ci sono andati pensante,” fece notare all'amico, come se questi non fosse già abbastanza schifato al pensiero. Ma lo faceva apposta Seward? Ormai anche quelle schifose immagini gli passavano per il cervello.
“Jimmy, si può sapere che ti prende? Non hai quella faccia perchè qualcuno ha profanato la tua stanza, lo sai anche tu,” gli disse poi di punto in bianco il coinquilino, rompendo il silenzio che si era creato. Una smorfia di disappunto si dipinse sul viso del moro, era stato punto sul vivo e a lui faceva saltare i nervi; a lui, che era sempre pronto ad aiutare gli altri, non piaceva che fossero gli altri ad aiutare lui.
Si sedette di fianco all'amico e prese a fissarsi la punta dei piedi, prima di decidersi a parlare.
“Sono stato a casa dei miei. Solita storia, difendi Haner, tranquillizza mamma, solo che stavolta.. E' colpa mia se Brian sta così, sono io che gli ho dato il colpo di grazia! Dovevamo aspettare, aveva ragione lui..”
Alla fine aveva parlato, o meglio farfugliato, quelle poche frasi al suo coinquilino solo perchè le sentiva premere dentro la sua testa e doveva farle uscire, se non voleva scoppiare. Johnny questo lo aveva capito, lo conosceva bene ormai e sapeva che se James parlava dei suoi problemi era perchè lo tormentavano, come sapeva anche che la confessione durava una manciata di secondi perchè lui era Jimmy Sullivan, quello sempre allegro e spensierato, e come tale voleva restare. O almeno provarci.
“Jim, lo sai che le cose accadono e basta. Doveva andare così, e poi conosci Brian, lo sai che ogni scusa è buona per lui per lasciarsi andare, vuole lasciarsi trascinare dalla corrente piuttosto che affrontare se stesso, inutile che ti addossi colpe che non hai.”
“Non trovi che quel porta penne sia fuori posto?” chiese Sullivan guardando l'oggetto a terra, il contenuto sparso tutto intorno. Fece una smorfia mentre Johnny scuoteva la testa rassegnato: aveva deciso che la conversazione sarebbe finita lì, non voleva ascoltare altro.
Erano proprio destinati ad essere inseparabili, lui e Brian: stessa testa di cazzo.
“Non abbiamo neanche sfiorato la tua scrivania, se stai ancora pensando a quello.”
La voce di Brian fece sobbalzare entrambi i coinquilini. Brian era tornato a casa, di questo erano entrambi sicuri, ma in quel momento era proprio Brian poggiato con la spalla allo stipite della porta, con un mezzo sorrisetto mentre osservava Jimmy fare smorfie teatrali; gli si leggeva in faccia che quello stava diventando il suo nuovo incubo!
“Come hai fatto ad entrare Bri?” chiese Johnny guardandolo incredulo, dal momento che nessuno aveva bussato e tanto meno nessuno aveva aperto. Probabilmente in casa erano svegli solo loro due.
“Uno dei due ha lasciato la porta aperta, cazzoni,” disse sorridendo ed entrando in stanza, raccogliendo da terra il porta penne e tutto ciò che conteneva, posandolo sulla scrivania tutt'altro che ordinata di James.
“Sempre il solito Sullivan, vado in bagno, va',” esclamò il più basso dei tre uscendo e lasciando soli gli altri due, che si fissarono per qualche secondo nel silenzio più assoluto.
Dato che Jimmy non si decideva a parlare, Brian decise che era inutile titubare, gliel'avrebbe data senza rispondere alle domande, come aveva programmato a casa sua quando aveva preso la cartella di plastica lucida. Così frugò nella sua borsa per una manciata di secondi per poi passare la cartellina all'amico.
“Senti Jim, l'altro giorno ho buttato giù qualcosa. Vedi che ne pensi e magari prova ad arrangiarla come si deve, ok?”
Jimmy sembrava non aver capito bene il significato di quelle parole, o meglio, non lo aveva realizzato a piento finchè non aprì la cartellina, estraendone dei fogli numerati e scritti a mano, pieni di correzioni e appunti su ogni spazio libero. Alla vista di quello scritto gli occhi si dilatarono e le pupille si restrinsero per la sorpresa. Il suo amico gli aveva appena consegnato un intero strumentale -stimò di una durata di più o meno sette minuti ad un'occhiata veloce della partitura- su cui era evidente avesse passato un bel po' di tempo, e in più gli aveva chiesto di revisionarlo ed arrangiarlo.
Stava completamente fuori!

Haner, dai, almeno provaci cazzo, no?”
Jimmy, quante volte ti devo ripetere che io e la musica abbiamo chiuso?

“Cosa ti ha fatto cambiare idea Brian?” chiese dopo aver letto le prime parti di tablatura scritta alla meno peggio dal giovane. Non che non fosse contento che l'amico stesse reagendo, ma era troppo presto ed era stato così improvviso che Jimmy non poteva non essere stato colto di sorpresa. Era fuori dai tempi di ripresa di Brian, ma lui non sapeva che qualcosa era stato smosso da qualcuno di completamente inaspettato.
Brian aveva ripensato alle parole scritte da Matt, ci aveva ripensato molto e aveva ripensato molto al giovane e a quel piccolo momento insieme, dove suonare e comporre non era stato un peso per lui, e aveva capito che lui poteva voltare pagina, poteva scrivere delle meraviglie se solo avesse voluto, meraviglie che avrebbero potuto valorizzare quei testi un giorno, chi lo sa, ma che sicuramente potevano portarli lì dove avevano sempre sognato lui e Jimmy.
Voleva il palco, lo aveva sempre voluto, doveva solo riabituarsi all'idea che poteva farcela senza mandare tutta la sua vita all'aria.
Passo dopo passo avrebbe conquistato il suo posto nel mondo.
“Possiamo farcela Jimbo; i Pinkly Smooth saranno anche finiti, ma noi ci siamo ancora e abbiamo talento da vendere. Hai ragione, noi siamo nati per stare sul palco James, noi cambieremo la storia della musica.”
Voleva tornare a volare alto, tanto non aveva paura di cadere, Jimmy lo avrebbe ripescato ogni volta.

*

Alla fine Matt non aveva ordinato nessuna pizza, c'erano gli occhi luminosi di Zacky e il suo largo sorriso, così aveva finito per rimanere lì sotto le coperte al suo fianco a godere di quei momenti.
Magari alla Columbia non avrebbe conosciuto nessuno, forse non sarebbe riuscito ad integrarsi, così aveva deciso di vivere davvero ciò che aveva in quel momento, di valorizzarne ogni sfaccettatura e, senza quasi neanche accorgersene, si era ritrovato a cingere un fianco dell'altro ragazzo e ad aggrapparcisi come se fosse la sua unica speranza. Era il suo migliore amico, l'unica persona che aveva esplorato ogni sua angolazione e che aveva condiviso con lui tutto ciò che aveva.
"Ti voglio bene anche io, Zachary." aveva sussurrato diversi minuti dopo, rispondendo alla frase che l'altro gli aveva detto prima. Questa volta fu lui a baciarlo sulla labbra e si fece però ancora più vicino, Zacky odorava di tabacco e alcol andato a male, anche se l'alcol non scadeva, anche se a lui non dava fastidio, gli piaceva perché era l'odore della persona a cui voleva più bene al mondo e, in un certo senso, si sentiva quasi a casa.
Lo baciò di nuovo ed ancora ed ancora, entrambi sapevano che non significava niente, che erano fratelli, ma continuavano a baciarsi sempre con dolcezza senza approfondire il contatto; era un rapporto strano, il loro, ma che al tempo stesso rasentava la semplicità: due persone sole che non avevano altro che loro stesse e l'un l'altro e si stringevano con più vigore possibile perché non potevano permettersi di lasciarsi scivolare via.
Non te ne andare, gli diceva Matt, con quegli occhi socchiusi e le labbra che accarezzavano quelle dell'altro, resta con me perché ne ho bisogno.  
E Zacky avrebbe voluto rispondergli di non partire, che avrebbero trovato un modo per far funzionare tutto, ma d'altronde quello era il suo sogno e, siccome gli voleva bene davvero, non gli avrebbe mai e poi mai impedito di raggiungerlo.
Con uno scatto Matt fu sopra e i suoi gesti si fecero più decisi iniziando ad esplorare il viso ed il collo di Zacky. Erano morbidi e pallidi, anche solo appoggiandoci le labbra si formavano leggeri segni rossi.

"Matt! Che ci fai qui?"
"Ho appena preso la patente, porto il mio migliore amico a fare un giro."

Il ragazzo che in quel momento guidava il gioco, sfilò la maglietta all'altro e poi, quasi con avidità, decise di far sua più pelle che poteva. Lo baciava quasi senza neanche prendere fiato prendendosi però il giusto tempo: voleva coccolare Zacky come mai nessun altro aveva fatto.

"Quando arriviamo?"
"Non lo so, arriviamo quando ci pare."
Si sorrisero, e il sedicenne sul sedile del passeggero ciccò fuori dal finestrino; si sentiva leggero e al sicuro, nessuno gli avrebbe mai fatto del male se Matt fosse rimasto al suo fianco.

E Matt in quel momento era arrivato ai capezzoli, anche se con un filo di imbarazzo iniziò a leccarli facendo sospirare Zacky più profondamente ed ebbe come l'impressione di sentirlo inarcarsi, per un attimo. 
"A-Aspetta, ehi, f-fermati..."
L'altro obbedì all'istante ed alzò il volto tutto rosso, le guance quasi andavano a fuoco anche per il timore di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma soprattutto per la vergogna. Guardare quel ragazzo negli occhi gli procurava dolore, a volte, come se quello che facevano fosse sbagliato. 
"Rilassati, va tutto bene." continuò subito, non appena intercettò lo sguardo del ragazzo con gli occhi smeraldini. "È solo che si sta facendo tardi e devo andare a casa, posso usare la doccia? Giuro di metterci un attimo."
"S-Sì, certo." rispose Matt con un filo di voce, spostandosi subito e tornando ad appoggiare la schiena al materasso. Si sentiva stupido, stupido ed improvvisamente solo, e con una bella erezione che non sapeva come placare. La vista di Zacky che usciva dalla stanza solo in boxer non aiutò, e alla fine decise di approfittare di quegli attimi di solitudine per infilare le mani nelle sue, di mutande, e di toccarsi sempre più velocemente.
 
L'acqua scrosciava calda, in doccia, delle dense nubi di vapore avevano annebbiato lo specchio ed anche la superficie delle mattonelle iniziava a risentire di quell'inaspettato innalzamento di tempetura. Il ragazzo che si strofinava con la spugna, aveva chiuso gli occhi dal momento in cui aveva chiuso l'anta e si era rinchiuso in quel piccolo spazio fatto di bolle; non sapeva bene così gli ronzasse per la testa, sapeva solo di non aver voglia di fare l'amore con Matt. Gli piaceva quello che il suo amico gli faceva e le attenzioni che gli dedicava, non c'erano dubbi, ma non aveva alcuna intenzione di farsi sfuggire la situazione di mano: vadano i baci da sbronzi, vadano i sorrisini e le parole dolci, ma Matt e Zacky non dovevano più fare sesso, avrebbero solo finito per farsi male. Le cose dovevano rimanere così, esattamente com'erano, che già una volta aveva rischiato di prendersi una sbandata bella tosta che gli avrebbe fatto rimpiangere il giorno in cui sua madre aveva deciso di metterlo al mondo.
Non doveva accadere, loro due non si amavano, e Matt se ne sarebbe andato.
Zacky continuò a pensare a quello mentre si avvolgeva un asciugananor intorno alla vita, che per la prima volta da quando l'altro ragazzo era entrato nella quotidianità delle sue giornate, sarebbe stato davvero solo.
"Zacky muoviti, devo pisciare!" urlò Johnny, bussando vigorosamente contro la porta.
Quando il ragazzo uscì dalla doccia, Matt dormiva. Il suo viso era increspato in un leggero broncio ed era tutto rannicchiato in se stesso, le lenzuola erano ammucchiate ai piedi del letto e forse aveva freddo. 
"Sto tornando a casa." gli sussurrò Zacky a pochi centimetri dall'orecchio. "Ci sentiamo dopo."
L'altro non si mosse, continuò a dormire con quell'espressione buffa a cui il ragazzo sorrise.

Matt si svegliò un paio di ore dopo, le serrande della camera erano ancora abbassate e la stanza avvolta dalla penombra. Impiegò qualche minuto per rendersi conto di dove fosse, aveva le gambe gelate e una pesante sensazione di spossatezza.
Il resto della casa sembrava piuttosto silenzioso, così ne approfittò per sgattaiolare fuori e correre sotto la doccia. Mentre si sfilava i boxer notò i calzini di Zacky in un angolo. 
Con uno sbuffo divertito li raccolse, glieli avrebbe lavati e poi resi.
Dopo essersi ripreso ed aver infilato un paio di pantaloncini ed una maglietta, con i capelli ancora bagnati Matt si diresse verso la camera di Jimmy.
Nel frattempo Zacky gli aveva mandato un messaggio invitandolo a fare una passeggiata, così aveva pensato di includere anche il resto degli abitanti della casa. 
"Ehi Jim-"
Il ragazzo, ancora con la mano sulla maniglia, si bloccò. Dopo una rapida periferica della stanza tornò a soffermarsi sull'unico oggetto, o meglio individuo, fuori posto della stanza.
"Brian, non sapevo ci fossi anche tu."
"Te la cantavi sotto la doccia, quando sono arrivato." rispose prontamente l'altro, affiancando un sorriso canzonatorio alle sue parole.
Matt si obbligò a rimanere calmo, dove controllare il formicolio all'altezza delle dita o si sarebbe trovato a cancellare quell'espressione del cazzo a suon di pugni; e di rovinare il bel faccino di Brian non ne aveva particolarmente voglia.
"V-Volevo solo dirvi che tra un paio d'ore mi vedo con Zacky, andiamo a fare una passeggiata sul pontile dove hanno allestito degli stand, vi va di unirvi?"
Un largo sorriso illuminò gli occhi di Jimmy, contento all'idea di poter passare un'altra serata tutti insieme.
"Siamo dei vostri, ci stai Bri?"
"Certo amico, non mi perderei mai Matt intento a rimorchiare tutta Huntington Beach.” 
Il viso del ragazzo a cui si stava riferendo era ormai livido e il respiro si era fatto irregolare, le dita delle mani formicolavano con l'intenzione sempre crescente di chiudersi a pugno e cancellare da quella faccia sempre più strafottente quel fastidioso sorrisetto saccente.
Però poi non fece niente, si limitò a sussurrare un a dopo e ad uscire dalla camera di James. 
Nel momento in cui qualcuno bussò alla sua porta, non se ne accorse subito, troppo concentrato com'era dai suoi pensieri; si era concesso qualche minuto per pensare ai auoi genitori, nonostante tutto il veleno che si erano sputati addosso negli ultimi tempi, gli fece comunque male non ricevere neanche una telefonata. D'altronde stava per iniziare l'università, non organizzare una rapina a mano armata.
Solo al terzo o quarto colpo quindi, si voltò dietro la porta e diede a chiunque ci fosse oltre la porta il permesso di entrare.
"Che vuoi?" sbottò subito, non appena riconobbe i lineamenti dritti di Brian. Non gliel'avrebbe mai fatta passare liscia, in un modo o nell'altro.
"Solo sapere se la checca di casa ha finito di prepararsi, ti stiamo aspettando." rispose subito, col tono di chi non vede l'ora di farti incazzare nero. E poi fu questione di pochi secondi, Matt scattò ad un soffio da Brian, lo afferrò per le spalle e poi lo avvicinò al muro. Il ragazzo aveva ancora gli occhi aperti e lo stava guardando dritto nei suoi, anche se sapeva che da un istante all'altro si sarebbe trovato con il naso rotto o qualcosa del genere. Ed invece furono le labbra di Matt a colpirlo e cercarlo, lo baciarono ma subito quel contatto si trasformò in una ricerca disperata di sangue e pelle: i suoi denti lo assaggiarono, mangiarono, Brian sentì un leggero sapore di sangue farsi strada tra l'epidermide screpolata ed il dolore misto ad una particolare forma di eccitazione fargli brillare lo sguardo.
“Non azzardarti mai più a chiamarmi checca, Haner, o la prossima volta ti ritroverai qualcosa di davvero grosso  tutto su per quel tuo culetto vergine.”
Matt uscì dalla porta della sua stanza a grandi passi, asciugandosi sangue e saliva con il dorso della mano. 




 

Corner:

Siamo tornate! Un po' di ritardo, lo sappiamo e Shizue chiede scusa poichè è colpa sua, esame a breve! Ancora niente vacanze per lei. Arrivando a noi: Cioè, siamo sempre le solite, se non creiamo un po' di casini in questo o quel personaggio non siamo noi! Lol
Siamo abbastanza soddisfatte di come si sta evolvendo questa fanfic, nata come Bratt ma che si sta evolvendo lasciando la coppia quasi in secondo piano, qui si stanno raccontando delle vite, e questo è ciò che ci piace fare. Vogliamo avere una vista più ampia, che ci rispecchi in qualche modo, non limitarci a scrivere una love story trita e ritrita!
Ok, fine sclero. A dire il vero potremmo iniziarne un altro sul titolo ma sorvoliamo e arriviamo all'angolo ringraziamenti! :D
Come sempre ringraziamo tutti quelli che ci seguono silenziosi, ma un grazie particolare va a Yellow_ che ha inserito la storia fra le prefeite e Ceinwein19 che ha recensito lo scorso capitolo, come sempre è un piacere sentire le vostre opinioni; è uno stimolo per noi a continuare e far sempre di meglio!
Ora vi lasciamo, nella speranza che abbiate apprezzato questo nuovo capitolo! 
xo LightsTurnOff
 

   
 
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