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Autore: Molly182    14/07/2014    1 recensioni
«Perché non mi hai mai detto che il tuo vero nome è Thomas?»
«Perché non me l'hai mai chiesto…»
«Spiegami perché avrei mai dovuto chiederti se quello fosse il tuo vero nome?»
«Perché pensavo che mi avessi riconosciuto»
«È piuttosto difficile vedere chi ho davanti, sai?», mi disse mentre stava riempendo due tazze di caffè caldo. «Soprattutto se il locale ha luci basse e quello che mi sta davanti ha un maledetto cappello che gli copre metà volto»
«Hai ragione», le dissi ridendo e appoggiando il cappello sul ripiano.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom DeLonge
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter six.
It's such a shame that we play strangers.
 
Il giorno dopo fu come se non fosse successo proprio niente. O almeno io cercavo di non pensarci e di non dargli più importanza del dovuto. Infondo baciare qualcuno non è mai un male. Sono cose che capitano continuamente e il fatto che lui si sia allontanato all’improvviso non significava esattamente che avessi fatto qualcosa di sbagliato, ma non dovevo pensarci più. Dovevo smettere di crogiolarmi nei miei pensieri. Dovevo alzarmi dal letto e iniziare una nuova giornata dove sarei stata piuttosto occupata con il lavoro e non avrei avuto tempo per pensare all’accaduto.
Eppure quel ragazzo non riusciva a sparire dai miei pensieri.
Non riuscivo neanche a dimenticarmi una delle tante frasi che aveva detto: “Non dovrei neanche essere qui stasera”. Allora perché aveva fatto la cazzata di non dare retta al suo cervello e di chiedermi di salire se probabilmente aveva già qualcuno nella sua vita?
«Allora?», disse una voce che ormai avevo iniziato a riconoscere fin troppo bene. «Com’è andata ieri sera?»
«Nulla da raccontare…»
«Non ci credo, un ragazzo del genere non è un tipo da non fare nulla», disse ridendo mentre puliva il bancone. Le sedevo davanti mentre riempivo distrattamente i portatovaglioli.
«Infatti mi ha chiesto di salire in casa, gli ho offerto una tazza di caffè e mi ha baciato»
«Questo non spiega esattamente il significato di “niente”.»
«Finché lui non si è staccato da me e ha iniziato a farneticare sul fatto che fosse in una band e che non doveva essere lì.»
«Quindi non lo rivedrai?»
«Non penso che si presenterà di nuovo al locale»
«Peccato…»
«Mi aveva detto che si chiamava Matthew, ma indovina un po’!», le dissi. «Il suo vero nome è Thomas Matthew qualcosa… forse è meglio davvero che non perda tempo dietro qualcuno del genere, immagino che abbia già una fidanzata o qualcosa del genere… e poi è notevolmente più grande di me…».
«Dai non restarci male…», mi consolò porgendomi un bicchiere di birra e servendo dei clienti al bancone. Il locale si stava riempiendo, come ogni sabato sera.
«Ma non sono né arrabbiata né ci sono rimasta male, cioè non so neanch’io il perché mi senta così strana, solo che boh… forse penso che sia il primo ragazzo di San Diego che m’interessasse…», dissi bevendo poi un sorso.
«Aspetta un attimo!», dichiarò. «Hai detto che si chiama Thomas e che è in una band, è più grande di te e che naturalmente al momento è a San Diego… davvero non ti viene in mente chi lui sia?», mi chiese come se la risposta che dovessi dargli fosse la più scontata del mondo. «Come ho fatto a non accorgermene subito!»
«Di cosa stai parlando?»
«Ti ha per caso detto che ha una band piuttosto famosa?», annuii. «Allora mi sembra strano che tu non abbia mai sentito parlare dei Blink-182»
«Sì, ma non mi sono mai soffermata più di tanto su di loro, solo qualche vecchia canzone, non capisco cosa…», lasciai la frase a metà appena Sarah mi mostrò una foto di Thomas sul suo cellulare. «Ah!»
«Complimenti! Hai baciato una rockstar!»
«Penso che abbia una ragazza»
«Direi di si… si chiama Jennifer Jenkins», dichiarò. «È una ex compagna di università di mia sorella, odiosa…»
«Tanto non lo vedrò mai più», dichiarai alzando le spalle cercando di non darci toppo peso.
«Non ne sarei così sicura…», disse facendo con la testa un cenno che indicava verso la porta. Un ragazzo piuttosto alto stava entrando e si stava avvicinando a noi.
«Ehi…», disse sedendosi al solito posto. Mi alzai dal mio e andai dietro al bancone. Era stato come una doccia fredda. Non mi sarei mai aspettato che avesse avuto il coraggio di presentarsi di nuovo al bar nonostante la strana tensione della sera prima.
«È meglio se porto questi ai tavoli…», dichiarò Sarah mettendo dei portatovaglioli su un vassoio e allontanandosi da noi.
«Ti do il solito?», gli chiesi riempendo dei boccali di birra per due clienti che stavano aspettando di essere serviti di fianco a lui.
«Volevo parlarti di ieri»
«Thomas, sto lavorando…»
«Due minuti!»
«È sabato sera, pensi davvero che abbia due minuti da perdere a chiacchierare di te che hai fatto un errore e che non vuoi ferirmi e altre stronzate simili?», dichiarai porgendo i due bicchieri a quegli uomini e prendendo i loro soldi. «Un attimo che vi porto il resto»
«Tieni la mancia», disse uno dei due per poi allontanandosi insieme all’amico alla ricerca di un tavolo.
«Allora ti do una mano!»
«Non dire stupidaggini, non puoi venire dietro al bancone!», troppo tardi. Il ragazzo era già al mio fianco che stava riempendo quattro bicchieri di vodka alla pesca per delle ragazze che sembravano piuttosto felici di essere servite finalmente da un bel ragazzo.
«Mi posso occupare di birra e di drink semplici, ma se mi chiedono qualche strano cocktail, ci pensi tu!», disse ritirando i soldi dalla bambolina bionda che cercava di catturare la sua attenzione porgendogli probabilmente un numero di telefono.
«Thomas, non ho intenzione di farti restare qui dietro, tantomeno di discutere di ieri sera», sostenni. «Non è successo niente, capita, non sono né arrabbiata né inizierò a piangere pensando che tutti gli uomini sono degli stronzi. Non ti devi preoccupare eccetto il fatto di toglierti dai piedi prima di farmi licenziare!»
«Fidati, non ti farò licenziare!”
Furono le ultime parole famose che sentii uscire dalla sua bocca dopo che sparì a servire dei clienti al lato opposto del mio.
Non so perché si comportava così, non riuscivo a capire cosa volesse dimostrare e il semplice fatto che non mi avesse ascoltato significava che avevo a che fare con una persona di cui non mi sarei liberata facilmente.
 
“Cassie! Ora possiamo parlare?», disse il ragazzo oltrepassando il bancone e tornando a sedersi davanti a esso.  «Ormai il locale sta chiudendo e i clienti se ne stanno andando».
«È davvero così importante?»
«Volevo solo spiegarti…»
«Sono quasi le tre del mattino, tutto quello che voglio fare ora è tornarmene a casa e mettermi a letto».
«Posso almeno accompagnarti?»
«Per fare lo stesso errore?», gli dissi guardandolo negli occhi. «Non è quello che vuoi!»
«Non sai cosa voglio!»
«Ma so che non dovresti essere qui a perdere il tuo tempo con me!».
«Cassie!»
«Senti, se ti dico di sì, mi lascerai in pace?».
«Almeno per una buona parte della tua esistenza», disse sorridendo e stupidamente mi lasciai abbindolare da quella perfetta linea curva che compariva ogni volta sul suo bel faccino.
«Allora andiamo!», annunciai uscendo da dietro al bancone e prendendo la mia borsa.
   
 
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