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Autore: hime Hana    13/07/2014    4 recensioni
"Fa davvero così male sentirsi dire Ti Amo??"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: G-Dragon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jiyong’s POV
Si gelava, qui fuori.
Tra le mani sfogliavo il taccuino, quelle pagine scritte, scarabocchiate, pasticciate con macchie di inchiostro. Foto di me e Kiko, dei giorni felici, slavate nei colori dalle lacrime di quella maledetta primavera.
E poi tornavo sempre lì, su quella pagina bianca.
Non ci avevo neanche provato a  scrivere il testo di quella canzone, anche se me la stavo immaginando tutta mentre guardavo Jamie ballare.
Ero seduto in incognito su questi scalini da un paio d’ore ormai.
La luna si era fatta alta nel cielo.
Quegli occhi che prima prendevano tutto ciò che si trovava sotto il loro raggio d’azione, si erano ora fatti stanchi.
Non distinguevo molto bene i movimenti di Jamie, percepivo movimento e vuoto, tutto assieme, in chiazze colorate imprecise.
Mi arresi.
Mi stiracchiai debolmente, allungai il collo e mi appoggiai contro la superficie rugosa della parete.
Avrei passato la notte qui, come uno straccione riparato alla meno peggio dal freddo che già in Autunno cominciava a farsi sentire.
L’indomani mi sarei svegliato e sarei andato a lavoro, come se nulla fosse.
Gli addetti mi avrebbero scattato fotografie, avrebbero riso del mio stato.
Spero solo che non permetteranno alle fan di vedermi.
 
Un urlo.
Una doccia di acqua fredda.
Il rumore di una bottiglia di plastica che cadeva a terra.
 
E aprii gli occhi, inebetito, catapultato in quella nuova situazione in pochi attimi furiosi.
 
“TU!! Alzati, immediatamente
 
Quella voce squillante mi entrò prepotentemente nelle orecchie.
Non riuscivo a capire chi mi stesse minacciando, vegetavo in uno stato confusionale; mi tornò alla mente quella sbronza che mi ero preso la sera in cui Kiko mi aveva lasciato con un post it scritto e spiaccicato sul frigo.  
Non riuscivo a distinguere i contorni di quella figura che mi sembrava agitarsi su tutte le furie.
E come se non bastasse, ero terribilmente fradicio.
Ciuffi di lana della sciarpa mi entravano in bocca.
 
“Mi hai sentito?!?” mi scrollò per le spalle, mi sembrò di conoscere quelle maniere grezze, burbere “Se ti trova qui il Presidente, ti spedisce a dormire su una panchina pubblica, non qui. Abbiamo un’immagine da rispettare!”
 
Pestò i piedi per terra, sbuffava.
“Si è già fatto così tardi ed io sono qui alle prese con un barbone intontito”
 
Poi la visione si fece più nitida, mi strofinai gli occhi per permettermi di vedere ancora meglio.
 
Ennesima figura di merda.
 
Era Jamie.
Tutta sudata, i capelli appiccicati sulla fronte e stretti da una fascia elastica, gli occhi semi aperti, come fessure, ancora più bui della notte.
 
Mi tolsi la sciarpa, calai il cappuccio sulle spalle.
“KWON!!”
Voleva dirmene di tutti i colori, ma si fermò, in un misto tra rabbia e sorpresa.
“Già”
Aggiunsi con un sorriso imbarazzato.
“Che cosa stai facendo?? Da quanto tempo sei qui?”
“Beh io ecco… stavo per andarmene, ma poi ho visto delle luci in palestra e volevo aspettare che tu finissi”
Errore, Jiyong, un grandissimo errore.
Non avrei mai dovuto raccontarle il vero motivo per cui mi trovavo qui.
Ah, quando l’amore prende il sopravvento…
 
“Tu mi stavi aspettando, ho capito bene? E io cosa dovrei pensare? Ti stai comportando da stalker, Kwon. Prima mi hai provocato, mi hai… molestato, se si può dir così. Non è normale buttare una persona sul pavimento e…”
Arrossì visivamente, poi cominciò a guardarsi le punte dei piedi.
“Io sarei cosa…??” Dissi con una risata smorzata “vai a raccontare in giro queste cose di me e nessuno crederà ad una parola”
Stava davvero esagerando. Ho solo cercato di accendere le sue voglie, tutto qui.
“E come lo spiegheresti il mio trovarti qui, travestito, che mi spiavi all’uscita della palestra? Io chiamo la polizia”
Scattai in piedi, e la presi per le spalle.
In un attimo lei si trovò tra me e il muro.
“Non vorrai davvero…?”
“Lo stai facendo di nuovo.”
“Cosa?”
“Non lo so dimmelo tu. Mi hai spinto contro il muro ed ora mi sei addosso.”
In effetti, eravamo vicinissimi.
Sentivo il mio corpo premere contro il suo.
I nostri nasi potevano toccarsi.
 
Tossii sonoramente e mi staccai da lei, girandomi dall’altra parte.
Cosa mi stava succedendo?
Non mi ero mai sentito così in imbarazzo, neanche quando lasciai sotto la porta della classe accanto una dichiarazione d’amore per la mia compagnetta delle elementari.
“Comunque mi sono camuffato in questo modo ridicolo per passare inosservato tra la folla. Avevo intenzione di prendere la metropolitana per tornare a casa.” Mi affrettai a dire.
 
“Stai facendo una cura ormonale per caso?”
 
Aveva stampato in viso il sorriso beffardo di chi sa di avere la situazione in pugno.
Forse erano quegli anti depressivi che mi avevano prescritto che mi causavano questi effetti collaterali.
E ultimamente ne avevo fatto abuso.
Questo mio vizio di non leggere mai il foglio illustrativo delle medicine, che puntualmente finisce nella pattumiera.
 
Potevo sentire il fruscio strascicato della mia dignità che lasciava il mio corpo.
“In realtà mi basta guardarti per eccitarmi…”
Cosa avevo da perdere ormai?
La percorsi da capo a piedi con uno sguardo estremamente malizioso.
Si stava arrabbiando, si intuiva a colpo d’occhio.
Ma questo la rendeva ancora più sexy.
“Cosa facciamo alle due di notte in piedi, davanti ad una palestra? Andiamo?” Le dissi strizzandole l’occhio, offrendole il mio braccio.
“Ti aspetti di finire in bellezza la serata? Della serie ‘la notte è ancora lunga, Sali per un drink da me’? Non se ne parla, Kwon. Ora io vado a casa”
Disse scansandomi di lato.
Ma non volevo dargliela vinta.
Non c’era nulla di male nel passeggiare un po’ assieme prima di andare a dormire e rivedersi l’indomani. Volevo solo avere un ricordo più dolce di lei che mi accompagnasse nella via dei sogni notturni.
Chi aveva parlato di portarla a casa mia?
Potevo essere abbagliato dall’Amore, ma ancora non mi aveva reso cieco.
Sapevo però che prima o poi l’avrei portata dritta nel mio letto.
 
Mi parai davanti a lei.
“Ce ne andremo separati”
Sembrava molto sicura di se mentre lo diceva.
Ma io ero diventato la sua immagine speculare, o qualcosa di molto simile: mi muovevo dovunque lei andasse; ogni suo più piccolo movimento era anche il mio.
Alzò gli occhi su di me, scocciata. Non si reggeva nemmeno in piedi.
“E va bene, Kwon. Facciamo come vuoi tu.”
Raccolse quei brandelli di forza sparpagliati al suolo e mi scansò un’altra volta.
Io corsi al suo fianco, come un cagnolino corre al fianco del padrone quando sa che deve portarlo a passeggiare al parco.
Mi ritrovai con una lattina di succo nascosta nella tasca interna del giubbotto.  Mentre la portavo alla bocca sentivo i suoi occhi gelosi puntati su di me. Bevvi qualche sorso e mi girai a guardarla: aveva gonfiato le guance. Gliele pizzicai teneramente.
“Se non ti avessi buttato l’acqua addosso, adesso potrei bagnarmi la bocca. Sono così assetata…”
“Vuoi un po’ di questo?”
“Che cos’è?’”
Era molto diffidente.
 “Succo alla pesca”
“E io dovrei bere dietro a te, inumidirmi le labbra con la tua saliva? No, grazie Kwon, svuoterei il fiume Han sorso dopo sorso, piuttosto”
Grugnì e distolse lo sguardo, che vagava solitario sul ciglio della strada.
“Aspetta” Tolsi la parte tagliente della lattina “io sono un ragazzaccio ma non posso permettere che le tue labbra si feriscano”
Mi guardò con occhi di sincera sorpresa, e notai un certo rossore sulle sue gote.
“Ti ho detto che non voglio!”
Senza pensarci un’altra volta le portai la lattina alla bocca, facendole appoggiare su di essa il labbro inferiore.
Fissò lo sguardo nel mio, incapace di parlare.
Mi stava odiando, ma forse c’era anche dell’altro.
“Bevi” dissi infine.
Iniziò a succhiare come un bambino.
Mandò giù qualche goccia e poi me la restituì senza nemmeno guardarmi negli occhi.
Trangugiai quello che era rimasto.
Potevo appena provare il sapore delle sue labbra, nell’attesa di averle tutte per me.
Gettai la lattina a terra, scesi dal marciapiede e cominciai a calciarla.
Nessuno dei due parlò nei successivi metri di strada, ma a me bastava essere in sua compagnia e poter godere del tempo concesso  fino in fondo.
Solo il rumore di quel pezzo di latta ammaccato che rotolava sull’asfalto riempiva quelle strade altrimenti vuote.
Mi accorsi che lei era rimasta indietro, si massaggiava i polpacci doloranti.
“Ehi, tutto apposto laggiù?” le domandai con un pizzico di ironia.
“Ho solo fatto tre ore di allenamento più di te”
Stizzita allungò il passo e mi raggiunse. Presto però non avvertivo più la sua presenza accanto: l’avevo lasciata indietro di nuovo.
“Tu non stai bene”
“Kwon, ti ho detto che sto bene…”
“Appoggiati a me e circonda il mio corpo con il braccio.” Glielo portai sulle mie spalle senza che lei opponesse resistenza “Ecco, così.”
Mentre camminavamo così abbracciati lei non disse nulla, tenne soltanto gli occhi fissi a terra.
Era così orgogliosa, ed ora sembrava il cavallo di Napoleone ferito in battaglia: così gagliardo e fiero prima, ma altrettanto ferito e intimidito ora.
Quella soluzione però non bastava, e ben presto Jamie cominciò a zoppicare e a lamentarsi sommessamente. Quando la attirai leggermente su di me, per schivare delle scatole accatastate sul marciapiede, non riuscì a trattenere un urlo di dolore più forte.
“Così non ci siamo. Dov’è che ti fa male?”
“Ti ho detto che non sto male, ci dormo un po’ su e mi passa…”
Le tastai la caviglia che teneva sollevata da terra.
“È qui?”
La sua espressione sofferente me ne diede la conferma.
“Sali su quel muretto.”
 
Jamie’s POV e Jiyong’s POV
“Io cosa?!?”
“Sali su quel muretto e non fare storie”
 
Era alto.
Ed era uno sforzo eccessivo per la mia caviglia salire lì su. Rischiavo di saltare l’esibizione se mi fossi aggravata ulteriormente…
Ero stata una stupida ad intensificare gli allenamenti… volevo solo che lui facesse bella figura accanto a me… volevo che fosse fiero di ciò che ero diventata dopo il netto rifiuto di quattro anni prima.  
Ah, Jiyong… perché non vuoi capire?
 
Strinsi la mia mano nella sua e mi elevai.
 
Una lacrima, piccola, si fece strada sulla guancia più vicina a lui, correva impazzita.
 
“Deve fare molto male vero?”
Nei suoi occhi, inedita espressione di dolcezza.
 
Nei suoi occhi regnavano malinconia e dolore fisico, non saprei dire quale fosse predominante.
 
Jiyong… tu non capisci. È un fastidio sopportabile. Ma è qui che fa male, all’altezza del cuore. E’ come se fosse il bersaglio di tutte queste tue attenzioni che io so di non meritare.
Strinsi i denti e mi portai una mano alla bocca.
 
Tirò fuori un piccolo gomitolo di garze e cominciò a srotolarlo. Poi con i denti ne staccò un pezzo, ed inizò a medicarmi la caviglia, mettendosi in ginocchio. 
Tremai al tocco dei suoi polpastrelli sulla pelle.
 
“Ecco, fatto. Me le porto sempre dietro perché capita spesso che qualcuno si infortuni durante l’allenamento”
Volevo ringraziarlo, ma non ero più padrona della mia voce.
 
“Ora aggrappati a me, ti porto sulle spalle”
“Kwon, tu vedi troppi drama.”
“Che c’è di male? Nessuno ci vedrà a quest’ora, siamo soli.”
 
Le nostre voci rimbombavano in un crocevia di strade vuote.
 
“Coraggio Jamie, monta su!”
“Kwon, non ti azzardare. Io ti avviso…”
 
Non mi lasciò finire di parlare. Mi si avvicinò da dietro e mi sollevò da terra prendendomi i polpacci.
Chinai la testa all’indietro, sentendo un lieve capogiro.
E mi trovai abbracciata a lui, con il petto contro la sua schiena, le gambe sollevate in aria dalle sue braccia muscolose. E quei suoi aculei biondi a pungermi il viso.
 
“Kwon mettimi giù…”
Lo supplicai in un fil di voce.
Tenevo le mani chiuse a pugno sul suo dorso.
Non mi sentivo… così sicura.
“Posso camminare da sola… Kwon, per favore…”
Lui si girò in modo che lo potessi vedere di profilo. Il ciuffo ispido, la linea perfetta del suo naso, spezzata da quella curvilinea delle sue labbra, il mento spigoloso. E quelle sue ciglia folte… adoravo questo dettaglio in un ragazzo.
“Lascia che ti porti a casa, per oggi.”
Rispose con un occhiolino mettendo fine alle mie suppliche.
 
Era così minuta, rannicchiata sulla mia schiena, ne sentivo appena il peso.  Le punte dei suoi capelli spostate dal vento ogni tanto mi pungevano il collo, l’unica parte del corpo scoperta. Ma era rigida, i pugni chiusi, scalciava piano con i piedi. Qualcosa la turbava, odiava il solo pensiero di perdere la sua indipendenza, la sua ribellione screziata di rosa.
 
“Non voglio dirti dove abito”
“Di cos’hai paura? Non voglio approfittarmi di te, voglio solo che tu arrivi sana e salva a casa e che ti rimetta per la performance.”
 
Allora era tutto qui. Il suo era un puro interesse per la carriera, non potevo rovinargliela.
 
Se ti dicessi perché lo sto facendo Jamie… ho paura che mi odieresti.
 
Potrò mai…
…raggiungerti?
 
“Ora tieniti forte”
 
Un groppo alla gola.
 
Jiyong io non ti merito.
Potrai mai scusarmi??
 
“Lasciami! Lasciami! Fammi scendere!!!”
Con le ultime forze rimaste iniziai a dimenarmi, a scalciare pesantemente e poi sentii che la sua presa sulle mie gambe cominciava a mancare. Inarcai il corpo e mi lasciai cadere all’indietro.
Avrei sbattuto la testa, così, stupidamente?
Il sangue per terra.
Jiyong piegato in due, piangeva.
Le sirene dell’ambulanza in lontananza…
 
“Jamie!!!”
In un momento di vuoto tra il pensare e l’agire, mi aggrappai d’istinto al suo collo, graffiandolo.
Jiyong si piegò in avanti per evitare che cadessi ed io ricaddi sulla sua schiena violentemente.
 
“Ragazzina!!! Ti capita mai di pensare? Ti avevo appena avvertito! Se desideri tanto scendere e farti male, fallo dove io non ti possa vedere.”
 
I nostri cuori palpitavano allo stessa, intensa velocità. Lui non poteva sentirlo, ma io sì.
Erano stati attimi di esitazione concitata.
 
Sentii le sue mani sulle mie braccia iniziare a salire fino a che non incontrarono a loro volta le mie mani. Le condussero sapientemente sulla sua vita, e poi vi si posarono sopra.
Intendeva questo allora quando mi aveva chiesto di tenermi aggrappata a lui. 
 
Lentamente la mia testa andò a poggiare sulla sua schiena.
Quando la avvertì lui iniziò a giocare con le mie dita.
Un’ondata di calore mi investì.
Mi abbandonai completamente a lui.
 
“Piggy back” dissi infine.
“Piggy back?”
“Sì, così si chiama questa posizione in Inglese”
 
E poi viaggiai altrove.
 
Ero sorpreso… quanta dolcezza in quelle parole impastate dal sonno.
“Allora… dove siamo diretti, signorina?”
Non mi rispondeva, potevo soltanto udire il suo respiro che si faceva sempre più calmo, regolare.
 
Si era addormentata.
 
***
Erano ormai diversi minuti che camminavo con Jamie sulle spalle e con un interrogativo che mi frullava nella testa: dove l’avrei portata a dormire?
Portarla al mio appartamento era fuori discussione… vi avevo fatto entrare solo un paio delle mie fidanzate ufficiali, lo consideravo un passo troppo grande. E poi la sua immaginazione avrebbe trovato le scuse più assurde.
Volevo chiamare papa YG per sapere il suo indirizzo… ma forse lei non aveva ancora contatti nella capitale e sarebbe rimasta comunque sola.
Non potevo però abbandonarla qui, sul ciglio della strada…
D’un tratto mi sentii la fronte umida. Alzai gli occhi al cielo e notai che stava piovigginando. Poi la pioggia iniziò a scendere con violenza: si stava preparando un vero e proprio acquazzone.
Svelto mi rifugiai all’ingresso di un condominio, sotto una tettoia.
Questa pioggia battente non ci voleva proprio, pensai.
E poi mi sembrò di riconoscere gli infissi di quel palazzo. Non solo, ma anche le finestre in stile inglese e l’originale forma triangolare della porta mi parvero familiari.
Forse quella pioggia faceva proprio al caso mio…
Suonai il campanello e lui mi aprii.
Era ormai passato un anno dall’ultima volta che l’avevo visto, ma si presentava esattamente come lo ricordavo.
Occhi truccati pesantemente, barba perfettamente rasa, capelli lunghi, mozzicone di sigaretta in bocca. Mi guardava con occhi vitrei dopo essersi sgolato bottiglie di alcolici. Dall’interno non si sentivano urla, schiamazzi o rumore di bicchieri che cadevano a terra: evidentemente non aveva dato nessuna festa, era solo.
“Ci fai entrare?” chiesi, indicando la scimmietta stretta intorno a me. 
 
***
Jamie’s POV
Il sole batteva contro le tapparelle semi aperte della finestra che non mi sembravano più marroni, ma di un verde brillante.
Con gli occhi chiusi mi rotolai nel letto avvolgendomi nelle lenzuola fresche.
Il letto sembrava molto più ampio del solito, potevo scivolarvi all’infinito.
All’improvviso mi ritrovai schiacciata addosso a qualcuno o a qualcosa.
Sollevai le palpebre delicatamente e la prima cosa che notai fu una lunga chioma rossa che scendeva in morbidi ricci. La ragazza a cui appartenevano dormiva di fianco, in posizione fetale.
Ma chi era? E soprattutto, dove mi trovavo?
Si era stretta in una coperta di pail ad una piazza fino al collo, coprendosi per bene.
Si muoveva nel sonno, e da quella pesante coltre di tessuto emerse un braccio esageratamente muscoloso per un ragazza.
E soprattutto peloso.
Sobbalzai e mi portai a sedere.
Quello che presumevo fosse una ragazza si svegliò, e si voltò a guardarmi.
“Buongiorno…” disse tra uno sbadiglio e l’altro.
ERA UN UOMO!!
“Dormito ben-“
Ed io ero solo in canottiera e mutandine.
Saltai in piedi ed afferrai tutte le lenzuola, strappandogli anche la coperta di pail e me le avvolsi tutte intorno al corpo.
Urlai con tutto il fiato avevo in gola, indietreggiai e andai a sbattere contro una cassettiera in legno.  Agguantai il primo oggetto che mi capitò sotto mano, un abat-jour a fiori, e presi a minacciarlo sventolandolo goffamente, come se fosse una spada.
L’uomo si scoprì e si alzò rimanendo solo in boxer, molto aderenti. Non aveva affatto una bella cera: ancora non si raccapezzava di cosa stesse succedendo e sul viso aveva macchie sparse di trucco colato dal giorno prima.
“Tu n-non ti av-vicinare!”
Nonostante cercassi di mantenere la calma, la voce mi tremava, e si sentiva.
Lasciai cadere la lampada a terra ed uscii da quella stanza alla ricerca della porta più vicina. La caviglia iniziava a farmi male e la medicazione non c’era più, probabilmente l’avevo persa durante il sonno.
Entrai nella prima stanza e mi rinchiusi dentro, girando più volte la chiave nella serratura.
Mi trovavo in bagno, o meglio, uno dei bagni di quell’enorme abitazione.
Carta igienica buttata a terra, dopo barba gocciolanti, rasoi elettrici, trousse non richiuse con ombretti rotti.
Vi era un enorme doccia in vetro completamente trasparente per due persone.
Da un cassetto lasciato aperto spuntavano scatole di preservativi ed una notevole collezione di boxer dalle forme e dai colori più stravaganti.
Doveva essere il suo bagno privato.
La stanza era arieggiata da un’unica finestra, troppo in alto per poterla raggiungere.
Ero bloccata lì, non potevo fare nulla se non rimirare il mio riflesso sullo specchio sporco. Avevo un aspetto davvero orribile: i capelli arruffati, le occhiaie, un’espressione ancora sconvolta. Mi grattai il capo e poi mi ricordai ogni cosa della notte precedente.
L’incontro con Jiyong, la loro passeggiata-litigata, la caviglia dolorante, lei aggrappata a lui, sonnecchiante.
 
Ma ora Jiyong dov’era?
 
Dove si era nascosto, dopo aver combinato questo enorme casino?
Se solo ce l’avessi avuto fra le mani, io…
“Kwon!! KWON!!!”
Feci appello a tutta la mia voce affinchè mi sentisse.
 
Jiyong’s POV
I miei occhi divennero sensibili al sole che prepotentemente filtrava attraverso la tenda. Era ormai tarda mattina, ma stavo così bene sotto le coperte che non volevo alzarmi. Il divano del salotto non era il posto più comodo del mondo ma dopo una giornata così intensa sarei crollato anche sul pavimento.
“Ancora un altro po’…” bofonchiai con il cuscino sulla faccia.
E poi un urlo, all’improvviso, seguito dal rumore di una porta che sbatteva.
Mi sporsi un po’ per capire cosa stava succedendo e riconobbi la voce stridula di Jamie.
 
“Kwon!! KWON!!!”
Feci per alzarmi ma, intrappolato nella morsa delle coperte, capitombolai a terra. Mi infilai distrattamente dei pantaloni di Timmy che erano rimasti sullo schienale del divano e giunsi all’origine delle urla.
“Jamie, sono qua” cercai di dirle, sballottato dal mondo dei sogni alla vita reale.
“KWON!!! Sei qua finalmente! Innanzitutto, VAI AL DIAVOLO!!!”
Parole, quest’ultime, che mi destarono giusto un pochino.
“Jamie aspetta, posso spiegare…”
“Allora spiegami tutto immediatamente!!!”
Avrei voluto dirle che ci trovavamo qui perché mentre la stavo portando a casa si era messo a piovere violentemente e che aveva continuato così tutta la notte, e che Timmy era stato così gentile da ospitarli per una notte.
Ma niente di tutto questo uscì dalla mia bocca, perché Jamie e la sua voce trapanante al di là della porta non accennavano a fermarsi.
“Chi è quel transessuale che mi dormiva accanto? È casa sua questa? Perché siamo qua? Ed io ero in BIANCHERIA INTIMA: chi mi ha svestita? Non ricordo di essermi tolta nemmeno la giacca, e non ricordo di essere entrata qui. Mi hai drogata forse?? E i miei vestiti, DOVE SONO I MIEI VESTITI?? Portameli qua subito, ora!! Kwon, esigo delle risposte!!!”
“Lui è Timmy, un mio amico… ci ha gentilmente ospitati stanotte per non rimanere congelati sotto la pioggia.”
“Begli amici che c’hai! Ma di che gente ti circondi??”
Mi trattenni a stento dal ridere.
“Non è come sembra…”
“Non è come sembra? Ho visto benissimo che è un transessuale e che… ce l’ha!! Tiene i preservativi belli in mostra, sembra un maniaco… e tu saresti uno di quegli amichetti che gli viene a fare visita??”
“Jamie non so molto della sua vita privata, ci siamo conosciuti a Parigi, lui è uno stilista di linea intima per uomo.”
Jamie stette un attimo in silenzio: forse aveva trovato i suoi famosi boxer.
“Comunque, a chi è venuta la fantastica idea di farmi dormire nel suo letto, con lui?? Svestita, per giunta.”
“Ho pensato che fosse la soluzione migliore, non volevo che ti trovassi sola in un posto che non conoscevi e lui era il più adatto a vegliare su di te, in quanto, come hai ben constatato, a lui non interessa il genere femminile.”
Di nuovo silenzio. Forse stava valutando gli aspetti positivi nell’aver dormito con lui, innocuo, e non con me, un pervertito.
Poi ripensai a quello che aveva detto… dunque era rimasta in biancheria intima.
Una sbirciatina non avrebbe fatto male a nessuno, no?
Mi abbassai e buttai l’occhio nel buco della serratura, ma vidi soltanto rosso: probabilmente si era messa qualcosa addosso.
“I tuoi vestiti sono ad asciugare ora… presumo che sia per questo che te li abbia tolti. Vado a prenderti dei vestiti di Timmy, quelli delle serate…”
“No! Non metterei mai i vestiti di quel tuo sudicio amichetto, mi fa ribrezzo… portami i miei vestiti.
Subito!!!”
Inorridii al pensiero di mettere gli stessi vestiti due volte. Io ero abituato a cambiarmi anche più volte al giorno, prima che il tessuto mi si attaccasse sulla pelle.
“Non puoi metterteli di nuovo, non sono neanche lavati!”
“Aaah, quante smancerie Kwon!”
Smancerie? La pelle deve respirare ed essere pulita. Non te l’hanno insegnato ancora questo? Insomma, sei una signorina! E potresti smetterla di chiamarmi in quel modo? Mi da’ sui nervi.“
Proprio io dovevo farle presente simili nozioni di igiene?
La sentii sospirare, stanca.
“è ormai da cinque giorni che vado avanti alternando quei vestiti ad un altro cambio… ho perso la valigia con tutto il mio armadio dentro e potrebbero anche passare settimane prima che la facciano arrivare.”
Se solo me l’avesse detto prima l’avrei accompagnata a fare shopping, le avrei regalato talmente tanti vestiti da potersi cambiare per un mese intero.
Ma forse c’era ancora qualcosa che potevo fare…
Mi finsi indifferente a ciò che mi aveva appena detto.
“beh, non è un problema che mi riguarda… comunque tu oggi non ti vesti di nuovo così, dobbiamo anche andare a lavoro. “
“Andiamo a lavoro per sudare comunque, Kwon. La coreografia, ricordi?”
“Allora tirerò fuori qualche tuta da ginnastica di Timmy”
Le feci sentire il rumore dei miei passi che si allontanavano.
“Kwon, aspetta!”
“Che c’è ancora?”
“Voglio sapere… se posso uscire. Lui è qui?”
Detti un’occhiata veloce in giro, sopra i mobili.
“Tranquilla, qui non c’è. Via libera!”
Sentii i giri della chiave nella serratura e poi la porta si aprii, rivelando una versione di Jamie inedita: completamente avvolta da coperte e lenzuola, sguardo spaesato, capelli dolcemente arruffati. Sembrava un uccellino caduto dal nido.
“Se proprio devo… allora voglio scegliere i vestiti da me”
Ero contento che avesse accettato. Siamo artisti, e l’immagine è molto importante.
“Allora di qua è la stanza del guardaroba” dissi facendole strada con un sorriso.
Le bastò una sola occhiata per frenare il mio entusiasmo.
“Con te facciamo i conti dopo, comunque.”
 
Il guardaroba era molto spazioso, ma non più grande e ricco del mio.
Jamie vi si addentrò e scelse un’anonima camicetta unisex a quadretti e dei jeans a vita bassa che lasciavano scoperto l’ombelico.
Timmy fece capolino nella stanza, con sguardo curioso.
“Allora, hai trovato qualcosa di tuo gradimento?” Domandò rivolgendosi a Jamie.
Lei si nascose dietro di me, ma con tutta quell’armatura era impossibile non notarla. Le detti una gomitata per invitarla a rispondere.
“S-si, grazie. E mi scusi per prima.”
“Puoi darmi tranquillamente del tu, bambola. Non credo di avere tanti anni in più di te.”
Bambola?
“Com’è che dite da queste parti ai ragazzi più grandi, oppa?! Oppa Timmy!”
Oppa?
“Jamie vai a cambiarti che così andiamo… si è fatto terribilmente tardi.” Tagliai corto io con un sorriso forzato, spingendo Jamie verso il bagno.
“Quindi lei è una tua collega?” mi chiese Timmy quando lei non poteva sentirci.
“Sì, esatto… collega.”
“Siete piuttosto intimi per essere dei colleghi…” Sul suo viso comparve un’espressione furba.
“No beh… in realtà ci siamo appena conosciuti e…”
“Ho finito.” Jamie irruppe nella conversazione proprio nel momento più opportuno. Quei vestiti anche se così ordinari le stavano divinamente… iniziai a pensare che ogni capo, indipendentemente dal taglio o dal modello le stesse bene. Se avesse soltanto qualche centimetro in più sarebbe la modella più richiesta in tutta la Corea del Sud.
“Quando mi avrai tolto quegli occhi di dosso possiamo andare?!”
“Sì, certo. Andiamo” Mi affrettai a dire, per togliermi dall’imbarazzo.
“Non posso neanche offrirvi la colazione?” disse Timmy rincorrendoci con scodelle e thermos.
“No, grazie, siamo di fretta. Prenderemo qualcosa per strada”
Mi voltai un’ultima volta prima di uscire.
“Grazie Timmy, sei un amico.”
Quando richiusi la porta alle mie spalle, Jamie era già parecchi metri più avanti. Mi misi a correre per raggiungerla.
“Jamie, non ho ancora avuto l’opportunità di chiederlo… stai bene? E la tua caviglia?”
Lei si girò di scatto e mi gelò con uno sguardo.
“Kwon, devi smetterla. Non voglio più che accadano cose di questo genere, hai capito? Stai lontano da me e dalla mia vita! Una volta che questa storia dell’esibizione sarà finita, non voglio più avere a che fare con te, se non professionalmente. Siamo solo colleghi, e nient’altro.”
Non ebbi il coraggio di dire nient’altro, nemmeno se potevo offrile un cappuccino o una fetta di torta.
Una parola mi era rimasta in testa: colleghi.
eravamo davvero destinati ad essere estranei al di fuori del lavoro? Un rapporto che nemmeno con gli assistenti ero capace di intrattenere…
Nessuno dei due parlò fino a quando non raggiungemmo la sede.
 
Jamie’s POV
Provammo per un paio d’ore, staccammo per la pausa pranzo e poi di nuovo in palestra fino a quando la coreografia non risultò perfetta in quasi tutti i suoi passaggi. Domani avremmo dovuto provare con i microfoni , cantando dal vivo. Rimanevano due giorni al famigerato d-day.
Per la prima volta dal mio arrivo a Seoul, tutto filò come avevo sempre sperato.
Io e Jiyong ci scambiammo solo qualche parola relativa alla performance e gli confessai che temevo un po’ il pubblico di una piattaforma live così rinomata come l’Inkigayo. Lo feci però con estrema professionalità, una confidenza tra colleghi dai freddi rapporti.
Quando uscimmo dalla sede nel tardo pomeriggio non mi degnò quasi di uno sguardo,  e prese una direzione nettamente opposta alla mia, alla strada che avevamo percorso la notte prima.
La lattina accartocciata, il muretto dove mi aveva fatta salire per medicarmi la caviglia. E i metri successivi, passati abbracciata alla sua schiena… ricordavo molto di quella notte e ad ogni mio passo il cuore sobbalzava. Ora, però,mi sembrava tutto troppo lontano…
 
L’indomani mentre entravo in sede, Jiyong mi sfrecciò davanti, tagliandomi la strada. Aveva il volto rivolto verso il basso, nascosto da un cappello e dagli occhiali da sole, la bocca contorta in una smorfia.
C’erano paparazzi che lo aspettavano all’entrata.
Cercai di attirare la sua attenzione muovendo la mano in segno di saluto, ma non mi notò, o forse fece finta di non vedermi. Solo un paio di giorni prima un comportamento del genere non sarebbe stato fattibile da parte sua.
Pensavo di essere io a tenerlo fuori dal mio mondo, ma forse era lui che mi stava tenendo fuori dal suo.
Era davvero ciò che volevo?
Corsi nei bagni del terzo piano e mi rinchiusi dentro, lasciandomi scivolare contro la porta fino a terra, ripetendomi di non piangere.
 
 
 
 
 
 
Chi di voi ha visto Playful Kiss?? ^-^
La scena della cosiddetta “piggy back” che volevo tanto farvi capire (e  spero di esserci riuscita) è spudoratamente tratta da uno dei primi episodi del drama, in cui Baek Sung Jo prende sulle spalle Oh Ha Ni… <3 a dire il vero questo accade anche una seconda volta, più avanti ;3
E così ho fatto un tributo anche al mio primo drama ;u;
 
Se comunque l’immagine non vi è chiara andate su questo sito http://calixa.livejournal.com/531474.html scorrete un po’ e troverete la scena di cui vi sto parlando. Andate a rileggervi il passaggio e immaginatevi Jiyong e Jamie in questo tenero approccio ;3
 
Ma tornando a noi, come vi è sembrato questo capitolo?!?
È lungo, proprio come l’altro. Anche qui ho cercato di mischiare i toni: prima l’insofferenza, poi la tenerezza, il disappunto, una silenziosa rivelazione di sentimenti, con la parte comica che fa da collante.
Non succede praticamente nulla in questo capitolo… diciamo che è un capitolo filler, me ne sono servita per approfondire il rapporto tra i nostri due protagonisti e preparare quindi il terreno per i successivi avvenimenti…
 
Cosa succederà?!?
Jamie alla fine è travolta dai sensi di colpa… Jiyong, perché la sta evitando?! È forse meglio così, per entrambi, rimanere solo colleghi?!
 
A parte le solite tre recensioniste che immancabilmente mi fanno sapere il loro parere e mi spronano a continuare, mi piacerebbe tanto piacere sapere cosa pensate anche voi, lettori silenziosi, di questa storia. Su, non siate timidi! Ogni vostro parere o dubbio è bene accetto! Ora che mi sono ben addentrata nella storia mi farebbe un piacere immenso sapere se vi piace, se aspettate con ansia i nuovi capitoli, oppure se c’è qualcosa da migliorare…
Uno scrittore (se posso avere la presunzione di definirmi tale) scrive per il suo pubblico. E questo c’è, vedo che le visite aumentano ad ogni capitolo e ve ne sono estremamente grata, ma se voi mi dedicaste 11 parole (non 10 perché mi arriverebbe come messaggio privato xD) sarei ancora più felice di continuare!
 
Dopo questo accorato appello (!) spero di ricevere qualche recensione in più. :33
Sappiate che ho iniziato a scrivere questa storia per voi, per farvi leggere qualcosa di bello sul vostro idolo, ultimate, bias, eroe, amore di una vita e chi ne ha più ne metta xP
Poi io rispondo sempre alle recensioni ^^
 
Grazie byunbaekhyunbacon per aver aggiunto la storia alle seguite <3 hai un nome davvero adorabile ;3
Ho pubblicato tardi anche questa volta… Mi dispiace Ma ho iniziato un attività di volontariato che mi terrà impegnata per tutto il mese… quindi è probabile che aggiorni sempre meno ; ;
però vi prometto di regalarvi sempre capitoli impegnati e ben fatti <3
 
alla prossima!!!
Hana
  
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